Grecia, pensioni tagliate del 40%. Fmi: “Tagliare ancora” (uccidete gli anziani)

l’amatissima UE dei popoli, si si certo, la riformiamo, ci doveva pensare il RIBELLE TSIPRAS.
Guai a chiamare la Ue DITTATURA ASSASSINA STRAGISTA
 
Giovedì, 3, marzo, 2016
 
GRECIAs
BRUXELLES, 2 MAR – La riforma delle pensioni che il Governo sta per varare in Grecia “è molto radicale”, e il Fmi deve capire che insistere nel chiedere nuovi tagli è sbagliato: lo ha detto il ministro dell’economia Euclid Tsakalotos al Parlamento Ue. Tsakalotos ha spiegato che le pensioni anticipate sono state ridotte, e si lavora alla fusione di oltre 300 fondi pensionistici in un solo fondo che abbia regole uguali per tutti.
 
“Il Fmi deve capire che è molto difficile cambiare questo sistema in stato di profonda recessione. Le pensioni sono state già tagliate 11 volte, e ridotte del 40%. E bisogna capire che esse sono una forma di entrata per molte famiglie al giorno d’oggi“, ha detto il ministro.
 
Tsakalotos ha anche illustrato alcune delle differenze che ancora impediscono un accordo tra Governo e istituzioni che sblocchi i nuovi aiuti. “Sul gap di bilancio le istituzioni sono divise. Il Fmi chiede misure aggiuntive, mentre la nostra visione è più vicina a quella di Esm, Commissione e Bce. In questo momento altre misure sarebbero politicamente difficili, ed economicamente controproducenti. Non ci servono altre misure pro-cicliche ora”, ha concluso. (ANSA).

Serbia: migliaia di persone protestano contro la Nato

popolo con gli attributi, non come tanti quaquaraquà nostrani che si limitano a parole o a parchi della pace
 
sabato, 5, marzo, 2016
 
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Migliaia di manifestanti sono scesi in strada nella città meridionale serba di Nis venerdì per denunciare i piani del governo che permetteranno ai soldati della Nato l’immunità e il passaggio sicuro attraverso il territorio serbo.
 
SOT, il Generale Bratislav Dikic, ex capo della Gendarmeria serba e leader del Movimento Patriottico (serbo) dice: “E ‘umiliante che noi, i cittadini, dobbiamo andare incontro ancora una volta alle le torture delle truppe NATO. E ‘umiliante che ora, in questa situazione, quando le truppe NATO stanno implementando il loro esercito contro la Federazione Russa, dobbiamo scegliere da che parte stare”.

