Jobs act alla francese: scontri e disordini contro Hollande a Parigi

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giovedì 28 aprile 2016
Nuovi guai per il governo socialista di François Hollande: decine e decine di fermi in Francia per gli scontri e le violenze a margine della quarta giornata di mobilitazione contro la riforma del codice del lavoro osteggiata da studenti, sindacati e lavoratori. Secondo la Cgt, il principale sindacato di Francia, nella capitale hanno sfilato 60.000 persone. Altre fonti parlano di 50.000 persone in provincia. Solo a Marsiglia sono stati fermati 57 dimostranti che si erano introdotti nella centralissima stazione ferroviaria di Marseille Saint-Charles approfittando del corteo contro la legge El-Khomri. Stesso copione in altre città della Francia dove gruppi di casseur incappucciati si sono introdotti nella marcia pacifica per inscenare violenze e disordini. In molti casi la polizia ha risposto con cariche e lacrimogeni. Diciassette fermi a Rennes, tre a Parigi, dove sono stati feriti due poliziotti, come anche a Tolosa. Scontri e danneggiamenti anche a Nantes e Lione.
 
Parigi sconvolta dalle manifestazioni anti-Hollande
Si trattava della quarta giornata di mobilitazione in Francia contro il progetto di riforma del codice del lavoro, il cosiddetto Jobs act alla francese, fortemente voluto dal governo del premier Manuel Valls e dal François Hollande. Sette sindacati hanno indetto un’ennesima giornata di proteste contro la legge presentata dalla giovane ministra del Lavoro Myriam El Khomry. A loro avviso si tratta di un testo di legge troppo favorevole agli imprenditori e che non presenta sufficienti tutele per i lavoratori. Parlando in privato con alcuni fedelissimi, il presidente Hollande, si è detto fiero per questa legge che a suo avviso incarna la «sinistra e il progresso». E a quanto pare, uno dei poliziotti feriti durante gli scontri a Parigi a margine delle proteste contro la riforma del lavoro è stato ricoverato d’urgenza con una lesione alla testa: è quanto scrive France Tv Info. La questura precisa che «300 manifestanti incappucciati» hanno attaccato le forze dell’ordine. Negli scontri, due agenti sono rimasti feriti, di cui uno, appunto, in stato grave. Teatro delle violenze è stata la zona del Pont d’Austerlitz, uno dei ponti che attraversano la Senna.

Scontri a Parigi. Notti in piedi e piazze piene contro il jobs act francese

i kompagni francesi non temono il governo amico. La nostra società civile è troppo impegnata contro i nemici politici del governo amico, devono difendere il regno democratico del Pd dalle minacce degli euroscettici. Domani si assisterà alla solita pagliacciata della festa del lavoro che non c’è più e quel che è rimasto è senza tutela e senza compenso degno di tal nome.
 
28 aprile 2016
Ennesima manifestazione a Parigi contro la legge El Khomri. Scontri e arresti. Una Porsche in fiamme fa il giro del mondo su twittter. A place de la Republique prove di convergenza con i sindacati (video)
 
di Giulio AF Buratti
 
Scontri sono in corso a Parigi e in diverse città della Francia, centinaia gli arresti.
Tra Nuit Debout e i sindacati, la difficile convergenza contro il jobs act francese
 
Ennesima giornata di scioperi e manifestazioni in tutta la Francia. Lo stato di emergenza che il governo vuole prorogare per la terza volta, impedisce la libertà di manifestare e crea situazioni di forte tensione, per l’aggressività e gli arresti della polizia. Il movimento contro il Job Act francese (Loi El Komri), si divide sulla possibilità di rispondere alla violenza della polizia, e non subire le angherie dello stato d’emergenza.
 
Nelle Nuit Debout sempre più persone pongono il tema dell’opposizione esplicita allo stato d’emergenza. Secondo la polizia avrebbero partecipato al corteo parigino tra i 14.000 e i 15.000 manifestanti. Per il sindacato CGT, invece, nella capitale sono scese in piazza 60.000 persone. La questura precisa che «300 manifestanti incappucciati» hanno attaccato le forze dell’ordine. Negli scontri, due agenti sono rimasti feriti, di cui uno, appunto, in stato grave. Teatro delle violenze è stata la zona del Pont d’Austerlitz, uno dei ponti che attraversano la Senna. A Parigi, aggiunge la polizia, sono scattati almeno cinque fermi. Ma i casseur sono entrati in azione in tante altre città di Francia con decine di fermi, oltre sessanta soltanto a Marsiglia. Mentre su Twitter impazza la foto di una Porsche incendiata dai black bloc.
 
