Pentagono licenzia 47000 impiegati

Taglio di 50 miliardi alle spese militari – 
Il Pentagono si appresta a licenziare, e non rinnovare i contratti in scadenza, di 47000 dipendenti con contratto a termine. E’ l’annuncio fatto dal sottosegretario alla difesa A. Carter. Dal primo marzo, infatti, scata il taglio di 50 miliardi al bilancio delle spese militari, e Leon Panetta ha più volte fatto cenno alle conseguenze di questa 
robusta riduzione di risorse economiche per il Pentagono. Il licenziamento degli impiegati, blocco delle assunzioni del personale civile è solo una prima conseguenza, che sarebbe insufficiente senza la riduzione delle spese di manutenzione. Panetta non ha nascosto neppura la necessità di rinviare alcuni dei contratti per nuovi sistemi di armi.
Se non vi sarà un accordo bipartisan nel corso di questa settimana, il taglio di 50 miliardi alle spese militari per il 2013, è un automatismo amministrativo. E sarebbe solo il preludio ad un bilancio per la difesa più magro di 500 miliardi per i prossimi dieci anni.

 

Bahrein, brutale arresto di una giovane manifestante + FOTO

Bahrein, brutale arresto di una giovane manifestante + FOTO

 

“Quando sei in catene e vivi senza dignità e diritti,

sottomessa a dittatori criminali,

la prima cosa che devi fare è

mettere da parte la paura e

capire che è tuo diritto quello di essere arrabbiata”

@angryarabiya

Sono parole di Zainab al-Khawaja, nota sui SM come angryarabiya, attivista del Bahrein, figlia di Abdulhadi al-Khawaja, co-fondatore di Centro per i Diritti Umani, oppositore del regime e anche per questo in carcere da tempo. Zainab, anche lei arrestata qualche volta e poi rilasciata in tempi più o meno brevi, è forse la più nota “rivoluzionaria” di questa piccola monarchia insulare nel Golfo Persico che continua ad agitarsi dimenticata dal mondo nella primavera araba più snobbata da media e dai governi occidentali.

La sua forza è la forza di tutte le donne di questo Regno “devastato” e devastante, giovani e non più giovani che non nascondono sotto a un velo scuro la rabbia e la voglia di una società migliore, più umana. Le parole di angryarabiya sono nel cuore e nelle gambe di ognuna delle ragazze che ogni volta scendono per strada a esprimere il proprio dissenso, a guardare negli occhi i militari e la prepotenza del regime, affrontandoli.

Nei giorni scorsi un’altra triste vicenda ha acceso le luci sulla caparbia e il coraggio di una di loro, Zahra al-Shaikh. 

Nel corso di una manifestazione nella capitale Manama, venerdì scorso la ventunenne studentessa di Comunicazione, è stata brutalmente arrestata. Spogliata del velo, atto di grande umiliazione per molte donne islamiche, la ragazza è stata trascinata via con violenza dopo aver disobbedito agli ordini della polizia che ordinava ai presenti di sgomberare… Le si accusa-racconta la sorella-di aver partecipato ad una protesta non autorizzata e di aver offeso gli ufficiali definendoli mercenari, cosa peraltro anche vera-pare-dal momento che giovani sauditi si sarebbero da tempo uniti alle forze dell’ordine del Bahrain.

Diffusasi la notizia su twitter, pare all’inizio fosse stata postata  la sua immagine con i capelli nudi e la testa scoperta e che dopo, in segno di rispetto, la si sia sostituita con una foto ritoccata, con il viso di Zahra, cioè, incorniciato da un pennarello nero.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Aayat Alqormozi, un’altra giovane studentessa, già arrestata e torturata, come altre e altri attivisti, l’ultima volta per aver recitato una poesia antiregime ha twittato: l’arresto di Zahra in un modo così brutale spezza il cuore. Fa paura vivere in un Paese che da un lato discute dei diritti delle donne dall’altro crocifigge la dignità della donna

Nel villaggio di Nuwaidrat la gente ha sparato molotov e bloccato la strada alla polizia per protestare questo ennesimo episodio di ingiustificata violenza da parte delle forze dell’ordine del regime.

Zahra al-Shaikh era già nota sia alle forze dell’ordine che alla gente del Bahrein. La scorsa estate in periodo d’esame, era stata portata via dai mercenari mentre filmava una manifestazione. Sua sorella in quell’occasione aveva raccontato che una poliziotta aveva costretto Zahra a spogliarsi, riprendendola a sua volta con un telefonino. “L’ho fatto per divertirmi, ma poi ho cancellato tutto”, avrebbe detto la donna nel giustificarsi. Non solo. Una volta rilasciata,  Zahra aveva denunciato in un’intervista una proposta di collaborazione fattale da un ufficiale in cambio di un trattamento di favore, che lei avrebbe rifiutato. Riecheggiano a commentare la sua tenacia le parole citate in principio di questo post, quelle di angryarabiya:

Fonte: http://www.linkiesta.it/blogs/

http://italian.irib.ir/notizie/politica5/item/120257-bahrein,-brutale-arresto-di-una-giovane-manifestante-foto

 

La crisi lontana dalla politica

di systemfailureb –  

La campagna elettorale sta entrando nel vivo, ma, com’era facile prevedere, visti gli attori in campo, i temi veri, quelli che afferiscono al futuro del paese ed alla sua capacità di vincere le sfide che ha davanti, rimangono inspiegabilmente sullo sfondo.

E tra i temi veri, vale la pena ricordarlo, c’è quello che riguarda i nostri impegni con l’Unione Europea e le sue strutture tecnico-finanziarie. Insieme a quello, correlato, della compatibilità del nostro diritto al futuro con le scelte finora compiute sul terreno della costruzione dell’Europa monetaria.