Robert Fisk, Gloria all’Esercito Arabo Siriano

di Philippe Grasset – 28/02/2016 
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Non c’è dubbio che il famoso giornalista inglese Robert Fisk sia da sempre impegnato contro gli imperialisti e guerrafondai che guidano il blocco USA/BAO. Ma se chiaramente impegnato da un punto di vista progressista, ad esempio, era riservato verso il regime di Assad quando “copriva” la crisi siriana (ma non in modo sistematico). Nel suo articolo su The Independent del 26 febbraio 2016, Fisk cambia indirettamente, ma con tono implicitamente radicale; indirettamente perché si tratta del comportamento operativo dell’Esercito arabo siriano, in un testo dedicato all’efficacia dei nuovi sistemi d’arma consegnati all’esercito; e “implicitamente radicale” perché la fine di questo articolo suona, in poche e precise parole, ad inno dell’efficienza, forza psicologica e anche l’eroismo dell’Esercito arabo siriano. Fisk fornisce vari dettagli sui nuovi sistemi d’arma forniti dai russi nell’esercito siriano, tra cui i carri armati T-90 che dispongono di dispositivi attivi e passivi di auto-difesa contro i missili anticarro dei terroristi, compresi i sistemi TOW (degli USA) forniti da sauditi o CIA. Questi missili sono altamente efficaci contro i T-64 e i T-72 delle generazioni precedenti (i siriani non hanno i T-64, Grasset li confonde con i T-62. NdT), ma contro il T-90 incontrano l’ostacolo di uno scudo passivo attivo e reattivo con cui i sistemi di contromisura fanno esplodere il missile prima dell’impatto. D’altra parte le nuove apparecchiature elettroniche per ricognizione, puntamento e controllo del tiro, per la visione notturna, ecc., hanno permesso all’Esercito arabo siriano di acquisire una grande abilità tattica dagli effetti strategici innegabili.
Gli ufficiali siriani hanno dimostrato come il nuovo sistema antimissile del T-90 dirotti a un metro dal carro i missili che gli vengono sparati direttamente contro. Questa è l’arma che potrebbe sconfiggere i massicci attacchi con missili di SIIL e Nusra? Forse. Ancora più importante per i siriani, tuttavia, sono i nuovi sensori per la visione notturna dei movimenti e l’elettronica per la sorveglianza e la ricognizione russi che hanno permesso all’Esercito governativo di sfondare le difese di Jabhat al-Nusra nel nord-ovest montuoso della Siria, spezzando le linee di rifornimento dei terroristi dalla Turchia ad Aleppo. Questo “nuovo inizio” dell’Esercito arabo siriano è in realtà descritto da Fisk sui nuovi mezzi, ma anche in modo più umano, sulle varie caratteristiche personali riguardanti resistenza strutturale e morale delle forze armate (in sei anni di combattimenti vi sono stati più disertori tra le forze di sicurezza siriane, 5000 su 28000 agenti di polizia e di varie altre forze di sicurezza, che tra i soldati dell’esercito). L’attenzione è rivolta in particolare, e in modo originale, al comportamento della maggior parte degli alti ufficiali, sia per la loro abilità che per le perdite, riflettendone la presenza sul fronte e sotto il fuoco. Anche il riferimento al famoso colonnello soprannominato “Tigre” che l’esercito siriano chiama “Rommel” (“Nella campagna orientale, il Colonnello Suhayl Hasan, il “Tigre”, che alcuni militari siriani vedono come il loro Rommel, operava a nord fino alla fine dell’assedio dello SIIL alla base aerea siriana“), scrive Fisk: “Nel frattempo, i siriani hanno continuato a perdere alti ufficiali in battaglia. Almeno sei generali sono stati uccisi in combattimento. Durante la guerra, l’esercito può permettersi di annunciare che i suoi comandanti guidano dal fronte. Il comandante delle Forze Speciali della Siria è stato ucciso ad Idlib, e il comandante dei Servizi segreti militari nell’oriente del Paese è stato ucciso a Dair al-Zur. Il Maggiore-Generale Muhsan Mahluf morì in battaglia presso Palmyra. Il Generale Salah, un caro amico e collega del Colonnello “Tigre” Hasan, fu ucciso da un l kamikaze di al-Qaida nella città industriale di Shayq Najar, presso Aleppo, un anno fa. Mi ha detto che gli attentatori suicidi uccisero 23 suoi uomini con una grande esplosione. In seguito l’ho incontrato e pensai che avesse adottato un allegro, quasi temerario, disprezzo della morte. Solo un mese prima finì su una bomba, una IED che esplodendo gli tranciò la gamba destra. Sono uomini duri, molti dei quali addestrati nel collegio militare siriano sul cui cancello d’ingresso si legge: “Benvenuti nella scuola di eroismo, dove si forgiano gli dei della guerra”. Roba agghiacciante“. 
 
