Primo video requisitoria PM…. “Il 27 giugno i violenti sfogarono liberamente i loro istinti primordiali”

E’ iniziata ieri, 7 ottobre 2014, in un’udienza durata oltre 7 ore, in aula bunker.
In questa parte viene ricostruito il “quadro”, dal punto di vista della Procura, delle due giornate, iniziando poi nel dettaglio ad analizzare il 27 giugno.
La “cosiddetta” Libera Repubblica della Maddalena aveva “sottratto alla sovranità dello Stato parte del territorio”, da qui l’ordinanza del 22 giugno che di fatto autorizzava all’operazione di sgombero del 27 giugno durante la quale, secondo i PM, “i violenti sfogano liberamente i loro istinti primordiali anche se non c’è nessuna ragione, nessuna situazione di pericolo”. Così quella benna che minacciava i resistenti sulla barricata stalingrado non creava alcun pericolo. Tanto più che “riguardando le immagini quelle persone non avevano un atteggiamento di paura… e se veramente avessero avuto paura avrebbero potuto scendere!”.
Parte una reazione degli imputati, che leggono poi un comunicato: ““ESISTE NEI VOSTRI CODICI DI LEGGE UNA VIOLENZA LEGALE ED UNA ILLEGALE.
Noi siamo accusati della seconda, voi vi fate forza della prima ed essa è fondamento della legge a cui vi appellate.
La vostra legale violenza è quella che rende possibile lo sfruttamento di milioni di persone, che uccide con le sue guerre “umanitarie”, che butta in strada chi non riesce a pagarsi un affitto, che devasta i territori in cui viviamo che ingabbia vite umane dentre CIE E GALERE.”
Questa prima parte termina con l’allontanamento dall’aula degli imputati e del pubblico. Il giudice decide per l’udienza a porte chiuse, anche quella della prossima settimana in cui verranno ascoltate le parti civili.
Simonetta Zandiri  – TGMaddalena.it
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Tav – Bono (M5S): “Al Pm Pedrotta: sicuro di ciò che ho affermato”8 ottobre 2014

http://www.m5sp.it/comunicatistampa/2014/10/tav-bono-m5s-al-pm-pedrotta-sicuro-di-cio-che-ho-affermato/

Se il PM Pedrotta afferma “Non è stato divertente vedere amministratori pubblici e consiglieri regionali avere avuto la sfrontatezza di venire in tribunale per negare di avere visto ciò che avveniva sotto i loro occhi”, io rispondo dicendo che sono sicuro di ciò che ho visto vicino a me e delle veridicità di cosa ho affermato.

Mi chiedo invece come sia possibile vedere poliziotti e funzionari della Digos improvvisamente perdere la memoria delle violenze dei loro colleghi.

Mi rammarico infine dal vedere magistrati che finiscono schiacciati dal potere esecutivo, quel potere politico che vuole un’opera inutile a tutti i costi, anche al prezzo di (far finta di) non vedere la presenza della criminalità organizzata.

Ogni uomo è uguale di fronte alla legge. 190 anni di carcere sono francamente difficili da comprendere.

Davide Bono, Consigliere regionale M5S Piemonte

Frediani e Bono su richieste e affermazioni PM

Tav – Frediani (M5S): “Richieste procura sono una pietra tombale sul dissenso ”7 ottobre 2014

http://www.m5sp.it/comunicatistampa/2014/10/tav-frediani-m5s-richieste-procura-sono-una-pietra-tombale-sul-dissenso/

Con grande amarezza ammettiamo di non provare nessuno stupore per le richieste di pena avanzate dalla Procura nei confronti degli attivisti No TAV.

Si avvicina la conclusione del procedimento che ha ripercorso i fatti avvenuti nelle due giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011 intorno al cantiere di Chiomonte: fatti raccontati attraverso i numerosi video, le perizie e le toccanti testimonianze di chi quei momenti li ha vissuti e rivendica orgogliosamente la sua presenza, motivata dalla volontà di esprimere dissenso verso la grande opera inutile.

