Ingroia si “appropria” delle agende rosse

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. Un messaggio molto sottile, non si appropria ma accosta sapientemente le agende rosse ai rivoluzionari arancioni.

Genesi di  una rivoluzione colorata a tavolino?

·                                 Continuano a circolare, sul web e sulla stampa false notizie riguardanti una mia presunta candidatura nella lista “Rivoluzione Civica”. 
Ci tengo a precisare che tale notizia, non so se diffusa ad arte o non sufficientemente smentita da chi avrebbe dovuto farlo, è assolutamente priva di fondamento e ci tengo in maniera particolare perché l’offerta , che pure mi è stata fatta, è sempre stata sempre da me respinta in maniera categorica, come ho fatto, in occasione simili, nel corso degli ultimi anni, dandone delle motivazioni ben precise che ormai, credo, tutti, almeno sul web, dovrebbero conoscere. Ho sempre sostenuto infatti che il cognome che ho l’onore e l’onere di portare, Borsellino, è un cognome che appartiene a tutti gli Italiani e non può in alcuna maniera essere fatto diventare un cognome di parte come inevitabilmente succede in una competizione elettorale.
Già altre volte mi è successo di manifestare il mio appoggio ad altri candidati, ma, a parte la mia improvvida apertura di credito fatta anni fa a Vasto intervenendo al congresso di IDV, apertura di credito che ho poi immediatamente ritirata quando IDV fece delle scelte infelici nella composizione delle liste elettorali in Campania, il mio appoggio è stato fatto sempre nei confronti di singoli candidati e non delle liste a cui appartenevano. Ho agito così’ sostenendo De Magistris nella sua elezione a sindaco di Napoli, ho agito così sostenendo Orlando nella sua elezione a sindaco di Palermo, ho fatto così appoggiando con le mie dichiarazioni le candidature di alcuni giovani del Movimento 5 Stelle alle elezione regionali siciliane. Dissi, ricordo, di quei giovani che hanno da sempre hanno partecipato e mi hanno sostenuto nelle mie lotte perla Giustizia e la Verità senza mai chiedermi, in cambio di avere visibilità per il loro movimento, “finalmente delle facce pulite sui muri di Palermo”.
A maggior ragione, in queste elezioni, il mio appoggio deve intendersi rivolto alla persona di Antonio Ingroia e al suo progetto di portare nell’ambito parlamentare quella lotta per il raggiungimento della verità sulla strage nella quale fu ucciso Paolo Borsellino che egli combatte da venti anni, perché troppe cose nella realizzazione di questo progetto nn stanno andando per il verso che mi sarei aspettato. 
Quando a Roma, il 21 dicembre, Ingroia annunciò la sua disponibilità a candidarsi come leader di una lista che poi prese il nome di “Rivoluzione Civile”, subordinò questa sua accettazione ad un “passo indietro” da parte dei leader dei partiti che sarebbero entrati a far parte di quella lista. Questo passo indietro non c’è stato, è stato solo formale, i leader in oggetto hanno soltanto accettato di togliere i loro simboli dal contrassegno della lista, ma non hanno ritirato le proprie candidature. Spero di essere smentito, ma nonostante le proclamate intenzioni di Antonio Ingroia di riservare i primi posti in lista alla Società Civile, credo stiano tentando in ogni modo di accaparrassi questi posti che, grazie ad una legge elettorale che impedisce ai cittadini di esprimere la propria preferenza , assicurerebbero loro quella elezione che gli sarebbe invece negata dall’espressione della volontà popolare.
Purtroppo mi stanno giungendo dagli aderenti al mio movimento, e anche in questo caso spero di essere smentito, voci di inserimento in lista di persone che non rappresentano esattamente quel “nuovo” che noi ci aspettiamo.Spero che soltanto di voci si tratti e che io non sia costretto, non dico a ritirare il mio credito, perché ad Antonio Ingroia continuerò sicuramente ad assicurare il mio appoggio e la mia lealtà, ma a dovere metabolizzare l’ennesima delusione per delle speranze non concretizzate.
Sto ricevendo da parte di tanti aderenti al mio movimento l’offerta di mettersi in gioco, di metterci la faccia, di dedicare le proprie energie e le proprie capacità a questo progetto ma voglio augurarmi che questa disponibilità non serva solo a mantenere il posto in parlamento a residui della vecchia politica che vogliono utilizzare questa lista che ha nel nome la parola “Rivoluzione” per realizzare invece una, per loro più conveniente, “Restaurazione”.

Buon 2012

ADNK. 2013-01-12. Crisi, 9 italiani su 10 costretti a ridurre le spese. E per il 2013 l’orizzonte è nero.

  Roma – (Adnkronos) – Nonostante gli sforzi per contenere le uscite diventasempre più difficile far quadrare i conti. A lanciare l’allarme è la Confesercenti. Sale di ben 8 punti la platea di chi arranca fino al traguardo della terza settimana, passando dal 20% del 2010 al 28% del 2012. Problemi lavorativi per il 20% delle famiglie. Bce, Draghi: ”Ripresa graduale a fine 2013”. Junker: ”Salario minimo per l’area euro”.

Roma, 12 gen. (Adnkronos) – La crisi ha costretto nove italiani su 10 a ridurre le spese, colpendo direttamente l’80% delle famiglie. Ma nonostante gli sforzi degli italiani, per contenere le uscite, diventa sempre più difficile far quadrare i conti. A esaminare gli effetti della crisi, nell’anno appena trascorso, ci pensa la Confesercenti, attraverso il sondaggio Swg che pone l’accento sulla questione lavoro e sulle crescenti difficoltà di arrivare alla fine del mese. Nel 2012 il 41% degli interpellati dichiara di non riuscirci, né con il proprio reddito né con quello familiare.

E se nel 2010 circa il 72% del campione riusciva a far fronte alle spese della famiglia per tutto il mese, quest’anno la percentuale cala bruscamente al 59%. Cresce invece di 5 punti rispetto a due anni fa il numero di coloro che ce la fanno solo fino alla seconda settimana (ora il 23% del campione), mentre sale di ben 8 punti la platea di chi arranca fino al traguardo della terza settimana(passando dal 20% del 2010 al 28% del 2012).

L’80% degli intervistati segnala che la crisi ha colpito anche il proprio nucleo familiare: il 37% ha ridotto fortemente le spese, il 21% ha invece tagliato sulle attività di svago. Problemi lavorativi per il 20% delle famiglie italiane che hanno registrato: la perdita del posto di lavoro (il 14%) o la cassa integrazione per uno dei suoi membri (il 6%).

