Il Fmi detta all’Italia la riforma della Giustizia

una riforma a misura di crescita, la giustizia non importa che sia giusta, ma che sia adatta agli investimenti…roba d matt
giovedì, 13, febbraio, 2014
Allarme del Fmi sulla giustizia italiana: “L’inefficienza del sistema giudiziario italiano ha contribuito a ridurre gli investimenti e rallentare la crescita”. In un working paper sul sistema italiano il Fondo punta il dito contro “gli eccessivi ritardi nei procedimenti in tribunale che comportano un numero molto alto di casi pendenti”, l’alto numero di tribunali, di avvocati (350 ogni per 100mila abitanti).
Il governo, afferma il Fmi, ha preso negli ultimi anni delle misure per migliorare la situazione misure che “vanno nella giusta direzione”, il riferimento è ad alcune disposizioni in merito contenute nel decreto ‘Fare’ e in ‘Destinazione Italia’, tuttavia “bisogna fare di più”.
In cima alle priorità indicate dal Fondo, tra le altre, la riforma del sistema d’appello; l’aumento le sanzioni; schemi di conciliazione obbligatori; riduzione del numero dei tribunali, accelerazione degli iter processuali.
http://www.imolaoggi.it/2014/02/13/il-fmi-detta-allitalia-la-riforma-della-giustizia/

Distruggono le nazioni e poi propongono prestiti. Fmi all’assalto in Serbia

mercoledì, 26, febbraio, 2014
Una missione del Fondo monetario internazionale (Fmi) sara’ da domani a Belgrado per un’esame della situazione economica e finanziaria della Serbia e per vagliare le condizioni di un possibile prestito precauzionale al Paese balcanico. La delegazione, guidata da Zuzana Murgasova, si fermera’ in Serbia fino al 13 marzo.
L’ultimo accordo di prestito dell’Fmi alla Serbia fu concluso a fine settembre 2011, ma fu congelato nel febbraio successivo poiche’ la legge di bilancio 2012 non aveva rispettato il programma fiscale concordato da Belgrado con l’Fmi.
Una fonte del ministero delle finanze serbo ha osservato che i colloqui sono di natuta tecnica, e che il negoziato per un eventuale prestito precauzionale prenderebbe il via solo dopo la formazione del nuovo governo, conseguenza del voto anticipato in programma in Serbia il 16 marzo (ANSAmed)

NON CONSUMO E MI CONSUMO (LA FAMIGLIA) – LA CRISI STRANGOLA GLI ITALIANI CHE HANNO TAGLIATO SU TUTTO, ANCHE SULLE SPESE ALIMENTARI – METÀ DEI TRENTENNI VIVE ANCORA CON LA PAGHETTA DEI GENITORI – – – –

per favorire questa bassa crescita per usare le parole di Padoan è necessario comprimere salari e tassare ancora i consumi, sempre secondo il “tecnico” Padoan
Un genio
Ormai si taglia anche l’indispensabile: ne è un’altra prova la flessione del valore degli acquisti di farmaci (-2,4%) – Vanno bene i discount, i low cost e gli esercizi specializzati – Negli ultimi dodici mesi sono andate in fumo quasi 19 mila imprese del commercio al dettaglio – E nel 2014 non è previsto un miglioramento…

1. LA CRISI STRANGOLA I CONSUMI – IL PEGGIOR CALO DI SEMPRE
Luigi Grassia per ‘La Stampa’
Speriamo che in questo 2014 le cose vadano meglio ma di certo il 2013 dell’economia in Italia è stato brutto e lo conferma il crollo dei consumi, l’indicatore più sicuro del malessere delle famiglie: il -2,1% rispetto a un anno prima è il dato peggiore dal 1990 cioè da sempre visto che la serie storica è cominciata allora. In parole povere era da almeno 24 anni, ma in realtà potrebbero essere molti di più, che i commercianti non si trovavano di fronte a cifre simili.
Fra l’altro, il 2013 è stato l’ultimo di diversi anni di consumi in calo, quindi quel -2,1% è rispetto a dati già bassi in maniera patologica. È da un quadriennio che per colpa della crisi le famiglie sono costrette a stringere la cinghia, se si esclude la piccola eccezione del 2010, quando sembrò profilarsi una ripresa (ma a ben guardare anche quell’eccezione evaporerebbe facendo i calcoli in termini reali, ovvero al netto dell’inflazione).
Fra i numeri dell’Istituto nazionale di statistica colpiscono soprattutto quelli del comparto alimentare. Nel 2013 gli italiani, attanagliati dalla recessione, hanno dovuto risparmiare pure a tavola, dove i consumi sono calati dell’1,1% come non accadeva dal 2009.

La forzosa «spending review» delle famiglie non sembra conoscere limiti e dopo avere eliminato il superfluo va a intaccare pure i beni di prima necessità. Ne è un’altra prova la flessione del valore degli acquisti di farmaci (-2,4%). Certo si deve pur mangiare e la soluzione è offerta dai discount, cioè i negozi di prodotti super-scontati che sono gli unici a terminare l’anno in positivo (+1,6%), seguiti a distanza dai cosiddetti esercizi specializzati (+0,5%), cioè i negozi focalizzati su una singola tipologia (mobili, abbigliamento, libri).

