Tav: costi alle stelle, “blocchiamo tutt

GRANDI OPERE

Pubblicato Mercoledì 29 Ottobre 2014, ore 13,32

A sorpresa è il senatore dem Esposito, fautore della Torino-Lione, a chiedere l’interruzione dell’opera. Spesa prevista salita da 2,9 a 7 miliardi: “Voglio spiegazioni”. Scibona (M5s): “Benvenuto, noi denunciamo da sempre il vergognoso balletto delle cifre”

È  bufera sui costi della Torino-Lione. Dopo le indiscrezioni di stampa su un aumento da 2,9 a 7 miliardi, il senatore Stefano Esposito ha chiesto un’audizione urgente inCommissione Trasporti – di cui è vicepresidente – dei vertici di Rfi e del ministro Lupi. “Se la cifra fosse confermata – annuncia Esposito, da sempre sostenitore dell’Alta Velocità ferroviaria – non indugerò un solo minuto a presentare una mozione parlamentare per chiedere l’interruzione dei lavori e la rinuncia” all’opera.

 Nei giorni scorsi, infatti, il Sole 24 Ore ha pubblicato documenti di Rfi dai quali risulterebbe che, contrariamente a quanto deciso e discusso fino ad oggi nelle aule parlamentari, il costo della tratta internazionale Torino-Lione non sarebbe di 2,9 miliardi ma di 7 miliardi. Questa novità sarebbe frutto di un accordo di programma tra Ministero dei Trasporti e la stessa azienda, “di cui nessuno era a conoscenza, men che meno il Parlamento”, afferma il senatore del Pd. La tratta, il cui costo per i lavori era calcolato in 8.329 milioni di euro a inizio 2012, richiederà in realtà un esborso di quasi 12 miliardi (precisamente, 11.977 milioni). Ciò significa che l’Italia, ha spiegato il giornale della Confindustria, su cui grava secondo il trattato Italia-Francia di due anni fa il 57,9% della spesa per i lavori, dovrà garantire la copertura non di 4,8 miliardi di euro, ma di 6,9 miliardi. Se dall’Europa arriverà l’auspicato 40% di finanziamento (il massimo possibile per le reti Ten-T transfrontaliere), la quota da garantire con il bilancio italiano sarà di 4,16 miliardi di euro. E non i 2,9 miliardi che venivano finora calcolati in base ai dati Ltf (la società mista italo-francese incaricata di gestire la progettazione e realizzazione dell’opera).

Una presa di posizione che ha lasciato letteralmente di stucco chi, come il senatore del M5s Marco Scibona, fervente No Tav, da tempo contesta la sostenibilità finanziaria dell’opera: “Ieri nell’Ottava Commissione del Senato (Lavori pubblici, comunicazioni) siamo rimasti basiti dalle parole del senatore del tondino e del cemento Esposito, il quale ha esternato tutta l’irrazionalità che sta dietro all’aumento di costo della grande e inutile opera”. Per l’esponente grillino siamo di fronte a un vero e proprio inganno: “Non è tollerabile che una società come Rfi detti prezzi e scriva ciò che vuole. È compito del Parlamento finanziare le opere nelle leggi di stabilità e i bilanci non possono assecondare le necessità di chi quotidianamente decanta la solidità di progetti, in verità, basati su dati fantasiosi”. E a differenza di quanto avviene nel Paese partner, la Francia, che ha sempre confermato la cifra e le tempistiche iniziali, “in Italia invece triplicano i costi senza nessun motivo logico e i tempi vengono armonizzati a seconda delle opportunità o dei timori della classe politica”. Insomma, conclude Scibona, “ciò che da anni il Movimento No Tav denuncia e ciò che dal 2013 il Movimento 5 Stelle racconta a questo Parlamento, ha preso piede. Siamo sempre stati etichettati come esagerati e superficiali, ma oggi queste osservazioni vengono espresse anche dai più accaniti fautori dell’opera”. Tutti, all’unanimità, hanno dichiarato l’urgenza di convocare in audizione Rfi, il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il ministero dell’Economia e delle Finanze e i Commissari Straordinari. “Basta con il paese dei furbi e dei burocrati che decidono senza rispettare il Parlamento”, gli fa eco Esposito.

Il marocchino del Pd: “Le Violenze sui bus sono colpa degli autisti”

martedì, 28, ottobre, 2014
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Khalid Chaouki è alla buvette della Camera, mi guarda severo: “La tua video-inchiesta sulla stazione Termini e gli immigrati fa schifo. Proprio brutta”. Immaginavo non piacesse al deputato Pd, italiano di origine marocchina che centra la sua battaglia politica sui diritti degli immigrati. Provo ad obiettare: “I problemi però sono reali. Guarda cosa è accaduto a Corcolle, in periferia di Roma con l’assalto degli immigrati ai bus dell’Atac…”.
 