Dal quadro che emerge dal sondaggio Confesercenti-Swg sulle prospettive economiche dell’Italia per l’anno appena iniziato gli italiani sono sempre più scettici sull’uscita rapida dalla crisi: per i prossimi dodici mesi, solo il 16%, la metà dello scorso anno, vede in arrivo un miglioramento per l’economia del Paese, mentre il restante 86% pensa che il 2013 non porterà alcuna evoluzione positiva, ma addirittura un ulteriore peggioramento.

La salute dell’economia italiana è giudicata negativamente dall’87% del campione. In particolare, il 36% la ritiene inadeguata, mentre il 51%, la maggioranza, addirittura pessima. A promuoverla solo il 13%, che la segnala come discreta (11%, in aumento del 3% sullo scorso anno) o buona (2%, in calo dell’1%). Anche sulle prospettive si registra una grave sfiducia. Solo il 16% degli intervistati vede una svolta (lo scorso anno erano esattamente il doppio (32%).

Ad avere una visione più positiva sono i giovani sotto i 24 anni (22,9% di ottimisti) e chi vive nelle Isole (22,2%). Aumentano significativamente i pessimisti, che passano dal 30 al 44% del campione generale, che pensano che nel 2013 andremo incontro ad un ennesimo peggioramento dell’economia. Una percentuale che sale al 45,6% tra gli abitanti del Nord Ovest e addirittura al 49% nella fascia d’età 35-44 anni. Il 40% degli italiani ritiene invece che la situazione resterà la stessa del 2012: anche in questo caso, i valori massimi si registrano nella fascia d’età tra 18 e 24 anni, dove si registra un picco del 42,9%.

Se per l’Italia ci si aspetta un ulteriore peggioramento, le prospettive per la propria famiglia e la situazione personale sono solo un po’ meno negative. L’86% degli intervistati non crede in un miglioramento. Il 52% dei nostri concittadini ritiene che la situazione rimarrà la stessa, in aumento del 5% sullo scorso anno. Calano gli ottimisti, che passano dal 17 al 14 per cento, così come i pessimisti, che scendono al 34% dal 36% dello scorso anno.

Per il 2013, la maggioranza degli italiani (il 59%) vuole far leva sul nuovo esecutivo per porre alla sua attenzione l’emergenza lavoro, scelta dal 31% degli intervistati a causa del forte sentimento d’insicurezza sul futuro. E’ significativo che, subito dopo, gli italiani chiedano di abbassare le tasse e di ridurre i costi della politica (il 23% del campione in entrambi i casi). Ovvero meno spese e meno sprechi per liberare risorse utili a tagliare la pressione fiscale.

 

ADNK. 2013-01-12. Cassa integrazione record nel 2012 oltre 520mila lavoratori a zero ore.

Roma – (Adnkronos) – Sono stati costretti a rinunciare a 8 mila euro in busta paga. E’ il bilancio degli effetti determinati dalla crisi sullo scorso anno, il secondo peggiore, dietro soltanto al 2010, degli ultimi 32, ossia dal 1980, anno di inizio delle serie storiche. L’elaborazione delle rilevazioni dell’Inps effettuata dall’Osservatorio Cig della Cgil nazionale. Disoccupazione giovanile vola al 37,1%.

Roma, 12 gen. (Adnkronos) – Poco più di 520 mila lavoratori in cassa integrazione a zero ore (ben oltre il milione se consideriamo il 50% del tempo lavorato) per un totale nel 2012 di un miliardo e novanta milioni di ore di cig.Lavoratori costretti così a rinunciare a 8 mila euro in busta paga, pari a un taglio complessivo di 4,2 miliardi di euro al netto delle tasse.

Questo in estrema sintesi il bilancio degli effetti determinati dalla crisi sullo scorso anno (il secondo peggiore, dietro soltanto al 2010, degli ultimi trentadue, ossia dal 1980 anno di inizio delle serie storiche) in termini di ricorso alla cassa integrazione secondo l’elaborazione delle rilevazioni dell’Inps da parte dell’Osservatorio Cig della Cgil nazionale nel rapporto di dicembre 2012.

Con questo ultimo dato record relativo allo scorso anno è così possibile tracciare un bilancio di cinque anni di crisi, da quando cioè gli effetti della crisi finanziaria scoppiata nell’estate del 2007 si sono riversati sull’economia reale negli ultimi quattro mesi del 2008. Il totale di ore di cassa integrazione registrate a partire dal 2008 per arrivare al 2012 è di circa 4,4 miliardi di ore, così suddivise in dettaglio: nel 2008 si sono registrate 188.821.707 (ma con una poderosa crescita a partire dall’ultimo quadrimestre dell’anno con 87.396.558 di ore registrate); per il 2009 la cig ha raggiunto le 918.146.733 ore richieste; nel 2010, con l’introduzione della cassa in deroga, si è toccato il picco con 1.203.638.249; e, infine, il 2011 si è chiuso con 953.506.796 ore. Ecco quindi che con 1.090.654.222 di ore richieste nel 2012 il totale di questi ultimi 5 anni di ore di cig richieste è di 4.354.767.707.

Numeri che, secondo il segretario confederale della Cgil, Elena Lattuada, ”descrivono un sistema produttivo letteralmente frantumato dagli effetti della crisi e dalla cecità di chi prima ha negato e di chi poi non ha agito. Così come la condizione di centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori è di grandissima sofferenza”. Per la dirigente sindacale, ”serve un’opera di ricostruzione, che deve partire dal lavoro: sarà questo il compito del prossimo governo”. Per quanto riguarda la Cgil, fa sapere Lattuada: ”Noi non ci sottrarremo alle responsabilità e faremo la nostra parte presentando, alla conferenza di programma di fine gennaio, un ‘Piano del Lavoro’, perché solo il lavoro può dare al Paese una prospettiva di sviluppo e di crescita”.

Le ore di cassa integrazione complessive, richieste e autorizzate, lo scorso anno hanno sfiorato il picco record del 2010 assestandosi a 1.090.654.222 di ore con un aumento sull’anno precedente del +12,07%. Nel dettaglio, scorporando le ore di cassa integrazione tra ordinaria (cigo), straordinaria (cigs) e in deroga (cigd), questi i numeri segnati lo scorso anno: 335.603.725 per la cigo (+46,25%), 400.284.270 per la cigs (-5,53%), 354.766.227 per la cigd (+10,87%). Numeri che hanno coinvolto lo scorso anno a vario titolo (a partire cioè dalla singola giornata di cassa integrazione) più di 2 milioni di lavoratori. Solo però una quota parte, sottolinea lo studio della Cgil, degli oltre 4 milioni di lavoratori che hanno avuto a che fare con gli ammortizzatori sociali sui 12 milioni e mezzo di assicurati all’Inps, pari cioè a un terzo dei lavoratori.