Questo è solo l’ultimo passaggio di un accanimento giudiziario, senza precedenti, nei confronti del movimento No Tav iniziato con la celebrazione del processo in quell’aula bunker in cui hanno sfilato i peggiori esponenti della malavita organizzata calabrese, quella stessa malavita che peraltro ha dimostrato successivamente anche i propri appetiti per gli appalti dell’alta velocità. La richiesta di 190 anni di carcere avanzata oggi dalla Procura di Torino per gli attivisti No Tav è un vero e proprio schiaffo alla democrazia, una pietra tombale sul legittimo dissenso.

Auspichiamo che la sconcertante richiesta della Procura torinese cada nel vuoto e non venga accolta, nemmeno in parte, dai Giudici. Se, al contrario, le richieste saranno confermate avremo la certezza di vivere in un paese in cui il diritto al dissenso è ormai negato, schiacciato dal peso degli interessi economici di poche persone.

Francesca Frediani, Consigliere regionale M5S Piemonte

Notav: richiesti due secoli di condanne!

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È il momento delle richieste esemplari…

Al termine di una lunga giornata di dibattimento la procura torinese, nelle vesti dei pm Pedrotta e Quaglino, ha fatto richiesta di condanne alte per un totale di oltre 190 anni per i notav.

La pena più alta è di 6 anni e così a scalare, 4 anni, 2 anni, 3 anni e 10 mesi, 1 anno e due mesi e 6 mesi la più bassa. La procura torinese ha voluto così dare un segnale chiaro: la lotta notav deve essere l’esempio di pene esemplari per tutti quelli che oggi vogliono lottare per il proprio futuro.

La requisitoria dei pm non è stata certamente brillante e un processo di questa portata richiederebbe dei contenuti più corposi che vadano aldilà del background degli imputati e del “Non vorremmo mica credere che si sia limitato a questo episodio, saremo degli ingenui…” ipotizzando reati per nulla provati ma solo evocati dalla procura per creare un certo effetto sulla corte.

Quindi sulla base della personalizzazione dei reati supposti i pm hanno fatto capire che oggi là dove il movimento notav non si riesce a farlo desistere dalla lotta, arrivano le condanne esemplari e le alte richieste di risarcimento – per questo dovremmo aspettare le prossime udienze ma pensiamo di non sbagliarci vista l’aria che tira – per danni e lesioni, visto che ormai è tardi per la tav le richieste di risarcimento esagerate serviranno per cercare di recuperare qualche migliaio di euro dai notav per poter sopperire ai tagli dei fondi europei per l’opera.Nella requisitoria dei pm si faceva spazio la solita retorica della lotta notav come palestra per i professionisti della violenza, una scusa per praticare “guerriglia campestre” lontana, nei metodi, anche dal popolo della valsusa…questo un esempio del “taglio” della requisitoria della procura, una lettura univoca di un movimento che da sempre ha saputo coniugare una lotta in difesa del territorio, con una pratica conflittuale e di resistenza che da sempre ci mette la faccia e rivendica le sue azioni.

Con le richieste di quest’oggi si chiude una parte del maxi processo; nelle prossime udienze, il 14 e il 21 ottobre, ci saranno le esposizioni delle parti civili per poi passare alle requisitorie della difesa e al verdetto della corte il 20 gennaio.

Il pm ai No Tav, è simbolico darsi fuoco, non lanciare sassi

http://www.nuovasocieta.it/cronaca/il-pm-ai-no-tav-e-simbolico-darsi-fuoco-non-lanciare-sassi/

NuovaSocietà

Il pm ai No Tav, è simbolico darsi fuoco, non lanciare sassi
ottobre 07 2014
«I politici hanno mentito» no, non è la solita chiacchiera da bar o da tram, su come i politici nostrani abbiano l’abitudine di dire menzogne. A dare dei bugiardi è un magistrato, il pubblico ministero Manuela Pedrotta che , durante la requisitoria al maxi processo, nell’aula bunker delle Vallette, ai No Tav per gli scontri del 2011 in Val di Susa spiega che:«Non è stato divertente vedere amministratori pubblici e consiglieri regionali avere la sfrontatezza di venire in tribunale per negate di aver visto ciò che avveniva sotto il oro occhi». La Pedrotta si riferisce ai testimoni della difesa che secondo l’accusa che con i loro «non ho visto» hanno travisato i fatti.