Chaouki è ancora più perentorio: “Balle. Gli assalti sono balle!”. Ma come? Una donna che guidava il bus addirittura ha rischiato la violenza sessuale… “Balle, queste cose le denuncia quella donna sindacalista. Ma non sono vere, informati”, replica ancora Chaouki.
 
E rincara la dose: “L’unica cosa vera che avviene è che gli autisti dell’Atac quando vedono alcuni immigrati in attesa alla fermata del bus, tirano diritto. Prova a chiedere a loro se saltano apposta qualche fermata! Poi ovvio che i poveretti restati a piedi si incazzino. Non bisogna assalire il bus, ci mancherebbe. Ma se la protesta è vivace, è solo colpa degli autisti Atac…”. Bisognerebbe provare un confronto all’americana fra il deputato Pd e gli autisti furiosi. Ma non glielo consiglio…
 
di Franco Bechis
(tratto da L’imBECcata)

Torino-Lione senza fondo, il costo sale a 12 miliardi

post 25 ottobre 2014 at 13:37

Tav. Anche dalla Francia dubbi sulla copertura economica della grande opera

Mauro Ravarino, il manifesto

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Il mar­chio «low-cost» avrebbe sal­vato capre e cavoli. O almeno così la pen­savo gli spon­sor dell’opera. Cor­reva il giu­gno del 2011 e man­ca­vano poche ore alla più calda estate vis­suta in Val di Susa. In cima alla Mad­da­lena, i No Tav difen­de­vano il loro pre­si­dio.

Spuntò sui quo­ti­diani un pro­getto leg­gero per la Torino-Lione con l’imprimatur del pre­si­dente dell’Osservatorio, Mario Virano, e il bene­pla­cito dell’ex mini­stro dell’Economia, Giu­lio Tre­monti: 8,3 miliardi di euro invece dei 23–24 pre­vi­sti. In realtà, era solo una grande ope­ra­zione di comu­ni­ca­zione prima dello sgom­bero del quar­tier gene­rale No Tav; il costo non sarebbe stato modi­fi­cato, ma si pre­fe­riva pub­bli­ciz­zare solo quello rela­tivo alla tratta inter­na­zio­nale (non quello com­ples­sivo della linea). In pra­tica, il tun­nel di base tra Susa e Saint-Jean de Mau­rienne (57 chi­lo­me­tri). Cam­biava l’approccio, la forma: l’opera sarebbe stata costruita per fasi. Il 30 gen­naio del 2012, l’accordo tra Ita­lia e Fran­cia san­civa la ripar­ti­zione della spesa per i lavori della sola parte tran­sfron­ta­liera. Il 57,9% a carico dell’Italia e il 42,1% della Fran­cia. Con la spe­ranza di un finan­zia­mento Ue del 40% – recen­te­mente molto meno sicuro –, Roma avrebbe dovuto spen­dere 2,9 miliardi.

Bene, non sarà più così. Infatti, il costo del Tav con­ti­nua a salire, com’era forse pre­ve­di­bile. E l’appellativo «low-cost», impro­prio fin dall’inizio, è diven­tato un vero e pro­prio tabù. Le nuove pre­vi­sioni, aggior­nate ai valori cor­renti (ovvero ai prezzi attuali), sti­mano il costo della tratta inter­na­zio­nale a 12 miliardi di euro, anzi­ché 8,3 (aggior­nati suc­ces­si­va­mente a 8,5). Lo si deduce dal Con­tratto di pro­gramma Rfi 2012–2016, che sarà appro­vato insieme al decreto Sblocca Ita­lia, ed era stato fir­mato l’8 ago­sto scorso dal mini­stro delle Infra­strut­ture, Mau­ri­zio Lupi, e dall’amministratore dele­gato di Fs, Michele Elia.

Senza il finan­zia­mento euro­peo, secondo i cal­coli effet­tuati nel 2012 ai tempi dell’accordo, l’Italia avrebbe dovuto pagare 4,8 miliardi, ora ne dovrebbe sbor­sare 6,9 e la Fran­cia 5,1. Nel caso in cui arri­vasse il finan­zia­mento dell’Unione Euro­pea (il 40%, valore mas­simo per le reti Ten-T, tran­seu­ro­pee di tra­sporti), invece, dei 2,9 miliardi pre­vi­sti nel 2012, Roma ne spen­de­rebbe 4,16; la Fran­cia circa 3 e l’Ue 4,8. Ma ai 12 miliardi totali devono essere som­mate le spese per pro­get­ta­zioni e studi (anche quelli rela­tivi ai cuni­coli esplo­ra­tivi, come quello di Chio­monte), che ammon­tano a 1,6 miliardi: il 53% a carico dell’Italia, 855 milioni di euro.