In leggero calo invece per il 2012 il di numero di aziende che hanno fatto ricorso ai decreti di cassa integrazione straordinaria. Lo scorso anno si sono registrati infatti 6.191 decreti con un -9,59% sull’anno precedente che riguardano 11.024 unità aziendali territoriali, in sul dato del 2011 per un +2,62%. Nel merito delle motivazioni, i ricorsi per crisi aziendale, seppure in calo del -14%, sono con 3.447 decreti, pari però al 55,68% del totale. Registrano un aumento i ricorsi al contratto di solidarietà: sono 1.556 per un +5,56% sul 2011, sul totale dei decreti la percentuale è del 25,13%. Se rimane pressoché invariato il dato sulle domande di ristrutturazione aziendale (240 per un -0,42%), pari al 3,88% del totale, calano ancora quelle per la riorganizzazione aziendale che sono 268 per un -10,37%, ovvero il 4,33% del totale.

”Gli interventi che prevedono percorsi di reinvestimento e rinnovamento delle aziende – spiega il rapporto della Cgil – nell’insieme non migliorano e rappresentano solo l’8,21% del totale dei decreti, mentre il totale complessivo dei decreti ha raggiunto il numero delle aziende coinvolte nel 2011, con un aumento nelle unità aziendali territoriali coinvolte”.

Pesante il bilancio per le regioni del nord in termini di ricorso alla cassa integrazione nel 2012. Dal rapporto della Cgil emerge che al primo posto per ore di cig autorizzate c’è la Lombardia con 238.363.723 ore che corrispondono a 114.159 lavoratori (prendendo in considerazione le posizioni di lavoro a zero ore). Segue il Piemonte con 143.184.093 ore per 68.575 lavoratori e il Veneto con 102.866.768 ore di cig autorizzate per 49.266 lavoratori. Nelle regioni del centro primeggia il Lazio con 85.962.185 ore che coinvolgono 41.170 lavoratori. Mentre per il Mezzogiorno è la Puglia la regione dove si segna il maggiore ricorso alla cig con 62.778.930 ore per 30.067 lavoratori.

Quanto ai settori, si conferma ancora una volta la meccanica il settore dove si è totalizzato il ricorso più alto allo strumento della cassa integrazione nel corso dall’anno passato. Secondo il rapporto della Cgil, infatti, sul totale delle ore registrate da gennaio a dicembre 2012, la meccanica pesa per 349.766.585, coinvolgendo 167.513 lavoratori (prendendo come riferimento le posizioni di lavoro a zero ore). Segue il settore del commercio con 169.031.098 ore di cig autorizzate per 80.954 lavoratori coinvolti e l’edilizia con 107.221.123 ore e 51.351 lavoratori.

Per quanto riguarda i lavoratori coinvolti, considerando un ricorso medio alla cig, pari cioè al 50% del tempo lavorabile globale (26 settimane), sono risultati essere 1.004.688 i lavoratori in cigo, cigs e in cigd. Se invece si considerano i lavoratori equivalenti a zero ore, pari a 52 settimane lavorative, si è determinata un’assenza completa dall’attività produttiva per 522.344 lavoratori, di cui 190 mila in cigs e 170 mila in cigd. Dai calcoli dell’Osservatorio cig si rileva come i lavoratori parzialmente tutelati dalla cig abbiano perso nel loro reddito 4 miliardi e 200 milioni, pari a 8 mila euro (sempre al netto delle tasse) per ogni singolo lavoratore.

 

ADNK. 2012-12-26. Precari, allarme della Cgil: “Centinaia di migliaia rischiano il lavoro a fine anno”.

Roma – (Ign) – In scadenza con la fine del 2012 un numero elevato di contratti di collaborazione. Secondo la Nidil, sindacato di categoria dei lavoratori atipici, l’effetto della riforma Fornero spingerà le aziende a non rinnovare i contratti o a rinnovarli con forme meno tutelanti, come voucher e partita Iva. In Italia nel 2011 erano 1,5 milioni i co.co.co e i co.co.pro.

Roma, 26 dic. (Ign) – Centinaia di migliaia di lavoratori precari rischiano il posto di lavoro alla scadenza del contratto in occasione della fine dell’anno. Secondo quanto sostenuto dalla Nidil Cgil, il sindacato di categoria dei lavoratori atipici, la riforma Fornero potrebbe influenzare le scelte delle aziende verso il non rinnovo o, ancora peggio, verso forme di lavoro precario che tutelano ancora meno, come la partita Iva o i voucher, quei buoni che il datore acquista dall’Inps e che il lavoratore, una volta ricevuti, può riscattare alla posta.

Il sindacato ha dato vita all’iniziativa ‘Capodanno 2013 – Non restare da solo’ attraverso la quale sta assistendo tutti quei lavoratori con il contratto in scadenza. L’Istat ha stimato nel terzo trimestre dell’anno circa 430.000 collaboratori, con co.co.pro e co.co.co. Nel 2011, aveva calcolato l’istituto di statistica nazionale, i collaboratori totali erano quasi 1,5 milioni.

 

ADNK. 2012-12-05. Sanita’: e’ allarme precari nel Ssn, 10.000 medici e 80.000 infermieri ‘a tempo’.

Roma, 5 dic. (Adnkronos Salute) – La sanità pubblica italiana? Sempre più in mano ai precari. Tra medici (10.000) e infermieri (80.000) si calcolano almeno 90.000 lavoratori del Servizio sanitario nazionale con contratti a tempo determinato. Quando va bene. La maggior parte dei medici ‘a tempo’, infatti, ha sottoscritto accordi ‘fantasiosi’: “Si va dai co.co.co ai co.co.pro fino ad accordi come libero professionisti”. A scattare la fotografia dei precari in sanità – dopo le parole del ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi oggi alla Camera, che ha parlato della difficoltà di stabilizzare tutti i 260 mila precari del pubblico impiego – sono i sindacati di categoria: Anaao Assomed e Cimo Asmd per i medici, Nursind e Ipasvi per gli infermieri.

“La situazione dei precari – spiega il segretario nazionale dell’Anaao Assomed, Costantino Troise, all’Adnkronos Salute – è conosciuta da molto tempo. E’ il risultato del blocco del turn over e di un’ideologia di flessibilità che si è trasformata nel tempo in precarietà. Al momento si stima un numero di medici precari pari a circa 10 mila. Di questi, almeno il 50% con contratti che andranno in scadenza a fine mese”. Un dramma per migliaia di famiglie, ma non solo. ”Si tratta di camici bianchi – sottolinea Troise – che perlopiù prestano servizio nei pronto soccorso e al 118″. Insomma, la loro fuoriuscita bloccherebbe di fatto la prima assistenza ai cittadini.