L’aumento delle vendite «low cost» preoccupa la Coldiretti che mette in guardia dai «prodotti offerti spesso a prezzi troppo bassi, prodotti di scarsa qualità che rischiano di avere un impatto sulla salute» (benché non si debba generalizzare né criminalizzare a priori i prodotti dei discount, visto che queste catene di negozi svolgono una funzione utilissima nella crisi, sono un fattore di sopravvivenza per molte famiglie). Tutto il resto del settore della distribuzione, compresi i supermercati e gli ipermercati, registra un giro d’affari in contrazione, a cominciare dai piccoli negozi, come le botteghe e gli alimentari sotto casa (-2,9%).
Un ulteriore risvolto negativo, evidenziato dalla Confesercenti, sta nel fatto che nei passati dodici mesi sono andate in fumo quasi 19 mila imprese del commercio al dettaglio, più di duemila solo nell’alimentare, strangolate dalla mancanza di clienti. E un’altra associazione, la Confcommercio dice che «l’ennesimo calo congiunturale, quello di dicembre, è molto peggiore del previsto». Infatti neppure il Natale è riuscito a spronare la domanda. Anzi, l’arretramento è stato netto (-0,3% su novembre e -2,6% su base annua). Federdistribuzione parla di «un comportamento di freno ai consumi, divenuto ormai consolidato».

I conteggi delle associazioni di consumatori sembrano non lasciare scampo: secondo Federconsumatori e Adsubef solo per i prodotti della tavola in media una famiglia ha diminuito la spesa di 309 euro, e non perché i prezzi siano calati ma perché si è proprio comprata meno roba.
Il Codacons guardando più in là prevede un altro anno debole sul fronte consumi, ipotizzando un calo dello 0,8% per il 2014. Non fa ben sperare il dato sulla fiducia dei consumatori a febbraio, di nuovo in calo, anche se le interviste dell’Istat si fermano alle prime due settimane del mese e quindi non possono registrare gli eventuali effetti del nuovo governo sul dato della fiducia.

Da ‘La Stampa’

Se per caso i ragazzi italiani sono «bamboccioni» è per necessità e non per scelta: data la disoccupazione giovanile alle stelle, restare in famiglia può essere una scelta obbligata, e così più della metà dei trentenni vive ancora con la paghetta dei genitori (51%) o di altri parenti (3%). È quanto emerge dall’ analisi Coldiretti/Ixe su «Crisi: i giovani italiani e il lavoro nel 2014».
Dall’indagine emerge lo scoraggiamento dei giovani in cerca di un lavoro che è sempre più difficile da trovare, a meno di raccomandazione (l’80% ritiene che sia necessaria per trovare posto), tanto che nell’ultimo anno il 44% dei ragazzi non ha inviato alcuna domanda per trovarlo. Ma pur di lavorare quasi un giovane su quattro (il 23%) accetterebbe un posto da spazzino, il 27% entrerebbe in un call center e il 36% farebbe il pony express. Per assicurarsi il posto si è disposti anche ad accettare un orario più pesante con lo stesso stipendio (33%).
Coldiretti invita a considerare le molte opportunità di lavoro collegate all’agricoltura, sempre più creativa e flessibile nell’adattarsi ai nuovi scenari economici, e illustra le proposte di nuovi mestieri: dall’agritata che fa asilo nido in fattoria al tutor dell’orto che insegna il piacere di far crescere ortaggi e frutta sul balcone di casa o nei cortili delle scuole.
L’organizzazione agricola ha avviato presso le sedi e gli sportelli territoriali il portale «Lavoro in campagna», una banca dati per favorire l’incontro di domanda e offerta in agricoltura. Sul sito verranno archiviate e rese disponibili sia le richieste di manodopera delle imprese che i curricula e le disponibilità dei lavoratori.
[lui. gra.]
http://www.dagospia.com/rubrica-29/Cronache/non-consumo-e-mi-consumo-la-famiglia-la-crisi-strangola-gli-italiani-che-hanno-72590.htm

AGENZIA McKINSEY, Banca Mondiale e certa “bella gente”…

 
            L’Agenzia McKinsey, grande sponsor di Matteo Renzi, viene citata all’interno di un documento molto interessante, redatto nel Marzo 1998[1] da Giovanni Ferri, Principal Financial Economist della Banca Mondiale.  Proviene dagli archivi di MPS[2] (Monte Paschi di Siena),
 
            I contenuti del comunicato non fanno che corroborare quanto espresso dalle parole contenute nei libri dell’economista più noto, Nino Galloni (Cfr. Misteri dell’euro misfatti della finanza, Edizioni Rubettino, 2005, pag. 23), poiché nei toni e nelle mire del Ferri affiora in purezza tutto lo “sforzo cinico” da manager.
 
            Egli (Ferri) scriveva all’attenzione di un pugno di destinatari fra cui Fabrizio Barca[3] (già Ministro della Coesione Territoriale del Governo Monti – e scampato ministro dell’economia della fase renziana – mi rifiuto di definire Governo tutto ciò che parte da Monti in poi). L’intento di tutta l’opera del Principal Financial Economist della Banca Mondiale era quello d’illustrare ai destinatari, con dovizia di particolari (oltre che grafici non riportati in questa elaborazione), la bontà dell’uso d’immettere sul Mercato titoli cartolarizzati. Si legge inoltre che Alitalia, nel Settembre 1994, per tramite della Citibank[4], ha immesso 350 Miliardi di “lire-euro” di titoli cartolarizzati della US Guarantee che deteneva nelle proprie casse.
 