Nel luglio del 2012 il nostro Parlamento ha ratificato, in un clima che potremmo definire inerziale, due importanti trattati, quello sul Fiscal Compact e quello sul Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), di cui abbiamo parlato qui.

Il primo impegna il nostro paese a ridurre il debito pubblico nei prossimi venti anni, fino a portarlo entro la soglia stabilita dal Trattato di Maastricht (60% del PIL). Considerato che il debito italiano ammonta ormai a circa 2000 miliardi di euro, che in rapporto al prodotto interno fa il 127%, per raggiungere l’obiettivo del trattato bisognerà rastrellare circa 900 miliardi di Euro in venti anni, 50 ogni anno, 150 milioni ogni giorno.

Il secondo è riferito invece all’istituzione del cosiddetto “Fondo Salva Stati”, un plafone di 650 miliardi di Euro che l’Europa metterebbe a disposizione, previa accettazione di vincoli draconiani dal lato della riduzione della spesa, dei paesi a rischio bancarotta. Chi alimenterà questo portafoglio? Gli Stati membri, in rapporto alla loro ricchezza (PIL). L’Italia ha dovuto sottoscrivere quote per il 18% dell’intero capitale, per un importo di circa 125 miliardi di Euro, da versare in 5 anni.

La prima domanda che sorge snocciolando queste cifre è questa: dove prenderà i soldi il nostro paese per onorare questi impegni? Stiamo parlando infatti di cifre vertiginose, tanto grandi da apparire immediatamente incompatibili con le disponibilità finanziare dello Stato, specie in questa fase etichettata con la parola “crisi”.

Evidentemente,come il governo dei professori ci ha anticipato, una parte dei quattrini necessari per “stare in Europa” dovrà venire da una contrazione significativa della spesa e da un inasprimento generalizzato della pressione fiscale, diretta ed indiretta.
Ergo, meno servizi e tutele per i cittadini, meno stato sociale, più tasse. Con tutte le conseguenze, in termini di recessione economica e di crescita della povertà, che una simile spirale porta inevitabilmente con sé.

Ma questo non sarà sufficiente, perché oltre una certa soglia, nei tagli al welfare, non si potrà andare, pena l’annientamento della nostra società. E questo il Meccanismo di Stabilità l’ha previsto, stabilendo che i paesi membri, per finanziare il “Fondo salva stati” potranno fare nuovo debito pubblico.

Ricapitoliamo. La crisi in atto è sta battezzata come “crisi del debito”. Quotidianamente i mass media ci informano che la stabilità finanziaria dell’Europa passa attraverso il controllo e la riduzione dei debiti sovrani degli stati membri. E in questa direzione andrebbero sia l’obbligo del pareggio di bilancio, peraltro costituzionalizzato, sia le clausole del Fiscal Compactappena richiamate. In Italia ciò sarebbe maggiormente rilevante a causa dell’enorme debito accumulato negli anni ed al suo peso in rapporto alla ricchezza nazionale (PIL).
Tutto chiaro? Tutto lineare? Nemmeno per sogno.

Proprio il meccanismo principe della stabilità finanziaria europea, il MES, messo in piedi per non far fallire gli stati membri dell’Unione con più alto e tortuoso debito pubblico, prevede che quest’ultimo si può nondimeno aumentare per riempire le sue casse.

C’entra qualcosa tutto ciò col fatto che il debito pubblico italiano negli ultimi mesi ha subìto un’impennata turbinante, portandosi al di sopra dei 2000 miliardi di Euro? Certo che c’entra.

Come dimostrano le stime della Banca d’Italia, all’inizio del 2012 il debito pubblico italiano era poco sopra i 1.900 miliardi di Euro. Oggi siamo a circa 2020 miliardi di Euro. Nei 120 miliardi di differenza ci sono anche i versamenti che il paese ha fatto al “Fondo salva stati”. Una contraddizione gigantesca: si strangola l’economia con misure di austerità per uscire dalla “crisi del debito”, e, nello stesso tempo, quest’ultimo lievita a dismisura, anche per effetto delle stesse strategie volte a ridurne la consistenza.
C’è una logica in tutto ciò? Apparentemente no. Se diamo però un’occhiata a quello che è accaduto in quest’ultimo anno sul versante della (cosiddetta) lotta alla speculazione qualche spiraglio di luce inizia ad aprirsi.

Nel mese di dicembre del 2011, quando i venti della speculazione soffiavano particolarmente forti, la Bce ha accordato a 523 banche private europee finanziamenti per circa 500 miliardi di Euro, ad un tasso fisso agevolato del 1%. Una cifra enorme, con la quale le banche hanno, prevalentemente, acquistato Titoli di Stato, ad un rendimento fino al 5-6 %.
Se guardiamo al nostro paese, i dati della Banca d’Italia a tal riguardo parlano chiarissimo: a cavallo tra il 2011 e la fine di gennaio del 2012, quindi immediatamente dopo l’asta della Bce del 21 dicembre, le banche italiane hanno acquistato BTp e ed altri titoli affini per un importo di circa 30 miliardi di Euro, passando, in termini di portafoglio complessivo, da 209 miliardi a 237 in un solo mese.

Una cosa simile si è verificata anche qualche mese dopo, a seguito della seconda asta della Bce, nel mese di febbraio del 2012, con la quale sono stati assegnati ben 530 miliardi di Euro a 800 banche europee. E siamo a 1000 miliardi in tre mesi! Un importo pari alla metà del nostro gigantesco debito pubblico. Capito?

