Lavoratori della Provincia bloccati sull’autostrada – FOTO|VIDEO

Redazione/ 10 Marzo 2016 09:21
Il pullman che stava accompagnando i dipendenti in protesta incontro al premier Renzi è stato fermato dalla Polstrada nei pressi di Tarsia. Al mezzo sarebbe stato impedito di proseguire il tragitto.
 
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Il pullman dei lavoratori della Provincia di Vibo Valentia (in agitazione per i mancati pagamenti degli stipendi) partito questa mattina di buon’ora alla volta di Mormanno, per manifestare nel luogo della prevista visita del premier Renzi al cantiere dell’A3, è stato bloccato pochi minuti fa.
 
Il mezzo, intercettato dalla Polizia stradale nei pressi dello svincolo di Tarsia, è stato fatto accostare e al conducente sarebbe stato vietato di proseguire verso Mormanno. Comprensibile il disappunto dei lavoratori che, scesi dal pullman, hanno esposto lo striscione della Provincia sul ciglio della corsia autostradale.
 
 
Gli stessi, da circa mezz’ora, sono in attesa di capire se gli sarà permesso di ripartire e se dovranno fare ritorno alla base.
 
Secondo quanto è stato possibile apprendere, il fermo nascerebbe da una comunicazione della Digos di Vibo alla Questura di Cosenza. Il questore cosentino rassicurato i lavoratori sul fatto che sarà trovato loro un posto per la successiva manifestazione che si terrà nella città bruzia, senza tuttavia garantire visibilità alla protesta. A questo punto i lavoratori parlano apertamente di «censura organizzata e mortificazione ulteriore di lavoratori che chiedono solo il rispetto dei loro diritti. Da più di un anno».
 
 
 
 
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Vietato indagare sugli attentati di Parigi

Maurizio Blondet  12 marzo 2016
 
Hicham Hamza è un giornalista francese indipendente che ha scoperto indizi impressionanti sugli attentati islamici a Charlie Hebdo e al Bataclàn. E’ stato arrestato e incriminato, ufficialmente per “violazione del segreto istruttorio e diffusioni di immagini gravemente lesive della dignità umana”. Effettivamente aveva postato, il 15 dicembre, una foto   ripresa all’interno del Bataclàn pochi minuti dopo la strage, perché mostrava l’orribile scena di decine di corpi smembrati.
 
La foto delll’interno del Bataclan pochi minuti dopo la strage (ora offuscata)
 
Il punto è che non è stato Hamza a scattare la foto (subito scomparsa per ordine giudiziario). L’ha trovata su un tweet – il cui webmaster è situato a Gerusalemme – firmato “Israel News Feed” “@IsraelHatzolah”.
 
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Da Israele, la prima a sapere
 
Ora, “IsraelHatzola” è praticamente la stessa cosa di United Hatzolah, una ONG israeliana di paramedici che collabora con l’esercito di Israele. Il presidente di United Hatzolah è particolarmente interessante: trattasi di Mark Gerson, un ebreo americano che è stato direttore esecutivo del famos think-tank neocon Project for a New American Century (PNAC), quello che consigliava il presidente Usa Bush jr., nel 2000, di lanciare un grande riarmo, per il quale però sarebbe stata necessaria “una nuova Pearl Harbor”.   L’11 Settembre, quando la nuova Pearl Harbor si verificò, membri importanti del PNAC erano nel governo Bush, e lanciarono le guerre l’invasione dell’Afghanistan e dell’Irak.
 
 
Gi inquirenti francesi, invece di indagare su questa pista, invece di chiedersi come mai un sito israeliano legato ai necon e al Mossad aveva le foto dell’interno del teatro, scattate pochi minuti dopo la strage, hanno perseguito Hamza.  Varie personalità politiche e giornalisti lo hanno querelato per diffamazione, contando di rovinarlo economicamente (sul suo sito Panamza, il perseguitato chiede ai lettori 10 mila euro per pagare le spese legali).
 
Che la persecuzione sia originata dal governo non c’è dubbio: Gilles Clavreul, delegato interministeriale di Valls , addetto alla “Lotta contro il razzismo e l’antisemitismo”, s’è lasciato sfuggire durante un’intervista radio di stare cercando “degli inghippi giuridici per arrivare a perseguire” il giornalista.
 
Hamza è colui che ha scoperto una quantità di indizi che consentono di interpretare l’attentato islamico del 13 novembre un false flag con “segnatura” sionista. Eccone i più significativi:
  • Il teatro Bataclan apparteneva ad una famiglia ebraica fin al 1976. La famiglia Toutou ha venduto il teatro l’11 settembre, due mesi prima della strage, per trasferirsi definitivamente in Israele.
 