               “Per le imprese, lo sviluppo di un mercato della cartolarizzazione dei prestiti, oltre a produrre i benefici indiretti […] potrebbe offrire anche benefici diretti. Imprese di dimensione grande o mediogrande (Alitalia, Cremonini, Finmeccanica, Olivetti) [e Parmalat N.D.R.], come si è visto hanno già lanciato operazioni della specie ottenendo così finanziamenti a condizioni particolarmente convenienti […] In sintesi, la cartolarizzazione potrebbe costituire un passaggio intermedio adeguato a favorire l’accesso diretto degli operatori a tutti i segmenti del mercato finanziario, incluso quello del capitale di rischio[5] […] in Italia, la cartolarizzazione potrebbe offrire interessanti opportunità per migliorare le condizioni operative delle banche […]. Le prospettive di sviluppo della cartolarizzazione in Italia appaiono tuttavia condizionate alla rimozione di taluni ostacoli specifici su cui va richiamata l’attenzione[6]. Non sembra che le banche locali debbano avere dei timori di fronte alla cartolarizzazione. Come osservava già qualche anno addietro Bryan (1988), sulla base della sua lunga esperienza di consulenza nella McKinsey & Company[7]. Tra i principali ostacoli che sinora hanno sfavorito lo sviluppo della cartolarizzazione in Italia alcuni riguardano gli aspetti fiscali, altri gli aspetti civilistici, altri gli aspetti della legislazione e regolamentazione bancaria, altri ancora gli aspetti informativi. Il complesso di questi fattori ha fatto sì che, finora, la totalità delle operazioni di cartolarizzazione italiane di cui si è a conoscenza ha avuto sbocco sui mercati esteri. E non è dunque un caso che sia in fase avanzato l’iter parlamentare di una legge che dovrebbe rimuovere gran parte di questi ostacoli e/o consentire di superarli[8]”.
 
                A prescindere dall’abbacinante (o forse capziosa, chi lo può dire) miopia professionale dimostrata dal numero uno della Banca Mondiale in Italia, irreparabilmente screditato nei fatti realmente accaduti che hanno segnato la storia (vedi Crac Parmalat[9] e successive “crisi” finanziarie[10] mondiali dovute proprio all’immissione del derivato in circolo), non sarà sfuggito il tono disinvoltamente protervo con cui egli tratteggia il ruolo del Governo – in questo caso quello italiano – riducendolo a poco più di una scacchiera su cui muovere le pedine a proprio piacimento. Quella “gran parte degli ostacoli da rimuovere” altro non erano che i bastioni eretti in tempi non sospetti. Erano gli aspetti fiscali, altri gli aspetti civilistici, gli aspetti della legislazione e regolamentazione bancaria, altri ancora gli aspetti informativi, tutti ideati col preciso scopo di scongiurare quanto invece è stato fatto accadere. Una sorta di “estintori” con cui l’Italia è cresciuta dagli anni Trenta senza mai doversene servire ma i quali non erano più in sede al momento dell’incendio doloso.
 
La Storia, tuttavia, ha dato loro ragione. Le modifiche arrivarono ad hoc col risultato che la struttura del primo dei poteri fondamentali dello Stato, consistente nella funzione di emanare, modificare, abrogare le leggi, venne manomesso[11].
 
Ora, il Renzi – vi ci potete scommettere le mutande – punterà tutto sulla “riforma” del Titolo Quinto della Costituzione, quello delle Autonomie Locali (vedi mio articolo sulla “supposta renziana” http://www.signoraggio.it/supposta-renziana-spiegazione-del-titolo-v-della-costituzione-in-termini-facili/). Lo ha già annunciato durante il battibecco con Beppe Grillo. Non resta che attendere per vederlo all’opera. Solo che qualcuno gli metterà il bastone tra le ruote. Chi sarà a metterglielo? Il popolo!
 
Andrea Signini
 
[1]              Il Presidente del Consiglio dei Ministri era Romano Prodi e Oscar Luigi Scalfaro il Presidente della          Repubblica.
 
[2]              Istituto di credito di diritto pubblico dal 1936 divenuto S.p.A. con Decreto del Ministero del Tesoro in data 8        Agosto-’95 da cui sono nate: Banca Monte Paschi di Siena e la Fondazione Monte Paschi di Siena. Dal 27            Giugno 2012 il nuovo piano mira ad un riassetto del gruppo improntandolo fortemente alla riduzione dei costi               e alla razionalizzazione. L’operazione prevede la soppressione di oltre 4.600 posti di lavoro con incorporazione                delle controllate e chiusura di 400 filiali entro il 2015. Tuttavia i piani sembrano essere andati in fumo sia per       la richiesta di una Commissione Parlamentare, sia per via dello scandalo scoppiato alla vigilia delle elezioni            politiche 2013.
 
[3]              Aveva svolto sin dal “1979 la carriera professionale nel Servizio Studi di Banca d’Italia, divenendone     dirigente nel 1991 [e poi ha] ricoperto l’incarico di Capo del Dipartimento per le politiche di sviluppo e         coesione tra il 1998 e il 2000 e dal 2001 al 2006 presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel quale        ha assunto l’incarico di Dirigente Generale.
 
                Fonte: Governo italiano – Presidenza del Consiglio dei Ministri – Fabrizio Barca Ministro per la Coesione                 Territoriale.
 