In assenza di finan­zia­mento Ue, l’Italia dovrebbe spen­dere – tra opera e pro­get­ta­zioni – 7,7 miliardi. Secondo il Con­tratto di pro­gramma Rfi, que­sta cifra sarebbe coperta solo per 3.3 miliardi. Il resto? Si aspetta Bru­xel­les come manna dal cielo. Nono­stante solo pochi giorni fa il pre­si­dente della Com­mis­sione tra­sporti del Par­la­mento Euro­peo, Michael Cra­mer, abbia mosso seri dubbi sulla coper­tura del 40% dei costi, il governo Renzi va dritto. Riba­di­sce la prio­rità per la Torino-Lione, che a dif­fe­renza di altri can­tieri, magari più utili (rico­stru­zione dell’Aquila), rimane ferma nello Sblocca Ita­lia con 2,9 miliardi.

Intanto, in Fran­cia il favore nei con­fronti dell’opera cala. Se il primo mini­stro Manuel Valls con­ti­nua a rite­nerla indi­spen­sa­bile, la Corte dei conti fran­cese, gio­vedì, ha asse­stato un altro colpo al pro­getto. Con­si­dera la scelta del col­le­ga­mento fer­ro­via­rio tra Torino-Lione troppo debole dal punto di vista della red­di­ti­vità socio-economica, poco coe­rente e troppo costoso. Soprat­tutto, ritiene fat­tori nega­tivi: il forte aumento dei costi, la ridu­zione dei traf­fici sulla tratta (otti­mi­sti­che le pre­vi­sioni) e il finan­zia­mento non ben defi­nito. La Corte rivolge cri­ti­che alla classe poli­tica, che ha perso di vista la razio­na­lità eco­no­mica dell’intera opera. L’invito è, invece, quello di valo­riz­zare e ammo­der­nare la rete esistente.

Lascia il figlio all’ufficio delle imposte: “Prendetelo non posso più sfamarlo”

“Prendetelo non posso più sfamarlo”. Un padre disoccupato disperato entra così nell’ufficio delle imposte di Rodi
 
Nella Grecia della Troika si confiscano i conti dei debitori per necessità e si perdonano banche, partiti e grandi istituti…
 
Un padre disoccupato disperato è entrato nell’ufficio delle imposte a Rodi con in braccio il suo figlio di un anno e mezzo e ha gridato: “prendetelo”. Di fronte ad un impiegato impietrito ha proseguito: “Non sono più in grado di alimentarlo”. Ad uno dei tanti greci ridotto all’indigenza da quattro anni di commissariamento della Troika, il giorno prima l’ufficio delle imposte aveva confiscato le 300 euro presenti nel suo conto bancario, soldi che erano stati versati dalla madre divorziata per il sostentamento del piccolo. Il blog Ktg riporta l’intera vicenda.
 
Il padre di 35 anni, uno delle centinaia di migliaia di disoccupati di lunga durata del paese, ha spiegato che senza quel denaro lo stato lo stava privando della possibilità di sfamare il suo bambino e di crescerlo con dignità.
 
Secondo la nuova legge sulla confisca per debiti in vigore in Grecia, gli uffici delle imposte possono automaticamente prelevare il denaro dai conti correnti dei debitori a meno che non si tratti di meno di 1500 euro e non siano registrati come “non confiscabili”. Dopo che il caso è divenuto nazionale per l’indignazione di tutto il popolo, l’ufficio di Rodi ha promesso la restituzione dei soldi, che avverrà con i famosi tempi tecnici del paese.
 
In una Grecia al collasso economico e sociale, lo stato sta procedendo a confiscare le ultime gocce di dignità rimasta alle decine di migliaia di debitori per necessità di sopravvivenza. Numeri e “surplus di bilancio” in un paese sotto commissariamento della Troika, del resto, sono più importanti dei destini degli esseri umani.
 
Ma per per le grandi cifre e i grandi debiti di banche e istituti, lo stato arriva sempre ad un compromesso: la scorsa settimana il governo di coalizione di Nuova Democrazia e Pasok ha fatto passare in Parlamento un nuovo regolamento che prevede che “il 40% dei finanziamenti pubblici ai partiti politici non possono essere confiscati”. Lo scrive reporter.gr. Secondo il principale partito d’opposizione SYRIZA, i debiti di Nuova Democrazia e del Pasok verso le banche ammontano a circa 300 milioni di euro.
 
Recentemente, il ministro dell’educazione Andreas Loverdos ha dichiarato che un istituto privato con debiti con lo stato di decine di milioni di euro ha trovato un accordo che prevede pagamenti di soli 160 euro al mese. Saranno morti (di fame) i nipoti di quei debitori disperati a cui oggi lo stato confisca i conti correnti e la Grecia non avrà ancora riottenuto tutti i soldi da quell’istituto.
 