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Il cambiamento è anche caratterizzato dagli ultimi mesi dall’impulso dei russi su cooperazione e coordinamento tra le varie forze interessate (Esercito arabo siriano, certamente, contingenti di Guardie Rivoluzionarie dell’Iran che contano 5000 uomini, unità di Hezbollah e distaccamenti di milizie afghane e pakistane per complessivi 5000 altri combattenti). L’offensiva che ha permesso la ripresa in soli otto giorni, il mese scorso, dei villaggi sciiti di Nubul e Zahra, sembra essere il primo esempio di operazione combinata di questo tipo che ha dato piena soddisfazione ai consiglieri russi, molto più discreti e di numero limitato, ma che padroneggiano l’arte di organizzare operazioni coordinate e combinate con forze non abituate a combattere insieme. Un altro fatto interessante per i russi, e questo spiega in sostanza la scelta di riequipaggiare l’esercito siriano con sistemi moderni, é che i sistemi affrontano le condizioni operative difficili di questo conflitto. Naturalmente, queste iniziative comportano la presenza di istruttori russi. Tutto ciò si svolge in modo efficace ma non invadente, un po’ come le nuove condizioni della “guerra ibrida” in cui i russi dimostrano, dalla presa “soft” di Crimea e Sebastopoli, di eccellere… “Si possono vedere carri armati T-90 russi nuovi di zecca dell’Esercito arabo siriano allineati con la nuova livrea desertica a circa 100 km dalla “capitale” dello SIIL Raqqa. Vi sono nuovi camion di fabbricazione russa accanto e molta artiglieria e, sicuramente le spie dello SIIL sono state inviate a vederlo, molti soldati siriani che camminano lungo il perimetro della base accanto ai soldati russi che indossano cappelli militari ad ampie falde, contro il sole, usati nella calure estivo dell’Afghanistan degli anni ’80. C’è anche un generale russo presso la base militare d’Isriyah, che opera affinché gli equipaggi dei carri armati siriani ricevano l’addestramento più efficace sui T-90. No, le truppe russe non combatteranno lo SIIL. Non è stata mai loro intenzione. (…) Ma i russi puntano verso il deserto ad est dell’asse Aleppo-Hama-Homs-Damasco per addestrare gli equipaggi dei carri armati siriani e mantenere una base di controllo aereo avanzata ad oriente per guidare di notte i bombardieri Sukhoj sui loro obiettivi. (…) I russi sono in una posizione unica nell’esercito siriano. Possono addestrare i siriani ad usare i nuovi carri armati e poi guardare come operano i T-90 senza dover subire eventuali perdite“.
Ciò che è interessante in questo articolo di Fisk è soprattutto che l’autore è un giornalista impegnato ma per nulla esperto di questioni militari. Ciò nonostante, o forse proprio grazie a ciò, riesce a inquadrare perfettamente l’atmosfera che caratterizza la coalizione strutturatasi intorno all’Esercito arabo siriano, che rivive grazie all’intervento russo. E’ certo che questo intervento, con il peso operativo e il contributo dei nuovi sistemi d’arma e delle dinamiche psicologiche coinvolte, ha creato un nuovo stato d’animo. Questo è ciò che Fisk mette fortemente in evidenza, anche se il suo articolo è chiaramente incentrato sul tema dei nuovi equipaggiamenti militari russi. Allora distinguiamo la percezione che questi nuovi sistemi non sono mero “scarto di lusso” (tecnologie avanzate) gettato nella fornace di una guerra estremamente complessa, multipla e sfuggente, ma piuttosto strumenti per integrare i combattenti più saldamente, operativamente e psicologicamente… (In completo contrasto è l’esempio importante dato dall’attivismo dei Saud anche in Siria, con la stessa “spazzatura di lusso” che Stati Uniti e Arabia Saudita diffondono alimentando un processo d’inversione completa di capacità militari scarsissime in ancora più misere, come se i rinforzi siano fattore d’inversione. Questo s’è visto nel disastro dalle varie dimensioni, ma silenzioso dal punto di vista della comunicazione, che l’esercito saudita subisce nello Yemen nonostante i distruttivi attacchi aerei, spesso contro civili, ma senza eccitare né mobilitare in alcun modo la coscienza dei grandi filantropi del blocco BAO). La Siria della fase II dimostra sempre più in generale, nelle sfumature delle diverse percezioni, la forte struttura psicologica dell’esercito russo, oltre ai vantaggi tecnici, tecnologici, strategici, ecc. che s’illustra. Certamente l’esperienza ucraina, in cui la comunicazione si affidava a “concetti” tipicamente postmoderni dell’ibridismo del confronto o conflitto furtivo, ma sviluppatisi in modo completamente distorto dalla comunicazione, ha contato molto per l’esercito russo. Di fronte a tali condizioni brutali e in dissoluzione, come s’è visto nella crisi ucraina in cui le “battaglie” (o finte “battaglie”) hanno avuto luogo a margine di situazioni e territori, dove la psicologia cedeva o si rafforzava. Nell’esercito russo questo rafforzamento ci appare ovvio, e questa dinamica s’è infusa direttamente nell’Esercito arabo siriano e negli attori ad esso associati. Per l’Esercito russo c’è continuità tra Ucraina e Siria-II, con un meraviglioso modo di rafforzarsi. Siriani ed alleati acquisiscono, con un transfert psicologico oltre che col trasferimento di nuove armi, una simile capacità di resistenza.
 
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Colonnello Suhayl Hasan
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
 
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Il segretario NATO Stoltenberg “si preoccupa” per la concentrazione di forze russe in Siria

Mar 01, 2016
 
Stoltenberg-segr.-NATO
Il segretario generale NATO Stoltenberg
 
di Luciano Lago
 
Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, nel corso di una conferenza stampa in Kuwait, ha espresso “preoccupazione” per la forte concentrazione di forze aeree e navali ed unita’ terrestri che la Russia ha concentrato nelle sue basi in Siria e nel Mediterraneo orientale.
Lo stesso segretario Stoltenberg ha espresso l’augurio che la tregua concordata in Siria rappresenti un “progresso importante”  per ottenere una uscita pacifica dalla crisi che sta devastando il paese arabo, nonostante le violazioni della tregua che sono state registrate in Siria dopo l’accordo per il cessate il fuoco.
 