 
[4]              A partire dal marzo 2010, Citigroup è la terza società bancaria statunitense più grande per totale attivo, dopo la    Bank of America e JP Morgan Chase. Ma se oggi può vantare tale posizione non è certo per via di una politica     irreprensibile, anzi. Come si legge nel sito http://en.wikipedia.org/wiki/Citibank (non disponibile in lingua           italiana) Citibank “as a result of the global financial crisis of 2008–2009 and huge losses in the value of its           subprime mortgage assets, Citibank was rescued by the U.S. government under plans agreed for Citigroup. On     November 23, 2008, in addition to initial aid of $25 billion, a further $25 billion was invested in the             corporation together with guarantees for risky assets amounting to $306 billion”  – traducibile in –  “a seguito della crisi finanziaria globale del 2008-2009 e di enormi perdite di valore dei suoi attivi dei mutui subprime         [gli stessi di cui si parla nello scrtto del Ferri], Citibank è stata salvata dal Gverno degli Stati Uniti nell’ambito         di piani concordati per Citigroup. Il 23 novembre 2008, in aggiunta agli aiuti iniziali di $ 25 miliardi, ottenne                in prestito di ulteriori 25 miliardi dollari”. Gli aiuti totali distribuiti dal Governo di Obama al circuito bancario   americano che rivendeva titoli tossici senza nemmeno proteggersi attraverso la stipula di assicurazioni a copertura della minaccia di default, ammontano a 204 Miliardi di USD di cui solo un misero 60 % è stato restituito e – come scrive CNN-Money – “Eight banks, mainly regional lenders headquartered in the South              andMidwest, still hold TARP loans of at least $1 billion. All have been losing money by the bucketful, and                 none is expected to turn an annual profit until 2011 at the earliest” ovvero “Otto tra banche ed istituti di credito                 prevalentemente regionali con sede nelSud e nel Midwest, continuano a detenere i prestiti di almeno 1    miliardo di USD. Tutti hanno perso soldi a secchiate, e non si intravede possibilità di un utile annuo fino al           2011”. Le stesse piccole banche a cui profusamente il Ferri fa riferimento nel documento del 1998.
 
 
[5]              G. Ferri, La cartolarizzazione dei crediti: vantaggi per le banche e accesso ai mercati finanziari per le imprese    italiane, in Studi e note di economia, Graph. Darst, Firenze Marzo 1998, Sez. pp. 87-106, pagg. 101 e 102.              Reperibile anche on-line all’indirizzo:
 
 
[6]              G. Ferri, Alcune considerazioni specifiche sul caso italiano, Ivi, pag. 99.
 
[7]              G. ferri,  Cartolarizzazione: le opportunità per le banche italiane Ivi., pag. 100.
 
[8]              G. Ferri, Alcuni dei principali ostacoli, Ivi, pagg.102, 103.
 
[9]              G. Braccini Squeri, Crack Parmalat. Corruzione giudiziaria, I^ parte, stampato in proprio, Parma 2012.
 
[10]             Cfr., G. Sapelli, Giochi proibiti. Enron e Parmalat, capitalismi a confronto, Bruno Mondadori, Milano 2004.
 
[11]             Cfr., G. Sapelli, La democrazia trasformata. La rappresentanza tra territorio e funzione: un’analisi teorico-                comparativa, Bruno Mondadori, Milano 2007.
 

Lagarde: crescita globale del 3,45%, ma proseguire con l’austerity

mercoledì, 26, febbraio, 2014
 
Quest’anno si assistera’ a una crescita globale dell’economia del 3,45% e del 4% nel prossimo anno. Lo ha detto il direttore generale dell’Fmi, Christine Lagarde, parlando di innovazione e tecnologia nell’economia globale alla Stanford University. ”Mentre la disoccupazione rimane troppo alta – ha detto la Lagarde -, il livello di debito pubblico e privato rimane troppo alto e la crescita globale procede a un ritmo basso in relazione al suo potenziale, stiamo assistendo a una dinamica della crescita globale che sara’ del 3,45% quest’anno e del 4% nel prossimo. Questa accelerazione e’ dovuta principalmente allo sviluppo positivo delle economie avanzate, certamente negli Stati Uniti, ma anche in Giappone e nell’Eurozona”.
 
Tutto cio’, mentre i paesi emergenti, che hanno sostenuto l’economia globale durante la crisi, stanno ora mostrando segnali di rallentamento. ”In queste circostanze – ha aggiunto la Lagarde – dobbiamo fare attenzione che: la politica monetaria rimanga accomodante in molte delle economie avanzate e che i paesi proseguano a mantenere sotto controllo i propri conti tramite politiche di bilancio adeguate e credibili eproseguendo nelle riforme e che le comunicazioni tra i capi di governo migliorino”.

Hashim Thaci a euronews: “Il Kosovo entrerà nell’UE”

la Ue annette il narcostato criminale della Nato, d’altronde hanno lo stesso padrone

13/02 20:29 CET

Un Paese piccolo, ma che ha ripercussioni a livello mondiale. Il Kosovo è emerso da un conflitto sanguinoso e brutale con la Serbia 15 anni fa e da allora si è avviato sul percorso accidentato delle riforme, con l’obiettivo di essere accettato da tutta la comunità internazionale come Stato sovrano. Ma molti ostacoli permangono. Parliamo di questo e molto altro con il premier del Kosovo Hashim Thaci.

Isabelle Kumar, euronews:
Quando il Kosovo sarà accettato come Stato sovrano – come Lei auspica – da tutta la comunità internazionale?

Hashim Thaci, premier del Kosovo:
Il Kosovo oggi ha rafforzato la sua posizione internazionale. come Paese indipendente e sovrano ed è stato riconosciuto da 105 Stati, tra cui 23 dell’Unione europea, gli Stati Uniti e molti altri. Il Kosovo si sta impegnando al massimo per diventare membro della Nato e dell’Unione europea. Speriamo inoltre di entrare presto a far parte delle Nazioni Unite.
Il Kosovo si sta consolidando e rafforza di giorno in giorno la sua posizione per diventare membro della famiglia dell’Onu e della famiglia euro-atlantica.

euronews:
La nostra intervista ha suscitato molto interesse nei social media e abbiamo ricevuto molte domande dai nostri telespettatori, tra cui questa di Seremb Giergi, che penso tocchi una questione chiave: “Quando la Serbia riconoscerà il Kosovo come Stato indipendente?”