Con le privatizzazioni arrivano gli avvoltoi delle grandi banche

ma no, si mangia tutto la Germania cattiva, le banche porelle van salvate
di Luciano Lago
 
I sostenitori del libero mercato come “fattore di progresso” ci hanno raccontato che l’Italia, come qualsiasi altro paese, deve rinunciare a molti dei servizi che oggi sono in mano pubblica, dello Stato o degli Enti Locali, per procedere alle privatizzazioni che darebbero luogo a maggiore efficienza e alleggerirebbero i conti del debito pubblico.
 
Sarà come dicono lorsignori, i sostenitori ad oltranza delle teorie neoliberiste e del primato del mercato sulle esigenze della collettività e delle persone. I partiti di governo in Italia, per primo il PD, sono i primi convinti assertori della necessità di liberalizzare e rottamare ogni incrostazione di mano pubblica in conformità alla esigenza di adeguarsi al mercato omologato ed all’Europa.
 
Matteo Renzi lo ha sostenuto anche alla Leopolda ed in altre occasioni: “non bisogna avere nostalgia per rimanere aggrappati al vecchio mondo, quello dove lo Stato provvedeva a tutto, forniva i servizi, pagava le pensioni, gestiva gli ospedali, provvedeva ai trasporti, dava le case popolari a meno abbienti, ecc… Non esiste più il posto fisso, il mondo è cambiato”.
 
Molto meglio certo avere uno Stato più snello ed affidare tutti i servizi ai privati che possono gestirli con efficienza: i trasporti, la sanità, i fondi pensione, ecc., tutto a società private che svilupperanno (secondo Renzi ed i suoi sodali del PD) anche posti di lavoro e alleggeriranno i compiti dello stato.
 
Tutto questo nella teoria ma, per verificare come questa idea possa essere messa in pratica, disponiamo di un ottimo esempio in un paese a noi vicino e simile all’Italia, per molti aspetti: la Spagna.
Bene in Spagna si è proceduto già nel corso del 2013 ad alleggerire lo Stato e gli enti locali dai tanti compiti che gravavano su di esso. Ad esempio la municipalità di Madrid (el Ayuntamiento) e di altri governi regionali, aveva annunciato la vendita di 5.000 appartamenti (di proprietà pubblica) a consorzi privati come Goldman Sachs e Blackstone, assicurando che non si sarebbero variate le condizioni per gli inquilini con i quali era stato fissato il costo dell’affitto.
 
Questo era un patto in teoria ma la dura realtà ha iniziato a manifestarsi mano a mano che i contratti di affitto sono arrivati a scadenza. Risulta che la Goldman Sachs ha richiesto la rivalutazione del canone che viene adesso adeguato al mercato, risultando un rincaro degli affitti che può arrivare a 8/10 volte il canone pagato in precedenza. Vedi: Goldman Sachs atemoriza a familias espanolas humildes aumentandoles la renta.
 
Esemplare il caso di Jamila Bouzelmat, una signora di 44 anni, madre di 6 figli, la quale pagava 53 euro di affitto per la sua casa e sopravviveva grazie ad un assegno di 500 euro per la disoccupazione che viene corrisposto al marito e di colpo di è vista recapitare una richiesta di canone rivalutato per 436 euro mensili .Come lei altre migliaia di inquilini, di basso reddito, che godevano di un canone agevolato per gli appartamenti di case popolari (edilizia pubblica), trovandosi in situazione di mancanza di lavoro o di precarietà i quali, alla scadenza del contratto, si sono visti recapitare i nuovi canoni dalla società proprietaria degli immobili ex pubblici ed ora vivono nel terrore di essere sfrattati.
 
La Goldman Sachs, che adesso risulta proprietaria del 15% degli immobili, ha agito in maniera del tutto legale, avendo acquisito la proprietà degli appartamenti, che si era deprezzata per la crisi di un 40% circa, ha proceduto a vendere rivalutando le rendite delle sue proprietà immobiliari come avrebbe fatto qualsiasi altro proprietario immobiliare, attento alla redditività del suo investimento.
 
Naturalmente questo ha provocato forti proteste e manifestazioni in Spagna e soltanto a causa di queste, risultano al momento sospese le esecuzioni di sfratto alle famiglie che non riescono a pagare i canoni rivalutati.
 
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Tuttavia la vicenda è significativa perchè indica chiaramente, per chi ancora non lo avesse capito, quali siano i reali beneficiari delle politiche di austerità e di privatizzazione fortemente volute in Europa dai  partiti anti popolari che applicano le ricette neoliberiste dettate da Bruxelles e dai governi complici. Non a caso emergono sempre le grandi società speculative come la Goldman Sachs come i reali beneficiari dei processi di privatizzazione.
 