La maggior parte dei precari è concentrata al Sud: “Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia. In Campania – afferma il numero uno dell’Anaao Assomed – non si fa un concorso da quattro anni”. La questione è stata affrontata il 3 dicembre scorso in un incontro tra le Confederazioni e Patroni Griffi. “Il ministro – spiega il presidente della Cimo Asmd, Riccardo Cassi – ha proposto la soluzione di una proroga di 7 mesi per i contratti in scadenza a fine dicembre. Così da permettere di lavorare a un accordo quadro dove definire regole certe. Nel corso dell’incontro – aggiunge Cassi – abbiamo inoltre chiesto l’avvio di un tavolo ad hoc per la sanità, viste le specifiche del nostro settore”.

La gran parte dei 115 mila precari in sanità stimati dal ministro della Pubblica amministrazione riguarda però gli infermieri. “A oggi – spiega il segretario amministrativo nazionale del sindacato delle professioni infermieristiche Nursind, Daniele Carbocci – registriamo circa 80 mila infermieri con contratto a tempo determinato, su circa 300 mila operatori che prestano servizio nella sanità pubblica”.

Difficile sapere tra questi 80 mila, quelli con contratti prossimi alla scadenza: “La maggioranza ha accordi di un anno rinnovabili – sottolinea Carbocci – ma, essendo stipulati a livello aziendale, è complicato avere un quadro preciso”.

Preoccupata la presidente della Federazione collegi Ipasvi, Anna Lisa Silvestro: “Posso comprendere che non si possono stabilizzare tutti, ma è necessario fare un’attenta riflessione sulle priorità”. Secondo la Silvestro, le ripercussione sui cittadini sarebbero pesantissime. “Se non si stabilizzano i precari della sanità – spiega – si rischia di non riuscire più a garantire i livelli essenziali di assistenza. La politica deve assumersi le sue responsabilità”.


E’ un mondo folle folle folle folle

10 gennaio 2013Di Francesco Simoncelli

 

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La follia del mondo non si ferma certo a Inghilterra e Giappone. L’Europa trabocca di follia tanto quanto questi paesi. O per meglio dire, bipensiero. Ora, se da un lato si dice che la Grecia stia riguadagnando il terreno perso, si ignora il “come” ciò stia avvenendo, ovvero, non pagando i propri conti. Oltre al debito pubblico ed ai suoi interessi, il cuore del problema Greco sono le sue banche. Perché? Perché sono insolventi. Cosa le rende insolventi tanto da richiedere vagonate e vagonate di denaro? Fondamentalmente i cosiddetti prestiti non performanti o crediti inesigibili. Ed ecco che arriva la chicca della giornata: secondo questa fonte tali passività sono schizzate alle stelle raggiungendo il 50% dopo il Dicembre 2011. Questo vuol dire che i soldi presi in prestito non solo sono serviti per tamponare le falle da cui facevano acqua le banche Greche, ma queste falle sono aumentate di diametro nonostante i presunti tamponamenti. Infatti, come fa notare l’autore: “Tuttavia, a meno che la crescita di nuovi prestiti non performanti non sia contenuta, le banche potrebbero aver bisogno di un altro processo di ricapitalizzazione alla fine del 2013. Qualcuno faccia uno squillo alla Merkel…
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di Detlev Schlichter

Shinzo Abe, il nuovo primo ministro del Giappone, ha un paio di nuove idee su come far crescere l’economia del Giappone. Che ne dite di un governo che prende in prestito un sacco di soldi e li spende per costruire ponti e strade in tutto il paese?

Se questa non sembra una novità, è perché non lo è. E’ quello che il Giappone ha fatto per 20 anni, ed è il motivo principale per cui il Giappone è oggi la nazione più indebitata del pianeta — e ancora non cresce molto. Il debito in rapporto al PIL si attesta ad un record mondiale inimmaginabile del 230%, cosa che garantisce che i pensionati del paese (e il Giappone ne ha un sacco) non saranno mai ripagati con qualcosa di valore reale per i titoli di stato che hanno continuato pazientemente ad accumulare nei loro fondi pensione, e che hanno ottimisticamente continuato a chiamare “asset.”

Ma non importa. I Keynesiani concordano sul fatto che questa politica è stato un successo strepitoso, e che è per questo che il paese ne ha bisogno di più, poiché, stranamente, il Giappone non ha ancora recuperato una crescita autosufficiente dopo 2 decenni di una tale politica. Hmmm. Beh, sicuramente la prossima serie di strade e ponti farà la differenza. Questa dovrebbe essere chiamata la “dottrina Krugman,” a ricordo dell’eccezionale pensatore Keynesiano, Paul Krugman: anche se un paio di bilioni di nuovo debito pubblico e un paio di bilioni di nuova carta moneta stampata non hanno rivitalizzato la vostra economia, il prossimo bilione di spesa a deficit e il prossimo bilione di nuovo denaro della banca centrale farà infine funzionare l’economia. “Basta tenere il piede sul pedale dell’acceleratore fino a quando l’economia non cresce, dannazione!”

Abe prevede anche di forzare la Banca del Giappone affinché stampi più soldi, e sicuramente sarà un grande successo. La maggior parte degli economisti Keynesiani e monetaristi, vale a dire la maggior parte degli economisti, concorda sul fatto che la Banca del Giappone non si sia realmente data da fare. A differenza, ad esempio, della Banca d’Inghilterra. La Banca d’Inghilterra ha più che quadruplicato il suo bilancio sin dall’inizio della crisi, la sua dimensione è ormai quasi un terzo del PIL del Regno Unito. Nel processo, la Banca d’Inghilterra ha anche monetizzato un terzo del debito pubblico della nazione. La Banca d’Inghilterra merita veramente di essere chiamata la regina del “quantitative easing!”

Il bilancio della Banca del Giappone è addirittura più grande di un terzo del PIL del paese, ma la maggior parte è un retaggio dei suoi programmi precedenti di “quantitative easing” che non hanno condotto — questa cosa lascia pensare — ad una crescita auto-sufficiente, ma cerchiamo di non distrarci. In ogni caso, sin dal 2008, il suo bilancio è aumentato di un misero 40%. Patetico.

Queste differenze nell’attivismo monetario non sono senza conseguenze: All’inizio del 2012, e misurata in “termini reali,” l’economia Giapponese era circa il 3% più piccola rispetto all’inizio del 2008, mentre l’economia Britannica era — beh, anch’essa circa il 3% più piccola in termini “reali” rispetto all’inizio del 2008. E se si pensa che il 2012 abbia  fatto qualche differenza, ripensateci: Entrambi i paesi sono rientrati in lievi recessioni tecniche nel corso del 2012.

