LA SVALUTAZIONE FISCALE CIALTRONA DEL PD

CRISTINA MALAGUTI

Succede che da tempo i Paesi europei non possono operare manovre “correttive” sulla propria moneta, perché la moneta unica non concede spazio alcuno alle banche centrali che non stampano più. Succede che Paesi in difficoltà, Italia in primis, per il solo fatto che non possono stampare cartamoneta, non riescono a uscire dal pantano. Succede che Paesi più furbi, Francia e Germania, per ovviare al problema della crisi, in mancanza della possibilità di attuare una svalutazione monetaria, si sono prodigati nella svalutazione fiscale, a danno dei Paesi limitrofi, ovviamente.

Svalutazione fiscale che poggia su due pilastri: aumento dell’Iva (che sfavorisce e limita le importazioni) e riduzione del costo del lavoro. In Italia è dal 2011 che si prova questa complessa manovra: dai tempi di Mario Monti. Solo che agli aumenti dell’Imposta sul valore aggiunto (a solo danno dei cittadini consumatori finali già messi a dura prova dalla crisi) non sono mai corrisposte serie riduzioni del costo del lavoro (alto, in Italia, soprattutto per il pesante carico fiscale). Il solito danno oltre la beffa, chiaramente. Oggi, lo schema si ripropone, o meglio, si intravvede nella Legge di Stabilità del Governo Renzi: aumento dell’Iva – c’è da giurarci che non salterà – e pseudo riduzione del costo del lavoro. Il risultato, come al solito, sarà un disastro.

La finta riduzione del costo del lavoro

Sconto Irap a metà e incentivi alle assunzioni contorte e limitate, salta perfino la decontibuzione per l’assunzione stabile dei disoccupati. Questo emerge dalla manovra Renzi, sulla quale si sta concentrando il presidente Napolitano. Il nuovo sconto Irap, quello che secondo il ministro dell’Economia Padoan dovrebbe produrre 800mila nuovi posti di lavoro, in realtà riguarda solo il tempo indeterminato, mentre sul tempo determinato (la stragrande maggioranza dei nuovi contratti) ritorna al 3,9%, cancellando in pratica il taglio del 10% dell’aliquota già decisa lo scorso aprile. Insomma, alla fine la misura non vale i 5 miliardi di euro tanto decantati, ma solo 2,9 miliardi, poco più della metà. Per non parlare poi degli incentivi alle assunzioni. Un’autentica beffa. Gli incentivi alle nuove assunzioni nella Legge di Stabilità 2015, infatti, presentano limiti tali da annullare praticamente i benefici stessi che dovrebbero produrre. A partire dalla copertura finanziaria, che riguarda solo 300mila contratti, appena un quinto di quelli a tempo indeterminato attivati in un solo anno dalle aziende. Ridicolo. Di più, gli straordinari incentivi previsti da Renzi hanno un tetto massimo molto esiguo e, peggio ancora, assorbono, abolendola, la storica decontribuzione per l’assunzione stabile di disoccupati (Legge 407/90) con l’aggravante che non prevedono neppure lo sgravio dei contributi Inail. Insomma, un vero disastro.

L’aumento Iva e i “mostri” antievasione

Eccola la presa per i fondelli del Governo: alla beffa lavoro, segue il danno imposte. Sì perché se è vero che non è nelle intenzioni del premier aumentare subito l’Imposta sul valore aggiunto (ma dal 2016 e se le aliquote sono quelle previste sia quella del 10% che quella del 22% aumenteranno di due punti percentuali) nella Legge di Stabilità 2015 si introducono due nuovi “mostri”: lo split payment e il reverse charge. Cosa sono? Due modi per soffocare le poche aziende rimaste attive ancora nel Paese. Il primo, lo split payment, prevede che il pagamento dell’Iva da parte della Pubblica Amministrazione (già in ritardo stratosferico sui pagamenti alle imprese che hanno lavorato per lei) avvenga direttamente al fisco anziché ai fornitori. Bingo! Lo chiamano metodo antievasione, ma data la solerzia con cui la PA paga i fornitori è facile supporre che quei soldi di imposta nelle casse del Fisco non arriveranno mai! Il secondo, il reverse charge, consiste nell’assolvimento dell’IVA da parte del cessionario o committente in luogo del cedente o prestatore di opera o di servizio. In questo modo il cedente non entrerà mai in possesso dell’IVA esorcizzando il rischio che questi ne ometta il versamento all’Erario. In pratica, chi opera in questo regime è sempre a debito d’imposta. Geniale. Se c’era un modo per uccidere le imprese già in affanno per la crisi, Renzi lo ha trovato. Alla faccia della crisi, della svalutazione fiscale che potrebbe portare fuori dal pantano il Paese e soprattutto dei cittadini, imprese e disoccupati disperati.

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SPETTACOLARE PUTIN “NOI CAMBIARE LA NOSTRA COSTITUZIONE? SIETE VOI A DOVER CAMBIARE CERVELLO!”

ma Putin è un cattivo dittatore, lo dicono gli Usa, il presidente politically correct Obama e tutti i loro fedeli servetti…sarà senz’altro vero no?

La carta Costituzionale russa, come quella di molti altri paesi, non prevede l’estradizione dei propri cittadini.

Questo per moltissimi anni è stato un punto di scontro fra l’occidente e la Russia, in particolare con la gran Bretagna. Famoso il caso Litvinenko, ex agente KGB in asilo politico in Inghilterra e avvelenato, almeno secondo i servizi segreti inglesi, da Andrei Lugovoi nel 2006. Per anni Londra chiese l’estradizione di Lugovoi, cittadino russo, e per anni ricevette un secco no da Mosca.
Appena tre anni prima del caso Litvinenko, la Russia chiese l’estradizione del tycoon Berezovsky e del separatista ceceno Zakayev, in quel caso fu l’Inghilterra a rispedire al mittente le richieste nonostante entrambi non fossero cittadini inglesi e accusati di gravi crimini, tra cui terrorismo.
 
Guardando Putin parlare di Costituzione intoccabile, tornano in mente le riforme costituzionali che il trio Napolitano – Renzi – Draghi decantano tanto: una riforma scritta da una delle peggiori banche d’affari americane, la JP Morgan, che Draghi, ex Goldman Sachs, ripete ogni giorno essere di “vitale importanza” per l’Italia… la domanda a questo punto sorge spontanea: Mr Draghi, Mr Renzi, Mr Napolitano, dobbiamo essere noi a cambiare la costituzione, o voi a cambiare cervello?
 
putin2
 

Pagato dalla casta per creare disordini online: “Ecco chi sono e perché lo faccio”

Informare per Resistere
ottobre 27 2014
Si tratta di un provocatore del web, uno dei cosiddetti troll. Con la sostanziale differenza che lui è un professionista del settore, che per mestiere crea disordini online, indirizza le discussioni, manipola – secondo quanto gli è stato ordinato –  il senso delle cose. L’assurdo? Viene pagato da un gruppo economico legato trasversalmente a tutti i partiti. Ecco la sua storia in un’intervista di Francesco Lanza.
 
