GRANDE SUCCESSO PER IL FESTIVAL ALTA FELICITÀ: VENAUS INVASA DA MIGLIAIA DI PERSONE

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ValsusaOggi

Giornale online indipendente – Diretto da Fabio Tanzilli – redazione@valsusaoggi.it

     25/07/2016 
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VENAUS – Un grande finale ieri, domenica 24 luglio, per il Festival Alta Felicità: la prima tre giorni gratuita di musica, performances e dibattiti, tutta nel segno dei NoTav, si è conclusa a Venaus con successo.

“L’ospitalità e il reciproco scambio come forma di organizzazione e difesa di una comunità e di un territorio: la Valle ha sempre vissuto di questo. Una valle che in questi giorni ha mostrato tutti i suoi fiori. Con un’idea semplice. Diversa e opposta al consumo frenetico della vita e dell’ambiente”, così descrivono il festival dal movimento.

E dopo Vinicio Capossela, Eugenio Finardi, i 99 Posse e molti altri artisti, ieri è stato il turno dei Subsonica, di Ensi, degli Statuto (per citarne alcuni): non “solo” musica, ma anche dibattito politico, culturale e momenti di risate, come la simpatica scenetta del celebre Chef Rubio che, a suon di frittelle, ha voluto sfidare l’attivista Marisa Meyer, la nonna di tutti i NoTav.

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Un festival con almeno 40.000 partecipanti secondo gli organizzatori, dai giovani ai meno giovani, oltre alla presenza di attivisti e realtà di lotta provenienti non solo da tutta Italia, ma anche dal mondo.

(Foto da facebook Festival Alta Felicità)

Breve vademecum per evitare stragi come quella di Nizza

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Fonte: Il Discrimine
Dopo la strage di Nizza, effettuata da un immigrato tunisino, le reazioni sono state fondamentalmente di due tipi.
La prima è quella di chi ha puntato il dito sull’immigrazione di popolazioni di religione musulmana, in particolare dal Maghreb. Inedita paladina di questa posizione è stata la giornalista sportiva Paola Ferrari, moglie di Marco De Benedetti (non di Pier Silvio Berlusconi), la quale su Twitter ha auspicato il ritiro del passaporto europeo a tutti i maghrebini che l’hanno ottenuto negli ultimi vent’anni, figli compresi.
Questa “sparata” sgangherata ha prevedibilmente “indignato” quelli del secondo tipo di reazione, per i quali di solito “tutto va bene lo stesso”, ma che stavolta hanno cominciato a porsi qualche domanda, intavolando un “confronto culturale” sulle pagine dei giornali “autorevoli” che sa tanto di “politica” (tale “confronto” avviene difatti sempre in un rassicurante alveo di voto al Pd, perché tutti gli altri sono “populisti”, “razzisti”, “islamofobi”)[1].
Ma come sempre accade, il problema non viene focalizzato, così si va avanti per giorni e giorni a discutere di “terroristi” da emarginare, di “razzisti” da condannare, di “integrazione” e di “integralismo” (ma mai di “integrità), e persino di “nuove Brigate Rosse” in versione araba, senza mai arrivare a nulla.
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Il Potere, intanto, se la ride.
 
Fermo restando che esiste anche un “problema” connesso alle “ideologie islamiche” moderniste e letteraliste, ovvero anti-tradizionali, e dunque una questione di “educazione religiosa” (che andrebbe risolto, tanto per cominciare, ascoltando i veri sapienti e non gli ‘imam della domenica’, evitando di sovvertire la Siria e di fare affari coi “petromonarchi”), va detto che alla base di questo cosiddetto “terrorismo islamico” e della sua capacità di colpire ovunque masse di indifesi ci sono essenzialmente due fattori:
1) la capillare presenza, in territorio europeo, di reti informative e militari organizzate dai cosiddetti “alleati”, le quali forniscono il necessario sostegno logistico a questo tipo di operazioni “militari” non convenzionali;
2) l’eccessivo afflusso di stranieri che, anche solo per una questione di numeri, non può non produrre una percentuale di disadattati e frustrati (non necessariamente perché sono “poveri”), i quali, da un momento all’altro, per dare sfogo al loro rancore, la combinano grossa e per esempio buttano giù come birilli una folla che fa festa su un lungomare. È la “società multietnica”, bellezza!
Per rendersi conto di come le cose stiano così, si pensi all’assenza di questi due fattori (presenza di reti “alleate” e di “frustrati” immigrati sul territorio europeo) e ci si chieda se potrebbe sussistere un problema di “terrorismo islamico” cosiddetto.
Ma il punto 1) non verrà mai citato da nessuno che abbia un minimo a cuore la sua “carriera” nei giornali e nell’accademia, mentre il punto 2) viene maramaldescamente agitato in maniera unilaterale da professionisti del depistaggio, con i loro “oppositori” immersi in un “buonismo” altrettanto unilaterale e disarmante per la sua ingenuità.
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Per più di vent’anni, la classica immagine del “terrorista arabo” è stata quella di Yasser Arafat
Negli anni Settanta-Ottanta abbiamo conosciuto un fenomeno definito “terrorismo palestinese”. A meno che si voglia credere che la Strage di Bologna sia da addebitare ad esso (come a quell’altra favola delle “stragi neofasciste”), va detto che quel tipo di terrorismo non colpiva indiscriminatamente tra la folla, ma aveva obiettivi mirati “spiegabili” col conflitto israelo-palestinese e, più in generale, “mediorientale” (nel quale vi era anche una guerra per interposta persona). Strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco ’72, attentato al banco della compagnia aerea El Al, attacco alla sinagoga di Roma, dirottamento dell’Achille Lauro ed uccisione di un passeggero ebreo-americano eccetera eccetera… tutti obiettivi “mirati” da parte di “guerriglieri” dei quali si può condividere o meno l’operato, ma che in via di principio aveva un suo “perché”, come risposta all’occupazione sionista della Palestina. Ma mai una strage indiscriminata di innocenti francesi o di altra nazionalità in maniera così “insensata”.
Anche negli anni della Guerra d’indipendenza algerina (1954-1962) i francesi dovettero assaggiare, in termini di efferati attacchi terroristici, le conseguenze dell’operato della Francia sul suolo algerino. Orribili e strazianti quanto si vuole, quelle stragi avevano ancora un loro “perché”.
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Bla bla bla bla bla bla…
Ma oggi, per non prendere di petto la situazione e non chiamare per nome e cognome i veri responsabili, si straparla di un sacco di cose di contorno giusto per far prendere aria alla bocca e riempire le “pagine culturali”: sermoni in Italiano, questione del “velo”, “radicalismo” (di chi, di Pannella???), “integrazione” (uuuh quanto piace questa parola), “tolleranza” e “rispetto”, il tutto condito da una sociologia post- o neo-marxista sull’esclusione sociale, il “razzismo” eccetera. Tutti diversivi.
Si provi ad immaginare un’Italia ed un’Europa senza condizionamenti Usa-anglo-israeliani, e con una presenza ordinata e sensata di stranieri, e vedremmo che non esisterebbe alcun “problema terrorismo islaimco”, di nessun tipo.
Ma che ve lo dico a fare? Sono anni che gli strateghi israeliani – i quali hanno abbondantemente sostenuto l’ascesa del cosiddetto “islamismo militante” – hanno “augurato” agli europei di vivere “insicuri” come vivono loro, col terrore di saltare in aria sull’autobus o in una caffetteria.
Se lo sono talmente augurato che alla fine ce l’hanno fatta.
di Enrico Galoppini – 19/07/2016
 