Invece per il pm Nicoletta Quaglino si è abusato troppo della frase “gesto simbolico” durante il procedimento ai cinquantatre attivisti No Tav. Per il pm sono ben altri i gesti simbolici che la storia ha registrato: «Ho spesso sentito parlare in quest’aula di gesto simbolico, ma di solito essi sono imprescindibilmente verso se stessi non verso gli altri» spiega nella sua requisitoria la Quaglino che aggiunge: «Jan Palach si diede fuoco in piazza San Venceslao per protesta, mica diede fuoco alle truppe sovietiche schierate. Anche Pannella fece lo sciopero della fame contro il sovraffollamento delle carceri».
In sostanza “simbolico” diventa un gesto contro se stessi: «Chi riceve un sasso in testa non lo prende come un gesto simbolico».

Brebemi, l’autostrada doppione è quasi un flop: “tangent free”? No, libera da auto e tir

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/06/brebemi-lautostrada-doppione-e-quasi-un-flop-tangent-free-no-libera-da-auto-e-tir/1144596/

Il Fatto Quotidiano

I 50 chilometri della nuova direttissima da Milano a Brescia che corrono quasi paralleli all’A4 sono semivuoti: a fatica si arriva a 20mila transiti al giorno. L’opera è costata 2,4 miliardi di euro ed è stata pubblicizzata come costruita solo grazie ai privati ma ora la società chiede al governo un contributo di 80 milioni

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Il suo presidente Francesco Bettoni l’ha definita “la prima grande opera tangent free”. La gaffe al taglio del nastro ha subìto l’immediato rimbrotto di Matteo Renzi, presente anche lui quel 23 luglio. Da allora sono passati più di due mesi e la nuova direttissima da Milano a Brescia di una cosa si è rivelata piuttosto libera, free: di auto e tir. A percorrerla in un pomeriggio di settembre si va che è un piacere: i campi di fianco, la strada vuota davanti. Dal casello di Pozzuolo Martesana, l’ingresso dell’autostrada per chi viene da Milano, a quello di Chiari est, l’ultimo prima di Brescia, ci sono circa 50 chilometri: freccia del tachimetro sui 100 all’ora, in mezzora di tragitto le vetture da cui si viene superati o che si superano sono appena venti. Noia? “Un po’ sì”, ammette il casellante prima di presentare il conto: 9 euro e 10. Bello salato: al ritorno, prendendo la A4 che corre quasi parallela, il pedaggio è di 6,70 euro. E i tempi? Perde anche qui la Brebemi, visto che per andare da Cascina Gobba, periferia nord est del capoluogo lombardo, alla stazione ferroviaria di Brescia ci sono voluti un’ora e 17 minuti. Mentre al ritorno, sulla via alternativa, sono bastati partendo poco prima delle 17 un’ora e tre minuti, con soli 4 chilometri in più da percorrere. 
 
Un’autostrada semivuota

Il numero degli ingressi è impietoso per questa lingua d’asfalto che con gli oneri finanziari è costata 2,4 miliardi di euro. Quasi 16mila transiti al giorno nella prima settimana dopo l’inaugurazione, poi di numeri Brebemi non ne ha più dati. Secondo il Corriere della sera i passaggi giornalieri ad agosto sono stati 13mila, saliti a quasi 20mila la prima settimana di settembre. Legambiente, per la terza settimana del mese scorso, ha parlato invece di 16mila ingressi. Tanti? Pochi? Sul sito della nuova autostrada si legge ancora: “Lo studio di traffico redatto per il progetto definitivo evidenzia che la nuova autostrada avrà flussi giornalieri di traffico pari a circa 40mila veicoli all’apertura (2014) e quasi 60mila veicoli a regime”. Dalla Brebemi dicono che il sito non è aggiornato e che quelle sono previsioni vecchie, mentre il nuovo obiettivo è di 19.800, meno della metà di quanto dichiarato un tempo. La società contesta poi i numeri di Legambiente, ma per il momento non vuole fornire i suoi. Difficile negare il flop. E se qualcuno dovesse fermarsi a fare benzina? Niente, le aree di sosta sono ancora terreni vuoti, con le gare per due dei quattro autogrill andate deserte.