Lo incontriamo in un bar in centro a Milano. Sul tavolo ha poggiato uno smartphone e un tablet. Non ci dice né il suo nome, né il suo nickname.
 
Vivi sempre connesso?
 
Purtroppo sì. Abbiamo un software che ci consente di monitorare le discussioni a cui partecipiamo e quando c’è una notifica abbiamo poco tempo per rispondere. Se lasciamo “andare” o ritardiamo, ci viene scalato dal compenso.
 
Quanto guadagni per fare questa attività?
 
Beh, dipende. Se sono efficiente anche 4-5mila euro al mese.
 
Sono un sacco di soldi.
 
Sì, ma è una vita tremenda. Devi leggere decine di blog, forum, account facebook, tweet. Giorno e notte. Alcuni di noi non reggono, dopo un po’ i loro nick “spariscono”, non c’è modo di sapere che fine abbiano fatto.
 
Chi vi paga?
 
Un grosso gruppo economico legato trasversalmente a tutti i partiti. Ma non posso dire altro.
 
Ce ne sono molti come te?
 
Siamo un centinaio in tutta Italia, ma siamo divisi per competenze.
 
Nel senso che tu, per esempio, provochi e insulti solo specifici bersagli?
 
No, nel senso che ci sono provocatori e contro-provocatori. Ti faccio un esempio. Metti che tu sia il portavoce di un partito X. Scrivi un post e io arrivo aridicolizzarti. Ovviamente ne nasce una discussione nella quale chi è contro di te in maniera “naturale”, prende coraggio e viene allo scoperto. Aspetta.
 
Lo smartphone ha una luce blu che lampeggia, vuol dire che c’è una notifica. Prende, legge velocemente e con uguale velocità posta una qualche risposta, chissà in quale post o in quale discussione.
 
Una sorta di “effetto domino”.
 
Esatto. Ovviamente ci sono quelli che sono a favore del Partito X e che ti difendono. Poi, non so se l’hai mai notato, salta fuori qualcuno che difende il Partito X, ma lo fa in modo idiota e scomposto, con una marea di punti di sospensione, maiuscole, punti esclamativi e via dicendo…
 
Sì, che tu pensi: “Ma allora sono tutti idioti”.
 
Perfetto. Quelli sono sempre nostri colleghi. Semplicemente agiscono con una psicologia inversa. Il loro scopo è proprio quello di far sembrare i tuoi sostenitori degli imbecilli. Così come io faccio da “stura” a quelli che sono contro di te in maniera “genuina”, diciamo, allo stesso modo loro fanno da stura ai tuoi estremisti, e globalmente ne vieni fuori screditato. Basta un provocatore come me e un contro-provocatore che fanno finta di litigare, per sputtanarti una discussione o un post.
 
Questa è troppo grossa, non posso crederci.
 
Sei libero di non crederci. Comunque loro prendono molto di più di noi. Sono veri professionisti, copywriter di altissimo livello. Se ci pensi, hanno creato un linguaggio.
 
Ma tu, politicamente, come hai votato?
 
Ho votato contro la Ka$ta. Ma il lavoro è lavoro. Ci sono le cose da pagare, ho moglie e figli. Quei soldi mi fanno comodo.
 
Cosa facevi prima?
 
Correggevo bozze in una casa editrice. Ora le bozze le fanno correggere nei paesi dell’Est, sottocosto. Cosa dovrei fare?
 
Ci salutiamo, insiste per pagare lui il conto. Mette nella borsa il tablet e si incammina, guardando lo smartphone e continuando a digitare.
 

STRESS-TEST BANCARI EUROPEI: UNA FARSA PER TRANQUILLIZZARE GLI IDIOTI…

LUNEDÌ 27 OTTOBRE 2014

Non volevo nemmeno perderci tempo…
ma visto che l’ennesima farsa degli stress-test bancari (europei) sta tenendo banco nelle prime pagine e sui tiggì (naturalmente nella versione fiction-per-boccaloni) sono costretto a dirvi rapidamente la mia da Blogger che fa informazione vera ed indipendente.

Detto alla Fantozzi…gli stress-test già “ontologicamente”sono una CAGATA PAZZESCA! Figuratevi dunque”realisticamente”…
Infatti, come diceva il grande vecchio della finanza italiana Enrico Cuccia: “Non conosco il bilancio di una società che non sia falso”…
e questa massima è ancor più valida se applicata ai bilanci bancari che sono di pura “fantasy” (vedi cosa vi raccontavo già fin dal 2009-2010 nel mio blog: Bilanci delle Banche too-big-to-fail: Sim Sala Bim!)
e che sono basati solo sulla confidence dei mercati e pertanto sul potere di “protezione/copertura” delle varie Nazioni/Banche Centrali.
Mi spiego meglio: il sistema bancario globale tecnicamente è fallito nella sua essenza, come ampiamente evidenziato dal crollo post-Lehman Brothers del 2008, però è stato TAMPONATO da Nazioni/Banche Centrali.
Dunque quando vedo i nazionalisti-sfigati da Bar Sport l’Italiota che s’inquazzano perché negli stress-test non è stata bocciata nessuna Banca Crucca piena di derivati mentre invece sono state bocciate parecchie banchette ItaGliane…
mi viene da sorridere: non conta quanto sia scarrupato o meno un sistema bancario nazionale ma quanto quella Nazione sia in grado di proteggerlo ed imporlo al Mondo.
Dunque fate voi… 😉
Se poi ci aggiungiamo che l’ItaGlia sta attraversando la peggiore e più lunga Recessione dai tempi della WWII e che non ha nemmeno vie d’uscita che non siano massacranti….Bingo!
Allo stesso tempo, se ti bocciavano anche tutte le Banche tedesche…. sai che soddisfazione e quanta maggiore tranquillità per tutti gli itaGliani che tengono i loro risparmi sulle banche itaGliane… 😉

Intanto come sempre fonti istituzionali, fonti bancarie, giornali italioti in mano alle banche etc etc… stanno già “raddrizzando/interpretando” a modo loro i risultati…
che alla fin fine mostrerebbero persino la solidità del sistema bancario italiano dunque i “prodi” correntisti/bondholders/azionisti possono dormire sonni tranquilli…in particolare quelli di Carige e di Monte dei Pacchi… 😉

Stress test, banche italiane peggiori d’Europa.
Bocciate Mps e Carige. “Ma sistema è solido”…
In borsa, Mps non apre per eccesso di ribasso, segnando un teorico -13%. Stessa cosa per banca Carige, con un teorico di -17,29%

