Quinto: Non uccidere

Tutto sotto controllo. Eppure la polvere s’alza e ammorba l’aria. Tutto il bosco al cantiere si sta ricoprendo della roccia tritata della montagna.

di Gabriella Tittonel

Un tempo era una splendida, quieta vallettina, oggi è l’inferno della polvere, consegnata a questo avverso destino dalla caparbietà, dalla sete di potere e di denaro di cervelli votati a una devastante visione di progresso.

Tu comprendi la sua bellezza percorrendo l’agevole sentiero che dalle ultime case di Giaglione segue il sinuoso percorso che attraversa un monte ricco di alberi che fino a pochi decenni fa si contendevano i fianchi con coraggiosi vigneti aggrappati a terra e pietre.

Qui ci sono zone d’ombra percorse dai ripidi passi dei caprioli e alberi accoglienti che danno ospitalità a stormi di uccelli, particolarmente ciarlieri all’alba e alla sera.

Ma poi giungi al torrente, al Clarea, e da qui l’orizzonte muta, chiuso da file di recinzioni di cemento e ferro, da rotoli di filo spinato, quello israeliano, per intenderci, quello delle migliori zone di guerra, realizzato per fare male, per lacerare.

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Qui è tutto lacerazione, distruzione, in nome della grande opera che s’ha da fare, perché l’Europa la vuole, le lobby la vogliono, i famelici del business la vogliono, i devastatori della terra la vogliono, quasi un mantra quello ripetuto dai promotori di turno, un noioso bla, bla…. Tutti a sostenere quest’immaginario collettivo, di cui molti parlano senza aver mai visto, scrivono senza aver mai visitato, tutti a parlare di un inizio di buco nel ventre della terra, una sorta di masturbazione mentale dove l’immaginario viene accresciuto dalla presenza dei tanti posti a vigilare sul cantiere, persone messe con i loro corpi a intimidire diverse presenze di cittadini intorno e persone costrette a diventare “nemici” per difendere interessi altri.

Qui i rumori del bosco scompaiono, annullati dal frastuono delle trivelle, dei mezzi di cantiere, compreso quello del pur incredibile camioncino dispensatore d’acqua sulle strade interne, su e giù tutto il giorno per trattenere  almeno un poco la polvere…

Già, la polvere… Finissima, invadente, impossibile tenerla lontana, più tenace del più focoso fra  gli amanti, che  penetra ovunque… polvere di roccia, polvere di galleria, polvere delle tonnellate di cemento che qui già sono state sversate, ancora nelle viscere della terra… polvere che danza sul nastro trasportatore e poi precipita nei mucchi in basso, polvere che un attimo prima era mista all’acqua e che poi subito dopo, asciutta, galleggia impalpabile nell’aria, s’alza verso l’alto, si conquista il piano dell’autostrada, poi la collinetta a fianco e quindi scende lungo il canalone della Dora e poi ancora s’allunga equamente  fra bassa e alta valle, in una sorta di placido riposo dopo tanta fatica affrontata per venire fuori dal buio…

Polvere. Nei progetti si afferma che nulla si sarebbe disperso… tutto sotto controllo… e neppure amianto, uranio… Tutto costantemente monitorato… Una brutta favola anche questa, perché questa anonima cipria intanto che si presenta al mondo del fuori perde la propria identità… non ha più nome… solo un’unica possibilità, quella di fuggire ovunque…

E così s’alza e s’abbassa e le fibre più piccine, più insidiose e pure più desiderose d’affetto e protezione, vicino alla terra rimangono… volano su e giù per la valle, dentro e fuori gli umani, alla ricerca di un luogo confortevole dove porre dimora… piccole fibre assassine che già hanno iniziato a dare i primi segnali… Un improvviso fiotto di sangue dal naso, ad esempio…  una tosse che persiste… non ci sono confini di protezione nella valle… E lo si capisce meglio nelle giornate di vento, nelle quali maggiore è la polvere che danza…

Il bosco intorno al cantiere sta ricoprendosi tutto della roccia tritata della montagna, finissima polvere bianca che giorno dopo giorno impedirà anche allo stesso di respirare…

Da giorni, con il peggiorare della situazione, dopo alcuni giorni di vento, le Forze dell’Ordine sono meno visibili nel cantiere, a eccezione di alcuni giovanissimi soldati alla baita, quelli sempre presenti, in mezzo allo scrosciare della polvere… Alcuni soldati e gli operai… Nessuna protezione, consegnati al ruolo di macchine anch’essi al servizio della grande macchina dell’alta velocità… Consegnati a un inferno in terra che non potrà non presentare, in un futuro forse neppure troppo lontano, pesantissimi conti…

In tanto vociferare di compensazioni, qui loro le avranno sicuramente… Ma non saranno quelle sbandierate ai quattro venti… saranno compensazioni rese visibili attraverso le malattie, le morti precoci… Compensazioni di cui in valle tutti potranno usufruire, come se non bastasse quanto già esiste sul territorio.

Ultimamente una nuova parola si sta facendo strada, “terrorismo”… Ebbene c’è… Sta facendo vittime, grazie al tacito consenso di coscienze addormentate o pigre, che pur vedendo, pur sentendo, girano la testa e la ragione altrove… Non è una storia nuova… È storia che cammina a fianco dei tanti morti per l’amianto, per l’inquinamento, come nella terra dei fuochi… là i fuochi, qui la polvere… Là stanno portando fiori a chi è già entrato in quell’oltre, qui la storia è appena iniziata… Storia che si erge davanti alla coscienza di ciascuno con un perentorio quinto comandamento, quello di non uccidere. Direttamente o indirettamente…

Siamo dunque al capitolo successivo di questo più che ventennale romanzo: non si tratta dunque più di essere in linea di principio favorevoli oppure no alla grande opera e neppure si può più conservare una posizione neutra “per non creare divisioni nella collettività”. Ora si parla di vita.

Per ciascuno oggi è giunto il tempo di Caino: “Sono forse responsabile per mio fratello?”

Non c’è altra storia dopo…

G.T. 16.05.14

Quinto: Non uccidereultima modifica: 2014-05-16T10:56:15+02:00da davi-luciano
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