.   “I responsabili della sicurezza della comunità ebraica erano stati avvertiti in anticipo dell’imminenza di un grosso attacco terroristico”; secondo il Times of Israele (che poi ha censurato la notizia). Da chi? Dal banchiere barone Edmund De Rotschild, nientemeno.
  • Il 13 novembre, giorno dell’attentato, era in corso una esercitazione del SAMU, il pronto soccorso municipale di Parigi, basata sullo scenario di tre attentati simultanei compiti da tre gruppi di terroristi, che prevedeva 50 morti e 150 feriti. SAMU sta per Services Médicales d’Urgence. Dispone di ambulanze ed elicotteri sanitari. Lo scenario è stato elaborato dal vice-capo del SAMU di Parigi, dottor Michel Nahon (J). L’esercitazione era stata programmata mesi prima.
  • La rivendicazione con cui Daesh si attribuiva gli attentati è stata diffusa – indovinate – dal SITE di Rita Katz, dagli Stati Uniti.
  • “I decreti per lo stato d’emergenza adottati anche prima dell’attentato al Bataclàn”: così ha annunciato France Télévision: il decreto fu promulgato alle 22.30 da Hollande, appena uscito dallo Stade de France dove assisteva alla partita Francia-Germania.  Lo stadio era stato appena vittima  di uno strano attentato  senza senso,  dove tre terroristi islamici si sono fatti saltare con le cinture esplosive, fuori dallo stadio, senza provocare vittime. La strage del Bataclàn non era ancora avvenuta. La bozza del decreto era pronta da tempo. Lo ha rivelato lo stesso funzionario, direttore degli affari giuridici del ministero dell’Interno, che ha stilato la bozza. Si chiama Thomas Andreu, “legato attraverso la moglie alla comunità ebraica e Israle” (la moglie si chiama Marguerite Berard ed è cognata di Marie-Hélène Bérard, tesoriera della Camera di Commercio Francia-Israele e membro del direttivo del CRIF, Conseil représentatif des institutions juives de France.
  • http://www.francetvinfo.fr/faits-divers/terrorisme/attaques-du-13-novembre-a-paris/les-decrets-sur-l-etat-d-urgence-adoptes-avant-meme-l-assaut-du-bataclan_1200761.html
  • Jesse Hughes è il cantante degli Eagles of Death Metal, il complesso che si esibiva al Bataclàn, davanti a 1500 spettatori, la sera tragica della strage islamista (90 morti). In una intervista rilasciata a Fox Business Network quattro mesi dopo, Hughes ha rivelato che quella sera del 13 novembre aveva scoperto che ben sei uomini addetti alla sicurezza delle quinte, erano inspiegabilmente assenti. Ha aggiunto di non volersi sostituire ai poliziotti inquirenti, ma che per lui era evidente che quei sei “avevano una ragione di non venire”, ventilando cioè possibili alte complicità  ai terroristi al più alto livello.
  • Hamza ha ricevuto minacce di morte con la firma in vista: on te fume, e un mitra Uzi sulla bandiera israeliana
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“Ti eliminiamo”
 
Per dare un’idea del clima che Hollande sta facendo imporre nella ex patria della libertà di opinione, ecco questa notizia.
 
Professore indagato: parlava bene di Putin
 
Pascal Geneste è un professore di storia in lingua bretone (sic) che insegna al collegio Saint-Anne d’Auray, in Francia. Dopo la strage del Bataclan (13 novembre) che ha tanto colpito i francesi e i suoi allievi, ha tenuto una lezione su “Vladimir Putin come un dei precursori della lotta al terrorismo islamico”, come dimostra l’intervento russo in Siria contro l’IS”, lotta in cui è di fatto alleato con lo stato francese (Hollande ha promesso bombardamenti in Siria, dopo l’attentato); un’alleanza che il docente ha auspicato si approfondisca, nella comune lotta all’islamismo fanatico. Su denuncia di un genitore che ha definito le frasi del professor “scandalose e islamofobe”, Geneste è stato convocato in gendarmeria e sottoposto a interrogatorio. Ha saputo che il procuratore della republica di Lorient aveva aperto una informazione giudiziaria su di lui,e ha dovuto rispondere a domande (“peraltro cortesi”) “per sapere se ero di destra o di sinistra. Mi è stato rimproverato di aver postato sul mio sito una canzone che fa’ riferimento al Front National. Ma il FN non è vietato in Francia, anzi è il primo partito di Francia… Mi hanno chiesto se ero un nazionalista francese. Se amare il mio paese, la Bretagna, l’Europa dall’Atlantico agli Urali è nazionalismo, allora accetto l’aggettivo”.
 
Il 17 febbraio, sei dei suoi allievi sono stati convocati in gendarmeria dove hanno subito un interrogatorio sul che cosa aveva detto il professore “riguardo alla Russia e a Vladimir Putin”.
 