Ma in ogni caso, il verdetto generalmente accettato dai commentatori internazionali e dagli economisti professionisti, che sono prevalentemente Keynesiani e pro-intervento dello stato, è che la Banca d’Inghilterra ha fatto un lavoro migliore di quello della Banca del Giappone. Perché? Il Giappone soffre di una “deflazione paralizzante” e il Regno Unito no, grazie all’ottima politica monetaria della Banca d’Inghilterra. I vantaggi sono evidenti:

Quando il signor e la signora Watanabe hanno fatto la spesa nel 2012 nella loro economia più piccola del 3% hanno pagato circa il 2% in meno, in media, di quanto hanno speso all’inizio del 2008 per gli stessi prodotti. Nel Regno Unito, tuttavia, quando il signor e la signora Smith hanno fatto la spesa nel 2012 nella loro economia anch’essa più piccola del 3%, hanno pagato il 15% in più per gli stessi prodotti rispetto all’inizio del 2008.

Come questo possa essere un vantaggio per il signor e la signora Smith va al di là della mia comprensione, ma credo che questi giornalisti e commentatori economici devono sapere qualcosa che noi non sappiamo, in quanto sono tutti d’accordo che sia questa “deflazione paralizzante” — neppure l’1% l’anno! — ciò che sta tenendo al palo il Giappone. Beh, allora perché l’inflazione del Regno Unito non spinge in avanti la sua economia?

I pianificatori centrali stanno prendendo in considerazione un piano migliore: la banca centrale deve stampare ancora più soldi! Evidentemente, il problema con il piano precedente era semplicemente questo: non era abbastanza ambizioso. Abe darà alla Banca del Giappone un nuovo obiettivo di inflazione al 2%. L’obiettivo precedente era dell’1%, a cui la Banca del Giappone non ha tenuto fede. Ma Abe aiuterà la Banca del Giappone a raggiungere il suo nuovo obiettivo incoraggiandola a stampare moneta senza limiti, una politica che è attualmente l’ultima moda tra i pianificatori monetari centrali di tutto il mondo, e sarà sicuramente un grande successo che genererà un sacco di nuovi posti di lavoro durevoli e ben retribuiti e porterà ad una grande crescita ed a meravigliose innovazioni. I migliori burocrati delle banche centrali del mondo l’hanno già approvato: Bernanke lo chiama “quantitative easing infinito,” Draghi lo chiama invece “acquisto di bond illimitato.” Tale politica infonde molta fiducia. Questa è l’ennesima prova di quanto sia creativo Abe.

Ma la Banca d’Inghilterra può certamente fare di meglio. Nel Regno Unito le discussioni si incentrano sulla questione se la Banca d’Inghilterra dovrebbe adottare un “target per il PIL nominale.” L’idea alla base di queste considerazioni è che l’obiettivo attuale della banca centrale (mantenere l’inflazione stabile a circa il 2%) potrebbe essere una strategia invalidante i suoi sforzi di stampa di denaro. In che senso? Beh, quando l’inflazione andava al di sopra del 3%, vale a dire l’1% al di sopra del target, per più di 3 mesi — e nonostante la stagnazione economica, l’inflazione è rimasta alta per lunghi periodi di tempo nel corso degli ultimi quattro anni — il governatore della Banca, Mervin King, doveva scrivere lettere esplicative e di scuse al Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne. Ora, scrivere lettere servili che vengono lette in pubblico e ristampate in tutto il paese potrebbe essere piuttosto imbarazzante per voi e per me, ma Mervin King è un funzionario civile pluridecorato e un Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Più Prestigioso dell’Impero Britannico. Per uno come lui, scrivere quelle lettere deve essere stato veramente imbarazzante e doloroso, e tale imbarazzo deve averlo reso un po’ più cauto quando si trattava di stampare più denaro e comprare più titoli di stato. Chi lo sa, senza tali restrizioni sull’inflazione — che sono state violate in ogni caso — la Banca d’Inghilterra avrebbe potuto ampliare il proprio bilancio non di 4.5 volte, ma di 6 o 7 volte, con grande beneficio per il signor e la signora Smith.

Quindi, ecco come funzionerebbe il targeting del PIL nominale. Diciamo che l’obiettivo è un PIL nominale del 5%, vale a dire la combinazione di crescita reale e di inflazione dovrebbe essere del 5% ogni anno. Perché il 5%? — Beh, perché no? Sicuramente alcuni econometrici possono spiegare perché il 5% è un buon numero per il Regno Unito. Pensateci. Più della metà del PIL del Regno Unito è ora rappresentato dal settore pubblico, non da privati cittadini e aziende. Il Regno Unito è già più vicino alla Russia Sovietica che al capitalismo senza vincoli, quindi è giunto il momento che queste cose siano adeguatamente pianificate a livello centrale. Il piano centrale del governo del Regno Unito prevederebbe che i compagni presso la banca centrale dovrebbero fornire il 5% di crescita nominale. Quindi, se il tasso di inflazione ufficiale fosse del 3.5% e il tasso ufficiale di crescita reale fosse pari a 0, e il PIL nominale quindi a 3.5 come è accaduto spesso negli ultimi anni, o se il tasso di inflazione fosse del 4.4% e il tasso di crescita del -0.5, e il PIL nominale quindi a 3.9, non dovrebbe essere scritta nessuna lettera di scuse per aver creato “troppa inflazione.” Al contrario, si dovrebbe semplicemente riconoscere che il piano di crescita della commissione centrale di un 5% nominale non sarebbe stato ancora raggiunto, cosa che la burocrazia della banca centrale potrebbe correggere rapidamente — stampando più soldi. Pertanto, le stupide preoccupazioni sull’inflazione non vincoleranno più l’entusiasmo della Banca d’Inghilterra per il “quantitative easing” e per altri metodi non convenzionali. Ci saranno meno limiti alla stampa di denaro.

Naturalmente, la Banca d’Inghilterra raggiungerebbe il suo obiettivo di un PIL nominale al 5% se creasse un’inflazione del 5% senza la presenza di una crescita reale, e come tutti sappiamo, questo è esattamente ciò che ha realizzato in precedenza. Ma non preoccupatevi troppo. Ricordate la dottrina di Krugman: il prossimo giro di QE e di spesa a deficit farà la magia e stimolerà per bene l’economia. Davvero. La prossima volta sarà diverso!