La manifestazione di oggi, 28 aprile, è anche l’opportunità per il movimento NuitDebout di provare un inizio di “convergenza” coi sindacati sul ritiro della legge El Khomri sul lavoro (il jobs act alla francesce, ndr). Prima della manifestazione, una delegazione di partecipanti ha incontrato Philippe Martinez, il segretario generale del CGT. Stasera, come scrive su Le Monde, Violaine Morin, Nuit Debout accoglierà i rappresentanti delle organizzazioni sindacali. La segretaria confederale della CGT, Catherine Perret, rappresenterà il sindacato in una ” tavola rotonda” prevista per il 1 maggio, al termine del corteo tradizionale della Festa del lavoro. Uno dei poliziotti feriti durante gli scontri a Parigi a margine delle proteste contro la riforma del lavoro è stato «ricoverato d’urgenza con una lesione alla testa»: è quanto scrive France Tv Info.
 
Ma i cortei del 28 aprile e del 1 maggio non andranno fino alla Place de la Republique, luogo di adozione di Nuit Debout! anche se numerosi militanti sindacali raggiungeranno probabilmente il posto, a titolo individuale.
 
Dall’inizio dell’occupazione della piazza, il 31 marzo, Nuit Debout scrive di cercare la “convergenza delle lotte.” Ma, partito dalla contestazione del legge El Khomri, il movimento si è allargato alle istanze più diverse. Nd vuole riconsiderare tutto il sistema, mentre i sindacati si concentrano sull’obiettivo del ritiro del legge lavoro.
 
Questo allargamento di orizzonte e le modalità dell’occupazione contrapposte al modello delle relazioni sindacali hanno suscitato una certa diffidenza dei sindacati; così che Nd prova a rettificare un poco il tiro. “Non rivendichiamo niente”, diceva l’economista Federico Lordon alla vigilia della prima “notte in piedi”, il 30 marzo, nell’università Parigi I-Tolbiac occupata. Ma un sindacato, precisamente, rivendica sempre qualche cosa. Il 20 aprile alla Bourse du travail, l’economista è ritornato su quella frase. Segno di una volontà da parte di Nd di comprendere il passo sindacale e la sua “grammatica di azione”
 
Tra i sindacati in lotta per il ritiro del legge lavoro, i tre principali, all’infuori dei sindacati degli studenti, hanno degli atteggiamenti differenti rispetto al movimento. Da parte di Force Ouvriere (FO, vicino ai socialisti), si preferisce concentrarsi sul ritiro della legge. “I termini affrontati dal movimento superano la domanda sindacale e salariale del ritiro della legge. Noi, si resta concentrati sul ritiro”, ha detto Jean-Claude Mailly, segretario generale di FO.
 
Alla CGT, riunita la settimana scorsa in congresso a Marsiglia, i dibattiti sono stati numerosi per sapere se occorreva o no sostenere il movimento, e beneficiare così di un “nuovo soffio” nella lotta contro la legge sul lavoro. Un tipo di compromesso è stato trovato con gli incontri simbolici previsti il 28 aprile ed il 1 maggio. Ma il segretario dell’unione dipartimentale della CGT Parigi, Benoît Martin, resta circospetto sul carattere operativo di una tale mobilitazione, anche se saluta lo sforzo dei “nuitdeboutistes” e si rallegra che più giovani “si politicizzano”. “Non si decreta il blocco in piazza, ricorda. Sono i salariati che decidono, ed il posto di lavoro resta il luogo privilegiato per i rapporti di forza”.
 
Il sindacato Solidaire, è dall’inizio vicino a Nuit Debout. Ha parecchie volte prestato del materiale e dichiarato le occupazioni in prefettura. Al termine della manifestazione del 28 aprile, una presa di parola di un responsabile è prevista in Place de la Republique, spiega Eric Beynel, portavoce del movimento.
 
La situazione si è dunque globalmente “distesa” secondo François Ruffin, giornalista e regista di Merci Patron!, uno degli iniziatori di Nd. Ma la convergenza tra i sindacati ed i movimenti, se si farà, sarà al prezzo di un ritorno al dibattito di partenza sulla legge del lavoro. “Nuit Debout è ugualmente partita da ciò, era semplicemente un passo di più dopo una manifestazione contro quella legge”, ricorda Ruffin per cui la convergenza coi sindacati è un’evidenza: “Due forze che lottano per la stessa cosa devono lottare insieme”. Resta da sapere se l’Assemblea Generale di Place de la République sarà pronto a mettere da parte le sue altre istanze (parità, stipendio universale, ecologia, solidarietà coi migrati, educazione, rappresentatività democratica, ecc.) per permettere questa convergenza.