Stoltenberg parla come se la NATO non avesse alcuna responsabilità‘ nella crisi siriana che è’ stata provocata dal l’invio in Siria di un esercito di mercenari jihadisti di varie nazionalità’ patrocinati, armati e finanziati dai paesi della stessa coalizione a guida USA che oggi afferma di voler combattere il mostro dell’ISIS, cresciuto a dismisura grazie agli appoggi ricevuti da paesi come Arabia Saudita, Qatar e Turchia.
 
Stoltenberg si è’ dimenticato del ponte aereo organizzato dalla CIA e dalla NATO nel 2012 per trasferire nella base NATO di Incirlik  in Turchia le tonnellate di armi destinate ai “ribelli” in Siria e poi finite nelle mani dei terroristi di Al Nusra e dell’ISIS che hanno utilizzato quelle armi per seminare morte e distruzione nel paese arabo.
Stoltenberg finge di non ricordare i campi di addestramento in Turchia ed in Giordania (sotto controllo NATO) da cui uscivano perfettamente armati ed addestrati i miliziano  jihadisti che poi confluivano nei gruppi terroristi radicali.
Tutti ormai hanno capito che l’obiettivo degli USA e della NATO in Siria era quello di rovesciare il legittimo governo di Damasco e non quello di combattere il terrorismo jihadista, nonostante il castello di menzogne costruito dall’apparato dei media occidentali sulla vicenda siriana. Questo ormai risulta dai rapporti scritti e desecretati della DIA (Defence Intelligence Agency), dalle ammissioni fatte da esponenti dello stesso establishment USA, dai generali, ecc.. Verità ormai non più occultabili. Vedi: Lo stato islamico come risorsa strategica degli Stati Uniti
 
L’unica preoccupazione di Stoltenberg si riferisce alla concentrazione di forze militari russe in Siria che, con la loro azione sul campo, hanno impedito di fatto ai gruppi jihadisti di costituire a Damasco ed ad Aleppo un califfato islamico sotto protettorato saudita-turco a spese della popolazione siriana. Una situazione tipo Libia che è’ esattamente quella causata dall’intervento della NATO nel 2011 e di cui adesso anche l’Europa ne paga le conseguenze per l’instabilità della regione che causa terrorismo ed emigrazione di massa.
 
Stoltenberg si preoccupa della presenza militare russa ma sembra poco preoccupato della concentrazione di forze militari della Turchia, paese membro della NATO alle frontiere della Siria. Forse il segretario NATO non ha ascoltato le ultime dichiarazioni, rilasciate ad Al Jazzera,  del primo ministro turco che ha rivendicato apertamente l’appoggio fornito dal  suo paese ai gruppi terroristi che operano nella zona di Aleppo.Vedi: Dichiarazioni di ordinaria follia dal nostro “alleato” turco sulla Siria
 
Sarebbe interessante capire come Stoltenberg possa spiegare  al suo pubblico questa posizione del loro alleato turco.
 
Fonti:   Aska News         Hispan Tv

No tav sul ponte del Clarea contro i fogli di via

post — 5 marzo 2016 at 10:15

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Fogli di via. E’ questo il tema di un’iniziativa no tav che si è svolta giovedì notte a ridosso delle recinzioni del cantiere in valle di Susa. Come molti sapranno il cantiere del tunnel geognostico è situato nel comune di Chiomonte, in alta valle di Susa sulle pendici della piccola val clarea. Per accedervi i no tav passano dal comune di Chiomonte, dal ponte della centrale elettrica dove per anni si è svolto il campeggio no tav e da dove nel 2011 arrivò lo sgombero e la militarizzazione. Un altro accesso invece è dal comune di Giaglione, lungo una strada forestale che collega l’abitato con i boschi della val clarea. Strada lungo la quale scorrono le passeggiate notturne e moltissime azioni di lotta. Nonostante il cantiere sia interamente nel comune di Chiomonte il confine del comune di Giaglione è a pochi metri dalle recinzioni. Confine naturale è appunto il fiume Clare, oltrepassato dal famoso ponte. Proprio qui si è svolta l’iniziativa di cui vi parliamo, una cena con passeggiata e battitura alle reti contro i fogli di via. Provvedimento amministrativo emesso dal questore a sua discrezione che ha colpito decine di attivisti impedendo a molti di poter transitare e sostare in tutto il territorio comunale di Chiomonte per la sola ragione che questo ospita il cantiere tav. Contro questo assurdo sistema si è dunque pensato di organizzare una cena sul “confine” per ridare unità alle iniziative, riportare l’attenzione sull’argomento e perchè no ripassare una bella serata insieme anche con chi da anni deve fare attenzione ai suoi spostamenti. Il tutto si è chiuso con una battitura rumorosa alle recinzioni. In attesa del vertice di Venezia ci si prepara così in valle di Susa, cenando e lottando insieme.