La giostra europea funziona più o meno così:

1.                               lo Stato si svena verso l’Europa, tassando i propri cittadini, tagliando servizi, cancellando diritti, emettendo nuovi titoli del debito pubblico

2.                               l’Europa, a sua volta, prende questi soldi e li dà a banche private, che hanno perso liquidità per proprie imprese finanziarie fallimentari, quasi a gratis

3.                               le banche, prendono questi soldi, e cosa fanno? Aprono il portafoglio e finanziano le imprese? No, li prestano agli stati comprando il loro debito, ad un tasso di interesse 4-5 volte superiore a quello con cui li hanno ricevuti.

I soldi, insomma, sono sempre gli stessi, ma in questo gioco incredibile c’è, ovviamente, chi vince e chi perde. I primi si chiamano banche speculatori finanziari, i secondi cittadini d’Europa.

In questo quadro l’obiettivo della riduzione del debito, e quello del pareggio di bilancio, più che il fine costituiscono il mezzo attraverso il quale si finanzia la speculazione finanziaria. C’è “crisi” si dice, ma nella “crisi” qualcuno ci sta guadagnando. E questo qualcuno si chiama “banche”. Solo quelle italiane, nell’anno che è appena trascorso, avrebbero guadagnato, investendo i soldi ricevuti dalla Bce, più di 15 miliardi di Euro.

I conti tornano. E quelle cose che più indietro potevano apparire contraddittorie, in questa nuova ottica si ripresentano in tutta la loro coerenza. Intanto la politica italiana continua a trastullarsi nel suo teatrino.

Tanto del nostro destino se ne occupano altrove.
Tratto da: La crisi lontana dalla politica | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/01/24/la-crisi-lontana-dalla-politica/#ixzz2J4Cf5Ci9

Tratto da: http://systemfailureb.altervista.org/la-crisi-lontana-dalla-politica/


Tratto da: La crisi lontana dalla politica | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/01/26/la-crisi-lontana-dalla-politica-2/#ixzz2JHtmp6TS 
– Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario! 

Documentate centinaia di violazioni israeliane della tregua di novembre

Evidenza – 26/1/2013

Gaza-Quds Press. Difficilmente passa un giorno senza assistere ad un’incursione israeliana nei territori palestinesi, ad est e nord della Striscia di Gaza, o senza che i pescatori palestinesi vengano intercettati al largo della costa, il tutto in chiara violazione della tregua, siglata più di due mesi fa tra lo Stato ebraico e la resistenza palestinese, con mediazione egiziana, a seguito di otto giorni di aggressione contro la Striscia di Gaza.

Le continue violazioni della tregua, firmata il 21 novembre scorso, hanno provocato la morte di quattro palestinesi, e il ferimento di decine, mentre 30 pescatori sono stati arrestati e diversi pescherecci sono stati distrutti o sequestrati.

Un rapporto pubblicato dal Centro al-Mizan per i diritti umani, getta luce sulla situazione nelle aree assediate della Striscia di Gaza, sia quelle terrestri che marittime, e dimostra che le violazioni israeliane sono proseguite dopo la tregua, nonostante quest’ultima avrebbe dovuto garantire ai palestinesi, soprattutto gli agricoltori residenti nelle zone di confine, la libertà d’accesso alle zone di frontiera per coltivare i propri campi, e ai pescatori di poter esercitare il proprio mestiere fino a sei miglia nautiche dalle coste.

Il rapporto che copre il periodo dal 22 novembre 2012 al 21 gennaio 2013, monitorando le violazioni israeliane, e documentando il numero delle vittime, ha indicato che le forze di occupazione hanno sparato contro i civili palestinesi nelle zone vicino al confine in 52 occasioni, e hanno effettuato cinque incursioni, arrestando nove civili, tra cui cinque bambini.

Secondo il centro, le violazioni israeliane hanno provocato l’uccisione di quattro palestinesi e il ferimento di altri 74, tra cui 10 bambini.

La relazione ha sottolineato che dall’inizio del 2013 e fino al 21 gennaio, la zona di confine è stata oggetto di 16 attacchi che hanno causato la morte di due palestinesi, ed il ferimento di altri sei, tra cui due bambini. Questo porta il numero totale di attacchi contro le zone di confine della Striscia di Gaza, dalla fine del 2009, cioè quando Israele rivelò la sua intenzione di voler imporre una zona cuscinetto, con accesso limitato, a 577, con un bilancio di 84 palestinesi uccisi, tra cui 16 bambini e una donna, e 490 feriti, tra cui 105 bambini e 19 donne.

Zona cuscinetto. Il rapporto ha riferito che i i fatti sul terreno dimostrano che le forze di occupazione hanno cercato, fin dai primi giorni dello scoppio della seconda intifada palestinese, il 27 settembre 2000, di imporre una zona ad accesso limitato lungo i confini orientale e settentrionale della Striscia di Gaza, attraverso le demolizioni e le distruzioni di abitazioni, strutture e fattorie, situate all’interno della zona di confine. Fino ad arrivare all’annuncio esplicito di voler privare i palestinesi dal 35% della superficie coltivabile, cioè il 15% della superficie totale della Striscia di Gaza.

Secondo le statistiche dell’Ocha, l’ufficio Onu per gli Affari umanitari nei territori palestinesi occupati, le forze di occupazione hanno raso al suolo il 100% delle strutture e i campi agricoli nel raggio di 500 metri dal confine. A mille metri invece, la demolizione è stata del 75%.