Istat: allarme povertà per giovani, a rischio il 28,6% dei single

perché, essere disoccupati in due migliora la situazione? E poi che c’entra l’età? Come se in Italia il posto fisso sia garantito a chi ha oltre 29 anni. Vedi l’ennesimo suicidio di coppia per indigenza, proprio ieri a Prato lo dimostra
 
martedì, 26, aprile, 2016
 
giovani
E’ allarme povertà per i giovani italiani. Tra gli under 35 che non vivono in coppia più di uno su quattro è a “rischio di povertà”. E’ quanto emerge dai dati Istat.
Per i giovani che “nel nostro Paese hanno serie difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro e che spesso svolgono occupazioni dalle forme atipiche, i vincoli di bilancio – ha osservato l’Istituto – possono essere così importanti da ritardare fortemente l’autonomia economica e abitativa dalla famiglia di origine, a scapito dei progetti di vita individuali”.
 
Il 28,6% dei giovani che vivono soli risulta, infatti, a “rischio di povertà” (vive cioè in famiglie che nel 2013 avevano un reddito familiare equivalente inferiore al 60% del reddito mediano), contro il 19,4% del totale delle persone residenti in Italia. Questi stessi vincoli possono inoltre esporre al rischio di povertà, deprivazione e disagio abitativo anche quanti si trovino con figli piccoli già nella prima fase del ciclo di vita familiare.
 
Il 13,4% dei giovani che vivono in coppia come genitori sperimenta nel 2014 una condizione di grave deprivazione materiale (mostra cioè almeno quattro segnali di deprivazione su un elenco di nove), contro l’11,6% osservato sul totale della popolazione. Ai giovani, come al resto della popolazione, il sistema di protezione sociale eroga pensioni in caso di sopraggiunta invalidità. Sono circa 3 mila seicento i giovani che in Italia percepiscono una pensione di invalidità (lo 0,3% sul totale dei pensionati).
askanews

Nel mondo almeno un giovane su quattro è senza lavoro.

Invece di richiedere un reddito di cittadinanza, leggete che articolo pattume si deve subire, ma perché non richiediamo che siano i giornalisti i primi a non essere pagati quando scrivono michiate?
L’opportunità de che? Di morire di fame? Di morire suicida perché non si sa come tirare avanti? Sì, per l’imprenditoria, certo, e chid a soldi ad un disoccupato eh?????? Il “mercato”?
 
 E’ questa la maggior preoccupazione indicata dal Global Opportunity Report 2016, la disoccupazione giovanile, che presenta nello stesso tempo grandi rischi e molte opportunità per il mercato. È quanto emerge dallo studio condotto a livello globale da DNV GL, uno dei principali enti di certificazione mondiali, dal Global Compact delle Nazioni Unite, un appello delle maggiori imprese a livello internazionale basato sul principio dello sviluppo sostenibile, e da Monday Morning, il principale think thank della Scandinavia.
 
L’indagine, che ha coinvolto oltre 5.500 rappresentanti del mondo delle aziende, dei governi e della società civile, prende in esame alcuni dei rischi più pressanti di oggi, con l’obiettivo di evidenziare le opportunità di sviluppo ad essi correlate, nel rispetto degli obiettivi di sostenibilità fissati dalle Nazioni Unite.
 
Può sembrare un paradosso, ma la disoccupazione giovanile porta con sé nuove opportunità di mercato che aspettano di essere colte: dall’incubazione dell’imprenditoria giovanile allo sviluppo del mercato del lavoro digitale, al coordinamento tra domanda e offerta di competenze e lavoro.
Incubare l’imprenditoria giovanile. Si stima che per ogni dollaro speso in favore di programmi a sostegno dell’imprenditoria giovanile, si generino tre dollari a livello di gettito fiscale. Il rapporto è di 1:10, invece, se si considera che ogni dollaro messo a disposizione per i giovani imprenditori viene moltiplicato dieci volte nel fatturato del business in cui viene impiegato. Favorire l’imprenditoria giovanile, incubandola all’interno delle aziende stesse, non rappresenta solo un’opportunità per poter contare su nuove idee e per diversificare, ma una forma di investimento.
 
Mercato del lavoro digitale. L’83% dei datori di lavoro in Canada e Stati Uniti lamenta la mancanza di sviluppatori di software; mentre il giro d’affari dell’outsourcing per il 2016 sarà di 200 miliardi di dollari. Scommettere sul digitale per sviluppare piattaforme capaci di mettere in contatto talenti e richiesta di lavoro o delocalizzazione in aree svantaggiate è un’esigenza pressante.
 
Coordinare competenze e mercato. Nel 2020 mancheranno 40 milioni di lavoratori con istruzione terziaria, nelle economie in via di sviluppo ne mancheranno 45 milioni con istruzione secondaria e ci saranno 95 milioni di lavoratori con istruzione di base in più rispetto a quelli che servono. È evidente la necessità di puntare allo sviluppo di progetti di scouting e coordinamento, tutoring e formazione per un mercato che si prospetta dalle dimensioni eccezionali.