Nota: ma lo sapete che ci sono “pacchi di persone” che tengono ancora tutti i loro risparmi su Banche del genere? (anche se l’informazione indipendente li ha avvisati per tempo e decine/decine di volte) Noooo? Non lo sapevate?
Lascio la risposta al mitico Aldo:
.credere

In testa ai “Bonzi dai Mantra tranquillizzanti”……………………

come spesso accade c’è Milano Finanza …ma li posso anche capire…;-)

Tafazzi e soloni si rassegnino: con 25 miliardi di capitale in eccesso il sistema è solido

Sì sì certo…
25mld di “capitale in eccesso” vs. un record storico di 200 miliardi di sofferenze bancarie difficilmente recuperabili…
o meglio…200mld di quelle che ci fanno vedere… ma state pur certi che realisticamente saranno almeno il doppio.
Allo stesso tempo la depressione economica italiana continua ed è destinata strutturalmente a continuare (non so se avete colto …ma i casini del ns. sistema bancario vengono da lì e non dall’influenza magnetica dei rettiliani…) mentre quasi tutto il Mondo è in Ripresa.
Immaginate dunque cosa accadrebbe nel caso arrivasse prima o poi una fisiologica Recessione Globale e fate 2+2 sulle Banche Italiane già in sofferenza.
Ah…già…ma i Tafazzi ed i Soloni si devono rassegnare…il sistema è solido etc etc
Per non sprecare il fiato …vi inserisco una video-risposta del mitico Aldo… 😉
(fatela ri-ascoltare almeno 10 volte a chi di dovere…)
.vaffa

. .

….Sono tra le poche cose che in Italia stanno crescendo a ritmi superiori al 20%, sono le sofferenze delle banche italiane cresciute in pochi anni da 40 miliardi a 200. 
fonte: Pwc Una montagna di crediti con scarsa probabilità di recupero integrale

Vabbè…
anche se come dicevo ‘sti stress-test sono una CAGATA PAZZESCA…
e lo scenario peggiore simulato dalla BCE è qualcosa che assomiglia piuttosto alParadiso Terrestre Bancario (e non simula nemmeno lo scenario deflattivo…sic!)

Anche se gli stress test storicamente hanno funzionato con questi “perversamente eccelsi” effetti predittivi (spesso contrarian tout court…).

La farsa degli stress test ci ha già abituato a risultati eclatanti. 
Ricordate i primi stress test effettuati? 
Le banche Irlandesi erano risultate tutte promosse. Dopo alcuni mesi, il sistema bancario irlandese saltò completamente. 
E che dire delle spagnole? Huh… tutte promosse… Compresa CAIXA!
Ma come già vi ho detto altre volte, la perla resta sempre lei, Lehman Brothers. Il 12 settembre 2008, Lehman dichiarò un Core Tier 1 pari all’11%. Fallì 3 dicasi 3 giorni dopo.

Anche se …anche se…
andiamo a vedere i risultati dell’ItaGlia
che comunque (sempre usando una terminologia fantozziana) fanno “cagare” anche nella farsa… 😉

….Venticinque istituti europei “bocciati”, di cui tredici ancora alle prese con carenze di capitale per un totale di 9,5 miliardi nonostante gli aumenti varati in corso d’anno.
Sono i risultati degli “esami” (comprehensive assessment) sulle maggiori banche dell’area euro, costituiti dalla revisione della qualità degli attivi (asset quality review) della Banca centrale europea e dagli esiti degli stress test della European banking authority.
Le valutazioni, basate sui bilanci del 2013, promuovono di fatto a pieni voti solo Credito Emiliano, Iccrea, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Ubi e Unicredit.
E nel drappello delle 25 bocciate ben nove sono banche italiane: Monte dei Paschi di Siena, Carige, Banca Popolare di Milano, Popolare di Vicenza, Bper, Banco Popolare, Banca Popolare di Sondrio, Credito Valtellinese e Veneto Banca. 

Un risultato che, pur molto ridimensionato dalle misure messe in campo nel frattempo (N.d.R. ma in un contesto di continuazione della depressione economica italiana, quanto durerà l’effetto benzina-AdC? vedi grafico qui sotto)
e da cui emerge che solo Mps e Carige dovranno chiedere altri soldi ai soci, ci vale l’ultimo posto in Europa…..


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Comunque una delle poche analisi equilibrate degli stress-test
la potete trovare in questo post:

Lo stress non è finito, i test neppure

L’Europa darà all’Ucraina altri soldi

di Petr Iskenderov

La Commissione europea è disposta a concedere all’Ucraina un altro prestito, affinché possa in particolare pagare alla Russia il debito per il gas consumato. Tuttavia si tratta di una cifra molto più piccola di quanto Kiev ha richiesto.
Il presidente uscente della Commissione, Jose Manuel Barroso, ha fatto capire che il prestito non potrà superare 1 miliardo di dollari (790 milioni di euro), mentre l’Ucraina in precedenza ha chiesto 2 miliardi di euro. È comunque sicuro che alla fine i soldi si troveranno – nelle tasche dei contribuenti europei.
Che l’UE, in un modo o nell’altro, dovrà “mantenere” l’Ucraina, non è un segreto per nessuno. L’insolvenza di Kiev, abbinata alla sua capacità di consumare il gas che dovrebbe solo transitare, fa paura, perché a lungo andare la parte lesa potrebbero essere gli stessi europei che, invece, sperano che le forniture saranno regolari.

Non a caso nel corso del vertice europeo della settimana scorsa si è parlato soprattutto degli aiuti all’Ucraina. D’altra parte, proprio i paesi occidentali hanno creato la crisi ucraina e devono essere consapevoli di tutti i rischi geopolitici ivi connessi.
A pagare però saranno i semplici cittadini dell’Unione Europea – polacchi, cechi, ungheresi, slovacchi, italiani, greci e, cosa inaudita, persino i tedeschi. A detta dello stesso Barroso, la Commissione europea potrebbe dover erogare all’Ucraina un prestito di circa 800 milioni di euro.
Non è tanto, ma Barroso è portoghese e forse spera di poter usare i fondi della Commissione per aiutare le banche portoghesi con a capo il Banco Espirito Santo, per salvare il quale la Banca di Portogallo ha già stanziato 4,4 miliardi e potrebbe erogare altri aiuti.
Ma Bruxelles ha uno strumento finanziario molto più potente: il MES, Meccanismo europeo di stabilità col capitale di 500 miliardi di euro, di cui però 100 miliardi sono già stati spesi per sanare le banche spagnole e 9 miliardi per salvare il sistema finanziario di Cipro. Giorni fa il MES ha collocato sul mercato i suoi bond biennali per un totale di 4 miliardi di euro, ma quando si tratta dell’Ucraina il MES non promette aiuti, sebbene l’eventuale crisi del gas giustifichi l’uso del meccanismo anticrisi su scala europea.