E ora i conti sono a rischio
Il piano finanziario di Brebemi, che tra i soci ha Intesa Sanpaolo e il gruppo Gavio, rischia di saltare per davvero, anche perché i costi, da quando il progetto è stato avviato 18 anni fa, sono aumentati. Da allora ci sono voluti 13 anni per l’iter burocratico e altri cinque per i cantieri. Un’opera realizzata inproject financing, senza spendere un euro pubblico, si è sempre vantato Bettoni. Tralasciando però che un bel po’ di denaro è arrivato dalla Cassa depositi e prestiti e dalla Banca europea degli investimenti, entrambe pubbliche. Ma lo slogan di un’autostrada costruita solo grazie ai privati ora potrebbe diventare inutilizzabile del tutto, perché Brebemi ha chiesto al governo, oltre al prolungamento della concessione da 20 a 30 anni, un contributo di 80 milioni di euro e una defiscalizzazione dei lavori già ultimati che farebbe rimanere in cassa altri 400 milioni e passa. Segno che sui conti la preoccupazione c’è tutta.

Per ora l’esecutivo non risponde. Nel frattempo le sei corsie d’asfalto rimangono semivuote a tagliare un pezzo di campagna lombarda, espropriato di molti terreni un tempo coltivati. Ma a chi importa? A rappresentare una parte degli agricoltori c’era Bettoni stesso. Che per trent’anni è stato presidente dell’Unione provinciale agricoltori di Brescia e a lungo pure di Confagricoltura Lombardia. Alla faccia del conflitto di interessi.

di Stefano De Agostini e Luigi Franco

Mose, nuovo ciclone sull’ambiente Arrestato manager regionale Indagato capogruppo Ncd

http://www.ilgazzettino.it/NORDEST/PRIMOPIANO/mose_due_scandalo_arrestato_dirigente_regione_veneto/notizie/942656.shtml

Il Gazzettino.it

Agli arresti domiciliari Fabio Fior, altre venti indagati
Nel mirino anche Giancarlo Conta, ex assessore all’Ambiente

Fior, Conta e Chisso
di Monica Andolfatto
VENEZIA – Un altro maremoto a Venezia. Arresti domiciliari per il noalese Fabio Fior residente a Padova, ex dirigente generale della Direzione tutela ambiente della Regione Veneto, Sebastiano Strano, imprenditore nel settore ambientale e Maria Dei Svaldi, imprenditrice (entrambi agli obblighi di dimora) e iscrizione nel registro degli indagati di altre venti persone fra cui spiccano i nomi degli ex assessori regionali Renato Chisso, dallo scorso 4 giugno in cella a seguito della grande retata del Mose, e Giancarlo Conta, attuale capogruppo in Regione del Nuovo centro destra, dell’ex segretario regionale all’Ambiente e TerritorioRoberto Casarin, l’ex segretario dell’assessore all’AmbientePaolo Zecchinelli, degli ex Magistrati alle Acque di Venezia, Maria Giovanna Piva Patrizio Cuccioletta(entrambi finiti in carcere nell’ambito dello scandalo Mose), dei già dirigenti del Consorzio Venezia Nuova Roberto Rosselli, Roberto Pravatà e Johann Stocker, nonché degli ex sindaci di Sant’Urbano (Pd) Dionisio Fiocco, di Piacenza d’Adige (Pd) Lucio Giorio e di Torri del Benaco (Vr) Giorgio Passionelli e del commercialista mestrino Sergio Gionata Molteni.

Un’altra scossa dunque scuote dalle fondamenta il palazzo della Regione. E ancora una volta di mezzo c’è il Mose ma non solo, sullo sfondo delle contestazioni mosse dalla Procura a Fior dirigente già sospeso dal ruolo e reintegrato in pianta organica dallo scorso aprile prima al settore Energia, ora al settore Progetto integrato Fusina.

Quasi 4 milioni di euro assegnati a diverse società, fra cui la Green Project, per progetti deliberati dalla Regione, e liquidati con fatture per operazioni e prestazioni inesistenti.

Malversazione, peculato, abuso d’ufficio le accuse formulate nei confronti di Fior nella sua veste di capo dell’ufficio Tutela Ambiente dal luglio 2002 all’agosto 2010 e di vicepresidente della Commissione tecnica regionale ambientale (Ctra) e della Via (Valutazione impatto ambientale).