Tutte le istituzioni, palestinesi ed internazionali, oltre alle agenzie competenti dell’Onu, concordano sul fatto che la zona off-limits, imposta da Israele, arriva fino a 1500 metri di profondità all’interno dei territori palestinesi della Striscia di Gaza, e non si limita ai 300 metri dichiarati dalle forze israeliane.

Blocco navale. Il 9 ottobre del 2000, Israele ha imposto un blocco marittimo contro la Striscia di Gaza, di conseguenza, i pescatori palestinesi non potevano raggiungere le 20 miglia nautiche, concordate ad Oslo. Da quella data, la superficie a disposizione dei palestinesi è andata accorciandosi, arrivando a 12 miglia, poi sei e fino alle tre miglia imposte dal gennaio 2009. 

Con queste limitazioni israeliane, i palestinesi si vedono privare dal 85% della zona di pesca consentita, approvata dagli accordi di Oslo. Ma le forze di occupazione non si limitano a bloccare l’accesso al mare, esse commettono altre violazioni, quasi quotidianamente, come aprire il fuoco contro i pescatori, provocando vittime e feriti, o arrestando decine di loro, con l’impiego di maniere degradanti per la dignità umana, oltre alla distruzione degli attrezzi da pesca e il sequestro dei pescherecci. Spesso, queste violazioni avvengono all’interno delle stesse tre miglia nautiche.

Continuano gli spari. I dati raccolti dal campo e documentati dal centro per i diritti umani dimostrano che l’occupazione ha continuato ad aprire il fuoco contro i civili palestinesi nelle zone adiacenti al confine e nel mare, nonostante le garanzie derivanti dalla tregua di novembre.

Il rapporto ha anche sottolineato che le violazioni israeliane hanno accentuato la disoccupazione e la povertà nella Striscia di Gaza, e hanno privato i palestinesi da fonti vitali di cibo. Di fatto, le zone di confine, sottoposte a limitazioni, sono delle aree agricole dotate di terreni fertili, inoltre, i limiti imposti sui pescatori privano la popolazione, soprattutto quella di basso reddito, dal pesce, una componente essenziale della loro dieta, in quanto quello importato è costoso, e la sua scarsità nei mercati ha contribuito ad alzarne i prezzi.

La relazione ha reso noto che centinaia di palestinesi sono stati sfollati dalle loro case e terre adiacenti al confine con Israele, aggiungendo che centinaia di abitazioni sono state distrutte e migliaia di dunum di terreni agricoli sono stati rasi al suolo per motivi di sicurezza.

Il centro al-Mizan ha messo in guardia contro le continue violazioni, commesse dalle forze israeliane, contro il diritto di vivere in dignità e sicurezza dei palestinesi, e in particolare quelli residenti nelle aree di frontiera.

Fragile tregua. Nella conclusione del rapporto, al-Mizan sostiene che nonostante i propositi dell’accordo di cessate il fuoco (che avrebbe concesso agli agricoltori e ai civili di accedere alle zone adiacenti al confine, e ai pescatori di addentrarsi nel mare fino a sei miglia nautiche), esso non garantisce il rispetto dei diritti umani dei palestinesi, in quanto fino a quando i civili non cesseranno di essere il bersaglio del fuoco israeliano, gli agricoltori saranno restii a tornare a coltivare i propri campi, e i residenti non ricostruiranno le proprie case distrutte.

Il centro per i diritti umani ha aggiunto che continuare ad accettare le giustificazioni israeliane delle proprie violazioni, solitamente legate a motivi di sicurezza, accentuerà la sofferenza dei palestinesi, che continueranno a vedersi privati da una serie di diritti fondamentali, come quello alla vita, all’integrità fisica, alla sicurezza, al lavoro e alla libertà di movimento.

Al-Mizan ha ribadito la propria ferma condanna delle violazioni israeliane commesse nelle aree ad accesso limitato, sia terrestri che marittime, e ha sottolineato che pescare liberamente nel mare di Gaza, o raggiungere i propri terreni e coltivarli, rappresentano dei diritti umani naturali. E ha aggiunto che le forze di occupazione infrangono sistematicamente il diritto internazionale umanitario, colpendo i civili, i pescatori e gli agricoltori palestinesi, che vengono privati dai loro mezzi di sussistenza, uccisi o arrestati arbitrariamente, in modo che viola la loro dignità umana.

Al-Mizan ha rinnovato l’appello alla comunità internazionale per intervenire, proteggere i civili e fermare le violazioni israeliane nei loro confronti, sottolineando che la Striscia di Gaza fa parte dei territori palestinesi occupati e che agli accordi siglati tra le forze di occupazione e una parte delle leadership palestinese, tra cui anche gli accordi di Oslo, non soppiantano questa realtà. Ciò impone ad Israele di rispettare i propri obblighi derivanti dal diritto internazionale, il che significa, oltre all’obbligo di non commettere violazioni, garantire il rispetto dei diritti umani della popolazione civile che vive nei territori occupati.

http://www.infopal.it/documentate-centinaia-di-violazioni-israeliane-della-tregua-di-novembre/

 

Elezioni 2013: Don Gallo sostiene Ingroia? Un falso su Facebook

Genova / Società & Tendenze / Attualità

Il prete da marciapiede testimonial a sua insaputa di Rivoluzione Civile. Un fotomontaggio fatto circolare sul social network. Don Andrea si dissocia dal gesto. Tra politica e web 2.0

Elezioni 2013: Don Gallo sostiene Ingroia? Un falso su Facebook

 

In tempo di web 2.0, di Facebook e di Twitter le informazioni circolano velocemente e si propagano con altrettanta velocità. Se da un lato questo è un bene, dall’altro il web può rivelarsi un’arma a doppio taglio, come nel caso di Don Gallo, che a sua insaputa si è ritrovato sostenitore di Ingroia alle prossime elezioni politiche.