 
Censura sul web, lo chiede il CRIF
CRIF sta per  Conseil représentatif des institutions juives de France. Nel corso dell’annuale cena per raccolta fondi, il suo presidente, Roger Cukierman, ha denunciato la crescita “esponenziale” di “espressioni razziste su Internet”, e ha reclamato che anche alla Rete si applichi lo “stato di emergenza”. Questo (état d’urgence) è il decreto, varato da Valls dopo l’eccidio del Bataclan, che dà poteri speciali allo stato per frugare appartamenti, intercettare telefonate, ridurre le libertà personali e politiche senza precise accuse. Cukierman dimentica che l’etat d’urgence   contiene già misure repressive applicabili ad Internet: lo Stato può bloccare l’accesso a determinati siti, vietare ad una persona tutte le comunicazioni via web, copiare tutti i dati trovati sui terminali, smartphone e computers durante un’irruzione di polizia, compresi quelli sul cloud. Al CRIF non basta. Vuole siano punti e censurati “messaggi di odio”.
Alla cena partecipava (ovviamente) il primo ministro Manuel Valls. Ha annunciato “Misure forti conto l’antisionismo”, che naturalmente ha detto non è che una maschera dell’antisemitismo.
 
Infine:
Il governo ha aperto a Bordeaux il primo “Centro per la prevenzione della radicalizzazione”: trenta giovani vi sono già ospitati. Hanno cominciato la rieducazione e la disintossicazione dall’islamismo violento.
 
Ma la Francia non è la sola a vivere il nuovo clima. Ecco:
 
Lo Hacker romeno che ha rivelato le mail della Clinton estradato in USA
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“Guccifer”
 
Si chiama Marcel Lazar Lehal, ma come hacker si è dato il nome di Guccifer. Tassista disoccupato, 42 anni, ha carpito e pubblicato mail di Leonardo di Caprio, Muriel Hemingway, George Bush jr., dell’amante romena (Corina Cretu) dell’ex segretario di stato Colin Powell. Ma il vero scoop l’ha fatto rivelando l’uso improprio di un conto e-mail privato da parte di Hillary Clinton quando era segretaria di Stato, su cui l’FBI ha aperto un’indagine che si sta mettendo male per la candidata democratica. Sono quattro appunti che la Clinton ha inviato al suo consigliere politico Sidney Blumenthal (J) e riguardano la tragedia di Bengasi, in cui è stato ucciso l’ambasciatore americano e i Marines di scorta. Condannato a 4 anni dalla giustizia romena, Guccifer è stato reclamato dalla magistratura americana. L’estradizione è stata concessa anche perché lui non si è opposto.
 
 
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Pascal Geneste è un professore di storia in lingua bretone (sic) che insegna al collegio Saint-Anne d’Auray, in Francia. Dopo la strage del Bataclan (13 novembre) che ha tanto colpito i francesi e i suoi allievi, ha tenuto una lezione su “Vladimir Putin come un dei precursori della lotta al terrorismo islamico”, come dimostra l’intervento russo in Siria contro l’IS”, lotta in cui è di fatto alleato con lo stato francese (Hollande ha promesso bombardamenti in Siria, dopo l’attentato); un’alleanza che il docente ha auspicato si approfondisca, nella comune lotta all’islamismo fanatico. Su denuncia di un genitore che ha definito le frasi del professor “scandalose e islamofobe”, Geneste è stato convocato in gendarmeria e sottoposto a interrogatorio. Ha saputo che il procuratore della republica di Lorient aveva aperto una informazione giudiziaria su di lui,e ha dovuto rispondere a domande (“peraltro cortesi”) “per sapere se ero di destra o di sinistra. Mi è stato rimproverato di aver postato sul mio sito una canzone che fa’ riferimento al Front National. Ma il FN non è vietato in Francia, anzi è il primo partito di Francia… Mi hanno chiesto se ero un nazionalista francese. Se amare il mio paese, la Bretagna, l’Europa dall’Atlantico agli Urali è nazionalismo, allora accetto l’aggettivo”.
 
Il 17 febbraio, sei dei suoi allievi sono stati convocati in gendarmeria dove hanno subito un interrogatorio sul che cosa aveva detto il professore “riguardo alla Russia e a Vladimir Putin”.
 