La Spagna in questo è un paese esemplare, infatti ci dicono che ha applicato con successo le famose “riforme” che in Italia ancora tardano ad attuarsi, ci viene indicato come esempio, dato che, fra l’altro, ha privatizzato anche una buona parte del sistema sanitario ove risulta che già il 40% circa degli ospedali siano passati in proprietà ai privati, con effetti di alleggerimento del costo per lo Stato del sistema sanitario ma non altrettanto per i cittadini ai quali sono state aumentate le rette ed il costo dell’assistenza.
 
In Italia non tarderanno ad arrivare queste riforme richieste dall’Europa e che Renzi si è impegnato a fare per dimostrare che loro sono “un governo serio” e “credibile” nei confronti delle istituzioni di Bruxelles e del FMI che preme da tempo per aprire la strada anche in Italia all’arrivo dei grandi avvoltoi come Goldman Sachs e Blackstone.
 
In base ai piani già pronti dell’elite finanziaria, in Italia si potrà privatizzare tutto: dalla rete elettrica ai servizi di trasporto, agli ospedali, al sistema di previdenza ed alle assicurazioni sugli infortuni. Sarà un sistema molto innovativo ed amerikano che spazzerà via le vecchie incrostazioni stataliste.
 
La popolazione italiana, nel frattempo opportunamente mescolata con le centinaia di migliaia di nuovi arrivati dall’Africa e dall’Asia, potrà sperimentare i “vantaggi” del mercato aperto, della società multiculturale, emancipata e finalmente moderna e liberista, quella che tanto piace al fiorentino ed ai suoi finanziatori.
 
Nella foto in alto: manifestazioni contro gli sfratti (desahucios) a Madrid
 
Nella foto in basso: una famiglia sfrattata in mezzo alla strada

Il trombettiere Esposito si sveglia, scopre che il Tav costa troppo e suona la ritirata

Il trombettiere Esposito si sveglia, scopre che il Tav costa troppo e suona la ritirata
ottobre 29 2014

È incominciata la ritirata dei Si Tav e il trombettiere che suona le note del dietro-front potrebbe essere proprio Stefano Esposito, il senatore del Partito Democratico ultra-sostenitore della grande opera che è diventato il volto della Torino-Lione. Esposito infatti ha chiesto un’audizione urgente in Commissione Trasporti dei vertici di Rfi e del ministro Lupi per avere chiarezza sui costi relativi alla linea, visto che il Sole 24 Ore ha pubblicato documenti dai quali risulterebbe che l’opera costerà 7 miliardi e non 2,9.

«Questa novità – spiega Esposito, – sarebbe frutto di un accordo di programma tra Ministero dei Trasporti e Rfi, di cui nessuno era a conoscenza, men che meno il Parlamento». Il senatore da anni si batte a favore dell’opera, ecco perché il mezzo dietrofront è destinato a fare clamore.
Di qui la richiesta di una audizione urgente dei vertici Rfi, del ministro Lupi e del ministero dell’Economia. «Pretendo una risposta chiara, credibile e certa sui reali costi della Torino-Lione – afferma il vicepresidente della Commissione Trasporti – Quest’opera è al centro di un aspro dibattito e non intendo accettare che non ci sia totale trasparenza e chiarezza sui costi, non mi accontenterò di spiegazioni tecniciste e burocratiche. 
Mi auguro di ottenere la conferma che quanto fino ad ora dichiarato e contenuto negli atti legislativi trovi pieno riscontro, nel qual caso chi si è reso responsabile di questi numeri in libertà dovrà pagarne le conseguenze».
In caso contrario, «non indugerò un solo minuto a presentare una mozione parlamentare per chiedere al Governo l’immediata interruzione dei lavori – conclude Esposito – e la rinuncia alla realizzazione della tratta italiana del Corridoio Mediterraneo. Infatti se il costo della Torino-Lione fosse di 7 miliardi meglio pagare le penali alla Francia. Basta con il Paese dei furbi e dei burocrati che decidono senza rispettare il Parlamento».

Frediani (M5s): “Per colpa della Tav chiuso per sempre il Museo di Chiomonte”

Frediani (M5s): “Per colpa della Tav chiuso per sempre il Museo di Chiomonte”

ottobre 28 2014

Il museo – parco archeologico di Chiomonte non riaprirà. A sostenerlo è la consigliera regionale del Movimento 5 Stelle Francesca Frediani, in base alla risposta ricevuta a una sua interrogazione. L’esponente grillina infatti sostiene che la Regione non avrebbe alcun titolo giuridico per intervenire trattandosi di reperti di proprietà statale. «È l’ennesimo danno al territorio prodotto dal Tav – afferma Frediani – dopo aver devastato l’ambiente e la salute dei cittadini, l’alta velocità non ha risparmiato nemmeno il patrimonio culturale di questa valle. Arrivati a questo punto la Regione Piemonte dovrebbe avviare una seria verifica per individuare le responsabilità della devastazione di questo bene culturale per il quale era previsto un cofinanziamento di 25 mila euro su un importo complessivo di 835 mila. È inaccettabile come un progetto così importante sotto il profilo storico venga tenuto in sospeso a causa di un’opera inutile e dannosa per il territorio ed i cittadini. Continueremo a mantenere alta l’attenzione anche su questo fronte».