Beh, come funzionerebbe, potreste chiedere? Una stampa di denaro più aggressiva come porterebbe ad una crescita “reale”? Chiaramente, attraverso più prestiti. Se il credito è molto a buon mercato, più persone e più imprese — e lo stato! — sottoscriverebbero più prestiti e accumulerebbero più debito. Voilà! — Certo, questo è il tipo di politica che ha portato al boom del mercato immobiliare, ai crash successivi ed alla catastrofe bancaria del 2008, ma in ogni caso, i funzionari, i burocrati ed i loro consulenti Keynesiani e monetaristi sono sicuri che questa è la politica di cui abbiamo bisogno oggi — “più della stessa cosa” a causa della crisi. Il Regno Unito è — accanto al Giappone, per ironia della sorte — la società più fortemente indebitata del pianeta. Sicuramente, ha bisogno di più credito a buon mercato, più prestiti e più debito!

Come ho già indicato in precedenza, sono convinto che 23 anni dopo la caduta del Muro di Berlino il socialismo abbia vinto, certamente nella sfera del denaro in cui i pianificatori monetari centrali, cioè i banchieri centrali, svolgono un ruolo sempre più grande e godono di una potenza e di una pubblica adorazione sempre maggiore. Nel Regno Unito, il dibattito sul prossimo governatore della banca centrale, il banchiere Canadese ex-Goldman Mark Carney, è pieno di speranza, trepidazione ed eccitazione, e con l’importanza che viene conferita a tale ruolo è certamente degno di una economia di comando. Mark Carney è una superstar della pianificazione centrale, così dice il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne, che sembra essere diventato un esperto nella classifica internazionale dei banchieri centrali e che ha definito Carney il “migliore banchiere centrale della sua generazione.” In precedenza, il “miglior banchiere centrale della sua generazione” era l’Americano Alan Greenspan la cui reputazione era gonfiata con le bolle che creava, ed è crollata quando sono scoppiate. Su questo punto, Carney è ancora all’inizio della sua carriera, dopo aver gonfiato solo una piccola bolla immobiliare nel suo paese nativo (il Canada). L’esatta natura della sua missione Inglese è chiara: stampare più soldi più velocemente di quanto ha fatto King, e trovare nuove spiegazioni che suonino intelligenti e complicate per farla sembrare una buona politica a beneficio della popolazione in generale. Carney ha già iniziato l’ultima parte della sua missione incoraggiando il dibattito pubblico sul targeting del PIL nominale.

Nessuno di noi sa cosa può portare il 2013, ma azzardo una previsione: in tutto il mondo verranno stampati più soldi di carta o creati elettronicamente. Molti, molti, molti di più. Niente di tutto questo creerà crescita reale, ricchezza reale, prosperità reale, posti di lavoro duraturi e reali, e capitale reale.

Nella consapevolezza che viviamo in un vero e proprio pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo, vi auguro tutto il meglio per il 2013!

[*] traduzione di Francesco Simoncelli

da Freedonia di Johnny Cloaca

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Hollande ‘macellaio del Mali’ : uccisi 100 ribelli e soldati in raid Francia

Sabato, 12 Gennaio 2013 19:33

Hollande ‘macellaio del Mali’ : uccisi 100 ribelli e soldati in raid Francia

 

PARIGI (IRIB) – La furia coloniale di Francois Hollande si abbatte in maniera animalesca sul povero paese africano del Mali. Nel primo giorno di raid degli aerei francesi muoiono oltre 100 tra ribelli e persino soldati governativi. Si comprende persino dalla dinamica dei raid che per la Francia e’ iniziata una nuova guerra di conquista, ancor piu’ brutale del passato coloniale nero in Algeria ed altri paesi. 

Italian Irib

 

Sabato, 12 Gennaio 2013 18:33

Mali: Barroso,sostegno ad azione Francia

 

MARSIGLIA – ”Sosteniamo la coraggiosa azione delle truppe francesi” in Mali, ha detto Jose’ Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue, parlando a Marsiglia, nel sud della Francia.

Barroso e’ intervenuto nel corso delle cerimonie per l’avvio dell’anno in cui la citta’ sara’ ‘capitale della cultura’. Barroso ha fatto le condoglianze alla Francia ”per le perdite in Mali e in Somalia”, in presenza del premier, Jean-Marc Ayrault, e del ministro della Cultura, Aurelie Filippetti.

Italian Irib

 

Sabato, 12 Gennaio 2013 14:10

Mali: e’ iniziata la guerra di Hollande, aerei e soldati francesi gia’ in azione!

 

PARIGI – La Francia è in guerra in Mali. Parigi è entrata in azione con raid aerei.

 

Il governo di Bamako ha proclamato lo stato di emergenza, le truppe governative hanno rioccupato Konne, caduta solo ieri in mano ai ribelli, e il presidente a interim; Diacounda Traoré, in serata rivolto alla nazione ha promesso che i ribelli riceveranno una risposta militare “sferzante e massiccia”.

Londra e Berlino hanno approvato l’intervento francese mentre la comunità dei Paesi dell’Africa occidentale (Ecowas) autorizzava l’invio immediato di truppe e l’Unione Europea accelerava la preparazione per l’invio di una missione di addestramento. Che i francesi, a terra e in cielo, si fossero già schierati accanto alle poco addestrate unità maliane s’è capito subito, perché, nel giro di poche ore, sono state riconquistate Konna e Douentza (caduta nelle mani degli insorti in settembre dopo che l’esercito era, ingloriosamente, scappato).

Traorè, in un annunciato discorso alla nazione, ha detto ieri sera che “la guerra non è una nostra scelta”, ci è stata “imposta” e “noi porteremo una risposta militare sferzante e massiccia ai nostri nemici”, invitando il Paese a restare unito dietro ai soldati che combattono “a prezzo del loro sangue”. Traoré ha confermato di aver “sollecitato e ottenuto”, in accordo con l’Ecowas, “l’appoggio aereo della Francia”.

Nel celebrare la vittoria a Konna e Douentza, fonti maliane avevano già ammesso che accanto all’esercito hanno agito soldati stranieri: francesi, nigeriani e forse senegalesi (anche se fonti di Dakar smentiscono), e con l’aiuto di tre aerei, uno dei quali sicuramente transalpino. E si aspettano soldati anche di altri “Paesi amici”.

Hollande ha ammesso l’intervento armato in Mali contro le forze “terroristiche” che, ha detto, agiscono con brutalità e fanatismo. Intervento, ha aggiunto, di cui i francesi saranno sempre e tempestivamente informati e che “durerà il necessario”. Da parte sua il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha aggiunto che Parigi “farà di tutto per salvare gli ostaggi” francesi nelle mani dei fondamentalisti dell’area.