NOTE:
[1] Leggasi, di Massimo Gramellini, Caro musulmano i tuoi fratelli adesso siamo noi (“La Stampa”, 16 luglio 2016: http://www.lastampa.it/2016/07/16/cultura/opinioni/buongiorno/caro-musulmano-i-tuoi-fratelli-adesso-siamo-noi-5rcn8bBFCvJUqX0GeVCD4J/pagina.html), al quale ha risposto Shabika Shah Povia con Caro Gramellini, tu non sei mio fratello (“The Post internazionale”, 17 luglio 2017: http://www.tpi.it/mondo/turchia/risposta-buongiorno-gramellini-musulmani).

Un golpe “prevedibile”: così Erdogan ha fregato tutti

di Giovanni Feola – 18/07/2016
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A poca distanza temporale dal fallito golpe militare in Turchia si comincia a delineare, pur tra mille interrogativi, un quadro più chiaro della situazione: l’analisi delle reazioni di Erdogan rimane lo strumento più efficace. Ad oggi, risultano oltre 300 i morti, oltre 1.400 feriti, 3.000 i militari arrestati per aver preso parte al golpe, 2.745 i magistrati rimossi dal governo nelle ore successive al fatidico venerdì sera. Delle 300 vittime, cifra comunque destinata ad aumentare nei prossimi giorni, la maggior parte apparterrebbero alle file dei golpisti, o meglio complottisti come vengono definiti dalla stampa turca, molti dei quali sono soldati e civili, sgozzati e decapitati in strada o gettati dai ponti dai filo-governativi. 
 
Modalità che ricordano i primi eventi della cosiddetta rivoluzione siriana, quando i terroristi islamisti, in abiti civili, cominciarono i primi attacchi contro i soldati siriani. Artefici come allora le frange più oltranziste della Fratellanza Musulmana che in Turchia vestono gli abiti dei sostenitori dell’AKP, il Partito della giustizia e dello sviluppo di Erdogan. Sulle epurazioni, saranno mesi di sangue in Turchia, ma avere subito pronta una lista di circa tremila magistrati da “rimuovere”, la dice lunga sulla prevedibilità del golpe.
 
Non crediamo che sia tutta una messa in scena a suo vantaggio ma una cosa è certa, Erdogan sapeva, ha organizzato le sue contromosse ed ha atteso gli eventi. Le veloci accuse contro il rivale Fethullah Gulen, in esilio volontario negli Stati Uniti, sono la riprova che tutti gli ambienti istituzionali, delle forze armate e di altri apparati statali, saranno epurati scientificamente dai sostenitori di quest’ultimo. La sinergia politica tra Gulen ed Erdogan si interrompe definitivamente nel 2013, quando il governo venne investito dal grosso scandalo di corruzione che costrinse il presidente turco a rimuovere numerosi ministri e funzionari. Secondo quest’ultimo, l’attacco mosso dalla magistratura fu orchestrato da Gulen per rovesciare il governo, e la risposta non si fece attendere, vennero epurati numerosi magistrati, approvato un provvedimento per la chiusura delle scuole private (dershane) legate al predicatore e la sua organizzazione inserita nella lista dei movimenti pericolosi per la stabilità della Turchia. L’attacco alla sede del giornale Zaman, il quotidiano più venduto in Turchia, fortemente legato al gruppo-Gulen, fu solo una delle misure della repressione di Erdogan.
 