Complice un programma di grafica, infatti, qualche militante di Rivoluzione Civile, avrebbe iniziato a diffondere su Facebook lafoto del Don che sventola il pugno chiuso su un manifesto elettorale, Io sto con Ingroia.

Appena appresa la notizia don Andrea, ha subito precisato a tutti i suoi contatti Facebook, ben 85.000, che si tratta di unfotomontaggio: «Non ho mai dichiarato ‘Io sto con Ingroia’. Quella foto è il mio simbolo di sostegno alla Fiom in piazza del Duomo a Milano». Tuttavia, il Don, pur dissociandosi dall’accaduto, non ha voluto colpevolizzare troppo chi ha creato il falso e agli elettori di Ingroia ha augurato comunque il suo «in bocca al lupo!». Anche lo staff di Rivoluzione Civile si è dissociato dall’iniziativa dei sostenitori, rispondendo al post del Don e augurandogli a sua volta buon lavoro.

Insomma, anche se la vicenda è finita bene, la questione fa riflettere. Se la campagna elettorale si fa sempre più agguerrita, questo non vuol dire che tutto sia lecito. E i social network, dei quali non sono ancora chiare tutte le potenzialità, specialmente in campo politico, possono anche diventare veicolo di falsità e ingannare gli elettori. Dopo la par condicio televisiva ci vorrà una legge ad hoc anche per i social network? 

Chiara Pieri

http://genova.mentelocale.it/50524-elezioni-2013-don-gallo-sostiene-ingroia-falso-facebook/

 

Campagna di Rivoluzione civile: un contributo di 2 milioni e 200 mila euro dai partiti fondatori

ecco allora si preparino a risarcire per i manifesti fraudolenti

 Campagna di Rivoluzione civile: un contributo di 2 milioni e 200 mila euro dai partiti fondatori

L’Idv verserà nelle casse della nuova formazione di Ingroia quasi la metà della somma, Rifondazione 600mila euro, i Comunisti italiani 500mila, i Verdi 100mila. Altri fondi arriveranno da una sottoscrizione dei cittadini. “La tracciabilità sarà totale”, garantisce il tesoriere

di PASQUALE NOTARGIACOMO

 NEL cantiere “Rivoluzione Civile” a tenere i conti è l’avvocato Elio Costanza. Palermitano, docente universitario nel capoluogo siciliano e legato da un rapporto personale ad Antonio Ingroia, che lo ha voluto con sé quando ha deciso di correre per le prossime elezioni politiche. “Mi ha chiesto di dargli una mano a controllare che tutto proceda secondo le regole e con la massima attenzione”, spiega Costanza. La parola cantiere non è casuale: l’espressione work in progress ritorna spesso nelle conversazioni con il tesoriere di Rivoluzione Civile. Da ultima arrivata nella campagna per il voto nazionale, la formazione che sostiene l’ex Procuratore aggiunto di Palermo deve recuperare anche sul piano dell’organizzazione rispetto a partiti già strutturati. “I tempi più lenti sono dati da questa formazione assolutamente nuova”, spiega il tesoriere. 

 Anche il budget della campagna, composto principalmente dai fondi messi a disposizione dai quattro partiti che sostengono Ingroia, è stato appena definito. A comunicarcelo non è Costanza – “non dipende da me”, dice – ma l’ufficio stampa della lista. Secondo questi dati Rivoluzione civile potrà contare su un tesoretto complessivo di 2 milioni e 200mila euro, grazie ai contributi dei partiti fondatori. Più del doppio, per fare un esempio, di quanto stanzierà uno dei principali rivali: Sel (circa un milione di euro). Uno sforzo notevole considerando che tre dei quattro partiti coinvolti nel progetto sono rimasti esclusi dall’ultima legislatura, con tutto quello che ne consegue in termini di ridimensionamento delle risorse. 

 LE QUOTE DEI PARTITI – “Una volta definita l’entità del progetto e inserita la somma nel bilancio preventivo” – spiega Costanza – “ci sarà un versamento proporzionale tra i soci fino al raggiungimento della quota”. Nel dettaglio l’Italia dei Valori verserà quasi il 50%, con 1 milione di euro. A seguire Rifondazione Comunista con 600mila euro, i Comunisti Italiani con 500mila mentre il contributo più esiguo sarà quello dei Verdi con 100mila euro. Anche a questo scopo è stato aperto un conto corrente intestato a Rivoluzione Civile. “Sì, è stato definito questo contratto bancario. Non solo – continua il tesoriere – ho impostato subito un rapporto con un studio commercialistico e tutta la contabilità sarà certificata da una società di revisione”. Altri fondi arriveranno da una sottoscrizione di cittadini che è allo studio: “La tracciabilità sarà comunque totale”, garantisce Costanza.

 IL RENDICONTO ONLINE – Ancora presto invece per conoscere le singole voci di spesa: “Tutte le notizie relative ai contributi, all’impianto del progetto, saranno messe sul sito. Pubblicheremo un rendiconto appena possibile, perché tutte le attività sono in progress. Sarà accessibile appena definiremo almeno l’80% delle spese. Credo realisticamente non prima di due settimane”. Esclusa subito la presenza di grandi finanziatori privati: “Non ho visto al tavolo nessun imprenditore, nessun soggetto terzo. E neanche li abbiamo cercati. Noi guardiamo alle associazioni della società civile, che speriamo ci facciano da cassa di risonanza per le iniziative a livello territoriale e che non vivono certo di grandi sostegni economici”. Una scelta che influenza il tipo di campagna: “Sarà soprattutto online. Ed è impostata, come avrà avuto modo di vedere, molto sulla comunicazione del candidato e sulle idee che lui porta avanti personalmente. Tutta la divulgazione passa dal dottor Ingroia. Il resto lo faranno le associazioni civili che vivono tra la gente. Questo momento d’incontro è la nostra politica”, sottolinea Costanza. 