Chi allora dovrà pagare per gli esperimenti geopolitici di Washington e Bruxelles? Secondo il Wall Street Journal, toccherà pagare ai governi nazionali dei paesi UE. Riferendosi alle fonti di Bruxelles, il quotidiano americano ha scritto che l’attuale situazione potrebbe portare alla “pressione sugli Stati membri con lo scopo di farli intervenire per liquidare il gap”. Tradotto in un linguaggio comune ciò significa che l’UE chiederà ai governi europei di finanziare almeno la metà degli aiuti a Kiev.
Secondo i dati della parte russa, il debito dell’Ucraina nei solo confronti di Gazprom ha raggiunto la cifra di 5,3 miliardi di dollari. Il ministro dell’energia della Russia, Aleksandr Novak, crede che per aiutare l’Ucraina si potrebbero usare “le garanzie delle banche primarie, dei prestiti ponte o i fondi della BERS e della Commissione europea”, ma Bruxelles, a quanto pare, preferisce scaricare il debito di Kiev sui cittadini europei.
La situazione finanziaria dell’UE non è certamente delle migliori. Come prima cosa l’UE non ha una netta strategia anticrisi di lungo termine e continua a seguire la strada delle misure eccezionali dalla creazione di vari fondi di stabilità al riscatto del debito pubblico. Tutte queste misure non bastano per risolvere il problema, ha sottolineato Elena Turzhanskaya, analista della società finanziaria russa “Kalita-Finance”.

Una di queste misure è stata appunto la costituzione del fondo per il riscatto del debito dei paesi “periferici”. In parallelo si usano gli eurobond che però non piacciono alla Germania perché significano un maggiore carico sul suo sistema finanziario. La BCE, da parte sua, compra i debiti dei paesi “periferici”, ma ciò conduce alla crescita dell’inflazione.
In queste condizioni i cittadini dei paesi europei potrebbero chiedere ai loro governi a cosa serve fomentare il conflitto in Ucraina, ignorando le azioni aggressive di Kiev, iniziando la “guerra delle sanzioni” contro la Russia e lamentando nel contempo problemi finanziari. La risposta va cercata in campo geopolitico. Quello della crisi ucraina è un problema politico e politiche furono anche le ragioni del lancio dell’eurozona che oggi deve dare dei soldi a Kiev, fa ricordare il direttore dell’Istituto di analisi strategica della Russia, Igor Nikolaev.
Le ragioni del lancio della moneta unica furono, purtroppo, politiche. Si è trattato di un grave errore. Quando l’economia comincia a dipendere dalla politica, la cosa finisce male. Io almeno non conosco esempi che possano dimostrare il contrario.
La sanguinosa crisi ucraina, che dura ormai da quasi un anno, è un classico esempio di quello che succede quando i politici si dimenticano delle leggi economiche e perdono il buon senso. Sarebbe stato utile capirlo prima dell’inizio dell’inverno, ma, come si usa dire, meglio tardi che mai.

Fonte: Italian.ruvr.ru
http://www.controinformazione.info/leuropa-dara-allucraina-altri-soldi/#more-7319

La “sceneggiata” alla Leopolda per vendere un Renzi innovatore e contestatore dell’austerità europea. Tranquilli, cambia la confezione ma non il prodotto.

e la farsa del 25 …
 
di Luciano Lago
Con Domenica 26 Ottobre si sono finalmente chiuse le “sceneggiate” della politica italiana ed in particolare a Firenze, nella dismessa stazione della “Leopolda”, con la “convention” del PD, quello fedele al segretario Matteo Renzi ed a Roma, nella mitica Piazza San Giovanni, con la manifestazione della CGIL della Camusso a cui ha partecipato l’ala dissidente del PD, quella dei Cuperlo, dei Civati e di Fassina.
La manifestazione di San Giovanni non si discostava di molto dalle abituali manifestazioni sindacali della CGL con il loro contorno di convocati mediante pulman, trasporto e pasto gratuito offerto dal sindacato con passeggiata a Roma approfittando della bella giornata di sole della ottobrata romana. Una massa di persone che ha occupato la piazza e bivaccato per Roma offrendo lo spettacolo di un popolo “arrabbiato” che reclama i suoi diritti.
 
Gli slogans, i cartelli ed il folklore sono stati quelli tipici delle manifestazioni di questo sindacato che da sempre ha rappresentato una colonna portante del sistema politico italiano ed anche stavolta non si discosta dal recitare il ruolo di “quelli che non ci stanno” alle politiche di austerità e di tagli proclamate dal governo e che dicono di non voler accettare la nuova normativa sul lavoro, il “jobs act”, la creatura partorita dal fiorentino per attenersi alle disposizioni della Troika europea in materia di lavoro.
 
Naturalmente gli italiani, quelli con un pò di senso critico, ricordano bene le posizioni sempre acquiescenti e collaterali del sindacato rispetto alle politiche di soppressione di diritti e di subalternità alle direttive della grande finanza sui governi di centro sinistra ed in particolare molti si chiedono dove erano i sindacalisti della CGIL quando si varavano le leggi come quella della Fornero (governo Monti) o quella precedente sul lavoro (legge Treu ) che ha introdotto il primo precariato sotto il governo di centro sinistra (governo Dini). Ma queste domande scomode alla Camusso non vengono fatte dai giornalisti compiacenti, si preferisce attardarsi sulla stantia polemica con Renzi e l’art. 18.
 
L’unica variante per la CGIL è stata l’aver fatto affluire un maggior numero di lavoratori in età media (molti extracomunitari,la nuova massa di manodopera per il sindacato) lasciando a casa gli abituali pensionati iscritti al sindacato, nettamente in maggioranza, per evitare di apparire come un sindacato “vecchio” e fuori gioco rispetto alle nuove tematiche sul lavoro.
 
Lo spettacolo più ghiotto per giornalisti e fotografi è stato indubbiamente quello rappresentato dai “leopoldini” a Firenze, ovvero i partecipanti alla convention della Leopolda che di fatto si è articolata come una grande convention aziendale tipica di manager in carriera che fanno il punto della situazione (politica in questo caso), autocelebrando i propri successi, il raggiungimento del “budget”, gli obiettivi per il prossimo futuro e utilizzando la convention per motivare ed entusiasmare i propri iscritti.
 