Le e-mail di Clinton, l’attentato a Bengasi finanziato dai sauditi

Le donne sono sempre migliori a prescindere, dicono i moralmente superiori. E poi il mostro è stato indicato, è Trump, come ha dichiarato lo stesso filantropo Soros, un poveraccio dedito a migliorare la vita di altri poracci no? Vogliamo mica scandalizzarci se la fondazione Clinton in pratica è sostenuta in buona parte dai sauditi?
marzo 12, 2016
 
William Reynolds MediumZerohedge
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Qualcosa è passato inosservato nel chiacchiericcio sull’inchiesta per le e-mail di Hillary Clinton, è il contenuto delle fughe originali che avviavano l’indagine. Nel marzo 2013, un hacker rumeno che si fa chiamare Guccifer, hackerava l’account AOL di Sidney Blumenthal e passava a RussiaToday quattro e-mail contenenti l’intelligence sulla Libia che Blumenthal inviò a Hillary Clinton. Per coloro che non hanno seguito questa storia, Sidney Blumenthal è un vecchio amico e consigliere della famiglia Clinton, che in veste non ufficiale inviò molti “memo d’intelligence” a Hillary Clinton durante il suo mandato a segretaria di Stato. Originariamente apparse su RT.com con font Comic Sans su sfondo rosa, con la lettera “G” maldestramente disegnata in filigrana, nessuno prese queste e-mail sul serio quando uscirono nel 2013. Ora, però, possiamo confrontare queste fughe con le e-mail che il dipartimento di Stato ha pubblicato. I primi tre messaggi di posta elettronica, passate a Russia Today, di Blumenthal a Clinton, appaiono parola per parola nei comunicati del dipartimento di Stato. Della prima e-mail, Clinton chiese fosse stampata e inoltrata al vicecapo staff Jake Sullivan. Della seconda e-mail Clinton la descriveva come “intuizione utile” e l’inoltrava a Jake Sullivan chiedendogli di farla circolare. La terza e-mail fu sempre trasmessa a Jake Sullivan. La quarta non appare nelle registrazioni del dipartimento di Stato. L’e-mail mancante è del 16 febbraio 2013, ed appare solo nella fuga originale, ed affermava che le agenzie d’intelligence francesi e libiche avevano prove che gli attacchi ad In Amenas e Bengasi furono finanziati da “islamisti sunniti dell’Arabia Saudita”. Ciò sembrava una stravagante affermazione, e come tale fu segnalata solo dai cospirazionisti. Ora, però, c’è la prova che le altre tre e-mail trapelate rientravano nella corrispondenza tra Blumenthal e Clinton che non solo la leggeva, ma pensava bene di fral circolare nel dipartimento di Stato. Guccifer parla inglese e la maggior parte dei suoi scritti è costituita da cospirazionismo sconnesso, ed è improbabile che possa falsificare tale briefing d’intelligence in modo convincente. Ciò significa che abbiamo un’e-mail da un consulente di fiducia di Clinton che sostiene che i sauditi finanziarono l’attacco di Bengasi, e non solo a ciò non seguì nulla, ma non c’è alcuna registrazione di tale e-mail, fatta eccezione la fuga presso Russia Today.
 
Perché questa e-mail manca? In un primo momento si pensava che ci fosse una sorta di cover up, ma è molto più semplice. L’e-mail in questione fu inviata dopo il 1° febbraio 2013, quando John Kerry divenne segretario di Stato, quindi non rientrava nel periodo indagato. Nessuno cercava una copia di questa e-mail. Dato che Clinton non era segretaria di Stato, il 16 febbraio, non era suo compito seguirla. Quindi cerchiamo di dimenticare per un minuto le implicazioni legali sulle indagini delle e-mail. Come è possibile che a tale rivelazione sull’Arabia Saudita resa pubblica con una fuga, e rivelatasi autentica, nessuno sembra badarci? Chiaramente Sidney Blumenthal era affidabile per Hillary Clinton. Due mesi prima, la segretaria Clinton trovò le sue intuizioni abbastanza preziose da condividerle con l’intero dipartimento di Stato. Ma due settimane dopo la fine del mandato a segretaria di Stato, ricevette un’e-mail che sosteneva che l’Arabia Saudita finanziò l’assassinio di un ambasciatore statunitense, e chiaramente non fece nulla di queste informazioni. 
 
Anche il non averle consegnate alla Commissione che indaga sugli attacchi di Bengasi, non sarebbe rilevante? Non doveva cedere volontariamente queste informazioni? E perché i repubblicani apparentemente così preoccupati per gli attacchi di Bengasi, non posero domande sul coinvolgimento saudita? Forse la segretaria Clinton non disse a nessuno ciò che sapeva del presunto coinvolgimento saudita negli attentati, perché non voleva mettere in pericolo i milioni di dollari in donazioni saudite per la Fondazione Clinton? Questi sono esattamente il tipo di conflitti che gli standard etici dovrebbero impedire.
 