La Germania riforma la legge sullo stupro: dire “no” non basta

tedesche razziste, non si vogliono concedere facilmente agli stranieri per i quali la loro cultura suggerisce che non devono chiedere, è giusto quindi depennare lo stupro
Anche con la nuova norma, voluta dopo i fatti di Colonia, non basterà manifestare di opporsi al rapporto sessuale per far condannare l’aggressore. Lettera aperta di un gruppo di associazioni alla Merkel: “No significa no”
 
colonia
La polizia di Colonia presidia la stazione centrale dopo le violenze di Capodanno
27/04/2016
alessandro alviani
berlino
 
È polemica in Germania sulla riforma della legge sui reati sessuali, allo studio dopo le aggressioni di Capodanno a Colonia. In base al testo che approderà giovedì 28 aprile al Bundestag, anche in futuro non basterà il chiaro «no» pronunciato da una vittima di abusi sessuali per far condannare uno stupratore, denuncia un gruppo di associazioni riunite nell’iniziativa «No significa no».
 
Le aggressioni resteranno impunite anche se la persona che ha subito violenza ha manifestato la sua volontà contraria al rapporto sessuale e l’autore dello stupro non ha rispettato questo rifiuto, si legge in una lettera aperta alla cancelliera Angela Merkel e ai deputati tedeschi firmata, oltre che da sigle come Terre des Femmes e dal comitato tedesco di Un Women, anche da personalità del mondo della letteratura, della tv, dello spettacolo e del cinema come ad esempio l’attrice Sibel Kekilli («La sposa turca» e «Game of Thrones»).
 
Per la valutazione dell’accaduto rimane pertanto decisivo il comportamento della persona danneggiata e non del colpevole, continua la lettera. Ciò contraddice tra l’altro la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (la Convenzione di Istanbul), un testo non ancora ratificato dalla Germania, ricordano le associazioni. Le quali muovono anche una seconda critica, che suona tanto più pesante alla luce del dibattito seguito alle aggressioni di Colonia: anche nel nuovo testo i palpeggiamenti resteranno non punibili per legge.
 
In base al quadro giuridico attualmente in vigore in Germania, si parla di stupro se il colpevole costringe la vittima al rapporto sessuale con la violenza o con minacce oppure se sfrutta la condizione di vulnerabilità in cui si trova la sua vittima. Non è insomma sufficiente che quest’ultima abbia detto chiaramente di no. La donna o l’uomo che ha subito una violenza sessuale deve inoltre dimostrare di aver opposto resistenza, il che complica notevolmente la possibilità di giungere a una condanna del colpevole.
 
Il testo di riforma elaborato dal ministro della Giustizia, il socialdemocratico Heiko Maas, prevede che in futuro sarà punibile anche chi sfrutta «una situazione in cui un’altra persona è incapace di opporsi» a causa della sua situazione fisica o psichica, oppure perché l’aggressione è compiuta «a sorpresa» o ancora perché teme per la propria incolumità nel caso in cui opponga resistenza. Non è sufficiente, attaccano le organizzazioni e diversi politici dei Verdi, ma anche della Spd. «Un no chiaramente espresso – afferma Karin Nordmeyer, presidente del Comitato tedesco di Un Women – deve bastare per punire un o una colpevole».

Il Fmi ricatta la Grecia, richieste fuori dall’accordo di salvataggi

sotto art da La Stampa, che si “commuove” per le misure di austerità contro i greci MENTRE LE ESALTA E INVOCA PER L’ITALIA, praticamente quotidianamente. Ma per fortuna che loro hanno Tsipras il ribelle che lotta per i più poveri e deboli vero?
 
mercoledì, 27, aprile, 2016
 
Il Fondo monetario internazionale (Fmi) avrebbe avanzato richieste che non rientrano nell’accordo di salvataggio siglato dalla Grecia con i creditori: lo ha detto oggi Olga Gerovasili, portavoce del governo di Atene, dopo lo stallo nei negoziati per la revisione del terzo programma di salvataggio del paese.
 