 SPESE PAGATE CON I RISARCIMENTI – Prima della definizione del budget complessivo non sono mancati momenti pionieristici. “All’inizio c’è stata un’anticipazione dei partiti soltanto per l’affitto della sede del Comitato elettorale a Roma, abbiamo fatto il logo, ma siamo in ritardo anche per i manifesti. Siamo partiti con tanta buona volontà e spirito di servizio”. Leader in testa: “Ho visto che le spese di viaggio, aerei e alberghi, se l’è pagate da solo, senza chiedere niente a nessuno. Ha attinto ai suoi risparmi, probabilmente a qualche risarcimento ottenuto per azioni legali vinte. Ma” – conclude il tesoriere – “parliamo veramente di una piccolissima parte, un simbolo”.

(27 gennaio 2013)

 

Monti contestato dagli emiliani, trascurati dopo il terremoto. Uova e insulti VIDEO

al link tutti i video

 Monti contestato dagli emiliani, trascurati dopo il terremoto. Uova e insulti VIDEO

 E’ sconfinata la faccia tosta del senatore del Bilderberg: che si ostina a dichiarare di aver ”salvato l’Italia” nonostante diversi suoi stessi sostenitori, che fino a ieri lo hanno elogiato e “incensato”, abbiano iniziato a ”scaricarlo”, per salvaguardare la propria credibilità dinnanzi ai lettori: come l’autorevole (per il sistema) Financial Times, che nei giorni scorsi lo ha criticato apertamente in campagna elettorale: “Monti non è l’uomo giusto per l’Italia, ha provocato recessione”. Ovviamente negli ambienti più filobancari di cui è espressione il sostegno di cui gode è ancora incondizionato: l’ex governatore della banca d’Italia e Presidente emerito, Carlo Azeglio Ciampi gli ha recentemente confermato la fiducia: “è la persona giusta, farà strada”

 Oggi Mario Monti, che incredibilmente parla persino di ridurre le tasse (come se Dracula dichiarasse di voler diventare vegano) ha pensato bene di andare a cercare voti nelle zone colpite dal sisma in Emilia: con il (logico) risultato di essere ricoperto di insulti: pare che siano volate persino uova, una ha colpito un sindaco della zona. A contestarlo – come si evince dai video – tanti cittadini ‘qualsiasi’, esasperati non solo dalla pesantissima austerity imposta al ceto medio e basso, ma anche dal menefreghismo con il quale il governo del massone bilderberg ha gestito il terremoto: dal fatto che la macchina dei soccorsi ha fatto acqua in molte zone, lasciando isolati i cittadini anche per giorni, ai fondi promessi (e persino raccolti tra i cittadini) che non arrivano mai, mentre le banche hanno bloccato affidamenti e credito agli imprenditori colpiti…

 I video si commentano da soli… e aspettiamo che su Youtube siano caricati quelli ‘amatoriali’, che le testate giornalistiche spesso eliminano le parti più ‘pesanti’…

 Staff nocensura.com

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 Monti contestato anche a Mirandola

 Nuova contestazione per Mario Monti a Mirandola, dopo quella subita a Concordia. Il premier era atteso al palazzetto della città per una manifestazione elettorale legata alla sua “Lista Civica”. Grida e insulti, da parte della popolazione terremotata e di alcuni attivisti del Pdl. Ma appena i politici locali filo berlusconiani hanno issato le loro bandiere, sono stati subissati di fischi (di Sergio Volo – Repubblica.it)

 Mirandola, contestatrice a Monti: ”Preferisco pane e cipolla”

 Giornata difficile per Mario Monti in visita alle zone terremotate dell’Emilia. Il premier è stato duramente contestato a Concordia e a Mirandola. In quest’ultima località il presidente del Consiglio è stato interrotto da un’abitante del luogo durante un comizio elettorale all’interno del palazzetto dello sport. “Abbassatevi gli stipendi – ha urlato la contestatrice – ho pagato il 68% di tasse. Io mangerò pane e cipolla ma preferisco mangiare pane e cipolla onestamente che caviale e champagne come voi”. Monti a questo punto ha tentato di replicare: “Spero signora che lei poi vorrà guardare un po’ più da vicino quali sono le diverse…” Ma è stato nuovamente interrotto: “Io non sento più niente, non credo più niente, sempre le solite cose. Promettete e non mantenete” (Repubblica.it)


  Concordia (Modena): Monti contestato dai terremotati

 Dura contestazione nei confronti di Mario Monti, durante la visita del premier a Concordia, nel cratere sismico della Bassa Modenese. Appena sceso dall’auto blu, pochi minuti dopo le 17, il presidente del Consiglio è stato sfiorato da un uovo lanciato da alcune centinaia di metri. Nessuna conseguenza per il premier, mentre il sindaco di Camposanto, Antonella Baldini, che si trovava nei pressi, è stata raggiunta a un occhio. Soccorsa, è stata portata in pronto soccorso a Mirandola. Una parte della folla ha continuato a contestare Monti mentre la maggioranza è rimasta in silenzio (di Sergio Volo – Repubblica.it)

 L’articolo di lastampa.it:

Monti contestato nei paesi del sisma “Vieni qui solo per le elezioni”

Monti in visita a Concordia

 Emilia, a Concordia gli lanciano contro un uovo che colpisce un sindaco locale. Doppia manifestazione a Mirandola: una è stata organizzata dal Pdl

CONCORDIA (MODENA)

Un gruppo di persone ha contestato a Concordia, uno dei paesi più colpiti dal sisma della scorsa primavera, il premier Mario Monti, durante una visita in Emilia.  