In pratica Fior avrebbe abdicato alla sua funzione di controllore in cambio da una parte di consulenze lautamente ricompensante dalle società operanti nello smaltimento dei rifiuti.

L’ordinanza di custodia cautelare, disposta dal giudice per le indagini preliminari veneziano Roberta Marchiori su richiesta del pubblico ministero Giorgio Gava, eseguita questa mattina, arriva al termine di un’inchiesta complessa che ha visto al lavoro i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Venezia e i carabinieri del Noe di Treviso, e che ha avuto come tappa intermedia nell’aprile 2013 il sequestro da parte della Direzione distrettuale antimafia di Venezia dell’impianto di trattamento dei rifiuti della trevigiana Mestrinaro con l’accusa di miscelare gli scarti edili senza trattarli e di metterli sul mercato comecemento per sottofondi stradali.

A collaudare la struttura fu guarda caso l’ing. Fior, assunto quale consulente dalla stessa Mestrinaro, dopo aver partecipato nella sua veste appunto di responsabile dell’ufficio regionale preposto, alla fase istruttoria del procedimento di approvazione della richiesta di ampliamento del sito poi bocciata dal Consiglio di Stato.

La nutrita pattuglia targata Mose cosa c’entra? Tutto ruota attorno al cosiddetto Servizio informativo costituito all’interno del Consorzio Venezia Nuova e che Piergiorgio Baita nei diversi interrogatori definisce «uno sperpero totale di soldi dello Stato a beneficio di nessuno» che affida gli incarichi «senza nessun tipo di gara, a parenti, amici, cose del Consorzio» persino in ambiti che non hanno alcuna attinenza con la salvaguardia di Venezia e della sua laguna come evidenziato da questa inchiesta.

L’accusa: due secoli di carcere per i No Tav a processo In evidenza

http://contropiano.org/politica/item/26771-l-accusa-due-secoli-di-carcere-per-i-no-tav-a-processo

contropiano.org

  •  Mercoledì, 08 Ottobre 2014 10:42
  •  Adriano ChiarelliL’accusa: due secoli di carcere per i No Tav a processo

Il maxiprocesso per i disordini della Maddalena si sta avviando a conclusione.

Il cumulo delle condanne richieste è degno di un maxiprocesso: 190 anni, con pene che vanno dai sei mesi ai sei anni. Il sapore di farsa giudiziaria che si è respirato negli anni del maxiprocesso ai NoTav, udienza dopo udienza, testimonianza dopo testimonianza, è stato spazzato via dalla gravità e dalla pesantezza delle richieste dei pubblici ministeri. Non che qualcuno si fosse convinto che nell’aula bunker di Torino si scherzasse, anzi, ma nessuno poteva ignorare la sproporzione delle forze in gioco, l’accanimento sistematico, ragionato, calcolato di una procura contro un intero movimento, rappresentato nel maxiprocesso dai 53 imputati per quella che ormai è passata alla storia del movimento come “la battaglia della Maddalena”.

 Uno dei principi intorno al quale il processo si è incardinato nel corso di questi anni è stato l’intento – sempre dichiarato, quasi in ogni udienza – da parte degli inquirenti di non entrare nel merito della protesta, ma di limitarsi a valutare e giudicare i reati commessi. Un processo tecnico, in punta di codice, sarebbe dovuto essere. Ma questa linea di condotta ieri è saltata clamorosamente, quando i pm Quaglino e Pedrotta durante le requisitorie hanno addirittura suggerito ai NoTav come avrebbero dovuto lottare: dandosi fuoco come Jan Palach in piazza San Venceslao o facendo lo sciopero della fame come Marco Pannella. In aula si sono levate prima grasse risate e poi urla di sdegno e contestazione, al punto che il giudice ha deciso di sgombrare l’aula, lasciando dentro solo i giornalisti.

 Benché i giudici abbiano sempre affermato il contrario, le richieste di condanna denotano la vera natura di questa lunga istruttoria: un processo politico, un processo alle idee. Calata la maschera, gli attori in campo si sono mostrati per quello che sono. Da un lato una magistratura votata alla disarticolazione del movimento di resistenza più grande e complesso oggi presente in Italia, e per questo temibile; dall’altro il movimento stesso che più che alla lotta, rischia di dover dedicare tempo, risorse ed energie a difendersi da quello che ormai è diventato il nemico principale, ovvero gli apparati dello stato.