Ora bisognerà vedere se la mossa di Hollande modificherà il quadro generale che prevedeva, almeno sino ad oggi, un aiuto militare europeo quasi esclusivamente logistico (armi, informazioni, addestramento) e non un intervento diretto, che avrebbe dovuto essere affidato a soldati africani dell’Ecowas.

Erano mesi che Usa e Francia pianificavano un intervento militare in Mali, approvato pure dal Consiglio di Sicurezza, ed ora si tufferanno tranquillamente in un’altra “guerra umanitaria” con la scusa di dare la caccia al solito “terrorismo” o “fondamentalismo” che probabilmente le agenzie d’intelligence degli stessi paesi occidentali avranno creato per avere poi in mano il casus belli necessario per passare alle armi.

Il Mali, come tutti gli altri paesi in cui c’e’ guarda caso bisogno di effettuare interventi militari “umanitari”, e’ ricco di risorse, soprattutto di Oro ed Uranio.

Italian Irib

 

 

GENNAIO 12, 2013

La NATO finanzia e arma, e nello stesso tempo combatte al-Qaida dal Mali alla Siria

Landdestroyer

 

11 gennaio 2013 (LD) – Un diluvio di articoli è stato rapidamente messo in circolazione per difendere l’intervento militare della Francia nella nazione africana del Mali. L’articolo del Time, “La crisi in Mali: l’intervento francese fermerà l’avanzata islamista?” decide che i vecchi trucchi sono i migliori trucchi, ed sceglie la noiosa narrativa della “Guerra al Terrore”. Time sostiene che l’intervento cerca di impedire ai terroristi “islamisti” di impadronirsi dell’Africa e dell’Europa. Nello specifico, l’articolo afferma: “…è una (probabilmente ben fondata) paura della Francia che un Mali islamista radicale minacci la Francia soprattutto, dal momento che la maggior parte degli islamisti sono francofoni ed hanno parenti in Francia. (Fonti dell’intelligence di Parigi hanno detto a Time di aver identificato degli aspiranti jihadisti in partenza dalla Francia per il nord del Mali, per addestrarsi e combattere.) Al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM), uno dei tre gruppi che compongono l’alleanza islamista del Mali e che ne costituisce gran parte della leadership, ha anche designato la Francia, la potenza rappresentante l’occidente nella regione, come obiettivo primario degli attacchi“.

Ciò che Time evita di raccontare ai lettori è che al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM) è strettamente collegata al Gruppo combattente islamico libico (LIFG, che la Francia ha supportato  durante l’invasione per procura della NATO della Libia, nel 2011, fornendo armi, addestramento, forze speciali e anche aerei per sostenerlo nel rovesciamento del governo della Libia. Già nell’agosto del 2011, Bruce Riedel, del think-tank della grande finanza Brookings Institution, ha scritto “L’Algeria sarà la prossima a cadere“, dove aveva allegramente predetto che il successo in Libia avrebbe incoraggiato gli elementi radicali in Algeria, AQIM in particolare. Tra le violenze estremiste e la prospettiva di attacchi aerei francesi, Riedel sperava di vedere la caduta del governo algerino. Ironia della sorte, Riedel osservava: “L’Algeria ha espresso particolare preoccupazione che i disordini in Libia possano portare alla creazione di un rifugio sicuro e importante santuario per al-Qaida e altri estremisti jihadisti.” E grazie alla NATO che la Libia è diventata esattamente ciò, un santuario per al-Qaida sponsorizzata dall’occidente. Con l’avanzata di AQIM nel nord del Mali e il coinvolgimento francese, ora si vedrà il conflitto sconfinare inevitabilmente in Algeria.

Va notato che Riedel è co-autore di “Quale percorso verso la Persia?”, che cospira apertamente ad armare un’altra organizzazione definita terroristica dal Dipartimento di Stato degli USA, (il numero 28 della lista), la Mujahidin-e Khalq (MEK), per causare caos in Iran e contribuire a far pressione sul governo locale, illustrando chiaramente l’impiego delle organizzazioni terroristiche, anche quelle elencati tali dal Dipartimento di Stato statunitense, nell’eseguire la politica estera degli Stati Uniti.

L’analista geopolitico Pepe Escobar ha notato un collegamento più diretto tra LIFG e AQIM, in un articolo di Asia Times dal titolo “Come al-Qaida ha potuto dominare Tripoli”: “Soprattutto, ancora nel 2007, il numero due di al-Qaida, Zawahiri, ha annunciato ufficialmente la fusione tra LIFG e al-Qaida nel Maghreb islamico (AQIM). Quindi, a tutti gli effetti, da allora LIFG/AQIM sono la stessa cosa, e Belhaj ne era/è il suo emiro“. “Belhaj”, ovvero Abdul Hakim Belhaj, leader del LIFG in Libia, ha ottenuto sostegno, armi, finanziamenti e riconoscimento diplomatico dalla NATO per il rovesciamento di Muammar Gheddafi, e ora ha gettato la nazione in una perenne guerra intestina genocida razzista e tribale. Questo intervento ha visto anche l’epicentro della rivolta, Bengasi, staccarsi da Tripoli come semi-autonomo “emirato del terrorismo”. L’ultima campagna di Belhaj si svolge in Siria, dove è stato certamente al confine siriano-turco ad inviare armi, denaro e combattenti al cosiddetto “Esercito libero siriano”, ancora una volta sotto gli auspici della NATO.

 

L’intervento della NATO in Libia ha fatto risorgere l’organizzazione terroristica affiliata ad al-Qaida, LIFG. Aveva già combattuto in Iraq e in Afghanistan, e ora invia combattenti, denaro e armi, il tutto grazie alla NATO, dal Mali in occidente alla Siria in oriente. Il temuto “califfato globale” con cui i neo-con hanno spaventato i bimbi occidentali per un decennio, sta prendendo forma attraverso le macchinazioni di USA, Arabia Saudita, Israele e Qatar e non grazie all”Islam’. In realtà, i veri musulmani pagano il prezzo più alto nella lotta contro questa vera e propria “guerra contro il terrorismo finanziato dall’occidente.”

Il LIFG, che con armi, contanti e supporto diplomatico francesi, sta invadendo il nord della Siria per conto di un cambiamento di regime tentato dalla NATO, ufficialmente si è fuso con al-Qaida nel 2007, secondo il Centro di lotta al terrorismo (CTC) di West Point dell’esercito degli Stati Uniti. Secondo CTC, AQIM e LIFG non solo hanno obiettivi ideologici, ma anche strategici e tattici. Le armi che il LIFG ha ricevuto, certamente sono finite nelle mani di AQIM passando attraverso i confini porosi del deserto del Sahara e del nord del Mali. In realtà, ABC News ha riferito, nell’articolo “Il gruppo terroristico di al-Qaida: ‘riceviamo le armi libiche“, che: “un esponente di spicco di un gruppo terrorista affiliato ad al-Qaida, ha indicato che l’organizzazione può aver acquisito alcune migliaia di potenti armi scomparse nel caos della rivolta libica, alimentando i timori dei funzionari occidentali. Siamo uno dei principali beneficiari delle rivoluzioni nel mondo arabo,” ha detto alla agenzia di stampa mauritana ANI Moqtar Belmoqtar, un leader nordafricano di al-Qaida nel Maghreb islamico [AQIM]. “Per quanto riguarda il nostro beneficiare delle [libiche] armi, è una cosa naturale in questo tipo di circostanze.”