Ecco a voi i No Tav: gente normale che difende il bene comune

 Pubblicato: Domenica, 26 October 2014 16:03
 Scritto da Giada Vicenzi
cena no tav rovereto
ilfatto24ore.it

ROVERETO – Chi è convinto che i No Tav siano una masnada di pochi facinorosi, bastian contrari che amano la protesta fine a sé stessa – immagine che purtroppo la stampa ha spesso e volentieri contribuito a diffondere – dovrebbero andare a una cena No Tav. E ricredersi.

Quella di autofinanziamento che si è svolta ieri sera a Rovereto e che ha registrato il tutto esaurito, era la prova provata che, al contrario di quanto molti pensano, il movimento No Tav è un insieme di persone davvero eterogeneo per età, provenienza, professione, titolo di studio, indirizzo politico, credo religioso… Di una normalità che fa notizia.

Fra le 180 persone che affollavano ieri sera la grande sala della Sacra Famiglia di Rovereto, c’erano bambini, ragazzi, mamme, papà, uomini e donne di tutte le età, studenti, lavoratori, disoccupati, pensionati. Alcuni di questi la settantina l’hanno passata da un pezzo. Tra una portata e l’altra di un’ottima cena vegana (ma non troppo, c’era anche la treccia mochena!) le persone parlavano fra loro e stringevano amicizia: c’era, infatti, chi arrivava in gruppo, chi, invece, alla spicciolata, per conto suo, e si trovava a condividere il tavolo con dei perfetti sconosciuti, salvo scoprire, dopo un paio di portate e di bicchieri di vino (un Teroldego biologico notevole), di avere in comune non solo una battaglia (quella contro il Tav) ma anche interessi, conoscenze, addirittura lontane parentele… Cosa strana, diciamolo pure, per dei Trentini, notoriamente schivi e riservati. E, invece, ecco che un po’ alla volta sull’onda di una minaccia come quella del Tav la gente comincia spontaneamente ad uscire e ad interessarsi alla cosa. Sicuramente, una grossa parte l’hanno giocata i recenti avvenimenti di Marco, con i carotaggi avviati in gran segreto e poi bloccati dalla popolazione con unpresidio di quattro giorni. E l’hanno giocata anche gli atteggiamenti dei politici (Gilmozzi Miorandi su tutti), con un rimpallo di responsabilità e prese di posizione traballanti.

Ma torniamo alla cena roveretana: chi sono questi No Tav? Al nostro tavolo c’è Ivana, signora dai capelli ormai candidi e dall’aspetto sereno di nonna. Ma con un temperamento e convinzioni che avrebbero fatto invidia al più battagliero dei giovani in sala. Ivana ci racconta di una vita non facile («erano altri tempi»), ma in confronto i tempi di adesso sono ancora peggio. «E’ colpa della televisione se ci siamo ridotti in questo modo. Abbiamo perso il contatto con la realtà, ci siamo convinti che se restiamo a casa e ci facciamo gli affari nostri è meglio. Invece, è stato il nostro sbaglio. I politici non aspettavano altro». Appunto, i politici. Che su una questione come quella dei carotaggi a Marco volevano far passare tutto sotto silenzio. E quasi ci riuscivano. «Non possiamo più tollerare un atteggiamento del genere da parte dei politici – dice ancora Ivana -. Sono tenuti a darci spiegazioni su quanto succede a casa nostra. Io lunedì mattina, quando hanno portato via la trivella da Marco, ero lì. È stato davvero un trionfo. Ma adesso dobbiamo restare uniti e soprattutto dobbiamo crescere. Se vogliamo le cose possono cambiare». Chiediamo a Ivana come mai sia contraria al Tav. Forse perché abita vicino a uno dei punti di passaggio? «No, io adesso abito a Rovereto. Ma il Tav e tutte le grandi opere similari sono inutili e sono dannose. Sono uno spreco inutile di soldi. Come si fa a portare avanti progetti così in un momento di crisi come questo? I politici dovrebbero avere il senso del limite». Ad alcuni, però, fanno gola i posti di lavoro: «Il Tav non porterà lavoro ai trentini. Gli operai di Italferr che han messo giù la trivella a Marco erano croati. Ci ho parlato io».

La signora Bruna viene invece da Nomi, Destra Adige. Non è un comune direttamente interessato dal passaggio del Tav, ma che importa? «E’ una battaglia di tutti, quella per il nostro territorio. Essere contro il Tav vuol dire anche esserecontro un uso scriteriato del territorio». E ci fa l’esempio delle nuove funivie che stanno progettando a Folgaria. Un’altra iniziativa economicamente insostenibile, che in molti vedono come uno spreco di risorse.