Ma chi è Fethullah Gulen? E’ ritenuto il più importante teologo islamico moderno e scienziato politico della Turchia. Dalle colline della Pennsylvania guida “Hizmet”, un potentissimo movimento religioso che gestisce oltre 1.000 madrase sparse in tutto il mondo, con un patrimonio stimato di oltre 25 miliardi di dollari. La gestione di migliaia di istituti di istruzione ha permesso al movimento gulenista di inserirsi nei gangli vitali dello stato turco (e non solo…) e delle istituzioni, con milioni di sostenitori, tra magistrati, funzionari, militari e pubblica amministrazione. Durante la guerra in Cecenia negli anni ’90, uno dei primi provvedimenti del governo russo fu vietare e chiudere le scuole di Gulen che nel frattempo erano state aperte in tutte le repubbliche ex sovietiche appena questa si disgregò. Gulen, in contrasto con Erdogan per la guida del potere in Turchia, al pari del presidente turco non è certo un musulmano “moderato”, sotto l’immagine del personaggio pubblico che promuove il dialogo interreligioso, le idee dell’islam politico sono ben chiare: aspra critica alla laicità dello Stato, ruolo centrale della Turchia come guida dei paesi musulmani e dell’Asia centrale, grande influenza della religione abbinata alle regole democratiche. Insomma le divergenze con Erdogan sono maggiormente motivate da contrasti di potere piuttosto che da questioni ideologiche.
E veniamo al ruolo delle Forze Armate turche nel tentativo di colpo di stato della scorsa notte, a quanto pare poco coordinato e non comprensivo di tutte le componenti (la Marina militare turca ha infatti subito escluso ogni suo coinvolgimento nel fallito putsch militare). Sicuramente c’è molta approssimazione e superficialità, soprattutto nelle analisi diffuse dalla stampa e dai media italiani, sull’anima politica dei militari turchi. Le forze armate di Ankara, secondo esercito più numeroso della NATO, non hanno più come in passato quel ruolo granitico di difensori della laicità e del modello kemalista alla base della Turchia moderna. A loro interno sono divise in vari gruppi di potere, molti dei quali, anche a causa delle continue epurazioni di Erdogan e della crescita che quest’ultimo ha saputo assicurare al complesso industriale militare, non si sono effettivamente schierati contro il “Sultano”. Quelle forze che ancora molti stimano come garanti della Turchia kemalista, hanno subito nel tempo una vera e propria “islamizzazione” e non solo dovuta all’astuzia di Erdogan e del suo partito l’AKP.
 
Già nel 1980, durante il colpo di stato del 12 settembre, i militari autori del golpe introdussero nella nuova costituzione del 1982 l’articolo 24 che autorizzava l’insegnamento obbligatorio della religione e dell’educazione morale. Questo fu un provvedimento senza precedenti nella storia politica del paese e inserito nel contesto di quegli anni, fu motivato come un tentativo di placare la popolazione (e tranquillizzare le masse) e contenere l’aumento della violenza politica che nel corso del 1970 aveva raggiunto proporzioni di guerra civile. Da una più attenta analisi, questi provvedimenti poco consoni ad una forza dichiaratamente “custode della laicità dello Stato”, potrebbe anche sembrare, nel contesto della guerra fredda, ancora viva in quegli anni, che l’esercito turco abbia agito in conformità con lo schema di utilizzare l’Islam come arma contro il comunismo e l’infiltrazione sovietica. Infatti, poco più ad est, la guerra in Afghanistan, con l’invasione delle truppe sovietiche, aveva indotto gli Stati Uniti, a finanziare ed organizzare, nel vicino Pakistan, le scuole coraniche per incitare e fomentare i popoli musulmani, alla guerra santa contro l’invasore russo. Da allora, dai primi anni ’80, il governo USA e le sue agenzie di sicurezza, cominciarono ad utilizzare il terrorismo islamico come arma geopolitica. Per tornare alla Turchia, il provvedimento costituzionale del 1982, voluto dai militari, contribuì a gettare il dado, abilmente preso nel tempo, dalle formazioni dell’Islam politico, come l’AKP di Erdogan, che negli ultimi anni ha imposto anche una rivisitazione sull’insegnamento nelle scuole dei principi kemalisti, reinterpretato e adattato alle condizioni contemporanee. Le forze armate turche e quelle di polizia, sulle quali comunque Erdogan ha un forte anche se non totale controllo, sono infiltrate da appartenenti al movimento Hizmet di Gulen, e questo, al netto del coinvolgimento di quest’ultimo nel colpo di stato, può quantomeno essere utile a capire quanto sia ben poco rimasto nell’ideologia politica dei militari turchi dei principi laici del fondatore della Patria, Ataturk. Un altro aspetto da non sottovalutare è che comunque storicamente per laicità, in Turchia, non si è mai inteso il rispetto delle minoranze etnico-religiose, neanche da parte dei militari. Ora la situazione sembra però aggravarsi, prima del colpo di stato oltre 700 tra ufficiali e soldati sono stati epurati dalle forze armate perché appartenenti o di origine alevita (da non confondersi con gli alawiti della vicina Siria), una grande minoranza (oltre un quinto dell’intera popolazione) della Turchia. Da parte governativa è stata diffusa la notizia che uno dei capi dei golpisti, il colonnello Muharrem Kose, era di origine alevita e, proprio in queste ore, sono in corso attacchi da parte dell’Esercito turco, che sta mettendo a ferro e fuoco molti quartieri e cittadine alevite soprattutto nell’est e nel sud-est del Paese. Una situazione che tuttavia è degenerata da anni, una parte della Turchia, vive uno stato di continua guerra con l’esercito che distrugge intere zone, non solo curde, e aggravata con la presenza di migliaia di terroristi islamisti, foraggiati ed organizzati dal governo turco, che hanno nel sud della Turchia le loro retrovie del fronte siriano.
 