 A Monti hanno gridato parole come “buffone”, “vergognati” e “vieni qui solo per la campagna elettorale”. 

 Un uovo che era stato lanciato contro Monti ha colpito invece il sindaco di Camposanto, Antonella Baldini. Il sindaco accompagnava il premier con una delegazione di amministratori delle zone terremotate.  

La Baldini è stato colpita a un occhio ed è dovuta ricorrere a cure mediche.  

 Poco dopo, un nuova contestazione dei terremotati a Monti è avvenuta a Mirandola (Modena). Il premier in questo caso non ha attraversato il “fronte caldo” perché è entrato da un ingresso secondario del palazzetto dove era atteso. Davanti all’entrata principale erano state allestite due manifestazioni di protesta. Da una parte una ventina di consiglieri del Pdl dei comuni terremotati del cratere modenese. Esposto il cartello “Alla banca sì, ai terremotati no”. 

 Poco distante c’erano i “cittadini terremotati della Bassa” del comitato Sisma 12 che in un volantino chiedono «al primo ministro dimissionario Mario Monti di scusarsi della insensibilità con la quale il suo governo ha trattato questo territorio» e al «candidato Mario Monti di avere la decenza di non venire in campagna elettorale a promettere quello che, quando ne aveva l’opportunità, non ha fatto». «Giù le mani dalle nostre case. Rimborso dei danni al cento per cento», recitava uno degli striscioni del comitato. 

 Dopo l’ingresso del leader di Scelta Civica nel palazzetto c’è stata anche qualche scintilla tra i manifestanti dei due gruppi. I cittadini del comitato, infatti, non hanno condiviso la scelta dei consiglieri comunali Pdl di esporre bandiere politiche.  

 

  

L’uguaglianza non è sinonimo di equità…


“La colossale ingiustizia delle multe di cui non parla nessuno!”
http://www.nocensura.com/2012/12/la-colossale-ingiustizia-delle-multe-di.html 

“Iniziativa: alimentiamo il dibattito sulla questione “multe in base al reddito”?”
http://www.nocensura.com/2012/12/iniziativa-alimentiamo-il-dibattito.html

“Multe in base al reddito: bell’articolo de L’Infiltrato”
http://www.nocensura.com/2012/12/multe-in-base-al-reddito-bellarticolo.html

Staff nocensura.com

1° giornata europea europea dell’evasore e del parassita

Riceviamo e pubblichiamo:

 1°GIORNATA EUROPEA DELL’EVASORE E DEL PARASSITA

 per premiare dirigenti di enti pubblici, aziende e privati che, nel corso del decennio, si sono distinti per la grande vera evasione, fatta con metodi originali, a danno di tutti i contribuenti, e per la grande capacità mediatica dimostrata nell’omettere, in modo temerario, l’evidenza dei fatti in relazione al ruolo svolto.

 

La giuria popolare, all’unanimità, delibera:

 1° Premio: un quadro di ARSENIO LUPIN.

E’ stato assegnato al Banco di Sardegna, per aver evaso e rubato ovunque nell’isola, contributi pubblici, presi indebitamente dalla regione, dopo la revoca dei mutui a tasso agevolato.

 2° Premio: un paio di manette.

E’ stato assegnato a Equitalia SPA, per avere operato con dirigenti fasulli, nominati senza pubblici concorsi, e per aver esercitato con 2000 messi notificatori in nero eo con contratti irregolari, facendone risultare solo 55 agli atti ufficiali.

 3° Premio: soggiorno gratuito al carcere di Regina Coeli.

E’ stato assegnato all’agenzia delle entrate, per aver operato con dirigenti fasulli,ne congrui ne compatibili con il loro tenore

 I cittadini hanno istituito un concorso a livello europeo di vita, e per aver fatto accertamenti vessatori, ignorando dolosamente le importanti sentenze della cassazione e lo statuto del contribuente.

 4° Premio: una fornitura gratuita di fosforo per 1 anno

 E’ stato assegnato al ministro Passera, per aver detto la famosa frase “ SANZIONE SOCIALE PER GLI EVASORI” dimenticandosi che, sino a poco tempo fa, da amministratore delegato della banca Intesa, ha concordato e ottenuto dagli amici, uno sconto dell’83% sugli accertamenti fiscali al suo gruppo, pagandone solo il 17% su un totale di1 miliardo e settecento milioni di tasse dovute.

 5° Premio: kit di ricambio di fili per marionette

 E’ stato premiato Capellacci,il presidente della regione POCO autonoma della Sardegna, per non aver chiesto in tribunale, il sequestro giudiziario dei fascicoli delle aziende messe all’asta dopo la revoca dei mutuiregionali a tasso agevolato, nonostante sia stato diffidato con documenti ufficiali ad adempiere, difendendo di fatto la CRICCA delle speculazioni.

 6° Premio: una lente di ingrandimento

 E’ stato assegnato ad alcuni giudici delle esecuzioni immobiliari, per la loro grande “distrazione” nel non aver visto le stesse perizie dei conti correnti dei CTU, che indicavano il superamento tasso soglia usura anche del 229%.

  La giuria ha inoltre deciso di premiare, fuori concorso, il prefetto di Cagliari con soldatini ed elicotteri di plastica, per potersi meglio allenare per i prossimi sfratti esecutivi ILLEGALI.