“L’Fmi sta mettendo davanti richieste che sono al di fuori dell’accordo (di salvataggio) e che stanno minando gli sforzi compiuti dal governo e dalle istituzioni europee”, ha detto Gerovasili durante una conferenza stampa. La portavoce ha criticato l’Fmi per aver respinto la proposta greca di introdurre un meccanismo automatico che farebbe scattare i tagli di spesa in caso non venissero raggiunti gli obiettivi di budget. “Una legislazione sulle misure contingenti non rientra nel quadro del Costituzione (greca) e dei valori giuridici europei”, ha continuato spiegando che è vietato legiferare su un eventi ipotetici. (Agenzia Nova)
 
La sinistra europeista ama tanto le tasse, SI COMPRENDE PERCHE’
 
No della Germania al vertice Ue, la Grecia torna con le spalle al muro
Ue, Bce e Fmi chiedono nuove misure di austerità a Tsipras: le durissime riforme su fisco e pensioni imposte nell’estate del 2015 non bastano più per avere i finanziamenti che erano stati garantiti
 
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Il ministro dell’Economia tedesco Wolfgang Schauble
27/04/2016
roberto giovannini
 
Si ricomincia, povera Grecia. Atene e i creditori non hanno raggiunto un’intesa sui nuovi tagli aggiuntivi che adesso vengono chiesti da Ue, Bce e Fmi per sbloccare la nuova tranche di aiuti nell’ambito del piano di salvataggio da 86 miliardi stabilito nel 2015. Non ci sarà il vertice dei leader dell’Unione Europea chiesto dal premier greco Alexis Tsipras per provare a sbloccare la situazione e a chiedere che i fondi promessi nel 2015 in cambio dell’accettazione e dell’attuazione delle riforme vengano pagati. Si era detto subito scettico il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, e stamani il punto finale lo ha messo il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble: «Sono contrario» ha detto. E non ci sarà nemmeno l’Eurogruppo straordinario sulla Grecia sollecitato, ha detto il portavoce del presidente dell’Eurogruppo e dell’Ecofin Jeroen Djisselbloom: «c’è bisogno di più tempo».
 
I tedeschi, e per ragioni opposte anche il Fondo Monetario internazionale, prima di dare i fondi garantiti (vitali per il funzionamento dello Stato ellenico) vogliono che la Grecia si impegni ad approvare oltre alle riforme del fisco e delle pensioni già approvate dal Parlamento anche altri 3 miliardi di misure, una somma immensa e pari al 2% del Pil greco. Misure non previste dagli accordi della scorsa estate, e che dovrebbero essere adottate «automaticamente» se – come appare evidente – la Grecia mostrerà di non essere in grado di centrare gli impossibili obiettivi di bilancio, ovvero un avanzo primario del 3,5% del Pil nel 2018.
 
Del resto, nelle intercettazioni rese note da Wikileaks era stato detto chiaro e tondo dai funzionari del Fondo Monetario Internazionale: «bisogna portare la Grecia sull’orlo del baratro allungando i negoziati fino a luglio, perché solo quando sono con le spalle al muro fanno concessioni». E così in effetti sta andando. Come tutti sapevano, l’applicazione delle misure di austerità imposte dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale lo scorso luglio non ha fatto ripartire l’economia greca (l’ha anzi affossata), non ha rimesso in ordine i conti pubblici greci (li ha anzi peggiorati), non ha permesso di generare il surplus di bilancio necessario per rimborsare il debito ai creditori internazionali (il bilancio è più che mai in rosso).
 
Su questo o quell’aspetto minore il governo greco di Alexis Tsipras – che ha fatto approvare le misure imposte, a costo di ridurre al lumicino la maggioranza parlamentare conquistata nelle elezioni dello scorso settembre – potrebbe non aver applicato o varato le riforme al 150 per cento. Ma del resto, neanche i creditori hanno rispettato la promessa di cominciare a discutere di abbattere il debito pubblico ellenico che la stessa numero uno del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde sa bene essere insostenibile e impossibile da ripagare. Quel che è certo, ha detto il ministro dell’Economia greco Euclis Tsakalotos, è che una megaclausola di salvaguardia è «anticostituzionale», oltre che irrealizzabile per le sue dimensioni.
 
Insomma, la Grecia verrà ancora una volta messa spalle al muro: ha applicato le misure ma non avrà i soldi promessi, a meno di applicare nuove e più draconiane misure di austerità. A meno di sorprese – un cambiamento di linea dei leader europei, che non è alle viste – ricomincerà nei prossimi giorni lo stillicidio dei vertici, degli incontri e dei negoziati. Che si concluderanno dopo un po’ quando a un certo punto Ue, Bce e Fmi cercheranno di obbligare Tsipras a obbedire strangolando le banche elleniche (come avvenne l’anno scorso) o lo Stato (che sta già ricorrendo a misure di emergenza per recuperare liquidità).

Petrolio, gli USA minacciano i Sauditi per fare guerra alla Russia

mercoledì, 27, aprile, 2016
 
Laura Naka Antonelli
ROMA (WSI) – L’Arabia Saudita dispone di una “vera opzione nucleare” che potrebbe decretare la fine dell’egemonia degli Stati Uniti, ridisegnando al contempo lo scacchiere geopolitico internazionale. L’arma da utilizzare sarebbe il petrolio e l’alleato la Russia. E’ quanto riporta un’analisi sul petrolio e sulla geopolitica di Sputniknews, sulla base di indiscrezioni ricevute da fonte di Riyadh.
 