Hashim Thaci:
Nell’aprile scorso abbiamo raggiunto, a Bruxelles, l’accordo di pace con lo Stato serbo. È stata la prima volta che abbiamo ottenuto un simile accordo tra il Kosovo e la Serbia per la normalizzazione dei rapporti, quindi questo è il primo passo. Ma sono convinto che la Serbia riconoscerà l’indipendenza del Kosovo. Quando accadrà? Dipende dalle autorità della Serbia riconoscere il Kosovo. Noi non possiamo definire una data.

euronews:
È una questione chiave, vero? Se la Serbia riconoscesse il Kosovo – allora anche la Russia, la Cina, l’India e i 5 Stati europei mancanti seguirebbero l’esempio?

Hashim Thaci:
Sono fiducioso che il riconoscimento del Kosovo da parte della Serbia aiuterà altri Paesi, che per il momento esitano. Ho la speranza e la convinzione che anche la Russia cambierà posizione. Il Kosovo e la Russia non sono nemici. La Russia non riconosce ancora l’indipendenza del Kosovo, a causa della Serbia, ma se lo farà, questo aiuterà anche la Serbia.

euronews:
Quando avete avviato i colloqui per normalizzare le relazioni con la Serbia, Lei si è trovato di fronte il premier serbo Ivica Dacic, che non molto tempo fa voleva vederla morto. Come si è sentito la prima volta che si è seduto davanti a lui per questi negoziati?

Hashim Thaci:
Quando ci siamo incontrati, non lo abbiamo fatto con l’obiettivo di entrare in conflitto, ma di lasciare da parte ciò che era accaduto in passato e aprire un nuovo capitolo, quello della collaborazione, della riconciliazione, della promozione dei valori europei tra i nostri popoli, per costruire una relazione di buon vicinato. Se si fosse aperto il capitolo del passato, non saremmo mai riusciti a raggiungere questo accordo. Al di là delle nostre emozioni legate al passato, hanno prevalso gli argomenti del futuro, per la pace, lo sviluppo e il progresso.

euronews:
Abbiamo ricevuto questa domanda da Albert Limani: “Qual è stato il momento più difficile nei negoziati col Premier serbo?”

Hashim Thaci:
Il momento più difficile è stato quello della firma dell’accordo di pace. I nostri popoli non sono abituati alla pace tra il Kosovo e la Serbia. E in generale, in tutta la regione non si è abituati a raggiungere la pace. Direi persino che ci avrebbero applaudito, a Pristina come a Belgrado, se l’accordo fosse fallito.
Abbiamo firmato questo accordo nella prospettiva europea dei nostri Paesi, anche se ci sono state molte critiche a Pristina e a Belgrado. Ma quale sarebbe l’alternativa? Dovremmo continuare con i conflitti, i problemi, le ostilità, le uccisioni, la violenza? Penso che su tutti questi elementi negativi abbia trionfato la ragione, la giusta decisione di firmare l’accordo.

euronews:
Al di là degli accordi internazionali, in Kosovo sta incontrando molte pressioni anche sul tema della corruzione e la comunità internazionale le ha chiesto di fare chiarezza. Lei ha dichiarato tollerenza zero sulla corruzione, ma non sembra stia funzionando, o sbaglio?

Hashim Thaci:
In Kosovo ci sono state battaglie contro la corruzione, il crimine organizzato e altri fenomeni negativi. Manteniamo la tolleranza zero e continuiamo a collaborare con tutte le autorità internazionali. I risultati sono incontestabili, ma sono consapevole che bisogna fare di più e in questo senso non faremo compromessi.

euronews:
Ma questa tolleranza zero non sembra funzionare molto. Secondo l’Indice di Percezione della Corruzione pubblicato recentemente da Transparency International, il 75% dei kosovari pensa che i partiti politici siano corrotti o molto corrotti. E l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine afferma che la corruzione è l’ostacolo principale per lo sviluppo imprenditoriale in Kosovo. Hanno torto?

Hashim Thaci:
In base alle cifre e ai fatti, naturalmente dobbiamo far meglio, anche nel modo di presentare questa battaglia, per cambiare la percezione che le persone hanno in Kosovo e nella regione. Con azioni concrete possiamo cambiare questa percezione. Prendo sul serio ogni osservazione, ogni critica e ogni opinione, ma la realtà è che in Kosovo stiamo combattendo la corruzione, il crimine organizzato e altri fenomeni negativi.

euronews:
La corruzione sta ovviamente frenando l’economia e il Kosovo è uno dei Paesi più poveri d’Europa. Oltre il 50% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Abbiamo ricevuto questa domanda da Besnik Kallaba: “Si sente responsabile, come premier, della povertà in Kosovo?”. Come vede questa responsabilità?

Hashim Thaci:
In Kosovo ci sono stati cambiamenti e si notnno dappertutto, a cominciare dalla costruzione delle autostrade più moderne della regione dei Balcani e di un aeroporto moderno. Abbiamo investito nelle infrastrutture, nell’agricoltura, nell’istruzione. Come premier sono consapevole che bisogna fare di più. Purtroppo il Kosovo è ancora il Paese più povero d’Europa. Ma lo era anche prima. Pian piano stiamo progredendo verso l’eliminazione di questa povertà, che risale a un secolo fa e alla dominazione serba. Per la prima volta siamo responsabili di noi stessi, ma solo da 6 anni. Non si possono fare miracoli in 6 anni, ma stiamo costruendo le basi per il Kosovo del futuro, stabile e produttivo.

euronews:
Quindi nessun miracolo in 6 anni, ma il 2014 sarà un anno importante in Kosovo. Ci saranno elezioni. Si candiderà ancora ad essere premier?