Gli altri nostri commensali vengono dalla Val di Cembra: tra loro, Gianfranco è di Montagnaga, è ingegnere e del Tav del Brennero conosce ogni minimo dettaglio e dato, che snocciola con precisione. Mauro, invece, ricorda che «siamo tutti contrari al Tav e questo ci accomuna. Ma presto dovremo darci anche una strategia, una linea da seguire, perché siamo tanti e diversi e non dobbiamo disperderci».

Anche Paolo di Trento è un ingegnere: «Il movimento No Tav sta facendo anche un lavoro di protezione della finanza pubblica italiana ed europea e di per sé travalica i confini provinciali. L’opposizione al Tav è totale, non è che se lo fanno nella valle vicina o da un’altra parte va bene. È un’opera devastante per le finanze, il rapporto costi benefici è deficitario e il solo fatto che se dovesse essere completata lo sarebbe fra minimo trent’anni deve farne capire l’assurdità».

Ma No Tav sono anche persone molto più giovani. Come i due sedicenni marcolini, che durante il presidio alla trivella di Marco, ogni sera andavano a trovare gli attivisti che a turno sorvegliavano il luogo. E che hanno detto: «Questo presidio è la prova del riscatto di Marco, dopo la tristissima vicenda del centro profughi» (ovvero la presunta violenza sessuale di cui erano stati immediatamente accusati i migranti del centro di accoglienza, ndr).

Insomma, sembra proprio che i Trentini «normali» non la vogliano questa infrastruttura e si oppongano a un investimento che prima di tutto, dicono, non serve, e che tra l’altro causerà anche molti danni. Il movimento No Tav sta diventando un fattore di aggregazione incredibile e trasversale, che va al di là delle singole persone e la serata di Rovereto lo dimostra bene.

A un certo punto arrivano al nostro tavolo due ragazzine, 12 anni al massimo, con in mano i blocchetti dei biglietti per la lotteria del dopo-cena. Uno dei tre biglietti è fortunato e a fine serata vinciamo un libro. E’ di Vittorio Zucconi e s’intitolaGli spiriti non dimenticano: racconta la storia di Cavallo Pazzo e di quello che fu un magnifico popolo di liberi cacciatori, i Sioux delle grandi praterie americane. Il simbolo di chi lotta per difendere la propria terra. Rivolgiamo un ultimo sguardo alla sala, prima di andare via. E il paragone viene spontaneo.

 Giada Vicenzi

Bergoglio. Un Papa No Tav

All’incontro dei movimenti popolari svoltosi in Vaticano, papa Bergoglio ha una parola sola: “Proseguite la vostra lotta”.

di Massimo Bonato

Ci sono i raduni dei Papa boys e i raduni dei centri sociali. È presente Evo Morales, presidente della Bolivia, proprio in questi giorni in visita dal Papa alla sua seconda elezione; primo presidente sudamericano appartenente ai popoli originari, portabandiera di quella lotta contadina da cui proviene, i cocaleros. Simbolo in una qualche misura anche di questo raduno, tenutosi il 28 ottobre al Vaticano, dove si sono dati appuntamento movimenti popolari di tutto il mondo. Per l’Italia sono rappresentati Banca Etica, il centro sociale Leoncavallo di Milano, la rete Genuino Clandestino, No Expo, No Tav.
Movimenti che lottano per la terra, per l’integrità del proprio territorio, per i diritti umani, per i diritti dei migranti, per la sovranità alimentare, contro lo sfruttamento finanziario e l’equità economica, per il lavoro dunque e per la casa.

Per tutti, Papa Bergoglio ha una parola sola ed è tonante: “Proseguite la vostra lotta”.

Non teme che qualcuno lo tacci di essere un “comunista” dichiara, perché “l’amore per i poveri è al centro del vangelo, è la dottrina sociale della Chiesa”. È un lungo discorso quello che Papa Bergoglio tiene, chiedendo in nuce “terra, tetto e un lavoro”. “Nessuna famiglia senza tetto. Nessun contadino senza la terra. Nessun lavoratore senza diritti. Nessuna persona senza la dignità del lavoro” ha detto.

È la prima volta che in Vaticano si tiene una tal riunione, la prima volta che cartoneros  ecampesinosindignados, riottosi e ribelli di tutto il mondo vengono benedetti dal Papa e incoraggiati nella lotta che ciascuno prosegue. Al di là delle ideologie, per papa Bergoglio  prevale naturalmente il messaggio evangelico. Sarà la sua provenienza, sarà che il Terzo Mondo non è entrato in Vaticano questa volta a chiedere ascolto ma a darlo, e a spronare che le lotte pretendano l’ascolto loro dovuto per riportare giustizia nel mondo. Del resto, la ribellione contro le ingiustizie sociali è un valore universale. Ideologico o no. Evangelico o no.