La vera opzione nucleare per i sauditi sarebbe quella di cooperare con la Russia e formare una nuova alleanza per fare in modo che tutti i paesi dell’Opec taglino la produzione di petrolio del 20% , nell’ambito di una strategia volta ad aumentare i prezzi del petrolio fino a $200 al barile, e dunque a recuperare le entrate fiscali che andate perse (con il calo del greggio) a causa dei diktat degli Stati Uniti”.
Dietro al flop dei negoziati di Doha, in Qatar, ci sarebbe d’altronde la regia americana. Sputniknews riporta che a Doha, la scorsa domenica, arrivò improvvisamente una telefonata alle 3 del mattino. Il giovane principe Mohammed bin Salman parlò con la delegazione saudita presente al tavolo dei negoziati con i paesi Opec e non Opec, per dire che l’accordo era saltato.
 
Tutti i partecipanti alla riunione – delegati dei paesi Opec (assente l’Iran) e di paesi non Opec (appunto la Russia) rimasero interdetti: erano stati proprio i sauditi, infatti, insieme ai russi, ad avanzare la proposta di congelare l’offerta di petrolio, al fine di risollevarne i prezzi. Tra i motivi ufficiali, è stata citata la mancata volontà di Teheran di adottare i tagli alla produzione, ora che, grazie alla fine delle sanzioni, può tornare a esportare.
 
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Il vero motivo, tuttavia – stando a una fonte finanziaria che ha legami molto stretti con il Regno saudito, è che:
 
Gli Stati Uniti minacciarono il principe, quella notte, delle conseguenze più negative, nel caso in cui non avesse fatto dietrofront rispetto alla proposta del congelamento dei prezzi del petrolio”.
Riporta Sputniknews:
 
Così come spiega la fonte, un taglio alla produzione di petrolio avrebbe “ostacolato l’obiettivo degli Stati Uniti di far andare in default la Russia attraverso una guerra combattuta con i prezzi del petrolio”.
La minaccia ha fatto cambiare idea ai sauditi, con il regno che – sotto pressione a causa di un deficit balzato a $98 miliardi nel 2015 – sarebbe stato favorevole a un taglio moderato dell’offerta, a cui avessero partecipato la maggioranza dell’Opec e la Russia, come d’altronde lo stesso ministro petrolifero arabo, al-Naimi, aveva promesso.
 
Ma perchè Riyadh si è piegata agli Usa? Per ovvie ragioni, ma soprattutto per la minaccia di Washington di congelare tutti gli asset sauditi, nel caso in cui il Regno non avesse “cooperato” nella guerra dei prezzi contro la Russia. Ne è seguita una escalation che non ha risparmiato neanche le famiglie delle vittime degli attacchi terroristici dell’11/9.
 
L’Arabia Saudita ha infatti minacciato di smobilizzare $750 miliardi investiti in asset Usa, nel caso in cui il Congresso Usa approvasse una proposta di legge che renderebbe Riyadh responsabile e perseguibile dai tribunali americani per gli attacchi dell’11/9.
 
La norma, co-sponsorizzata dal senatore democraico Chuck Schumer e da quello repubblicano John Cornyn, propone di fare in modo che le famiglie delle vittime degli attentati dell’11/9 possano citare in giudizio paesi stranieri e finanziatori del terrorismo.
 
Per non perdere il controllo sull’Arabia saudita, è molto probabile che alla fine la proposta non passerà: uno scenario che ha fatto imbestialire già diverse famiglie delle vittime, che si sono scagliate contro il presidente Obama, che di fatto sta facendo attività di lobby per impedire che il disegno di legge passi.
 
Gli Stati Uniti sono diventati di fatto ostaggio dell’Arabia Saudita, anche se come dimostra il flop dei negoziati di Doha, è bastata una telefonata per far saltare tutto.
 
Ma è vero appunto che l’ordine mondiale cambierebbe all’istante, se i sauditi decidessero di ricorrere all’opzione nucleare, e allearsi con la Russia.