L’immigrazione? E’ una strategia Usa per controllare l’Europa – Fulvio Grimaldi

http://www.byoblu.com/post/2015/08/18/limmigrazione-e-una-strategia-usa-per-controllare-leuropa-fulvio-grimaldi.aspx#more-35860

Pubblicato 18 agosto 2015 – 18.49 – Da Claudio Messora
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Fulvio Grimaldi, giornalista di guerra e documentarista indipendente.
Nel video, la sua videointervista con Claudio Messora.

Oggi sul Corriere della Sera il cardinal Bagnasco accusa l’Onu di non fare abbastanza per risolvere il problema dell’immigrazione. Immediatamente sopra, un articolo sulla Libia, dove molti stati membri della comunità europea, tra cui Francia, Spagna e Italia, che si candida a condurre l’operazione, si dicono pronti a intervenire militarmente. Le due cose sono legate?

Al cardinal Bagnasco vorrei innanzitutto chiedere a quale Onu intende appellarsi. A quell’Onu che ha legittimato la distruzione totale della Libianel 2011? A quell’Onu che ha coperto la distruzione totale dell’Iraq, nel 2003? A quell’Onu che legittima la guerra di 14 anni contro l’Afghanistan? Insomma, quell’Onu che avvalla la famosa guerra contro il terrorismo che gli Stati Uniti utilizzano per poter togliere di mezzo paesi disobbendienti e avanzare nella loro conquista del mondo? Bagnasco, rivolgendosi all’Onu, lavora in sintonia con questi signori della guerra che si stanno preparando ad assaltare per l’ennesima volta la Libia, come se non avessero combinato abbastanza guai con la distruzione della Libia di Gheddafi, che allora era un paese prospero e con una notevole giustizia sociale, come dichiarato dalla stessa Onu nel 2011. L’Onu ha coperto tutte le guerre degli Stati Uniti e della cosiddetta comunità internazionale (cioè occidentale), che ora per andare in Libia dovrà avere il nulla osta dell’Onu, che lo darà senz’altro, come ha dato il nulla osta a tutte le guerre neocoloniali condotte in questi ultimi decenni dall’Occidente.

Cosa c’entra l’immigrazione in questo contesto? L’immigrazione è quella che deve convincere il popolo bue, decerebrato dal costante martellamento dei mezzi di informazione falsi e bugiardi, obbedienti e servili, tentacoli del potere, che per risolvere questo immane problema, fatto di tragedie altrui ma anche di fastidio nostro, ci sia bisogno di un intervento drastico. Non si è potuto bombardare i barconi perché la cosa era tremendamente idiota (si sarebbe potuto fare confusione con le barche da pesca e ammazzare un sacco di gente che non c’entrava niente). Non si è potuto combinare un accordo tra le due realtà libiche che si fronteggiano e in più hanno da affrontare anche l’Isis, opportunamente arrivato per evitare che la Libia potesse consolidarsi, riunirsi e diventare una realtà statuale, con poteri negoziali eccetera. L’Isis perpetua e approfondisce il caos, e quindi l’emigrazione, e quindi la disperazione di coloro che fuggono dai bombardamenti, dai massacri delle truppe imperiali oppure dei loro connazionali e, arrivando qua, spaventano a tal punto la popolazione che poi l’intervento militare appaia come una necessità addirittura umanitaria. L’escalation del fenomeno, pompato al di là della realtà da tutti i mezzi di informazione, ha il suo equivalente in accadimenti come l’11 settembre, che è stato il pretesto per lanciare la famosa guerra infinita al terrorismo, che permette ai circoli dirigenti internazionali del mondo di consolidare il loro potere.

Approfondiamo i motivi per cui queste masse migrano.