Hashim Thaci:
Il partito democratico del Kosovo, partito che dirigo, vincerà le elezioni del 2014. Io continuerò a dirigere la campagna del partito come capo del governo della Repubblica del Kosovo.

euronews:
Lei darà battaglia in campagna elettorale. Mi interessa capire se combattere è una cosa che ha nel sangue. Lei era il capo politico dell’Esercito di Liberazione del Kosovo. Come si associano queste due personalità, quella che combatteva sul campo e ora quella che dà battaglia alle elezioni?

Hashim Thaci:
Sono battaglie politiche diverse, circostanze diverse, piuttosto complesse. Non è stato facile dirigere politicamente la guerra del popolo del Kosovo. Io ero il dirigente politico, quindi mi sento fiero di questo successo, della resistenza del popolo, ma anche della conferenza internazionale di Rambouillet nel 1999, in cui siamo riusciti a ottenere l’appoggio politico della comunità internazionale, della comunità europea e della Nato. Penso che questo abbia permesso un’esperienza eccezionale di “leadership”, che mi ha molto aiutato a creare il profilo del partito. Per me la campagna elettorale è un privilegio perché mi permette di comunicare con i cittadini.

euronews:
Quando combatteva sul campo, se non sbaglio, la chiamavano “il serpente” per la sua abilità nello sfuggire alla cattura. Le sue abilità in guerra l’hanno aiutata anche a governare e come le sono state utili?

Hashim Thaci:
Ogni leader ha le sue competenze, le sue tattiche, le sue strategie in battaglia. In situazioni diverse, ho tattiche e strategie diverse nel dirigere il partito, ma la cosa più importante per me è la totale trasparenza. Naturalmente c‘è differenza tra convincere un cittadino a combattere contro la Serbia o a darci fiducia per dirigere il Paese. Ora assumiamo le responsabilità che ci sono state affidate dal popolo.

euronews:
Il ricordo dei tempi dell’Esercito di Liberazione del Kosovo la tormenta, ora che quel periodo è finito? Immagino che Lei abbia ucciso persone o ordinato di ucciderle.

Hashim Thaci:
La guerra in Kosovo era una guerra giusta, una guerra per la libertà, per la nostra esistenza. L’abbiamo vinta con l’aiuto dele forze internazionali. La Serbia – con la sua polizia, il suo esercito, il suo governo – ha lasciato il Kosovo. Non abbiamo fatto la guerra ai serbi del Kosovo, ci siamo battuti per liberarci della Serbia. Questo l’abbiamo ottenuto e ne sono fiero.

euronews:
Ma sul piano personale, quel periodo la ossessiona? Ha dovuto uccidere?

Hashim Thaci:
Io ero lontano dal fronte. La vittoria del Kosovo è più una vittoria politica che militare, è una vittoria comune del Kosovo e della comunità internazionale, è una vittoria della giustizia contro l’ingiustizia, del bene contro il male. L’abbiamo ottenuta in stretta collaborazione con i nostri partner internazionali e sono contento della collaborazione politica che ho costruito nei vari momenti, sia di quella avuta nel periodo della guerra cui Lei fa riferimento, sia della stretta collaborazione che abbiamo con gli Stati Uniti e la comunità europea. Quindi è una storia di successo, una storia comune. E la nostra battaglia mirava alla vittoria del Kosovo, non ad uccidere.

euronews:
Il 2014 è anche l’anno in cui è attesa un’inchiesta guidata dall’Unione europea sulle accuse contro di Lei per complicità in omicidio e traffico di droga e secondo cui i membri dell’Esercito di Liberazione del Kosovo sarebbero stati coinvolti anche nel traffico di organi. È preoccupato perché lei e i suoi assistenti potrebbero essere prosciolti così come incriminati?

Hashim Thaci:
Abbiamo dato pieno sostengo agli inquirenti. Le istituzioni della Repubblica del Kosovo hanno totale fiducia nella giustizia, non abbiamo niente da nascondere. Preciso, in risposta a quanto mi ha chiesto Lei prima, che non ho fatto né ordinato nulla che vada contro il diritto internazionale. Sì, non abbiamo rispettato le leggi della Serbia, e abbiamo fatto bene a non rispettare le leggi di Slobodan Milosevic, perché non erano leggi di giustizia, ma di repressione, di genocidio, di segregazione. Appoggiamo pienamente la giustizia, abbiamo fiducia in essa e continueremo a collaborare strettamente con la giustizia.

euronews:
Può affermare categoricamente che nessun membro dell’Esercito di Liberazione del Kosovo è stato coinvolto nel traffico d’organi?

Hashim Thaci:
Lo affermo con grande convinzione. Ne ho sentito parlare per la prima volta nel rapporto di Dick Marty (del Consiglio d’Europa). Quindi mai in vita mia potrò credere che qualcuno l’abbia fatto e che un combattente per la libertà possa fare una cosa simile. Ma dobbiamo dare alla giustizia tutto il tempo, lo spazio e i mezzi necessari per chiarire questi dubbi. È una storia di fantascienza, nessuno ci crede. Sono convinto che non sia successo.

euronews:
Abbiamo ricevuto questa domanda da Stephen Christie: “Col senno di poi, cosa avrebbe fatto diversamente?”