Il contrasto di queste ore tra Turchia e USA per via dell’isolamento della base NATO di Incirlik (Erdogan ha infatti disposto la chiusura dello spazio aereo sulla base, inibendo così ufficialmente le operazioni aeree statunitensi contro l’Isis, chiudendone inoltre la fornitura di energia elettrica) testimonia non solo che tra le file dei militari golpisti c’erano elementi del Comando NATO ma è sicuramente la prova più lampante che Washington non poteva non sapere. In conclusione, gli attori sia interni che esterni favorevoli ad un cambio di guida in Turchia sono numerosi, a cominciare dai paesi occidentali, che come da prassi hanno atteso in finestra, alcuni dei quali come gli Stati Uniti, sapevano cosa sarebbe accaduto ad Ankara ed Istanbul venerdì sera o altri che comunque si sono sbilanciati, come la Cancelleria tedesca con la negazione del visto al presidente turco, vittime della velocità degli eventi e del maldestro tentativo di golpe. La concomitanza dell’incontro Kerry-Lavrov a Mosca durante il tentativo di colpo di stato non è da sottovalutare, anche se negli ultimi tempi le pressioni della Russia sulla politica turca ed un certo disgelo con Ankara sembra stia dando i suoi frutti. Per quanto riguarda Erdogan, sicuramente nel breve periodo si avvantaggerà della cocente sconfitta dei golpisti, eliminando ancor più violentemente l’opposizione interna e approfittando anche di un maggiore e nuovamente in salita sostegno popolare. Nel lungo periodo però la Turchia corre il rischio di essere ancor più una polveriera, con le irrisolte questioni curde e con un’incontrollabile proliferazione di elementi del terrorismo islamista che ha foraggiato. Le prossime mosse del Sultano di Ankara, tra le quali il conflitto siriano, la distensione con la Russia ed anche con l’Iran, saranno vitali. La miccia ormai è accesa e corre inesorabile.
Fonte: Il Primato Nazionale

La politica estera dei 5 Stelle a Manziana

Patio Latino rinnova l’invito alla serata “cineforum + conferenza” del 29 luglio a Manziana (RM), in Via Garibaldi 48 (ingresso dal vicoletto al numero 30, non dal 44!) alle 20.30.
 
Pensiamo che il momento che stiamo vivendo, segnato da una serie di eventi drammatici, di portata epocale e che coinvolge direttamente il nostro paese in una serie di conflitti alle porte di casa nostra, con rapporti internazionali (Nato, UE, TTIP) che suscitano adesioni e contrasti, con un terrorismo che, alimentato in Medioriente da governi nostri alleati, ora colpisce anche l’Europa, comporti per ogni cittadino l’impegno a conoscere e a confrontarsi. 
Il Movimento 5 Stelle, che si è dimostrato forza politica in impetuosa crescita, suscita speranza, fiducia, ma anche incertezze e ostilità. Dato il ruolo importante che ha assunto nel governo di grandi città e nell’equilibrio politico generale, ci pare interessante conoscerne le direttrici di politica estera che intende proporre all’Italia e all’Europa. Ci sono già state interessanti iniziative parlamentari su Nato, America Latina, il meccanismo delle sanzioni, l’euro, la partecipazione dell’Italia alle guerre., tra l’altro a quella che è annunciata come imminente alla Libia.
 
LA SENATRICE del M5S ORNELLA BERTOROTTA, rientrata dal viaggio di una delegazione parlamentare 5 Stelle in Israele e territori palestinesi occupati, recente organizzatrice al Senato di un partecipatissimo convegno sulla Libia, sarà la relatrice su questi argomenti nella nostra serata. Verrà proiettata una selezione dal documentario girato da Fulvio Grimaldi a Gaza , dopo l’offensiva israeliana Piombo Fuso 
 
Vi aspettiamo.
Patio Latino
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Turchia: quattro ore di golpe

di Antonio Serena – 18/07/2016
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Fonte: Liberaopinione
Calmo e sorridente, Recep Tayyip Erdogan atterra all’ aeroporto Ataturk di Istanbul: non sembra l’uomo che un’ora prima sorvolava i cieli d’Europa mendicando asilo politico dopo che i golpisti avevano bloccato i ponti sul Bosforo e occupato la tv obbligandolo a rivolgersi al popolo turco tramite gli odiati social network che ha sempre tentato di oscurare.
Quattro ore dopo che lo Stato maggiore dell’esercito turco aveva annunciato di aver preso il potere nel Paese «per ristabilire l’ordine democratico e la libertà», il premier turco Binali Yildrim assicurava che  «La situazione [era] largamente sotto controllo» e la tv di stato  riprendeva le trasmissioni.
La farsa è tutta in questi pochi passaggi che faranno il giro del mondo per essere bevuti da milioni di persone. Poi, seguendo gli inviti del Sultano,  i suoi attivisti scenderanno in piazza e l’ordine verrà ristabilito dalla polizia che accompagnerà i golpisti in galera.
Ma è possibile che un golpe possa rientrare dopo qualche ora? E, soprattutto, è possibile che venga eseguito in maniera così approssimativa, con l’impiego di circa 2.000 militari (la cifra è fornita da Edward Luttwak, esperto di colpi di stato su Foreign Policy)?  E come mai, dopo neanche un giorno dall’inizio del golpe, erano già state compilate le liste di seimila persone tra militari e magistrati da epurare? O erano già state compilate in attesa del golpe? Fin troppo facile pensare ad una messinscena imbastita dal Sultano per rifarsi il trucco ed aspirare ad una riforma della costituzione che porti all’agognato presidenzialismo. 
 
Possibilmente senza altri fastidi creati da quel che resta dell’opposizione al regime e con l’annunciata reintroduzione della pena di morte, che Ankara ha abolito nel 2004 e che ora, secondo lo stesso Erdogan,  il popolo reclamerebbe.
 
Una volta chiarito che il golpe era fallito, l’Unione Europea, per bocca di Angela Merkel (la stessa che dopo la vittoria del partito islamico di Erdogan AKP si era dichiarata contraria all’ingresso della Turchia nella UE) ha sostenuto che la democrazia andava immediatamente ristabilita e “L’ordine democratico rispettato”.
 