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Blumenthal e Clinton
 
Un’altra e-mail mancante salta fuori
Guccifer scoprì qualcosa di diverso nel suo pirataggio, ma che non poteva essere verificato finché l’ultimo dei messaggi di posta elettronica non fu pubblicato dal dipartimento di Stato la scorsa settimana. Oltre alle quattro e-mail rese pubbliche, trapelò anche uno screenshot della posta in arrivo su AOL di Sidney Blumenthal. Se s’incrociano questo screenshot con le e-mail di Blumenthal rese pubbliche dal dipartimento di Stato, si vede che l’e-mail con oggetto “H: ultime sulla sicurezza in Libia. Sid”, appare assente dalle e-mail del dipartimento di Stato. Questa e-mail certamente sarebbe richiesta nell’ambito delle indagini, essendo stata inviata prima del 1° febbraio e riferendosi chiaramente alla Libia. Il fatto che non sia presente suggerisce due possibilità:
– Il dipartimento di Stato ha una copia di questa e-mail, ma la ritiene top secret e troppo sensibile da pubblicare, anche in forma censurata. Ciò indicherebbe che Sidney Blumenthal inviò informazioni altamente riservate dal suo account AOL alla segretaria Clinton con un server per e-mail privato, nonostante non abbia mai avuto nemmeno il nulla osta di sicurezza per riferire di tali informazioni sensibili, innanzitutto. Se questo scenario spiega perché l’e-mail non è presente, i materiali classificati furono gestiti male.
Il dipartimento di Stato non ha una copia, e questa e-mail fu cancellata da Clinton e Blumenthal prima di scambiarsi altre e-mail citate dagli investigatori, e ciò sarebbe considerata distruzione di prove e spergiuro ai funzionari federali. Ciò spiegherebbe anche il motivo per cui il server privato clintonemail.com fu creato. Se Blumenthal inviava periodicamente informazioni altamente sensibili anche se tecnicamente “non classificate” dal suo acconto AOL, all’indirizzo e-mail ufficiale governativo di Clinton, avrebbe potuto essere svelato con una richiesta FOIA. E’ già chiaro che Hillary Clinton cancellò 15 e-mail di Sidney Blumenthal, e tale discrepanza fu scoperta quando le e-mail di Blumenthal furono citate, anche se un funzionario del dipartimento di Stato afferma che alcuno di questi 15 messaggi di posta elettronica recasse informazioni sull’attacco di Bengasi. Sembrerebbe dal testo oggetto che tali e-mail invece l’avessero. Ma sono assenti dal registro pubblico.
In uno di tali scenari, Clinton e i suoi più stretti collaboratori violarono la legge federale. Nell’interpretazione più generosa queste e-mail furono semplicemente delle voci che Blumenthal sentì e inoltrò, senza richiesta, a Clinton, ma non avrebbe alcun senso che sparissero. Non sarebbero state classificate se fossero state solo aria fritta, e certamente non sarebbero state cancellate sia da Blumenthal che da Clinton rischiando di commettere un crimine. Nell’interpretazione meno generosa di questi fatti, Sidney Blumenthal e Hillary Clinton cospirarono per coprire un alleato degli Stati Uniti che finanziò l’assassinio di uno dei loro diplomatici in Libia.
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Un gran giurì è probabilmente stato già riunito
Dopo che le ultime e-mail furono pubblicate dal dipartimento di Stato il 29 febbraio (2016), fu segnalato la scorsa settimana che: “un membro del personale IT di Clinton che gestiva il server di posta elettronica, Bryan Pagliano, ha avuto l’immunità da un giudice federale, suggerendo che testimonierà al gran giurì sulle prove a cui si riferisce l’indagine, portando a un’incriminazione. Finora, Pagliano aveva supplicato il quinto (emendamento) rifiutandosi di collaborare all’inchiesta“. L’hacker Guccifer (Marcel Lazar Lehel), padre di un bambino di 18 mesi, ha avuto concesso l’ordine di estradizione temporanea negli Stati Uniti da un tribunale rumeno, nonostante fosse stato incriminato dagli Stati Uniti nel 2014. Guccifer sarà estradato per testimoniare alla giuria che lo screenshot dell’e-mail assente è autentico? La procuratrice generale Loretta Lynch è stata intervistata da Bret Baier e non avrebbe risposto se un gran giurì sia stato convocato. Se non lo fosse, avrebbe potuto dirlo, ma se un gran giurì si riunisce per discutere le prove, non avrebbe legalmente il permesso di commentarlo. Tale scandalo può far saltare la campagna di Clinton per le elezioni presidenziali. Se Hillary Clinton ha veramente a cuore il futuro del Paese e del partito democratico, si dimetta ora mentre c’è ancora tempo per nominare un altro candidato. Non è una cospirazione di destra, ma si tratta del mancato rispetto di uno dei nostri più alti funzionari governativi delle leggi che preservano la trasparenza del governo e la sicurezza nazionale. E’ tempo di chiedere alla segretaria Clinton di dire la verità e fare la cosa giusta. Se il governo degli Stati Uniti davvero prepara una causa contro Hillary Clinton, non possiamo aspettare finché sarà troppo tardi.
 
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Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Napoli. Niente sale operatorie: donna muore a 42 anni


Grazie al Pd, grazie Renzi, grazie all’FMI e grazie all’europa dei popoli che TANTO NON GRADISCONO LE SPESE PER LA SANITA’.
Grazie anche a chi non ha tempo di scendere in piazza per difendere la sanità ma sono per scaramucce tra bande.
 
