Caso Dani Alves: quando l’antirazzismo diventa marketing

Roma, 29 apr – «Non ho pensato di lasciare il campo […] In certi momenti di gioco si può cedere, ma bisogna pensare alle persone che si recano al campo per tifare la loro squadra». Dani Alves, oltre un anno fa, rispondeva così a chi gli chiedeva il motivo per cui non aveva lasciato il Bernabeu dopo le offese dei tifosi del Real Madrid. Domenica, nella partita tra Barcellona e  Villareal, i tifosi avversari gli hanno lanciato una banana mentre si stava apprestando a battere un calcio d’angolo: lui non si è scomposto, l’ha raccolta e se l’è mangiata. Un modo ironico per dire: le vostre offese non mi fanno né caldo né freddo. Una risposta condivisibile, lontana dai vittimismi di giocatori come Boateng e Balotelli. Anche perché da quando esiste il gioco del calcio esistono le offese agli avversari, e solo pochi viziati si atteggiano a perseguitati. Avete mai visto De Rossi piangere davanti ai telecronisti dopo essere stato offeso in campo? Di recente, contro il Napoli, la sua risposta è stata baciare la maglietta dell’A.S. Roma.

Tornando sul fatto di Dani Alves: se la sua è stata una scelta condivisibile, surreale e triste il seguito. Tra ieri e oggi abbiamo assistito ad una patetica campagna antirazzista lanciata con l’hashtag #somostodosmacacos. Una campagna alla quale tanti si sono sentiti in dovere di partecipare. Nel mondo di twitter e dei selfie quale occasione migliore per ottenere attimi di celebrità? Tanti i personaggi protagonisti di questi scatti. In Italia non potevano mancare Matteo Renzi e Cesare Prandelli, i quali si sono fatti fotografare con una banana davanti a palazzo Chigi. Il primo ha potuto mettere un altro tassello (o twitt che dir si voglia) alla sua incessante operazione di marketing, il secondo ha potuto ancora una volta sventolare il suo codice etico, tanto ipocrita quanto inapplicato.

Fin qui tutto prevedibile. Ciò che i nostri Renzi e Prandelli non potevano prevedere è la notizia uscita nella giornata di oggi: lo slogan #somostodosmacacos è stato pianificato dalla Ludocca, l’agenzia di marketing che gestisce l’immagine di Neymar, ed era già pronto da due settimane. L’episodio che ha visto protagonista Dani Alves è quindi servito per promuovere una campagna pubblicitaria già confezionata dall’agenzia dell’imprenditore e giornalista Luciano Huck. Una campagna pubblicitaria intorno alla quale gireranno molti soldi, se è vero che sul web è già possibile acquistare le magliette con lo slogan #somostodosmacacos al prezzo di 25 euro: non poco per una fruit creata per diffondere un messaggio contro il razzismo, no? Insomma, è chiaro: dietro l’antirazzismo c’è, in questo caso come in tanti altri, una patetica campagna di marketing.

D’altronde, mascherare il profitto con buoni propositi è una pratica molto vecchia, ma sempre attuale. Cosa ne pensano Renzi e Prandelli? Non sarebbe il caso di fare un intervento ufficiale per boicottare la vergognosa invenzione neymariana?

Staremo a vedere, anche se la risposta la sappiamo già. Nel mondo dell’ipocrisia sarebbe stupido aspettarsi qualcosa di simile.

Renato Montagnolo
http://www.ilprimatonazionale.it/2014/04/29/caso-dani-alves-quando-lantirazzismo-diventa-marketing/

Caso Dani Alves: quando l’antirazzismo diventa marketingultima modifica: 2014-04-30T23:18:54+02:00da davi-luciano
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