Basta dare un’occhiata ai paesi d’origine della maggioranza di questi migranti. Sono l’Afghanistan, sono la Siria, sono l’Iraq, sono la Palestina, laLibia… Poi sono anche alcuni paesi del nord Africa, in cui c’è stato il provvidenziale intervento della cosiddetta comunità internazionale, sotto la guida della Francia, Mali, Repubblica Centroafricana, Ciad, ma anche Nigeria, Senegal. il Congo che ci riforniscono di migranti a centinaia di migliaia. Ognuno di questi paesi porta il marchio dell’intervento del capitalismo occidentale e dell’imperialismo. Questi paesi sono stati aggrediti, colonizzati, depredati, spogliati dei loro averi, disgregati, fatti a pezzi con milioni e milioni di morti per mano delle potenze coloniali europee, le quali hanno costruito sulle rapine dei paesi del sud del mondo le proprie ricchezze. Il capitalismo occidentale è cresciuto, si è sviluppato, è fiorito in virtù del fatto che le ricchezze sono state tolte, rubate ai popoli dell’America latina, dell’Africa e dell’Asia. In più oggi si aggiunge l’escalation delle guerre. E’ veramente stupefacente, vergognoso, quasi osceno il fatto che 99 commentatori su 100 non menzionino, pur spargendo lacrime di indignazione o germi di paura, il fatto che per evitare l’alluvione che si sta verificando si deve chiudere il rubinetto da cui esce l’acqua. Ma chi controlla, chi ha aperto quel rubinetto se non l’occidente, in termini di guerra economica, climatica (ambientale) e militare? Tutti questi vengono da paesi che sono stati straziati da noi. Sono stati imposti dittatorielli obbedienti all’occidente che vendevano il loro paese alle multinazionali.Sono i paesi centroafricani, il Kenial’Uganda, anche in una certa misura ilCongo, la Nigeria. Poi ci sono i paesi cui è stato imposto un sistema neoliberista strangolatore, immessi in un circuito di globalizzazione che li ha distrutti. La Grecia è un altro esempio.

Ma l’elemento più direttamente responsabile sono le guerre. Quando si parla di persecuzioni si allude ai famosi GheddafiSaddamAssad… i dittatori che perseguitano. Peccato che tutti questi paesi stavano infinitamente meglio prima che arrivasse la nostra democrazia. L’elemento, lo strumento più importante, è quello della guerra, ma la guerra fatta dagli Stati Uniti, fatta dalla Nato, cui dà il suo contributo l’Unione Europea e quindi l’Italia. La guerra che se non utilizza direttamente i militari della Nato, interviene attraverso l’uso di spaventosebande surrogate di terroristi, addestrati allo scopo di creare la destabilizzazione più totale, la disgregazione sociale, nazionale e soprattutto il nostro terrore. A che cosa serve l’utilizzo di forze comel’Isis o Al Qaeda, oltre al fatto che devono disgregare paesi fino a quel momento uniti che ostacolavano la marcia dell’imperialismo? Servono a consolidare lo scontro di civiltà. Lo scontro di civiltà, formulato come teoria in corrispondenza dell’11 settembre, era quello che doveva demonizzare, satanizzare l’Islam. E allora la presenza di queste bande è anche un elemento che agisce sulla psicologia occidentale consolidando l’idea che noi ci troviamo di fronte i mori, i selvaggi, i barbari, che minacciano – li si fa minacciare – di arrivare a Roma, al Papa, di fare cose spaventose. Ogni tanto accadono cose come Charlie Hebdo e naturalmente rappresenta un ulteriore incentivo ad alimentare questo scontro di civiltà che serve a preparare il terreno alle guerre contro a questo cosiddetto mostro.

Tornando all’immigrazione, sono raccapriccianti le immagini che arrivano dalla Grecia, paese che già è stato scarnificato dalla comunità europea, con il concorso di tutta la comunità internazionale che ha assistito al martirio della culla della nostra civiltà. Su questo paese ridotto a pezzi si sta concentrando il maggiore afflusso di migranti che sta occupando le isole. Si trovano di fronte ad un paese già totalmente disarmato, impreparato a sostenere i propri abitanti, ma figuriamoci questi disperati che non hanno nulla. Quindi è proprio strategico investire i paesi europei più deboli, più esposti, di queste ondate di migranti provocate dagli stessi operatori di guerra perché ci mettano in difficoltà, perché suscitino apprensioni sociali e culturali, perché provochino, attraverso i minimi diritti che gli vengono concessi, le rivendicazioni, la gelosia, l’invidia degli autoctoni, e quindi guerre tra poveri.