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di Ettore Mautone
 
NAPOLI – Un’altra tragedia a Napoli frutto della disorganizzazione della sanità. Una donna di 42 anni, Francesca Napolitano di Bagnoli, è morta ieri mattina alle ore 8 nella sala di rianimazione dell’ospedale Monaldi dopo aver atteso tutta la notte un ricovero urgente per un intervento che non è mai arrivato e che sarebbe servito per decomprimere il suo cuore afflitto da una miocardite acuta. Le due sale operatorie del nosocomio napoletano erano entrambe impegnate per un intervento di espianto al cuore e un secondo intervento per un aneurisma dissecante dell’aorta.
 
E altre nove sale operatorie delle strutture pubbliche e private della Campania avevano opposto al 118 i rifiuti al ricovero e al trattamento della paziente, nonostante l’ospedale San Paolo, presso il quale era ricoverata, ne avesse segnalato la gravità ed urgenza fin dalle 3 del mattino. Dopo la morte sono scattate subito le denunce dei familiari e ieri i carabinieri del Nas hanno acquisito le cartelle cliniche relative alla vicenda.
 
Gianantonio Nappi, primario del reparto di Cardiochirurgia Generale e dei Trapianti del Monaldi, al Mattino ha ammesso che non è stato possibile intervenire sulla donna in sala operatoria per la contemporanea indisponibilità dei due presidi chirurgici presenti nell’ospedale e impegnati in altri interventi, e ha denunciato la disorganizzazione della rete ospedaliera cardiochirurgica della regione: «È possibile che tutte le altre Cardiochirurgie erano indisponibili? Sono stati contattati gli altri centri?»
 
«Le condizioni della paziente – affetta da miocardite complicata da tamponamento cardiaco – erano gravissime, pressoché terminali. Nonostante avessimo le due sale operatorie occupate, è stata accolta e trattata al meglio. Nel frattempo venivano eseguiti due interventi di altissima difficoltà: un trapianto cardiaco e una dissezione aortica acuta. Il fronteggiare contemporaneamente queste tre emergenze chirurgiche ha creato grosse difficoltà, superate solo grazie alla dedizione e all’impegno di tutto il personale sanitario del reparto e della direzione dell’ospedale. Quanto accaduto dimostra ancora una volta l’impellente necessità di una riorganizzazione della rete dell’urgenza-emergenza cardiochirurgica nella nostra Regione» spiega il primario del Monaldi.

“Prato era un mio amico”. ​La rivelazione della Luxuria

L’ex deputato di Rifondazione Comunista, Vladimir Luxuria è intervenuto a Tagadà su La7 e sull’Huffington Post dichiarando di conoscere Marco Prato, l’assassino insieme a Manuel Foffo di Luca Varani
Gabriele Bertocchi – Ven, 11/03/2016 – 15:12
 
Il giro di amicizie vip attorno all’assassino di Luca Varani, Marco Prato, si allarga.
 
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Il 29enne romano era noto nella Capitale per il suo lavoro di pr nelle serate gay.
 
Dopo il flirt con la showgirl Flavia Vento apparso più di un anno fa sui giornali di gossip, il sito web Blitz quotidiano riporta le parole dell’ex Deputato di Rifondazione Comunista, Vladimir Luxuria. “Marc Prato, uno degli assassini di Luca lo conoscevo, eravamo amici su Facebook. Sono agghiacciata da quanto sentito, non avrei mai immaginato il mostro che covava in quel ragazzo”. Un’amicizia maturata probabilmente nella movida romana. Prato inoltre lavorava anche al Muccassassina, noto ritrovo nella Capitale di cui Luxuria è stata una dei fondatori.
 
Luxuria è stata anche intervistata dall’Huffington Post: “Non conoscevo personalmente nessuno dei due ragazzi coinvolti, né la vittima, ma non ritengo giusto declinare questo omicidio dal punto di vista dell’orientamento sessuale”. Luxuria, attivsta gay, conosce l’ambiente ma ci tiene a precisare che “ogni giorno in Italia, purtroppo, accadono delitti e altri crimini: qui si tratta di follia vera legata all’uso spropositato di sostanze stupefacenti. Ci sono i gay ‘normali’ e gli etero ‘normali’ che hanno relazioni normali; poi ci sono i gay e gli etero ‘folli’ che compiono atti del genere”.
 
L’ex deputato aggiunge anche che “ci sono sempre più persone, amici o conoscenti uniti dagli stessi gusti sessuali e dal consumo di droga, che organizzano feste private a casa e poi mandano gli inviti sui social”. prosegue la Luxuria, “è una maniera, la loro, per sentirsi al sicuro, per non essere controllati, e spesso esagerano, ma qui si è davvero oltrepassato il limite. Bisogna mettere in guardia tutte queste persone sui pericoli veri ed effettivi che tale uso comporta”.
 