 Lo stesso stato che sostiene l’opera simbolo di tutti gli sprechi e i malaffari legati alle grandi opere, quella linea ad alta velocità che serve solo a chi la promuove, e che porta progresso e ricchezza solo nelle teste e nelle tasche di chi l’ha concepita, che offre comodo riparo a corrotti, corruttori e criminali di ogni estrazione e grado. Lo stesso stato che fa quadrato intorno alla polizia e alla magistratura, alimentando campagne di demonizzazione del movimento, attraverso rappresentazioni disoneste e non veritiere dei principi che lo alimentano da ormai venticinque anni, sproloquiando di “terrorismo”, “antagonismo anarchico”, “professionismo della violenza”. Lo stesso stato che ha intuito la dimensione non solo locale del movimento NoTav, temendone la portata dilagante, contagiosa, inarrestabile, come dimostrano le decine di movimenti del “NO” sparsi in tutta Italia. Lo stesso stato che teme i principi alla base del movimento, ormai talmente perfezionati da aver creato nuove forme di lotta non violenta – ma determinata – così efficaci e fastidiose, che l’unica risposta possibile in mancanza di validi argomenti tecnici e politici, resta l’accanimento giudiziario e poliziesco. 

E infatti, alla fine del lungo corso di udienze, il risultato è che le uniche testimonianze attendibili, gli unici documenti validi, le uniche voci inappellabili provengono principalmente dalle forze dell’ordine, in particolare dalla Digos. Non dimentichiamo che è soprattutto sul mare magnum di voci, verbali e lamentazioni varie del personale in divisa in servizio permanente in val Clarea, nonché presente alla Maddalena tra il 26 giugno e il 3 luglio 2011, che l’intero processo si è basato, arrivando alle pesanti richieste di condanna formulate ieri.

 Uno schema vecchio e consolidato quella della fiducia incondizionata nella parola delle forze dell’ordine, visto talmente tante di quelle volte, soprattutto nei processi di malapolizia, che non si può che assistere con animo contrito al suo ripetersi, constatando che è così che funziona e continuerà a funzionare nelle aule giudiziarie, in barba a qualsiasi garanzia costituzionale, all’imparzialità e al diritto elementare ad avere un processo equo. È quanto afferma anche il nutrito gruppo di difensori dei NoTav imputati: “la requisitoria dei pm è stata di basso profilo, molto assertiva e si è basata ampiamente sulle annotazioni della Digos. Prove quasi inesistenti, nessun riconoscimento dei presenti sul luogo degli scontri: se i funzionari digos in sede testimoniale affermavano che un manifestante fosse lì presente e commetteva determinati reati, ciò basta come prova regina, senza confutazioni né contraddittorio. Segnaliamo anche le ripetute critiche alle tante personalità istituzionali, amministratori locali e sindaci dichiaratamente NoTav che presero parte ai giorni della Maddalena”.

La storia giudiziaria del movimento appare già scritta. Per questo motivo appaiono assai condivisibili le posizioni radicali dei quattro militanti incredibilmente accusati di terrorismo ancora rinchiusi in regime di carcere duro, i quali dopo aver rilasciato dichiarazioni spontanee in aula, si sono sottratti al riesame dell’accusa. Resta da vedere invece come si evolverà un altro importante processo, quello a carico di Marta Camposano, molestata sessualmente e insultata da alcuni poliziotti in seguito al suo arresto.

Per quanto riguarda il maxiprocesso di Torino le richieste di condanna a sei anni sono a carico di sette NoTav, formulate in base alla recidiva. Le altre richieste partono dai tre anni per resistenza ai tre anni e dieci mesi per resistenza aggravata, senza recidiva, per alcuni con le attenuanti generiche. A partire dalla prossima udienza, prevista per martedì 28 ottobre prossimo, sfileranno in aula le parti civili per le richieste di risarcimento: la Lyon Turin Ferroviaire, la società italo-francese concessionaria dei lavori per il tunnel in Clarea, i ministeri e ben ottanta poliziotti.