Analoghe –  al di là delle speciose polemiche sull’estradizione di Fethullah Gulen, indicato da Erdogan come ispiratore del golpe –  le dichiarazioni di Obama e in particolare di John Kerry, Segretario di Stato di un Paese in cui la pena di morte è già prevista nella maggior parte dei suoi stati ed attualmente alle prese con pressanti problemi razziali. “Gli Stati Uniti sono con il governo democraticamente eletto in Turchia”, ha affermato la Casa Bianca.
 
Tutto ok anche per la Farnesina che ha comunicato che “Il ministro degli Affari esteri Paolo Gentiloni ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo Mevlut Cavuşoğlu per esprimergli la soddisfazione per il prevalere della mobilitazione popolare e della difesa delle istituzioni”.
Tutti d’accordo, compreso Putin, che aveva denunciato gli affari di Erdogan con l’Isis per il petrolio proveniente dalla Siria. Del resto, nessuno, tantomeno i produttori di greggio, vuole una Turchia instabile che gioca con i rubinetti di petrolio.
Era da tempo e in vario modo che il Sultano preparava quest’azione: aumento della pressione militare sui curdi del PKK; pace con Israele dopo l’assalto al convoglio navale dei pacifisti turchi; lettera di scuse a Putin dopo l’abbattimento da parte dei turchi del cacciabombardiere di Mosca in Siria; pace improvvisa col regime siriano, dopo aver fatto affari petroliferi con l’ISIS e aver armato lo “ Stato islamico”; più spazi per la Turchia all’interno della Nato, dove il Paese del Sultano rappresenta la seconda forza militare.
 
Adesso, dopo il golpe,  Erdogan è più forte, ma sono incerti i ruoli che intenderanno giocare le grandi potenze.  Dopo il fallito colpo di stato, il Generale Bekir Ercan, comandante la base aerea di Incirlik, situata in territorio turco ed utilizzata dalla coalizione araba a guida americana per colpire in Siria le postazioni dell’Isis e indicato come complice dei golpisti è stato arrestato assieme ai suoi collaboratori. Lo stesso giorno del suo arresto sono riprese le operazioni aeree contro lo Stato Islamico dal territorio turco: lo ha annunciato il Pentagono, “in stretto coordinamento con i nostri alleati turchi”. Nelle stesse ore in cui Erdogan e l’America si lanciavano accuse al vetriolo.
Infine, sempre nei giorni immediatamente successivi al golpe, è stata diffusa la notizia di un colloquio telefonico di Erdogan con il presidente russo Vladimir Putin –  i cui rapporti con gli Stati Uniti sono al momento tutt’altro che idilliaci – nel corso del quale i due hanno concordato di “incontrarsi presto”.
Se questi sono  gli amici e i rappresentanti della UE e i candidati che aspirano a farne parte, vi debbono essere molti buoni motivi perché i popoli europei ostentino sempre più il desiderio di uscirne.

L’11 SETTEMBRE SAUDITA DI GIULIETTO CHIESA E QUELLO VERO. NON È QUESTIONE DI CAPPONI DI RENZO. E’ QUESTIONE DI VITA O DI MORTE. UNA CONFERMA USA.

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/07/l11-settembre-saudita-di-giulietto.html

MONDOCANE

SABATO 23 LUGLIO 2016

 
Curati. Non rispondo in pubblico perché non voglio dare soddisfazione né a te, né ai tuoi pochissimi tifosi. Questa non è una disputa tra giornalisti. E’ il peto di un frustrato”. (Giulietto Chiesa a Fulvio Grimaldi, 22/7/2916)
http://www.informationclearinghouse.info/article45154.htm (Paul Craig Roberts distrugge la manovra Usa “sauditi-11/9”)
 
Ragazzi, c’è un altro imbecille, un altro squilibrato, un altro disonesto, un altro infame. Uno che da Giulietto Chiesa si meriterebbe tutti gli appellativi che l’eminente collega mi ha dedicato in risposta a una mia argomentata contestazione (vedi “Giulietto Chiesa, l’iroso Debunker”). Per la verità, a buttare un occhio ad alcuni dei migliori analisti geopolitici internazionali e perfino al pubblico occhiuto ed evoluto che mi onora dei suoi commenti ai miei post sul blog e su FB, di altri imbecilli infamoni ce ne sono a iosa e, grazie allo spunto del diverbio Grimaldi-Chiesa, sembrano sollecitati a moltiplicarsi. Ma l’imbecille di cui parlo qui, e di cui potete leggere le infamie e imbecillità andando al link qui sopra, è speciale, merita attenzione e considerazione forse un tantino più alte di molti di quelli che ci raccontano le cose del mondo e, nello specifico, degli Usa.
 
Si tratta di Paul Craig Roberts, già sottosegretario al Tesoro con il presidente Reagan e poi diventato uno dei più prestigiosi commentatori  e documentati critici dell’involuzione politica e sociale statunitense e dei livelli criminali raggiunti dall’imperialismo. Gli interventi di questo politologo, basati su una perfetta conoscenza dei meccanismi  interni del potere statunitense, sono ripresi dai canali di controinformazione di tutto il mondo. Sulla questione del documento “File 17”, già parte della relazione della Commissione d’Inchiesta ufficiale sugli attentati dell’11 settembre, ampiamente noto ma ora ufficialmente desecretato, che ha fornito l’occasione a Giulietto Chiesa, Michele Giorgio e altri analisti per attribuire unruolo direttivo ed esecutivo ai sauditi, piuttosto che ai neocon di Bush, Paul Craig Roberts esprime un’opinione che, con comprensibile soddisfazione, venendo da una tale alta fonte, ho scoperto essere uguale alla mia.
 