Perché si fa tutto questo? Io credo che sia un piano lucido, ottimamente organizzato. Quelli che hanno come obiettivo il dominio mondiale assoluto, che risiedono a Wall Street e rappresentano la cupola del grande potere finanziario, bancario, multinazionale essenzialmente americano ma anche europeo, utilizzano la nazione Stati Uniti, essendo la più potente sul piano militare, per attuare i propri propositi. Gli eventuali alleati, che hanno un carattere anche competitivo, concorrenziale come l’Unione Europea, devono essere tenuti in ginocchio, in difficoltà. Gli Stati Uniti hanno voluto l’Unione Europea. Attraverso le loro agenzie di spionaggio, la Cia in particolare, alla fine degli anni ’40 e negli anni ’50 sono stati i primi promotori delle prime organizzazioni di federazione europea. Hanno voluto creare questa confederazione per superare l’ostacolo degli stati nazionaliche, soprattutto emergendo dalla guerra antitotalitaria contro il nazifascismo, avevano assunto delle costituzioni e dei caratteri statali molto democratici, molto progressisti. Cosa che agli ambienti conservatori, reazionari non poteva andar bene. Allora la proposta di una Unione Europea che superasse gli scogli degli stati nazionali e configurasse una struttura non democratica, dove il governo del continente fosse affidato a deifunzionari nominati, prodotti dal coacervo del potere finanziario, poteva liberare la strada a una struttura che fosse dominabile, assimilabile agli interessi degli Stati Uniti. Avendo un’Europa ridotta in questi termini anti-democratici, che man mano hanno fatto carne di porco delle sovranità nazionali, agli Stati Uniti è riuscito molto meglio il controllo sul continente. Un controllo che deve essere comunque e sempre mantenuto, come sempre deve essere mantenuta la subalternità del continente, che non deve rafforzarsi eccessivamente, non deve fiorire, non può essere troppo competitivo economicamente con gli Stati Uniti e, soprattutto, non deve essere attratto dalla sua tentazione naturale, data dalla sua collocazione geografica, culturale, storica, verso l’Eurasia, verso la Russia. Questo deve essere impedito. Mettere in difficoltà l’Europa a partire dalle sue appendici inferiori, cioè meridionali, creando questi subbugli, caricando le economie nazionali di questo sovrappeso, significa tenere l’Europa sotto ricatto. Io, attraverso le mie guerre, attraverso i miei strangolamenti economici, attraverso i miei surrogati, l’Isis eccetera,provoco profughi. Questi profughi li faccio riversare su di te, Europa, ed eventualmente la smetto se tu mantieni un ruolo subalterno, se non ti fai tentare da Putin e rimani un nostro tranquillo vassallo, a cui è concesso qualche giro di valzer, qualche spazio economico, ma sempre in termini di condizionamento.

Sia la tensione in Ucraina sia il grexit sarebbero dunque funzionali all’esigenza degli Stati Uniti di trattenere le potenze europee dall’espansione verso est.

Sì, ma sono funzionali anche ad evitare una fuga della Germania, quella Germania rappresentata dalle posizioni del suo ministro delle finanzeSchäuble. Schäuble, convinto sostenitore dell’egemonia tedesca che deve essere la prima in tutto il continente ed avere un ruolo mondiale, aveva addirittura vaticinato l’uscita della Grecia dall’Euro, per togliersi una zavorra che non poteva più essere ulteriormente sfruttata, dissanguata. I tedeschi dalla Grecia avevano già succhiato tutto quello che si poteva (ndr:oggi la notizia della vendita alla tedesca Fraport di ben 14 aeroporti). Appena è stato ventilato il grexit, c’è stato subito l’intervento del Fondo Monetario Internazionale, che sappiamo essere un organismo americano (risiede a Washington e i suoi direttori vengono nominati dal governo statunitense, in questo caso Christine Lagarde), il quale di fronte alla prospettiva di una Grecia fuori dall’eurozona ha frenato immediatamente. Subito dopo è intervenuto direttamente Obama, che ha fatto pressioni sulla UE per avere una considerazione più tollerante nei confronti delle difficoltà greche. Da quel momento in poi di grexit non si è più parlato. Se l’intento di Schäuble fosse andato a buon fine e se la Grecia fosse uscita, secondo il piano B predisposto da Yanis Varoufakis, allora Atene avrebbe dovuto appoggiarsi alla Russia, alla Cina, ai Brics e a tutti quei paesi del mondo che avevano teso una mano alla Grecia. Fare della Grecia un’appendice di questa realtà alternativa alla cosiddetta comunità internazionale globalizzante, avrebbe significato con ogni probabilità per la Grecia anche l’uscita dalla Nato. E questo era inaccettabile: intanto la Grecia è un grande acquirente di armi. Pensate che  il bilancio militare della Grecia era di oltre il 6%, quando la media europea in tutti questi anni era del 2%. La Grecia si è indebitata principalmente attraverso l’acquisto di carri armati e sottomarini tedeschi, di cacciabombardieri francesi e di armamenti di ogni genere (ndr: leggere Perché la Grecia non può fallire). Con la scusa della paura della Turchia, che non aveva ragione di essere, la Grecia veniva usata come un baluardo a cavallo del medio oriente, un membro della Nato che avrebbe potuto essere utilizzato in vista dello scontro finale con l’Eurasia, a partire dai Balcani fino alla Russia. La Grecia, in quella collocazione, era fondamentale. Obama, all’ipotesi che la Grecia avrebbe potuto uscire dalla Nato, è intervenuto direttamente.