Hashim Thaci:
Se all’epoca avessi potuto, avrei voluto cambiare l’opinione della comunità internazionale, perché intervenisse prima del 1999 per evitare la deportazione di un milione di cittadini dal Kosovo, soprattutto a partire dall’estate 1998. L’intervento internazionale avrebbe dovuto avvenire prima, ma evidentemente avevano altri impegni. Avrei voluto comunicare meglio con l’opinione pubblica internazionale e con le Nazioni Unite, per convincerle che in Kosovo la Serbia stava compiendo un genocidio, mentre a questa convinzione si è arrivati solo nel 1999.

euronews:
Lei – e questa è una grande differenza rispetto alle accuse nelle quali è coinvolto e all’inchiesta in corso – è anche stato candidato al Premio Nobel per la pace assieme al premier serbo Ivica Dacic e al capo della diplomazia europea Catherine Ashton. Questo come la fa sentire? Pensa di aver meritato questa candidatura?

Hashim Thaci:
Ho firmato tutti gli accordi del mio Paese con la comunità internazionale che hanno portato pace e libertà e indipendenza al Paese. Penso che raggiungendo l’accordo di pace tra Kosovo e Serbia abbiamo contribuito alla pace, alla stabilità, alla comprensione reciproca dei nostri popoli e delle generazioni future. Questo è stato riconosciuto dal Congresso statunitensi, dall’Unione europea, dai parlamenti di molti Paesi del mondo. Se vinciamo questo premio, lo dedicherò al popolo del Kosovo, cui va il merito della libertà, dell’indipendenza e della pace.

euronews:
Per concludere, una domanda più leggera che abbiamo ricevuto da qualcuno di nome Dardan: ‘Da bambino cosa sognava di diventare?’

Hashim Thaci:
Ho studiato la storia, ma studiandola ho capito che non dovevo fermarmi agli archivi della storia, perché facendo così non avrei mai potuto cambiare le cose nel mio Paese. Quindi ho deciso di uscire dagli archivi, dal passato, e di occuparmi dei problemi attuali, guidando la battaglia del mio popolo per la libertà e l’indipendenza.
Ho avuto tre obiettivi politici nella mia vita. Due sono stati raggiunti: ottenere la libertà e l’indipendenza del mio Paese. Il terzo è far entrare il Kosovo nella Nato, nell’Unione europea e nell’Onu. Non è una cosa facile, né accadrà a breve, ma sono convinto che raggiungeremo il terzo obiettivo per i cittadini del Kosovo.

Copyright © 2014 euronews
http://it.euronews.com/2014/02/13/hashim-thaci-a-euronews-il-kosovo-entrera-nell-ue/

Ucraina: smantellate le forze speciali di polizia “Berkut”

ma che fretta……

26/02
L’Ucraina si libera dei suoi reparti anti sommossa.
Le formazioni denominate “Berkut”, le “Aquile dorate”, tra le più temute del passato governo sono state ufficialmente smantellate su ordine del ministro dell’interno ad interim.
Gli agenti anche nelle ultime settimane sono stati tra i protagonisti piú efferati della repressione nei confronti dei manifestanti anti governativi.
“I Berkut non esistono più. Ho firmato l’ordine 144 per l’abolizione delle unità speciali di polizia” ha scritto stamattina, il ministro Arsen Avakov, sul suo seguitissimo blog.
Un passo atteso ma che non cancella le responsabilità delle unità speciali. I Berkut furono creati nel 1992 sulla base dei preesistenti Omon, i reparti anti sommossa russi. In Ucraina erano circa 4.500 agenti, presenti in tutte le regioni. Pagati quasi il doppio di un poliziotto ordinario, si sono macchiati secondo le denunce di numerosi abusi, come pestaggi e torture, oltre ad aver aperto il fuoco durante le proteste di Kiev.

Copyright © 2014 euronews
http://it.euronews.com/2014/02/26/ucraina-smantellate-le-forze-speciali-di-polizia-berkut/

Islanda: ha detto no alla Ue, e questa le prepara una riv colorata

e la Ue non sarebbe una dittatura????? Ora cominciano anche lì con la rivoluzione colorata. Si ce li vedo gli islandesi a desiderare di fare la fine dei greci.
Han lottato contro i banchieri ed ora vorrebbero essere loro PREDA???

Islanda, in piazza per chiedere referendum pro Ue

Il governo ha deciso di rinunciare ai negoziati senza consultare il popolo.

Reykjavík, proteste di fronte al parlamento.
(© Gettyimages) Reykjavík, proteste di fronte al parlamento.

Venti di tensione anche nell’Europa dell’estremo Nord.
In Islanda infatti oltre 3.500 persone sono scese in piazza a Reykjavik per protestare contro i partiti del governo. La maggioranza ha infatti deciso di rinunciare alla richesta di adesione all’Ue senza indire un referendum per capire l’umore dei cittadini.
FOLLA CHE NON SI VEDEVA DAL 2009. Si è trattata di una grande manifestazione, una scena che non si era più vista dai tempi della crisi finanziaria nel 2009, quando l’isola stava per essere spazzata via dalla bancarotta dei suoi istituti finanziari.
L’accordo annunciato dai partiti della destra antieuropea al governo da maggio era stato avviato dal precedente esecutivo di sinistra per cercare di dare un’ancora al paese nel pieno della tempesta finanziaria, e non era mai stato ben visto dagli islandesi orgogliosi della propria indipendenza e delle tradizioni della pesca.
PRIMO NO PER ACCORDO ICESAVE. Il precedente governo aveva già dovuto incassare un no al referendum sull’accordo che questo aveva trovato con Londra e L’Aja sul rimborso di quasi 4 miliardi di euro per il caso del crack Icesave.
Gli islandesi hanno votato nel 2013 per il Partito del progresso e per il Partito dell’indipendenza, euroscettici, che avevano promesso un referendum sull’adesione all’Ue.
I politici hanno però bloccato i negoziati e venerdì 21 febbraio è stata approvata una legge che ha sotterrato l’entrata nell’Ue, ma senza consultazione popolare.
«DEVE VOLERLO IL POPOLO». L’Islanda, spiega uno dei partigiani pro-Bruxelles, deve abbandonare i negoziati «solo quando la maggioranza del popolo l’avrà voluto».
Intanto Bruxelles osserva la situazione e ribadisce che «la decisione sull’adesione o meno all’Ue spetta all’Islanda».
Martedì, 25 Febbraio 2014
http://www.lettera43.it/politica/islanda-in-piazza-per-chiedere-referendum-pro-ue_43675123352.htm