Kobane resiste agli assalti dell’Isis

http://contropiano.org/internazionale/item/26733-kobane-resiste-agli-assalti-dell-isis

contropiano.org

Non è certo grazie agli sporadici e poco più che simbolici raid aerei della “coalizione dei volenterosi” contro le postazioni jihadiste nel nord della Siria che la città curda di Kobane resiste ormai da tre settimane al massiccio assalto delle milizie dello Stato Islamico. 

L’Isis sta martellando Kobane con missili che hanno una gittata di 20 chilometri e carri armati, mentre i militanti del Pyd (Partito dell’Unità Democratica) inquadrati nelle Unità di Difesa del Popolo e affiancati dai guerriglieri del Pkk e da altre milizie popolari spesso prive di addestramento militare ma animate da una forte determinazione a difendere le loro case e le loro famiglie starebbero combattendo strenuamente, strada per strada, con vecchi kalashnikov e missili anti-carro.
E’ grazie a questa determinazione che nel corso della notte i combattenti curdi hanno respinto un nuovo attacco della milizie jihadiste contro Kobane. I miliziani fondamentalisti avrebbero cercato di stringere la città in una tenaglia, attaccando da est e da ovest, ma i curdi hanno respinto l’assalto e violenti combattimenti sono proseguiti per tutta la notte, per poi affievolirsi nella prima metà della giornata e ripartire oggi pomeriggio con il calare della sera. 
Secondo i bollettini emanati dai comandi militari della resistenza curda, molti componenti delle bande jihadiste sarebbero rimasti uccisi durante la notte e la guerriglia avrebbe respinto un tentativo dell’Isis di attaccare la città con un camion-bomba.
Secondo alcune fonti oggi i miliziani jihadisti avrebbero issato la loro bandiera nera su una palazzina di quattro piani nella zona orientale di Kobane, ed almeno un altro vessillo dello Stato Islamico sarebbe comparso sulle colline della città. Inoltre una trentina di guerriglieri delle forze di autodifesa curde (Ypg) sarebbero morti a causa di n doppio attentato suicida con autobomba realizzato dagli islamisti oggi ad Al Hassaka, località a 220 km di distanza da Kobane, più a est. 

Ormai i jihadisti controllano gran parte del territorio attorno a Kobane e la circondano da tre lati, mentre il quarto è a ridosso del confine turco presidiato dall’esercito turco che, invece di intervenire a sostegno della resistenza curda, questa mattina ha per l’ennesima volta disperso con lacrimogeni e idranti alcune migliaia di profughi ammassati da un lato della frontiera e aspiranti combattenti accorsi dal Kurdistan turco per andare a lottare a fianco dei fratelli del Rojava ma impossibilitati a passare in territorio siriano a causa della blindatura ordinata da Ankara. E questo nonostante che ieri un colpo di mortaio sparato dai jihadisti abbia colpito una casa in territorio turco a pochi chilometri da Kobane, ferendo cinque persone, mentre due piccoli villaggi di confine sono stati evacuati formalmente per “precauzione”. A causa del blocco del confine, denunciano i curdi, un uomo ferito proveniente proprio da Kobane è morto dissanguato, non riuscendo a raggiungere un posto dove essere curato efficacemente. D’altronde ieri il presidente turco Erdogan ha chiarito che per lui e per il suo governo «I combattenti curdi sono uguali ai miliziani dell’Isis». 