Altro che capponi
Qualcuno tra i miei gentili commentatori sul blog e su FB mi ha invitato a non coltivare risse tra giornalisti che pure sembrerebbero schierati nella stessa trincea. Altri mi hanno ricordato la storia dei capponi di Renzo che si arruffano fra di loro mentre entrambi sono destinati a farsi tirare il collo. Ringrazio, ma invito a passare dai capponi manzoniani del ‘600 ai fatti concreti dell’oggi e di come essi afferiscano al mondo in cui viviamo e al destino verso il quale ci sentiamo trascinati. L’11 settembre è stato una svolta epocale, paragonabile alla riforma luterana e alla nascita di quel capitalismo. Non credo che gli storici futuri, se ce ne saranno, riterranno eccessivo neanche il paragone tra quell’evento e le sue conseguenze planetarie per miliardi di esseri viventi e il passaggio costantiniano dal politeismo al monoteismo e alla conseguente uccisione del mondo classico. L’interpretazione che di conseguenza si dà a quell’evento assume, a seconda di quale verso prenda e quali responsabilità indichi, un’importanza epistemologica altrettanto epocale quanto l’evento stesso. Altro che capponi.
 
Perciò torno sull’argomento portando Craig Roberts a testimone e validatore della valutazione che, forse primo da queste parti, ma non unico, ho voluto dare del rilancio del ruolo saudita e dell’implicita convalida del fin qui universalmente dimostrata farlocca teoria degli aerei dirottati e dei piloti dirottatori. Rilancio di cui in Italia, credo, spero, avventatamente, Giulietto Chiesa ha voluto essere protagonista (vedi link per il suo articolo indicato nel mio precedente post “Giulietto Chiesa, l’iroso debunker”). Chiesa non è un commentatore qualunque, né tantomeno è affiancabile alla pletora di embedded di regime e di Nato che lavorano giorno e notte alla falsificazione della realtà. Gode di credibilità, si esprime su vari social network e, a volte, sui media main stream. Se gli capita, come può capitare a chiunque, di prendere una cantonata, di asserire qualcosa dalle conseguenze in questo caso drammatiche e terribilmente fuorvianti, ritengo giusto, opportuno, urgente, deontologico, opporsi. Ovviamente con fatti e argomentazioni. che possano godere di un adeguato grado di fondatezza. L’esito dovrebbe essere, nel caso di professionista serio, un tranquillo e fattivo confronto, magari un ravvedimento. Non una gragnuoila isterica di epiteti ingiuriosi.
 
Una storia Cia nella storia Cia
Ho contestato Giulietto Chiesa per quel suo articolo in cui affermava che, le rivelazioni di “File 17” sancivano un ruolo determinante dei sauditi nellì’operazione11settembre. Ne avrebbero addirittura tirato le fila e vi avrebbero fornito il gruppo esecutivo. Registi e sicari. Quelli che fin qui tutti coloro che, a forza di evidenze inconfutabili, si sono oppposti alla versione ufficiale, hanno ritenuto fossero stati i pianificatori e gli operativi degli attentati, i neocon USraeliani, sparivano dalla scena. Niente demolizione controllata con esplosioni interne predisposte, ma, di nuovo, araba fenice, dirottatori sauditi e aerei acrobaticamente lanciati contro grattacieli pur costruiti a prova di impatto di aerei e di incendi. Vediamo cosa dice in proposito uno dei più esperti e rispettati, anche da Chiesa, analisti statunitensi. Sintetizzo.
 
 Paul Craig Roberts su Russia Today
 
Craig Roberts cita James Jesus Angleton, capo per tre decenni del controspionaggio CIA che una volta gli aveva spiegato come i servizi creino storie all’interno di storie, ognuna con la sua linea di prove accuratamente costruita, allo scopo di creare falsi percorsi di depistaggio. Lo si farebbe per imbarazzare o screditare persone, organizzazioni, Stati innocenti, che risultino fastidiosi su importanti punti dell’ordine del giorno imperiale. La storia nella storia – Giulietto, riesci a seguirci? – può essere usata come falso scopo per distrarre l’attenzione dalla versione di un evento risultata screditata, attraverso la creazione di una spiegazione alternativa, pur sempre falsa. Tutto, secondo Angleton, è predisposto fin dalla versione iniziale: quando la narrazione ufficiale finisce nei guai  si lancia la narrazione alternativa a sostegno, allo scopo di in indirizzare l’attenzione verso una nuova, bugiarda, teoria, o di sostenere la falsa storia originale.
 
A Craig Roberts, seguendo il rilancio delle “rivelazioni” sul ruolo dei sauditi nell’11 settembre, vecchie ma ora pompate alla grande, è tornata in mente Angleton e la sua “storia nella storia”. Non ci sono dubbi che, anche per merito di Chiesa che ha saputo raccogliere e pubblicare i circostanziati studi americani e tedeschi sull’11 settembre dei tanti e qualificati che non si sono bevuti la barzelletta degli aerei dirottati da saudti e lanciati contro Torri e Pentagono, la versione ufficiale dell’11/9 oscilla malferma, come un pugile groggy per le tante botte ricevute.Nessuno può più mettere in dubbio le demolizioni controllate, anche dell’edificio 7 che se ne venne giù senza essere colpito e con la velocità dela caduta libera. 100 vigili del fuoco, poliziotti, manutentori all’interno delle Torri riferirono di aver udito e percepito esplosioni multiple. Una squadra di scienziati internazionali ha ritrovato nella polvere delle macerie residui di esplosivo (termite) ancora attivi e capaci di produrre le elevatissime temperature che
tagliano l’acciaio.  2.500 ingegneri e architetti hanno pubblicato documenti che liquidano la versione ufficiale e chiedono una nuova inchiesta indipendente. Ora la versione nella versione  la fa sua, smentendosi, Giulietto, che riscopre dirottamenti e dirottatori.
 