Non poteva che essere questo, nel perfetto stile renziano, lo svolgimento della riunione che ha adottato esattamente i rituali e le procedure che sono abituali negli USA per i convegni del Partito Democratico ed in Gran Bretagna per i convegni del Labour Party. Non per nulla Renzi si è dichiarato un grande ammiratore dell’”abbronzato” presidente Obama e dell’altro noto criminale di guerra, Tony Blair, uno dei corresponsabili (assieme a George W. Bush) della guerra in Iraq e del milione di vittime irachene conseguente a tale conflitto.
 
Il “budget” e gli obiettivi che Renzi ha proclamato non sono null’altro che quelli che la grande finanza, sponsor e sostenitrice del fiorentino, ha assegnato a governo Renzi: riforme del lavoro per il mercato aperto ed omologato che deve essere attuato in Italia, adeguamento dell’Italia agli standard ed alle politiche neo liberiste, richieste da Washington da un lato e dalla Troika europea dall’altro. In particolare Renzi sarà quello che firmerà il nuovo trattato transatlantico in preparazione, il TTIP, quello che darà il colpo di grazia alle imprese nazionali ed al sistema economico ed agricolo italiano lasciando campo aperto alle grandi multinazionali che potranno imporre il proprio standard rispetto alle normative nazionali. In conseguenza di questo trattato si prevede una invasione di prodotti OGM nei prodotti alimentari, che saranno messi in libera circolazione, grazie al trattato, sugli scaffali dei supermercati in Italia a prezzi competitivi rispetto ai prodotti nazionali, si prevede l’arrivo di società americane che avranno campo libero nelle attività di fracking sul territorio, con enormi danni ambientali, scosse di terremoto provocate artificialmente (effetto del fracking), nonchè l’arrivo dei colossi bancari ed assicurativi che saranno i primi ad attivarsi per la prevista campagna di privatizzazioni, prossima tappa del governo Renzi.
 
 
Tutto questo appare sottinteso, nel contesto della Leopolda, di un ambiente di giovani politici rampanti che circondano Renzi, vestiti casual ed american style, con ragazze di bell’aspetto a svolgere il ruolo di “veline” ed altre a presentarsi come ministre, nel mezzo di un “minestrone” di proclami per la modernizzazione del paese (“il futuro è solo l’inizio”), per la “nuova frontiera del partito democratico”, per la lotta del “nuovo contro la vecchia politica” ed il ripudio di quest’ultima paragonata ad un vecchio gettone telefonico.
 
Alla Leopolda si è ascoltata l’ esaltazione del nuovo ” Jobs Act” come sistema di normativa sul lavoro “moderno ed adeguato” ai tempi. Basta con l’art. 18 e con l’intromissione dei giudici nei rapporti di lavoro fra lavoratori ed impresa, sottinteso affidare tutto al mercato, il supremo regolatore per tutti i sostenitori del neoliberismo come Renzi ed i suoi sodali. Non potevano mancare i finanzieri come Serra ed i consulenti di marketing che hanno attentamente consigliato Renzi a come svolgere la convention con attenzione ai gesti, all’abbigliamento di lui e delle ministre.
 
Si è ascoltato anche (e non poteva mancare) il richiamo all’Europa, intesa in una prospettiva nuova di sviluppo e di rinascita, in contrasto con le vecchie politiche di austerità, come se Renzi abbia recepito una certa rivalsa prevalente nell’opinione pubblica contro le politiche europee di austerità verso cui esiste ormai una certa ripulsa generale. Il fiorentino cavalca astutamente questa stanchezza verso le politiche europee, facendo credere di essere in polemica ed in opposizione nei confronti di Barroso, della Merkel e dei commissari europei. Un atteggiamento che sembra condiviso da buona parte dell’opinione pubblica ma che appare sostanzialmente per quello che è: una recita delle parti.
 
In effetti Renzi non ha neppure provato a contestare neanche uno dei parametri e dei vincoli europei imposti all’Italia: dal Fiscal Compact al MES ed i miliardi che l’Italia deve versare a Bruxelles per il fondo di stabilità, per non parlare delle imposizioni europee che danneggiano gravemente l’agricoltura italiana. Al contrario Renzi era arrivato ad affermare che l’Italia deve rispettare il “Fiscal Compact” per fare bella figura davanti all’Europa. In precedenza aveva parlato della necessità di fare “i compiti a casa” richiesti dall’Europa.
 
Adesso l’atteggiamento è cambiato: più comodo e produttivo farsi credere in polemica apparente con l’Europa. D’altra parte non è più possibile affermare (come facevano abitualmente Letta e Monti) “ce lo chiede l’Europa”, senza ricevere pernacchie e fischi.
 
Non si può dimenticare che Renzi è stato, nella sua qualità di presidente di turno della UE, quello che ha approvato prima di tutti le sanzioni contro la Russia ( imposte da Washington) che stanno producendo alcuni miliardi di danni al sistema delle imprese italiane e di conseguenza all’occupazione. Se il fiorentino avesse avuto una qualsiasi forma di autonomia dalle imposizioni europee, questa sarebbe stata la migliore occasione per dimostrarlo, come invece hanno fatto Orban (leader dell’Ungheria) ed il presidente della Repubblica Ceka, Milos Zeman.
 
 
 
Non si capisce quindi in cosa sia la sua “difformità” rispetto alla Comissione Europea ed alle direttive di questa ma, si sa che il pubblico non entra molto nei dettagli, e Renzi lascia credere di essere un “contestatore” delle vecchie politiche dell’Unione Europea quando ne è invece un fedele esecutore.
 
La posizione di apparente contestazione, di quello che fa la faccia dura con Barroso, paga in termini di consenso con la sua base ed il fiorentino la cavalca benissimo. Un abile presentatore di “sceneggiate” come fin dall’inizio lo avevamo catalogato ed i fatti ci stanno dando ragione. Cambia la confezione ma non il prodotto.

La piazza contro la Leopolda, farsa del 25 ottobre

i sindacati “ribelli”, contro il governo, una barzelletta. Non si contano più le firme ai vari patti, “per la crescita”, “Per il lavoro”, patti che smantellavano e preludevano ad un continuo smantellamento dei diritti. Che cosa aspettarsi da chi firmò ed avallò la Biagi….ora fanno i “ribelli”...