Nell’intervista Luxuria analizza anche la figura della vittima, Luca Varani, considerato un omofobo da quelle che ermge dai post pubblivati su Facebook. “Spesso, la storia e i fatti lo dimostrano, i più grandi omofobi sono dei gay repressi, quindi indagherei anche su questo altro aspetto. La vittima era poco più che ventenne e aveva la fidanzata, ma cosa ci stava a fare di venerdì sera in un appartamento della periferia romana con due ragazzi dichiaratamente omosessuali e amanti dello sballo in tutti i sensi, invece di stare con lei? La risposta è decisamente ovvia”.

Raid israeliano sulla Striscia di Gaza, ucciso bambino palestinese di 10 anni

Oggi alle 10:55

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Gli incendi causati dai bombardamenti a Gaza
Un bambino palestinese di dieci anni è rimasto ucciso questa mattina in un raid israeliano sulla Striscia di Gaza.
Lo hanno reso noto fonti mediche, secondo cui Yasin Abu Khousa è morto, mentre sua sorella è rimasta gravemente ferita, in un’operazione condotta prima dell’alba contro una postazione di addestramento dei militanti nel nord della Striscia.
I raid israeliani sono stati condotti in reazione ad un attacco contro il sud del Paese, dove sono caduti quattro proiettili di fabbricazione artigianale sparati da militanti, che non hanno causato danni o vittime.
Testimoni hanno raccontato di aver visto sorvolare alcuni caccia sulla Striscia di Gaza, prima di sentire una serie di esplosioni a Gaza City, ma anche a nord e sud.

Israele chiude l’emittente la tv Palestine Today: arrestato il direttore

Ieri alle 11:28 – ultimo aggiornamento alle 13:19

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Un soldato israeliano
All’alba di questa mattina, soldati israeliani hanno fatto irruzione nella sede principale dell’emittente satellitare Palestine Today Tv, nella città di al-Bira, vicino Ramallah (Palestina) e ne hanno imposto la chiusura.
Nel blitz sono stati arrestati anche il direttore Faruq Aliat, il fotoreporter Muhammad Amro e un tecnico di trasmissione, Shabib Shabib.
Vive proteste arrivano dall’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palsetina, che attraverso il segretario generale, Saeb Erekatsi, si appella alla comunità internazionale per “sanzionare Israele per le sue pratiche aggressive”, ricordando come queste attività includano “esecuzioni extragiudiziarie, omicidi, arresti, demolizioni di case e confisca delle terra”.
La chiusura dell’ufficio di Palestine Today Tv, che trasmette dal Libano, era stata annunciata dall’ufficio del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, dopo una riunione del gabinetto di sicurezza, dove l’esecutivo di Tel Aviv ha disposto la serrata anche delle stazioni radiofoniche palestinesi “che incitano al terrorismo contro gli israeliani” e “il ritiro delle licenze di lavoro e di commercio alle famiglie dei terroristi palestinesi e dei loro parenti”, procedendo al tempo stesso a demolire le loro abitazioni”.
L’accusa nei confronti di Palestine Tv e del suo direttore è di “incitamento alla violenza”. Con i suoi programmi, l’emittente avrebbe fatto da strumento principale per la jihad, spingendo le persone “ad attacchi terroristici contro lo Stato di Israele e i suoi cittadini”.
177 ARRESTI NELLA NOTTE – Nel frattempo, la polizia israeliana ha fatto sapere di aver arrestato durante la notte 177 lavoratori palestinesi “illegali”, entrati nel Paese senza permesso.
Questo, dopo aver compiuto controlli in oltre trecento cantieri, in cui lavora la maggior parte dei lavoratori palestinesi. Perquisizioni anche nei loro alloggi, i cosiddetti “dormitori”.
Mercoledì e giovedì erano stati arrestati altri 250 palestinesi senza permesso e altre 30 persone che avevano dato loro lavoro o li avevano ospitati.

considerazioni su Sabrata

Queste brevi osservazioni erano state spedite tempo fa ma non sono arrivate a destinazione causa un disguido. Sono ormai superate dagli eventi, ma contengono un’interpretazione sui retroscena che altri non hanno voluto considerare. In poche parole: Quello che è successo a Sabrata è una mossa dei Fratelli Musulmani attuata mediante l’uso di suoi surrogati locali e che cerca, con il consenso di potenze arabe e occidentali, di ergersi a protagonista della scena libica e mediorientale, ricuperando i contraccolpi subiti in Siria, Iraq, Egitto.
 
 
SABRATA: colpo all’Egitto
 
E’ necessario reagire all’uragano di falsità, ignoranza, depistaggi, disinformazione che si abbatte sull’opinione pubblica dai vari “esperti”, politici, militari, spie, provocatori che imperversano nei talk show, tg e giornali.
 