 La storia ufficiale scricchiola? Sotto con i sauditi!
La rivelazione che l’attacco del 9/11 sarebbe stato non solo finanziato, ma addirittura diretto ed esegutio (Chiesa: “Hanno tirato le fila”, “hanno costituito il gruppo esecutivo”), secondo Craig Roberts ha l’effetto di rimpolpare la vecchia e decrepita versione ufficiale (aerei, dirottatori) e, al tempo stesso, di soddisfare la crescente consapevolezza che qualcosa non torna in quella versione. Astuti, vero? Giulietto Chiesa, Michele Giorgio e altri hanno trattato la storia del ruolo saudita come una sconvolgente rivelazione che scredita ulteriormente il regime di Bush. La ricaduta malefica, però, annota Craig Roberts, è che questa storia non solo tieni in piedi, ma rafforza la vulgata di Osama bin Laden autore dell’attentato, con esattamente i dirottatori come descritti nelle panzane iniziali. Risultato? Il regime di Bush viene condannato semplicemente per aver protetto i suoi amici sauditi e per aver occultato i loro finanziamenti. In questo modo il gigantesco inganno iniziale, elaborato da mandanti ed esecutori di Usa e Israele (ricordiamoci sempre delle spie israeliane danzanti di gioia sul terrazzo mentre filmavano i crolli e, rilasciati e rientrati, hanno dichirato in tv di essere stati mandati a riprendere l’attacco!), viene riabilitato. Nulla cambia rispetto alla favola  delle torri abbattute, del Pentagono bucato, degli aerei dirottati, di quello precipitato in Pennsylvania, ma i dubbi e la collera degli americani e di tutti gli altri è ora dirottata sui sauditi (cattivissimi amici dell’Egitto).
L’implicazione è che un gruppazzo di dirottatori, dediti ad alcol, donne e droga, inetti alla guida di un qualsiasi aereo serio, s’immolano sbattendo miracolosamente i loro Boeing contro Torri e Pentagono, è riuscito a fottere NSA, Cia, Fbi, tutte le 14 agenzie di intelligence Usa, l’intero apparato di sorveglianza militare e poliziesco della più attrezzata nazione del mondo. E che questi ipertecnologici  fuoriclasse del terrorismo siano riusciti a superare controlli di ogni genere e penetrare in tutti i piani di tre torri e negli scantinati per applicarvi con cura le necessarie cariche.
Lasciar perdere, che sia come sia l’11 settembre???
Sono tornato, grazie al contributo perspicace e documentato di Craig Roberts, su un argomento per il quale diversi amici interlocutori, tra i tantissimi che mi hanno espresso consenso, mi hanno chiesto di soprassedere, di evitare la rissa tra colleghi impegnati sullo stesso fronte.
 Mi dispiace, ma non è più lo stesso fronte. Inconsapevolmente o consapevolmente, qualcuno si è voluto allineare con questa “storia dentro la storia” fornendo un assist alla più criminale operazione mai concepita nella Storia umana, collaborando all’implicita conferma di una truffa megagalattica, a spese di un regime, quello saudita, tra i più fetidi del pianeta, ma a cui, per i suoi motivi, la cupola  di Washington vuole ora fare qualche sgambetto. Intanto facendo sparire dalla scena Israele, i cui agenti, come pubblicato su diversi media, oltre ad essere stati arrestati per aver filmato e festeggiato il crollo delle Torri, hanno poi improvvidamente dichiarato in tv di essere stati “mandati a filmare l’evento”. Ricordiamo che, con Hillary, i neocon sono pronti a riprendersi gli Usa e il mondo e, nei loro piano originale per lo sconvolgimento del Medioriente era previsto anche il rovesciamento dell’Arabia Saudita.
Con l’inganno dell’11 settembre si sono aperte le porte dell’inferno. Contro il terrorismo planetario praticato dall’imperialismo non c’è antidoto. Se non lo smascheramento del peccato orginale, gli attentati dell’11/9, a cui seguirebbe a cascata tutto il resto, la strategia della guerra al terrore, tutti gli attentati che la giustificano e via via la rilanciano. Strategia alla quale, abboccando, buona parte dell’opinione poubblica si è sottomessa. Castrandosi.. Ci abbiamo lavorato in tanti, a migliaia, a costo di mille e pesanti sbertucciamenti e sabotaggi, non ottenendo una vittoria, non ancora, ma seminando dubbi che stanno corrodendo le fondamento dell’edificio. E’ intollerabile che ci si possa prestare a riparare queste crepe, abbaiando assieme agli sciacalli alla carovana che passa. Non è una baruffa tra capponi e voglio vedere se, risparmiandosi stavolta il surriscaldamento dei nervi con conseguente grandinata di volgarità, l’augusto giornalista in questione saprà rispondere a tono. Cioè ad argomento.
Pubblicato da alle ore 16:17

MONACO, I MISTERI DEL VIDEO DELLA SPARATORIA. CHI HA FILMATO DAVVERO ?

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DI MARCELLO FOA
 
Monaco, un’altra tragedia, dai contorni non chiari. E non solo perchè a essere insanguinata è stata per la prima volta la Germania per ragioni ancora oscure.
 
In queste ore sono rimasto colpito dal video (vedi nell’articolo, ndr) in cui si vede il killer sparare ai passanti di fronte al Mc Donald. Non mi convince la tempistica: è stato pubblicato su You Tube poco dopo la diffusione della notizia. E infatti i siti più reattivi l’hanno ripreso in tempo reale, mostrando quasi in diretta lo choc dell’uomo che mira e spara ai passanti.
 