Sciolto per mafia Brescello, il comune di Don Camillo e Peppone

kompagni….delle cosche. Sssh, perché mai dovrebbe occupare pagine di giornali in evidenza? 
 
mercoledì, 20, aprile, 2016
 
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REGGIO EMILIA –  Il Comune di Brescello in provincia di Reggio Emilia, noto anche per essere stato il paese dove vennero girati i film di Don Camillo e Peppone, è stato sciolto dal Consiglio dei Ministri per infiltrazioni mafiose.
La decisione del governo è arrivata dopo la richiesta del prefetto, dopo la relazione della commissione d’accesso e dopo le consultazioni con forze dell’ordine e magistrati. La comunicazione è arrivata dalla Lega Nord, con un comunicato stampa.
“Ora aria pulita a Brescello, siamo pronti a collaborare col commissario, come già fatto con la commissione prefettizia”, ha commentato Catia Silva, consigliera comunale di Brescello della Lega Nord.
askanews

Ucraina: nuova legge vieta serie televisive e film russi

ora che l’Ucraina è un paese democratico, ossia gestita da banchieri, SI VEDE che significa libertà di espressione
 
venerdì, 22, aprile, 2016
Poroshenko
I pessimi rapporti tra Mosca e Kiev si ripercuotono anche sul mercato cinematografico. Ieri sera il presidente ucraino Petro Poroshenko ha firmato una legge, approvata dal Parlamento il 29 marzo, che vieta la distribuzione e la trasmissione di serie televisive e film prodotti da persone e società russe dopo il primo gennaio 2014, l’anno in cui Kiev e Mosca sono finiti ai ferri corti per l’annessione della Crimea e il conflitto nel Donbass.
 
Il provvedimento, simile a quello già adottato lo scorso anno, bandisce anche film e show successivi al primo agosto 1991 “che glorificano l’operato degli organi di governo” russi. Sotto la mannaia della nuova legge finiscono però anche i nuovi film russi ritenuti critici nei confronti del Cremlino, come ‘Leviathan’ del regista Andrei Zviagintsev. (ANSA).
 
La Commissione europea ha varato la proposta per l’abolizione della necessità di ottenere un visto per i cittadini ucraini che intendono recarsi nell’Ue. La proposta deve essere ora esaminata e approvata dal Consiglio Ue e dall’Europarlamento. Quando questi passaggi saranno completati, i cittadini ucraini in possesso di passaporto biometrico potranno entrare e muoversi nell’area Schengen per 90 giorni senza bisogno di ottenere preventivamente un visto.
 
Il commissario per gli affari interni Dimitris Avramopoulos, il quale ha lanciato la proposta di abolizione dei visti dopo la valutazione positiva fatta dalla Commissione lo scorso dicembre, ha espresso soddisfazione per il fatto che il governo di Kiev è riuscito a raggiungere tutti gli obiettivi necessari per arrivare a questa decisione, in particolare nel campo della riforma della giustizia e del rispetto dei diritti civili. (ANSA).

Chi vuole cambiare la Resistenza

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VALSUSA NOTIZIE

Voci indipendenti dalla Val Susa

Le tante celebrazioni del 25 Aprile promosse da semplici cittadini sono più preziose delle vuote e retoriche commemorazioni istituzionali. Ma la Resistenza è oggi banalizzata dalla classe politica e dai media del Potere e l’Anpi è strumentalizzata dal Pd. Fortunatamente si fa avanti l’Anpi dei giovani.

Inserito il 26 aprile 2016
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di Fabrizio Salmoni

In tanti la vogliono cambiare in qualcosa che non è stata dandole significati che fanno comodo a tanti, non ai cittadini. Breve elenco dei principali responsabili.

  1. gli opinionisti e i cronisti di un giornale che è portavoce della lobby politico-industriale che devasta i territori e che si fa portatrice di interessi privati nello Stato tramite la classe politica più corrotta d’Europa; un giornale il cui Direttore traduce nelle sue “lezioni” linguaggio e dettami dei circoli atlantici e neoliberisti più estremi e che sostiene che la miglior soluzione per proteggersi dal terrorismo è che i cittadini facciano corpo unico con le forze dell’ordine, cioè si facciano tutti poliziotti e delatori; un giornale che mantiene in Cronaca un redattore autore di un libro di denigrazione della Resistenza che è stato definito dall’Anpi di Savona “esponente del revisionismo neofascista”; un giornale che si scaglia quotidianamente contro proteste e lotte sociali e non trova migliori definizioni che il solito, allarmante appellativo di “anarchici” per i cittadini che prendono iniziative autonome dalle istituzioni per celebrare il 25 aprile.

2.. Il partito di maggioranza che strumentalizza l’Anpi e i vecchi partigiani utilizzando un senso di appartenenza genuino che viene dal passato, da una sinistra che non c’è più, che si è fatta sistema di potere corrotto, che pretende di mantenere il controllo su un’ Anpi ridotta a strumento di voti e consenso (tutte le strutture dirigenti, che cantano in coro “i pericoli di strumentalizzazione” sono in mano al Pd).