Se la logica, il cui prodest e la storia costituiscono un criterio di valutazione, l’uccisione dei due italiani a Sabrata e la continuata detenzione degli altri due costiuiscono un chiaro e feroce messaggio al governo italiano e ai suoi piani relativi all’intervento in Libia.
Per gli uni si tratterebbe di un pretesto architettato per incitarci, insieme agli alleati Nato (del resto già presenti sul campo), a intervenire in forze, superando esitazioni e riserve, specialmente nell’opinione pubblica.
Per gli altri sarebbe invece un avvertimento a Roma di non intervenire.
Per i fessi sarebbe vero quello che ambigui personaggi in divisa a Sabrata stanno raccontando, cioè la balla dello scontro armato tra milizie filo-Tripoli (o esercito di Tripoli) di Sabrata con elementi dell’Isis in cui gli italiani sarebbero stati colpiti accidentalmente, o perchè usati come scudi umani.
Tutti si scordano dello scenario complessivo.
Non c’è dubbio che di messaggio a Roma si tratti. E di ricatto per mezzo dei due italiani ancora sequestrati.. Ma va visto in continuità sia con l’attacco al consolato italiano in Egitto dell’anno scorso, sia con gli accordi Cairo-Roma-ENI, relativi allo sfruttamento del gas egiziano nel Mediterraneo, sia con la maggiore inclinazione italiana verso il governo laico di Tobrurk e il generale Khalifa Haftar, sponsorizzati dall’Egitto, sia con l’assassinio di Giulio Regeni, fatto ritrovare.torturato ai piedi di Al Sisi nel giorno in cui la delegazione italiana al Cairo doveva firmare una serie di accordi industriali, finanziari e relativi al gas.
Alla luce del fatto che i Fratelli Musulmani, da sempre manovalanza anti-araba del colonialismo e oggi fiduciari del Qatar, conducono la sanguinosa campagna terroristica in Sinai e nell’Egitto, governano a Tripoli, sono cugini se non padrini delle bande di tagliagole di Misurata e di tutte le formazioni jihadiste in Medioriente, sono i più probabili esecutori dell’operazione Regeni, l’episodio di Misurata credo debba essere collocato nella campagna sion-imperialista contro l’Egitto e il suo ruolo in Libia e nel quadro delle rivalità inter-Nato (in particolare Francia e Regno Unito contro Italia) per il ruolo di protagonisti nella riconquista della Libia e del suo petrolio.
Insomma, l’Italia se ne stia fuori dai giochi e, in ogni caso, non si azzardi di collaborare con Egitto e Tobruk a una soluzione anti-Fratellanza del nodo libico.
Rinvio anche al mio ultimo post sul blog www.fulviogrimaldicontroblog.info su Regeni e dintorni.
 
Fulvio

Migranti, avvocati in rivolta: “Basta lavorare gratis per loro”

eh già. Fin che c’è da lucrare, tutti accoglienti. Ma quando c’è da pagare di tasca propria l’amore fraterno sparisce per incanto…..
 
La legge italiana prevede l’assistenza legale gratuita per chi non ha le risorse economiche sufficienti. Ma gli immigrati ne approfittano
Anna Rossi – Gio, 10/03/2016 
 
Sempre più immigrati, allontanati dai centri di accoglienza, fanno ricorso per essere reintegrati nel programma di protezione internazionale e gli avvocati italiani devono difenderli gratuitamente.
 
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La legge italiana lo prevede. Se un profugo ha comportamenti violenti può essere allontanato dal cento di accoglienza, ma a sua volta può fare ricorso e chiedere di essere reintegrato nel programma di protezione internazionale. In tribunale, poi, vengono difesi legalmente dagli avvocati che non possono chiedere denaro perché il loro assistito non ha le risorse economiche sufficienti.
 
I casi di difesa gratuita ci sono sempre stati, ma negli utimi tempi sono aumentati notevolmnte con i ricorsi degli immigrati. Il nostro Paese non riesce più sopportare una situazione simile, in primis il Veneto dove l’immigrazione è più massiccia. Infatti, l’ufficio degli avvocati di Venezia che presta servizio gratuitamente non ne può più perché questa pratica va a discapito delle difese a pagamento. I clienti “normali”, infatti, devono subire tempi di attesa lunghissimi perché le richieste dei profughi oberano di lavoro gli avvocati.
 
“La situazione comincia a diventare insostenibile” – ha spiegato l’Ordine degli avvocati. “I nostri legali stanno assecondando le richeiste degli immigrati, ma non riescono più a stare dietro ai loro clienti che pagano regolarmente. Bisogna risolvere questo problema o finiranno con il perdere credibilità e assistiti” – ha concluso l’Ordine.