Ma d’altronde lo dicono loro stessi, in piazza si fa a far “festa”…..una festicciuola, NON UN ATTO DI  RIVOLTA. Sia mai, è sempre il gov amico.
L’art è stato scritto prima della sceneggiata del 25. Non è che ci vogliano doti di preveggenza, solo onestà intellettuale per scrivere LA VERITA’

di Eugenio Orso – 22/10/2014

Fonte: Pauperclass

Giocare al poliziotto buono e a quello cattivo, fingere una competizione che non c’è, simulare improbabili opposizioni, politiche e sindacali, contrastare il capoccia per poi sostenerlo in parlamento e chiamarlo “il mio segretario” davanti ai microfoni, come fa Bersani con Renzi. Il pd, con la cgil e la fiom che gli reggono il sacco, è abilissimo in questi giochetti, è bravissimo nell’inscenare farse come “la piazza contro la Leopolda”, o anche “la sinistra contro i renziani” di turno.
Parte la cgil con una manifestazione pacifica e palesemente inutile, da incontro in piazza nel week-end, e l’”opposizione” interna piddina ne approfitta. Evidente che dietro c’è un copione da seguire, ma senza spaccare il pd e far cadere il governo … che è comunque il loro governo, benedetto e sostenuto dalla troika almeno per il momento.
Campioni nella truffa e nella manipolazione del popolo bue, i piddini fingono due schieramenti, per mantenere e acquisire consensi a tutto campo. Il primo è quello dei renziani, che vorrebbero le riforme del mercato del lavoro in barba ai “privilegi” dei lavoratori protetti, il secondo schieramento, che nella farsa dovrebbe opporsi con risolutezza al primo, è la cosiddetta sinistra del partito, “sensibile” alle istanze sociali e perciò “conservatrice”, con la cgil e la fiom in torta. I primi alla Leopolda, i secondi in piazza con il sindacato. A ciascuno di questi infami è stato assegnato un ruolo ben preciso, nella farsa.
La difesa dell’articolo 18, per quanto riguarda il secondo schieramento, non è che un pretesto per fottere ancora una volta i lavoratori e trattenere tessere e consensi, nel pd, nella fiom e nella cgil, così come nei primi anni duemila (marzo 2002) ha rappresentato un pretesto per far cadere il governo Berlusconi II, senza però riuscirvi. I renziani, dal canto loro, vorrebbero lavoratori tutti uguali e tutti senza diritti, licenziabili in ogni momento, per “dare lavoro ai giovani” (il solito slogan vuoto, che però funziona) e per “una questione di equità” sociale, ma in senso neocapitalistico, ossia tutti sottopagati e sfruttati davanti al capitale finanziario. A ciò si aggiunge la “contesa” riguardante la stessa natura del partito unico collaborazionista (della troika), cioè il pd. Se i renziani andrebbero verso il “partito della nazione” allargato o addirittura onnicomprensivo, aperto a tutto e al contrario di tutto, per fagocitare sel, ncd, i resti di sciolta civica e forse una parte degli inutilissimi grillini, i “sinistri” vorrebbero mantenere una “comunità di uomini e donne” (stronzate che dicono un Cuperlo o un Bersani) un po’ più ristretta, fingendo di restare “orgogliosamente ancorati alla loro storia”, anche se i collaborazionisti della troika, in quanto servi del Gran Capitale disposti a ogni sorta di tradimento e bassezza, non possono avere né storia né dignità politica. Così, la sceneggiata che si profila sabato 25 ottobre è a tutto campo, e in moltissimi crederanno veramente che nel pd ci siano opinioni e “proposte politiche” diverse, non soltanto quelle della bce, della commissione europoide e del fondo monetario internazionale. Che bel pluralismo! Eccola, l’essenza della democrazia liberale che anima il partito unico!
La ripugnante infamia chiamata sinistra avrà un giorno di gloria e darà spettacolo. Da una parte la sinistra-sinistra apostata del comunismo: cgil + fiom + Cuperlo + Bersani + Civati + Fassina + Mineo + Damiano + varie ed eventuali. Dall’altra la sinistra liberal ultramodernista, raccolta intorno allo sbruffone Renzi in una vecchia stazione ferroviaria fiorentina, scopertamente e fanaticamente devota al mercato, agli investitori, alle signorie finanziarie e alla loro moneta unica.
Peccato che lo jobs act, al senato, è stato da poco approvato con maggioranza ampia che più ampia non si può (165 sì!), e questo, soltanto questo, è ciò che conta per il futuro dei lavoratori. I più “coraggiosi” sinistri pd, come Mineo, si sono astenuti – non avendo avuto neppure il coraggio di votare contro – mentre gli altri hanno votato a favore. Tanto varrebbe che sabato se ne andassero tutti alla Leopolda, ad applaudire il loro segretario! Nessuno è uscito dal pd stracciando la tessera e nessuno lo farà il 25 di ottobre, ma la sceneggiata s’ha da fare, per ingannare ancora una volta il popolo bue.
La piazza contro la Leopolda, prossimamente in scena.
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=49604