  1. L’Anpi dei vecchi, che organizza celebrazioni ibride, istituzionali, che in nome di un patriottismo retorico e di facciata, accetta tutti e tutto: messe, carabinieri, alzabandiera, leghisti e neofascisti travisati. Col risultato di incoraggiare la disaffezione popolare, il distacco dalla gente, lo svuotamento dei contenuti.Il modo migliore per imbalsamare memoria e corrompere il significato della Resistenza e i suoi valori.
  2. Amministrazioni di cosiddetto centrosinistra, come quella di Milano, che, “per evitare polemiche”, autorizza un rito commemorativo dei caduti di Salò con tanto di saluti fascisti e bandiera della repubblichina. O come quella Pd di Altare (Sv) che presiede a un vergognoso pateracchio militaresco, spacciato per “cerimonia condivisa”, con bambini che sfilano con le insegne del battaglione San Marco in omaggio “a tutti i caduti” tra saluti romani e militari. La Costituzione ridotta a opinione, la storia a minestrone tutti-i-gusti.
  3. Intellettuali, storici e studiosi che hanno ceduto la loro autonomia di giudizio per acquisire punti nei salotti del partito di maggioranza e della borghesia industriale, quella che col fascismo andava a nozze, e assicurarsi cosi carriera, fama letteraria e marchette in tv.

Ecco chi vuole cambiare la Resistenza.

Dall’altra parte, negli ultimi anni si è dato inizio a un rinnovamento dell’Anpi. Si sono fatte avanti nuove generazioni, nuovi protagonisti (molti figli e nipoti di partigiani) che rivendicano un’identità di lotta politica autonoma dai partiti, come dovrebbe essere da statuto interno, e la consapevolezza di vivere in un Paese a democrazia sempre più limitata (inutile fare l’elenco dei sintomi o degli inquisiti, li conosciamo tutti…) con istanze di protesta sociale che abbracciano ormai un ampio spettro di tematiche: l’etica, l’ambiente, la casa, i bisogni materiali, i diritti sul lavoro (v. le durissime vertenze della logistica, ecc.). Giovani che dicono che la Resistenza non è stata e non è di tutti, che la democrazia è a rischio e si deve difendere costantemente, che l’antifascismo è pratica quotidiana, sul territorio, sui posti di lavoro, nelle scuole e nelle università.  E’ a questi giovani che si vuole negare la parola e l’agibilità con l’arroganza e con il discredito dei media, anche se essi sventolano le bandiere dell’Anpi.

Negli ultimi tempi ci sono state mobilitazioni spontanee di cittadini di varie tendenze politiche, iscritti all’Anpi e non. Fascisti sono stati cacciati dall’Università e da Almese in Val Susa con la sindaca in testa. In questi giorni abbiamo visto iniziative autonome per il 25 Aprile a Torino nel quartiere San Salvario dove Casa Pound, sotto le mentite spoglie di un comitato di quartiere, organizza ronde razziste; ancora nella mai domata Val Susa, da Chiusa S. Michele con un corteo eterogeneo che è arrivato fino a Vaie sostando presso le lapidi commemorative dei caduti; a Givoletto, dove per iniziativa di una lista civica d’opposizione alla giunta di centrodestra si è commemorato con efficace e commovente semplicità l’eccidio di nove partigiani (tra cui una staffetta di undici anni) da parte delle brigate nere.

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Il cippo a Givoletto

A Torino, ieri 25 aprile le “istituzioni” hanno ignorato le richieste di una piazza che voleva dare voce alle mamme (non anarchici nè “antagonisti”) di giovani sottoposti a misure cautelari per attività contro la Torino.Lione e contro i fascisti universitari. Una piazza che ha ascoltato con rispetto e applaudito  i due vecchi partigiani Bruno Segre e Plinio Pinna Pintor ma  ha fischiato il Pd Boeti dimostrando di saper distinguere. Un truce Chiamparino e un indispettito Fassino hanno rinunciato a parlare e se ne sono andati con  portaborse e bagagli ma lasciando, come al solito, a rappresentarli degnamente solo la polizia e la stupidità impostata di due presentatori.

Se questo è il tipo di rapporti che rimane tra i politici e la gente, se la vuota retorica patriottarda la fa da padrona con i partiti, se la “zona grigia” degli indifferenti è più ampia che mai, l’Italia non è in buono stato, e neanche l’Anpi dei vecchi. Sarà il ricambio generazionale a favorire il cambiamento nell’Associazione più ancora che la dialettica politica. Per ora sono le sezioni dell’ Anpi giovane e di lotta a prendersi legittimazione sul terreno. Toccherà a loro insieme ai cittadini consapevoli e ai veri antifascisti raccogliere il testimone per impedire che la memoria  e i valori della Resistenza se ne vadano via col vento.(F.S. 26.4.2016)

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Torino, 25 Aprile. Lo striscione delle mamme