  

*PUNIRE LA POPOLAZIONE PER SALVARE I BANCHIERI INCAPACI E’ PERSINO PEGGIORE DI UN CRIMINE*

 

( PAUL KRUGMAN,ECONOMISTA E PREMIO NOBEL )

Scritto da Giuseppe Carboni e Luigi Toro

Movimentoartigianiecommercianti Sardegna

L’uranio del Niger e il colonialismo francese al tempo delle democrazie

di Andrea Camboni – 24/01/2013

Fonte: osservatorioiraq 

La Francia importa dal Niger il 40% dell’uranio necessario per il funzionamento dei suoi reattori nucleari. Nel 2008, il colosso francese Areva ha ottenuto i diritti sul sito di Imouraren con un investimento di 1,2 miliardi di euro. Una partita con la quale Parigi si gioca il suo futuro energetico e la sua egemonia sull’area del Sahel.

Nei primi giorni del 2012, la Francia perde un’altra fetta del supermercato nigerino di uranio.

Divorata dai cinesi che in quei giorni firmano con il Niger due accordi, il primo relativo all’avvio di una cooperazione economica e tecnica, il secondo sull’aiuto alimentare di urgenza, che spianano la strada allo sfruttamento della risorsa da parte di Pechino.

Un’ascesa, quella cinese, cominciata nel 2006, con la concessione di Tegguida, e proseguita nel 2007 con la costituzione della società sino-nigerina Somina per lo sfruttamento del giacimento di Azilik nell’Agadez.

E proprio da Azelik, lo scorso 30 ottobre, è partito il primo carico di uranio destinato alla Cina, dopo che la produzione pilota nella miniera era stata avviata nel marzo 2011.

I cinesi, che nel 2008 risultano essere i maggiori investitori nelle miniere di uranio del paese, hanno in programma di incrementare l’estrazione ad Azilik, portando la produzione a 4-5mila tonnellate entro il 2020.

Un rollino di marcia che ha come obiettivo quello di pareggiare le 5mila tonnellate all’anno di uranio che la società francese Areva si è garantita per 35 anni siglando, il 5 gennaio del 2009, un accordo con il governo del Niger per lo sfruttamento del giacimento di Imouraren (che prevede anche un incremento del prezzo dellla materia prima del 50%) .

Ma è proprio sui progetti legati a questo grande giacimento che la Francia sembra restare indietro nel cambio di passo che il governo nigerino vuole imprimere all’estrazione e al trattamento della risorsa.

Il 14 gennaio 2013, infatti, trapela la notizia secondo la quale Areva ha acconsentito di pagare al Niger la somma di 35 milioni di euro come compensazione per i ritardi accumulati in ordine al progetto della miniera di Imouraren, che puntava a raddoppiare l’estrazione di uranio facendo del sito il secondo esportatore mondiale di combustibile nucleare.

Un progetto di incremento massiccio, inizialmente previsto per il 2012, ma fatto slittare da Areva al 2014 o al 2015 (secondo quanto riportato da fonti governative nigerine).

In realtà, leggendo il verbale di un incontro riservato avvenuto il 9 novembre 2012 a Parigi tra i vertici di Areva e i rappresentanti del governo del Niger, il fiato corto della Francia si rivela essere un escamotage strategico finalizzato ad affondare maggiormente le unghie nell’economia del paese sahariano.

Nel documento – pubblicato dall’Observatoire du nucléaire sul proprio sito – i rappresentanti di Areva, compagnia che detiene il 66,5% del capitale della società Imouraren SA, lamentano l’assenza di infrastrutture per accedere al cantiere e la difficoltà di attirare investitori internazionali a causa della situazione e della sicurezza regionale incerta.

In sostanza, la Francia (che detiene quote dell’Areva per il 90%) tira la corda sulla data di ultimazione dell’impianto estrattivo prospettando dunque un ulteriore ritardo sulla produzione del primo stock di uranio che sarebbe disponibile a metà 2016, paventando comunque un rischio de glissement di ulteriori 6 mesi.

Una contropartita di scambio per chiedere a Niamey il congelamento del prezzo dell’uranio, rinnovare i permessi alle altre miniere di Tagait 1, 2 e 3 e concedere il permesso Toulouk 3.Il 2017, infatti, sarebbe una data inaccettabile per il Niger.

In vista delle prossime elezioni nel 2016, il presidente Issoufou non può bruciare la carta dello sviluppo e della lotta alla povertà con la quale ha vinto le scorse elezioni (2011) e, in quest’ottica, non può certamente far naufragare il Progetto Imouraren.

Si tratta del più grande piano mai avviato in Niger (e il secondo su scale mondiale), che consentirebbe una produzione annuale di circa 8.000 tonnellate di uranio e la creazione di 1.400 posti di lavoro.

Per questo – si legge nel documento – “il Niger non ha grandi margini di manovra per la data di avvio del Progetto Imouraren, essendo un progetto che rientra in un programma più vasto del presidente della Repubblica promesso al popolo nigerino”.

Attraverso il pagamento di tre tranche (16 milioni di euro nel 2013, 10 milioni nel 2014, 9 milioni nel 2015) la Francia ha dunque riaffermato la propria influenza nella regione, al costo di 35 milioni di euro.

Una negoziazione che non trova riscontro nella dichiarazione fatta a gennaio 2009 della ex presidente di Areva, Anne Lauvergeon, secondo la quale il gruppo francese “intende rimanere un protagonista industriale che non si immischia negli affari politici interni del Niger”. Né del suo vicino malinano.