Cavie da laboratorio

di Andrea Marcon – 22/10/2014
 
Fonte: Il giornale del Ribelle
 
stadi
 Il c.d. “decreto stadi” è stato definitivamente approvato dal Parlamento, con la rapidità e la solerzia dovuta ad un problema di ordine pubblico così rilevante. In un Paese che conta circa 500 morti all’anno per violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, è evidente che debba avere la priorità assoluta il fenomeno della violenza negli stadi, che di vittime ne ha causate meno di dieci (compresi gli omicidi commessi da poliziotti) negli ultimi 30 anni. Del resto la dittatura mediatica significa proprio che ciò che conta è solo quello che finisce nell’occhio della telecamera. La morte del povero Ciro Esposito indigna (giustamente), mille altre passano inosservate. Chi “regge” la telecamera, in definitiva, detta la priorità dell’agenda politica. Niente di sorprendente, la storia recente è piena di episodi ancora più significativi di questo meccanismo, vedasi da ultimo le vittime dell’ISIS a confronto con quelle di oltre dieci anni di stragi americane in Afghanistan.
Purtroppo non sorprende neppure il silenzio, o peggio ancora il plauso, che sta accompagnando l’introduzione di una legge che difficilmente avrebbe potuto essere approvata nel Cile di Pinochet.
Autentiche “perle” come la sperimentazione della pistola elettronica, laparificazione degli ultras a mafiosi e terroristi sotto il profilo dell’applicazione di misure restrittive della libertà personale, l’introduzione del DASPO di gruppo (un abominio giuridico senza precedenti), l’arresto in flagranza differita per chi intona cori di “discriminazione etnica e territoriale” non sono però semplicemente provvedimenti di stampo autoritario e liberticida. Sono sperimentazioni molto più sofisticate, perfettamente in linea con lo spirito dei tempi, nei quali alla democrazia (se mai è esistita) si sostituisce il sondaggio di gradimento, allo Stato di diritto quello di emergenza, alla censura l’apartheid mediatico, all’olio di ricino il DASPO.
Il Potere non deve far paura, deve creare i presupposti perché sia il cittadino bue ad invocarne l’intervento senza badare troppo al sottile.
Funziona più o meno così: prima di tutto si crea l’emergenza. In questo è fondamentale, come abbiamo appena detto, il ruolo dei media. Ma sbaglierebbe chi pensa che siano per forza tutti pilotati. Qui, ed è questo in fondo il vero dramma, non c’è neppure bisogno della Spectre. Qualche giornalista cerca anche la verità, ma in un mondo nel quale la verità è solo quella che appare (in televisione), al giornalista stesso non resta che amplificare un fenomeno di per sé già mediatico. Ed il calcio, specie in Italia, si presta perfettamente allo scopo. Un insulto razzista pronunciato in una lite tra automobilisti non fa notizia, ma se è proferito durante la rissa di una partita di serie A scatena processi mediatici infuocati, con spietata caccia alla lettura del labiale incriminato. È facile dunque far apparire una scazzottata da stadio come un grave ed intollerabile problema di ordine pubblico e Genny la carogna un cancro da estirpare al pari di Osama Bin Laden (l’accostamento non è casuale…). Basta leggere, ad esempio nel blog dei quotidiani on line, i commenti dei lettori a notizie come quella relativa all’approvazione della legge in questione: il più moderato si scandalizza perché invece del DASPO andrebbe data la galera.
Gli stadi, nella ricostruzione mediatica della realtà, vengono dipinti come luoghi dove le attività criminali dilagano senza controllo, autentiche terre di nessuno dove sarebbe in vigore un diritto molto più lassista e mite nei confronti dei delinquenti. Strano, pensavamo che questo fosse vero per certi quartieri dove la Polizia neppure osa entrare o per interi paesi dove regna la pax mafiosa, non per un luogo al quale non si può accedere neppure con un accendino in tasca, dove è vietato usare un megafono, si entra previa identificazione con un apposito strumento (la tessera del tifoso), si è costantemente spiati dalle telecamere e sono schierate imponenti forze di Polizia.
Una volta creato (o infinitamente ingigantito, che è la stessa cosa) il problema, scatta la necessità delle inevitabili contromisure. Non bastano le leggi ordinarie, urgono provvedimenti speciali. Ad invocarli è il popolino, quello che si esprime sui social network o nei talk show, questa massa indiscriminata al contempo generatrice e vittima delle idee che fanno tendenza. Al massimo è indifferente davanti all’ennesima violazione di quelli che vengono ancora spacciati come diritti inviolabili.
E poi, diciamolo chiaramente: ma chi se ne frega degli ultras. Quattro imbecilli violenti che si picchiano per un pallone non meritano altro.
È passato il Patriot Act, cosa volete che sia la legge sugli stadi?
Ed ecco che è bello pronto un pacchetto di misure che domani potrà tornare buono per qualche altra categoria, magari i manifestanti nelle piazze. Certo, solo quelli violenti e cattivi. Tipo, che so, i NO TAV. Una bella pistola elettrica calmerà anche i loro bollenti spiriti.
È ora di farla finita con questa gente che ha ancora voglia di indignarsi, di lottare, di resistere. Che non si mette in fila in strada solo per comprare l’ultima generazione di I-phone.
Un po’ di repressione, ma soprattutto il consenso – o il silenzio – di chi è rimasto in casa. Statevene lì, sotto una calda coperta. Accendete la televisione e gustatevi lo spettacolo.

A proposito di Bene Comune …

Tutti i cittadini senza eccezione sono i beneficiari delle coste, dei corsi d’acqua, dell’aria, delle foreste, delle terre fragili da un punto di vista ecologico.

“La dottrina della pubblica sicurezza si basa innanzi tutto sul principio per cui alcune risorse come l’aria, l’acqua del mare, le foreste, abbiano, per l’insieme della popolazione, un’importanza così grande che sarebbe totalmente ingiustificato farne oggetto di proprietà privata. Le suddette risorse sono un dono della natura e dovrebbero essere messe a disposizione di tutti in modo gratuito, indipendentemente dalla posizione sociale. 

Poiché tale dottrina impone al governo di proteggere queste risorse, in modo che l’insieme della collettività possa usufruirne, nessuno può autorizzarne l’utilizzo da parte di privati o a fini commerciali […]. Tutti i cittadini senza eccezione sono i beneficiari delle coste, dei corsi d’acqua, dell’aria, delle foreste, delle terre fragili da un punto di vista ecologico. In quanto amministratore, lo Stato, per legge, ha il dovere di proteggere le risorse naturale [le quali] non possono essere trasferite alla proprietà privata”…

http://www.cdca.it/spip.php?article896
Estratto della sentenza, del Dicembre 2003, della Corte Suprema dell’India, nei confronti del caso “Coca-Cola/Stabilimento di Plachimada”.

Quando la lingua e la legge sono utilizzate per trasmettere “valori in linea con la teoria dell’essenza umana”, coincidenti con quello stato di “giustizia nativa perché originaria”… allora si (ri)esce a percepire una apertura interiore finalmente proiettata anche nello scenario 3d esteriore.

Tutto sembra “fare pace”, con tutto.

Le suddette risorse sono un dono della natura e dovrebbero essere messe a disposizione di tutti in modo gratuito, indipendentemente dalla posizione sociale…

Tutti i cittadini senza eccezione sono i beneficiari delle coste, dei corsi d’acqua, dell’aria, delle foreste, delle terre fragili da un punto di vista ecologico…

Tratto da qui: http://sacroprofanosacro.blogspot.it/2014/10/come-mai-non-ne-hanno-ancora-scritto-i.html#more

Vedere anche questo:

Lesotho Highlands Water Project – Acqua.

Il progetto consiste nella costruzione di cinque dighe e di oltre 200 km di tunnel. Sostenuto dalla Banca Mondiale, vede la partecipazione dell’italiana Impregilo.

Gli ingenti danni provocati dalle dighe non sono stati risarciti alla popolazione locale…

http://www.cdca.it/spip.php?article245

Tratto da qui:
http://sacroprofanosacro.blogspot.it/2014/10/legge-e-lingua-pugnali-ed-identita.html