Islanda, la piazza contro il ritiro della candidatura all’Unione europea
25/02
Manifestazione di massa in Islanda contro il ritiro della candidatura di adesione all’Unione europea. I cittadini sono scesi in piazza per chiedere che tale scelta venga sottoposta a referendum e non si risolva in un accordo tra i due partiti euroscettici al governo.

“Questo esecutivo non ha mantenuto nessuna promessa, questa non è una cosa bella da fare”, afferma un manifestante.
“Vogliamo che il dibattito sull’adesione continui, così potremo votare un documento finale, ottenendo forse migliori condizioni. E credo che possiamo arrivare a questo anche se non abbiamo i migliori rappresentanti”.

Il Partito del progresso, di centro e dell’indipendenza, di destra, si sono messi d’accordo venerdì per l’abbandono della richiesta di adesione depositata dal paese nel 2010.
http://it.euronews.com/2014/02/25/islanda-la-piazza-contro-il-ritiro-della-candidatura-all-unione-europea/

Gli Usa annunciano un ridimensionamento del proprio esercito

Chuck Hagel, segretario Usa alla Difesa, ha annunciato una serie di tagli per l’esercito statunitense, andando così incontro ai desiderata del presidente Obama in termini di politica estera e austerity. La proposta prevede, infatti, in controtendenza rispetto alle strategie Usa post 11 settembre 2001,una riduzione degli effettivi nelle forze armate, sia per ciò che concerne i riservisti e la Guardia nazionale che per i soldati impiegati nelle missioni internazionali.
Le truppe dovrebbero subire un’ulteriore discesa fino a 440/450mila unità grazie alle proposte di Hagel, numero che significherebbe un ritorno delle forze armate ad un assetto simile a quello pre-seconda guerra mondiale, lontano dall’impeto ‘guerrafondaio’ nato dopo l’attentato alle Torri Gemelle da cui sono poi scaturite le estenuanti (e dispendiose, tanto in termini di vite quanto in termini economici) missioni in Afghanistan e Iraq. Stando ai funzionari del Pentagono, infatti, il lavoro del segretario della Difesa è proprio incentrato e in vista degli annunciati ritiri dai due fronti ‘caldi’ del Medio Oriente, guardando ad un prossimo futuro dove l’esercito sarà decisamente ridotto e quindi non in grado di sostenere occupazioni in territori stranieri per periodi di tempo prolungati, mantenendo comunque la capacità di contrastare qualsiasi avversario.

Il piano di Hagel, com’è ovvio, prevede riforme anche per quanto riguarda gli armamenti (stando ai funzionari del Pentagono i soldi risparmiati dal taglio al personale servirebbero ad investire in moderni sistemi di guerra, dando vita così ad un esercito ridotto ma addestrato meglio e dotato delle armi migliori): secondo quanto riporta il NYT, infatti, nelle intenzioni del segretario della Difesa ci sarebbe quella di eliminare un’intera flotta di caccia Air Force A-10, la dismissione dell’aereo spia U-2 e il trasferimento degli elicotteri d’attacco Apache in dotazione alla Guardia Nazionale alle truppe ‘attive’ dell’esercito, mentre rimarrebbe invariata, invece, la spesa per i tanto discussi F-35. In questo modo, Hagel dovrebbe riuscire a far rientrare la spesa delle forze armate (che rimane comunque la più alta a livello mondiale) nel tetto di spesa (496 miliardi di dollari per il 2015) imposto dalla legge di bilancio voluta dal presidente Obama.

Ovviamente, in un Paese dove è storicamente molto forte l’attaccamento all’esercito, e dove regnano sovrani i grandi interessi dei produttori di armi, le possibili riforme che il segretario della Difesa presenterà lunedì troveranno sicuramente non pochi malumori politici, tanto che alcuni membri del Congresso starebbero già ‘affilando i coltelli’ per dare battaglia al provvedimento.   

Fonte: Luca Lampugnani http://it.ibtimes.com/
http://www.signoraggio.it/usa-annunciano-un-ridimensionamento-del-proprio-esercito

Esplosione presso il Parlamento della Crimea

25 febbraio 2014, 16:16

Si è verificata un’esplosione presso il Parlamento di Crimea. Un gruppo di manifestanti sta cercando di fare irruzione nell’edificio del Consiglio Supremo della Repubblica Autonoma di Crimea a Simferopoli, dove sta per iniziare una sessione straordinaria per discutere della situazione politica nel Paese.
Presso l’edificio si erano radunate circa 7.000 persone per partecipare a due manifestazioni distinte. In una sono scanditi slogan come “La Crimea non è la Russia” e “Ucraina, Ucraina.” Molti dei partecipanti appartengono alla comunità tartara della Crimea.
I dimostranti dell’altra manifestazione, sventolando le bandiere della Russia e della Crimea, gridano ” Russia, Russia”. Dalla folla volano bastoni e pietre.
“La situazione è molto preoccupante,” – ha riferito l’ufficio stampa del Parlamento di Crimea.
http://italian.ruvr.ru/news/2014_02_26/Esplosione-presso-il-Parlamento-della-Crimea-5027/