M.B. 28.10.14

Esposito: “Se il costo della Tav è di 7 miliardi, meglio rinunciare all’opera”

Il senatore pd, da sempre sostenitore dell’utilità della Torino-Lione, all’attacco: secondo alcuni dati di Rfi la spesa sarebbe più che doppia. Chiesta l’audizione urgente in commissione Trasporti del ministro Lupi e dei vertici delle ferrovie. M5S chiede alla Regione di bloccare il cantiere 
29 ottobre 2014
 Esposito: "Se il costo della Tav è di 7 miliardi, meglio rinunciare all'opera"
Esposito al cantiere di Chiomonte 

“Nei giorni scorsi Il Sole 24 ore ha pubblicato documenti di Rfi dai quali risulterebbe che, contrariamente a quanto deciso e discusso fino a d oggi nelle aule parlamentari, il costo della tratta internazionale della Torino-Lione non sarebbe di 2,9 miliardi ma di 7 miliardi”. Lo afferma il senatore del Pd Stefano Esposito noto per le sue convinte posizioni a favore dell’alta velocità e che ha tuttora la scorta perchè più volte è stato oggetto di minacce e intimidazioni da parte dei No Tav: il caso più grave nel gennaio scorso, quando gli erano state lasciate alcune bottiglie molotov davanti alla porta di casa.

Il presidente Ue della commissione trasporti: “L’opera non è nostra priorità”

“Questa mattina – riferisce Esposito in una nota – ho chiesto in Commissione trasporti al Senato l’audizione urgente dei vertici Rfi, del ministro Maurizio Lupi e del ministero dell’Economia. Pretendo una risposta chiara, credibile e certa sui reali costi della Torino-Lione”. Per il senatore del Pd “nel caso in cui dovessero essere confermate le cifre date da Rfi, non indugerò un solo minuto a presentare una mozione parlamentare per chiedere al governo l’immediata interruzione dei lavori e la rinuncia alla realizzazione della tratta italiana del corridoio mediterraneo”.

Bloccata sul nascere la nuova società di costruzione dell’opera

La “novità – riporta Esposito – sarebbe frutto di un accordo di programma tra ministero dei Trasporti e Rfi, di cui nessuno era a conoscenza, men che meno il Parlamento”. Il senatore democratico ricorda che “questa opera è al centro di un aspro dibattito e non intendo accettare che non ci sia totale trasparenza e chiarezza sui costi, non mi accontenterò di spiegazioni tecniciste e burocratiche. Mi auguro di ottenere la conferma che quanto fino ad ora dichiarato e contenuto negli atti legislativi trovi pieno riscontro, nel qual caso chi si è reso responsabile di questi numeri in libertà dovrà pagarne le conseguenze”. In caso contrario scatterebbe la proposta di fermare la realizzazione dell’opera: “infatti – conclude Esposito – se il costo della Torino-Lione fosse di 7 miliardi meglio pagare le penali alla Francia. Basta con il paese dei furbi e dei burocrati che decidono senza rispettare il Parlamento”.
Le reazioni
“Perchè la Regione Piemonte non chiede la sospensione dei lavori del Tav?”. E’ quanto chiede il consigliere regionale del Movimento 5Stelle del Piemonte Francesca Frediani attraverso un’interrogazione rivolta alla Giunta che sarà discussa nella prossima assemblea del Consiglio regionale. “E’ ormai evidente – sottolinea Francesca Frediani – come nè il Governo nazionale nè l’Unione europea dispongano di fondi necessari per realizzare l’opera anche alla luce del recente aumento vertiginoso dei costi (da 2,2 mld a 7,7). A ciò vanno aggiunti – prosegue –  i nuovi orientamenti dell’Europa, solo pochi giorni fa Michael Cramer (Presidente Commissione trasporti del Parlamento europeo) ha dichiarato che l’Unione non coprirà il cofinanziamento del 40% della Torino-Lione”.

Anche il senatore M5s Scibona, No Tav della Val Susa, sottolinea: “Ciò che da anni il Movimento denuncia e ciò che dal 2013 il Movimento 5 Stelle racconta al Parlamento, ha preso piede. Siamo sempre stati etichettati come esagerati e superficiali, ma oggi queste osservazioni vengono espresse anche dai più accaniti fautori dell’opera”, dice Scibona.

Sull’altro fronte interviene il responsabile nazionale dei Trasporti di Fi, Mino Giachino: “Il ministro Lupi faccia chiarezza sui costi della Torino-Lione, che resta però un’opera fondamentale – dice -. Non si può neanche ipotizzare il no all’opera – aggiunge – che ha il compito di tenere il Piemonte e l’Italia dentro la rete degli scambi economici e turistici del futuro Europa-Mondo”.