Le casseforti dell’Isis sono Ubs e Hsbc. E Obama lo sapeva dal 2008

di Franco Fracassi – 22/10/2014
Fonte: frontediliberazionedaibanchieri

Una squadra speciale d’investigazione dei servizi segreti Usa aveva scoperto nel 2008 che gran parte del denaro di Al Qaida passava per conti presso la banca svizzera l’Ubs. l’allora senatore Obama era tra quelli che seppero della cosa. Venne tutto insabbiato. Oggi da quei conti passano i soldi dell’Isis.
I media occidentali ci hanno raccontato che l’Isis è l’organizzazione terroristica più ricca al mondo, ci hanno raccontato che parte delle risorse finanziarie dell’Isis provengono dalle vendita del petrolio, ci hanno spiegato che l’Isis è un gruppo (il più potente, probabilmente) che fa parte della galassia di Al Qaida. Vi siete mai chiesti dove viene custodita questa montagna di denaro? Otto anni fa la Cia e l’Fbi si erano posti la stessa domanda. L’Isis non esisteva, ma Al Qaida sì. Venne messa su una squadra speciale di cui fecero parte membri di tutti i servizi segreti Usa (compresi dei consulenti esterni). Dopo due anni di indagine la cassaforte era stata individuata. I consulenti vennero pagati profumatamente, venne stilato un rapporto, venne tenuta una seduta a porte chiuse presso una sottocommissione del Congresso. E alla fine venne tutto insabbiato. Chi sapeva e tenne la bocca chiusa fece carriera, chi si ribellò finì in galera. La banca in questione era l’Unione banche svizzere (Ubs). Membro di quella commissione era l’allora senatore dell’Illinois Barak Obama. Il principale finanziatore delle sue campagne presidenziali è divenuto il presidente di Ubs Americans. La rete finanziaria e bancaria di Al Qaida è oggi utilizzata dall’Isis. Ma andiamo per ordine.
In piena “guerra al terrore”, promossa dall’Amministrazione Bush, negli Stati Uniti 2006 venne creata una squadra speciale d’investigazione finanziaria su Al Qaida. Cia ed Fbi stavano nel contrasto al terrorismo. E così si pensò che prosciugando i loro fondi bin Laden e gli altri estremisti islamici potessero esaurire la loro spinta bellica. Popoff in passato ha spiegato (documenti alla mano) di come fossero gli stessi servizi segreti statunitensi ad aiutare Al Qaida. Ma come tutte le strutture umane, anche quella dell’Amministrazione Usa non era un monolite: fianco a fianco lavoravano persone che servivano padroni e ideali diversi e che perseguivano scopi talvolta opposti.
 
A capo della squadra venne messo un consulente esterno. Booz Allen Hamilton era da tempo già consulente per il Pentagono. Era stato lui ad aver selezionato Edward Snowden quando era stato assunto dal National Security Agency. Hamilton era anche esperto di finanza internazionale. Facevano parte della sua squadra anche l’ufficiale dell’esercito Scott Bennett (vice di Hamilton), il capo dell’ente di controllo dei servizi segreti Mike McConnell e altri quattro funzionari del Nsa: James Clapper, Thomas Drake, William Binney e J.Kirk Wiebe.
 
Nell’anno e mezzo successivo i sette uomini indagarono sotto traccia in tutto il mondo. Seguirono molto tracce. Ma soprattutto trovarono un uomo, un funzionario della seconda banca svizzera: l’Unione banche svizzere, più conosciuta come Ubs. Brad Birkenfeld era il classico banchiere tutto d’un pezzo e (cosa, invece, non comune) convinto che il buon nome del suo istituto di credito fosse più importante della quantità di soldi ammassati nei suoi caveau.

Birkenfeld era anche un uomo interessato al denaro. E i centoquattro milioni di dollari versati dalla squadra di Hamilton su un suo conto furono un argomento molto convincente. Lo svizzero fornì i numeri di diciannovemila conti bancari, e poi numeri di cellulare, numeri di stanze d’albergo, date di appuntamenti, indirizzi email e altre informazioni in grado di smantellare la rete finanziaria del terrorismo.

«Ci vollero sei mesi per verificare tutte le informazioni dateci da Birkenfeld e per scrivere il rapporto finale. Finalmente, all’inizio del 2008 eravamo pronti per essere ascoltati dalla sottocommissione presieduta dal senatore democratico del Michigan Carl Levin», ha spiegato Benett a Popoff.
Le audizioni si tennero a porte chiuse. Solo i nove senatori poterono ascoltare tutta la storia e leggere il rapporto, intitolato “Shell Game” (127 pagine che Popoff ha avuto modo di visionare). Tra questi c’era il senatore dell’Illinois Barak Hussein Obama, futuro presidente degli Stati Uniti.
Ancora Bennett: «Ascoltarono Birkenfeld, ascoltarono me, ascoltarono altri testimoni chiave. E poi che cosa fecero? Minacciarono l’Ubs e la Hsbc? Le comminarono una multa? Denunciarono pubblicamente la cosa? Si rivolsero al governo svizzero e a quello britannico? Non fecero nulla di tutto questo. Insabbiarono tutto, sbatterono in galera me e Birkenfeld, secretarono “Shell Game” e si dimenticarono della faccenda. Ecco quello che fecero».
I due colossi bancari (l’Hsbc è la quarta banca del pianeta, l’Ubs la quattordicesima) non subirono alcun contraccolpo e i diciannovemila conti proseguirono nel veder transitare i soldi del terrorismo islamico. Bennett: «La cosa che scopersi solo dopo è che parte di quei conti era talvolta utilizzati anche dalla Cia. Ecco perché è stato insabbiato tutto, pensai. Ma forse c’erano anche altre ragioni più importanti, di valore geopolitico».

il relatore del documento “Shell Game”, Scott Bennett,  ha lavorato per anni per i servizi segreti statunitensi.IL RELATORE DEL DOCUMENTO “SHELL GAME”, SCOTT BENNETT, HA LAVORATO PER ANNI PER I SERVIZI SEGRETI STATUNITENSI.
Che cosa ne è stato dei membri della sottocommissione e di tutti coloro che hanno messo gli occhi su quel rapporto? C’è chi è diventato ambasciatore, chi capo dell’antiterrorismo, chi presidente di commissione e chi inquilino della Casa Bianca.
Lo sapete chi è stato il principale finanziatore singolo della campagna presidenziale di Obama del 2008 e di quella che ha portato alla sua rielezione? Un certo Robert Wolf, presidente della Ubs Americas, il ramo statunitense dell’Unione banche svizzere. Ha donato mezzo milioni di dollari la prima volta e 434.800 dollari la seconda.

Ha concluso Bennett: «Oggi Quei diciannovemila conti sono la linfa vitale dell’Isis. Si sarebbe potuto evitare tutto questo. E, invece… Gli stiamo permettendo di finanziarsi e gli facciamo guerra al tempo stesso». Li hanno anche addestrati e armati, come ha dimostrato Popoff in diversi articoli già pubblicati da questo giornale.
Dichiarazione del generale statunitense Martin Dempsey, capo degli stati maggiori riuniti di fronte alla commissione senatoriale di controllo delle Forze armate.
Senatrice repubblicana Lindsey Graham: «Lei è al corrente che i nostri principali alleati arabi si sono alleati all’Isil?».
Dempsey: «Sono a conoscenza del fatto che i nostri maggiori alleati arabi li stanno finanziando».
Graham: «Sì, ma sono diventati alleati?».

Dempsey: «Li finanziano perché l’Esercito di liberazione siriano non è in grado di combattere contro Assad».

Tratto da:http://popoffquotidiano.it