TERRORIST ATTACK MUNCHEN / Münich 22/7/2016 – close-up
 
Ma ancor meno mi convincono le circostanze. Chi filma è dall’altra parte di una strada molto trafficata e l’entrata di un Mc Donald è quanto di più banale ci sia. Ne converrete: è inverosimile che qualcuno decida di fare un filmino proprio lì e proprio mentre il killer esce, alza il braccio e inizia a sparare. Tanto più che quando l’assassino appare l’inquadratura stringe subito sul folle tiratore.La circostanza è troppo straordinaria per essere casuale.
 
E allora?
 
E’ evidente che chi ha filmato sapeva quel che stava per accadere. Era lì apposta. Un complice. E dai nervi d’acciaio. Nelle immagini seguenti si vede la telecamera puntata a terra mente l’uomo si allontana velocemente. Poi si sente la sua voce, parla in Hoch Deutsch, il miglior tedesco. Dice ai passanti: “Sta venendo qui, Correte gente”, ma senza urlare, senza panico.
 
Il tono è appena concitato, non è quello di un uomo sconvolto che ha appena assistito a un omicido. Appare controllato, straordinariamente padrone di sé.
 
Chissà se la polizia lo ha già individuato. Chissà se lo identificherà mai. Speriamo.
 
Marcello Foa
 
 
 
23.07.2016

ORA BASTA! – Comunicato degli imputati sulle misure cautelari

Una resistenza oltre misura

Per l’ennesima volta, il 21 luglio 2016, siamo stati svegliati all’alba dalla polizia. Questa volta, su mandato del solito p.m. Rinaudo, vorrebbero obbligarci a presentarci in commissariato tutti i giorni, due volte al giorno, come misura cautelare per una iniziativa del settembre 2015, quando visitammo gli uffici della Turkish Airlines di Caselle (Torino), per denunciare la politica terrorista di Erdogan ed esprimere sostegno a chi, in Turchia e in Kurdistan, continua a resistere e a combattere.
Incredibile ma vero, proprio mentre in Turchia dilagano purghe e arresti di massa, mentre Erdogan dichiara la sostanziale destituzione del Parlamento e la sospensione della Convenzione dei diritti umani, in Italia – come in Europa – si finge di scandalizzarsi e intanto si cerca di zittire chi da tempo denuncia il terrorismo dello Stato turco, che non è certo una novità dell’ultim’ora, anzi.
Ebbene, stavolta abbiamo deciso che non ci presteremo a queste limitazioni della libertà.
Primo, perché – come è esplicitato nella stessa ordinanza restrittiva – questa è finalizzata a impedirci di reiterare le condotte in questione, cioè il sostegno alla resistenza del PKK e alla lotta rivoluzionaria in Kurdistan, un sostegno di cui oggi c’è più bisogno che mai e per il quale, semmai ci fosse qualcosa da rimproverarci, sarebbe di non esser riusciti a fare abbastanza.
Poi, perché è ora di reagire a questo stillicidio di misure repressive con cui si stanno tentando di soffocare i movimenti di lotta: soltanto tra la Valsusa e Torino, non si contano più le persone sottoposte a restrizioni. Adesso basta! È improrogabile una risposta collettiva, ognuno secondo le proprie possibilità. Perciò la gran parte di noi non collaborerà più a limitare la propria libertà, e non si presenterà in commissariato. Se vorrete dovrete assumervi la responsabilità di trascinarci in galera. Noi siamo qui. Al limite andremo a raggiungere quei compagni – Luca e Giuliano – che già stanno scontando in carcere il coraggioso rifiuto di sottostare agli arresti domiciliari, e a cui cogliamo l’occasione per mandare un forte abbraccio. Se pensavate di spaventarci, avete sbagliato bersaglio.

Gli imputati e le imputate per l’irruzione alla Turkish Airlines
Torino 22 luglio 2016

Per gli interessati è stato fissato un appuntamento
Giovedì 28 luglio, ore 19:00, a Radio Black out (via Cecchi 21/a, Torino)
per aggiornamenti e per confrontarsi sulle prossime iniziative

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Link video (sub. English):

https://www.youtube.com/watch?v=joY9yvG3Q6g

https://sendvid.com/2ix0s5ad

Testo del comunicato letto dagli uffici della Turkish Airlines (sett.2015):
Ci troviamo negli uffici della Turkish Airlines di Torino. Con questa irruzione vogliamo rompere i silenzi e le menzogne che coprono la guerra scatenata dalla Turchia di Erdogan contro il popolo curdo. Come negli anni Novanta, ai bombardamenti di villaggi e città, incendi, torture, arresti di massa, si vanno aggiungendo aggressioni razziste contro civili curdi.
È inutile e ipocrita commuoversi di fronte alle foto dei profughi o dei bambini in fuga dalla guerra, mentre i “nostri” Stati democratici continuano a sostenere i responsabili di tali guerre: la Turchia innanzitutto, amica dell’Occidente, partner commerciale, membro della Nato, e intanto sostenitrice dello Stato Islamico e massacratrice dei curdi e dei dissidenti.
Ecco perché siamo qui. Perché gli interessi della Turchia in Europa non devono più poter vivere in pace. E perché i nostri fratelli e sorelle che resistono sui monti del Kurdistan devono sapere che non sono soli.
Gli Stati nazione e la globalizzazione capitalista hanno fallito. L’Impero si sta sgretolando. È tempo di rivoluzione. È tempo di organizzarsi. In Kurdistan hanno cominciato. È per questo che hanno tutti contro. È per questo che noi stiamo dalla loro parte.
Per l’unione dei popoli in lotta! Dalle Alpi al Kurdistan!
Viva la solidarietà internazionale!