Valsusa, prima del summit Renzi-Hollande ecco il “contro-vertice” dei No Tav

5 marzo 2016 Repubblica :

Gli oppositori del supertreno presenteranno alle delegazioni le alternative possibili all’alta velocità

di Mariachiara Giacosa

http://torino.repubblica.it/cronaca/2016/03/05/news/valsusa_prima_del_summit_renzi-hollande_ecco_il_contro-vertice_dei_no_tav-134834187/

A tre giorni dall’incontro internazionale tra il premier Matteo Renzi e il suo collega francese Francois Hollande sull’alta velocità Torino-Lione i No Tav hanno organizzato questa mattina a Villar Focchiardo, in Valsusa, un contro-vertice con militanti italiani e francesi, «per smascherare le falsità che saranno raccontate al vertice di martedì 8 marzo» spiega la consigliera regionale del Movimento 5 stelle Francesca Frediani. 

L’obiettivo, spiegano gli organizzatori, è presentare ai membri delle delegazioni italiana e francese le alternative – a partire dall’opzione zero – che risolvono i problemi trasportistici e ambientali sulla direttrice ferroviaria che attraversa le Alpi tra Torino e Lione e mostrare all’opinione pubblica l’unità nella lotta alla Torino-Lione.
Il vertice tra Renzi e Hollande, martedì, è in programma a Venezia, in memoria di Valeria Solesin, la ricercatrice veneziana uccisa durante l’assalto dei terroristi al Bataclan e a cui verrà intitolata una speciale borsa di studio franco-italiana.

10 DOMANDE SUL TAV TORINO LIONE

Al link seguente trovate le 10 domande sulla Nuova Linea Ferroviaria TORINO-LIONE emerse durante il controvertice del 5 marzo 2016 .

Queste domande devono essere le domande di tutti, in particolare dei media, tv e giornali, che realmente compiono il loro lavoro di informazione.

Qui le domande: 10 DOMANDE SUL TAV TORINO LIONE

COMUNICATO STAMPA 5 MARZO 2016 – CONTRO VERTICE NO TAV

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Movimento No TAV

Comunicato Stampa

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5 marzo 2016


Le decisioni del Contro Vertice No TAV
del 5 marzo 2016 in Val Susa

Amministratori locali e regionali italiani e francesi, il Movimento No TAV e una delegazione francese degli oppositori alla nuova linea ferroviaria Lyon-Turin si sono incontrati oggi alla Cascina Roland di Villar Focchiardo (Valle Susa) nell’ambito della lunga collaborazione per contrastare la Grande Opera Inutile e Imposta Torino-Lione.

E’ stata constatata una grande unità di intenti e di vedute, che rafforza la coesione tra cittadini e Amministratori in ambedue i Paesi.

E’ stato ribadito che l’opzione zero è la vera e unica soluzione del problema trasportistico e ambientale sulla direttrice ferroviaria che attraversa le Alpi tra Torino e Lione e tiene conto delle decisioni assunte al termine della Conferenza COP21di Parigi.

La Valle Susa rifiuta che il Governo spacci come compensazioni i contributi dovuti al territorio per opere necessarie, essenziali e indispensabili per gestire il dissesto idrogeologico, la manutenzione degli edifici pubblici (scuole, ospedali, ecc.) e della viabilità e migliorare e incrementare il trasporto pubblico locale.

In vista del 33° Vertice Italia – Francia fra Renzi e Hollande di martedì 8 marzo a Venezia, è stato presentato l’Argomentario per Renzi e Hollande che illustra in modo sintetico e diretto l’inutilità dell’opera.

Lo stesso giorno del Vertice di Venezia una delegazione di Amministratori pubblici e tecnici dalla Valle Susa verrà audita dalla 8ª Commissione Permanente Lavori Pubblici del Senato della Repubblica.

E’ stato deciso che le Amministrazioni Comunali valsusine esamineranno nei prossimi giorni la bozza di una Delibera per introdurre a livello locale il divieto di circolazione degli autocarri Euro 1 e 2 e di quelli che trasportano merci pericolose in Valle Susa, in applicazione dell’Accordo Italia Francia del 30 gennaio 2012, ratificato dal Parlamento italiano e quindi legge dello Stato. Ciò permetterà sin da subito il trasferimento modale delle merci dalla strada alla ferrovia esistente e sottoutilizzata. Una delibera analoga è già stata adottata da alcune amministrazioni comunali francesi.

Una delegazione di Amministratori e cittadini sarà prossimamente ricevuta dal Consiglio della Regione Auvergne Rhône-Alpes per illustrare le ragioni dell’opposizione alla Torino-Lione.

Una documentazione degli argomenti dell’opposizione e lo scambio di lettere con il Ministro Delirio è disponibile qui http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=8215.