Questo mentre il quotidiano britannico The Times ha rivelato che, in cambio della liberazione dei 49 cittadini turchi sequestrati a giugno dai combattenti fedeli ad Al Baghdadi nel consolato iracheno di Mosul, il regime liberal-islamista di Recep Tayyip Erdogan ha liberato ben 180 miliziani catturati nei mesi precedenti e consegnati alla Turchia da alcuni gruppi dell’opposizione islamista siriana in competizione con l’Isis. Il quotidiano britannico, che dichiara di aver visionato la lista dei nomi, afferma che tra di loro ci sono due britannici, tre francesi, due svedesi, due macedoni, uno svizzero e un belga. 
Intanto tutta la stampa internazionale, con incredibile ritardo, ha scoperto l’eroismo dei combattenti curdi e in particolare delle sue donne, in prima fila nel tentativo di impedire che le orde jihadiste spazzino via le loro comunità e con esse un esperimento di convivenza democratica e multietnica instaurata finora nelle zone liberate del Rojava. 
In particolare i media riportano con evidenza la vicenda di Arin Mirkin (nome di battaglia di Dilar Gencxemîs), una giovane madre di due figli comandante di un’unità femminile delle Ypg, che ieri si sarebbe fatta esplodere tra i miliziani dell’Isis alla periferia di Kobane per non finire ostaggio dei miliziani. Secondo quanto riportato da alcuni media avrebbe così distrutto un mezzo blindato e ucciso una ventina di fondamentalisti. Qualche giorno fa un’altra guerrigliera, la diciannovenne Ceylan Ozalp, avrebbe usato l’ultima cartuccia a disposizione per uccidersi una volta circondata, per evitare di essere catturata dai tagliagole di Al Baghdadi.

Il ministro all’Ikea con la scorta fermato all’uscita per un controllo

http://torino.repubblica.it/cronaca/2014/10/07/news/il_ministro_all_ikea_con_la_scorta_fermato_all_uscita_per_un_controllo-97513961/

Roberta Pinotti compra mobili con la figlia. All’alt della sicurezza un carabiniere si qualifica: “Abbiamo un po’ fretta”. La responsabile della Difesa ha poi avvicinato il sorvegliante dicendosi disponibile alla verifica degli acquisti

di FEDERICA CRAVERO

 

07 ottobre 2014 

Il ministro all'Ikea con la scorta fermato all'uscita per un controllo

Il ministro della Difesa Roberta Pinotti 

Sembrava di rivedere Alberto Sordi nei celebri panni del vigile: “Dispiacente, io in servizio non riconosco nessuno”. Solo che al posto del vigile c’era uno scrupoloso addetto alla vigilanza che all’Ikea di Collegno, nei controlli a campione per stanare i taccheggiatori, si è imbattuto nel ministro della Difesa Roberta Pinotti e negli agenti della scorta. “Sono un carabiniere, abbiamo fretta”, ha esordito uno dei guardaspalle rivolto al dipendente della Telecontrol, incaricato di controllare all’uscita delle casse automatiche se tutto era stato pagato. La scena ha suscitato qualche curiosità tra i clienti, che hanno visto il vigilante allontanarsi indispettito. L’esponente del governo, pur presa tra scatole e scatoloni, si è accorta del piccolo battibecco che ne è nato, tanto da chiedere al capo scorta di avvicinarsi all’addetto per dare la propria disponibilità ad essere controllata.

Già l’anno scorso l’Ikea era stata galeotta per la senatrice Anna Finocchiaro, che era stata fotografata mentre gli agenti della scorta spingevano il carrello e gli scatti erano stati diffusi dal settimanale “Chi”.
L’episodio che coinvolge il ministro della Difesa è avvenuto sabato pomeriggio. Roberta Pinotti, genovese, era in compagnia della figlia primogenita che si è trasferita a Torino per studiare all’università. Le due donne con il carrello pieno hanno usato le casse veloci, in cui si passa da soli il lettore ottico sui codici a barre dei prodotti acquistati. E, per evitare la furberia di chi potrebbe “dimenticarsi” di pagare qualche pezzo, all’uscita c’è un addetto alla sicurezza che sceglie a campione chi controllare. La scelta è caduta proprio sul gruppo del ministro: in tutto sei bodyguard, vestiti in modo sportivo, che fino a quel momento erano passati abbastanza inosservati, che seguivano passo passo mamma e figlia. E quando l’addetto alla vigilanza ha mostrato l’intenzione di controllare proprio il carrello del ministro, uno degli agenti si è qualificato. 

È stata la Pinotti stessa  –  che qualche giorno fa aveva dovuto dare giustificazioni per aver usato un volo militare per tornare a casa, di ritorno da un vertice Nato  –  a voler poi ricomporre lo “strappo”, anche per togliere dall’imbarazzo il vigilante che evidentemente non l’aveva riconosciuta. Poi ministro, figlia e scorta sono stati visti allontanarsi verso il parcheggio e andare via a bordo di due auto.