Non è un caso che mentre il conflitto libico si avvicinava alla conclusione, un altro conflitto scoppiava nel nord del Mali. Fa parte di un premeditato riordinamento geopolitico che ha avuto inizio con la caduta la Libia, da allora usata come trampolino di lancio per invadere altre nazioni prese di mira, tra cui Mali, Algeria e Siria, usando terroristi armati fino ai denti, finanziati e aiutati dalla NATO. Il coinvolgimento francese può scacciare AQIM ed i suoi affiliati dal nord del Mali, ma sono quasi sicuri di finire in Algeria, molto probabilmente in base a un piano preciso. L’Algeria è stata in grado di sventare la sovversione, durante le prime fasi della “primavera araba” ideata dagli USA nel 2011, ma sicuramente non è sfuggita all’attenzione dell’occidente, che si trova a trasformare una regione che si estende dall’Africa al pianerottolo di Pechino e di Mosca, usando,  con un impeto di schizofrenia geopolitica, i terroristi sia come come casus belli per invadere e sia come inesauribile forza mercenaria da impiegarvi.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

 

 

Mali, oltre 100 morti nei raid francesi.

Hollande incassa il sostegno occidentale

Prosegue l’operazione di Parigi contro gli islamisti salafiti, che per ritorsione minacciano i cittadini francesi in tutto il mondo. L’Eliseo rafforza le misure antiterrorismo e garantisce: truppe solo per permettere l’intervento di una forza internazionale”. Barroso: “La Ue sostiene la coraggiosa missione “. Ucciso un pilota francese

 

Mali, Hollande: “Cominciato intervento armato”.

L’esercito francese contro estremisti islamici

PARIGI – L’operazione militare francese in Mali “non è finita” e “continuerà nei prossimi giorni”. Lo ha affermato il presidente francese François Hollande nel giorno in cui la missione di Parigi contro gli islamisti salafiti del gruppo Ansar Dine incassa anche l’appoggio dell’Unione europea.

 

Secondo testimonianze locali, i raid degli aerei francesi hanno fatto oltre cento morti. Cifre che per ora non trovano conferma ufficiale. Hollande si è limitato a dire che l’operazione ha dato “un colpo di arresto ai nostri avversari”. Il presidente francese ha anche voluto specificare che “l’operazione in Mali non persegue alcun interesse particolare che non sia la protezione di un Paese amico e ha come solo scopo la lotta al terrorismo” e che il suo obiettivo “consiste nel preparare il dispiegamento di una forza internazionale africana che consenta al Mali di ritrovare l’integrità territoriale, conformemente alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu”.

 

Ma c’è preoccupazione a Parigi dopo che gli estremisti di Ansar Dine hanno minacciato i cittadini francesi ovunque si trovino nel mondo. Tanto che Hollande ha annunciato di aver disposto il “rafforzamento delle misure antiterrorismo del piano Vigipirate” in Francia.

 

Intanto anche da parte francese si contano le prime vittime: un pilota è stato ferito ieri in circostanze non specificate ed è morto dopo essere stato ricoverato in ospedale. Il quotidiano Le Point scrive oggi di altri due elicotteri militari francesi Gazelle abbattuti durante le operazioni in Mali. “Secondo le nostre fonti sono stati distrutti dai ribelli mentre erano sulla via del ritorno dal luogo di combattimento e si dirigevano alla base di Ouagadougou”, si legge sul sito della testata.

 

(12 gennaio 2013)

Repubblica

 

SPESE MILITARI/ Un miliardo per missioni assurde. Un esempio? Dentifrici e mutande in Libia.

Inchieste – Italia

Scritto da Carmine Gazzanni

Sabato 12 Gennaio 2013 

80 mila tubetti di denitrifico, 150 mila saponi da toilette, 38 mila spazzole per scarpe, ben 2 milioni di rasoi: tutto messo a disposizione dello Stato italiano per i soldati libici. È questo uno solo dei tanti provvedimenti contenuto nel colossale testo per le missioni internazionali, ultimo atto formale del governo Monti. Un totale di un miliardo di eurospalmato su missioni militari, alcune delle quali in territori sconosciuti (come i 90 mila euro finiti all’unico soldato italiano impegnato nel valico di Rafah), e su progetti dalla dubbia utilità, come i 60 mila euro finiti al Centro che cura i rapporti tra Italia e Germania. Rapporti in bilico dopo la Seconda Guerra Mondiale.

 di Carmine Gazzanni

 È, nei fatti, l’ultimo atto formale del governo Monti, verrà approvato a giorni e, probabilmente, si andrà ad aggiungere ad altri provvedimenti sui quali non si può che porre ungrosso punto interrogativo. Stiamo parlando del decreto legge sulle missioni internazionali, testo tramite cui il governo italiano ogni anno finanzia tutte le missioni nelle quali sono impegnate le forze militari e civili italiane. L’esame del dl è cominciato inCommissione Affari Esteri soltanto ieri ma, poiché stiamo parlando di un testo i cui provvedimenti non possono essere rimandati alla nuova legislatura, c’è da scommettere che verrà approvato nel giro di poco.

Eppure, a leggere le 324 pagine del disegno di iniziativa governativa (è stato presentato dallo stesso Monti insieme al ministro degli Affari Esteri Terzi di Sant’Agata, quello della Difesa Di Paola e quello dell’Interno Cancellieri), qualche dubbio sulla bontà del testo sorge spontanea. Innanzitutto per la mole di soldi messi a disposizione dallo Stato per le missioni, in secondo luogo per la quantità di posti (a volte anche sconosciuti ai più) in cui il nostro Paese è impegnato con forze militari. Ma è soprattutto il terzo punto a incuriosire: sono i tanti progetti finanziati dall’Italia all’estero e per l’estero, alcuni dei quali davvero assurdi. Ma andiamo con ordine.

 UN MILIARDO DI EURO PER LE MISSIONI. DAL PRESIDIO AFGHANO IN USA FINO ALL’UNICO SOLDATO IMPEGNATO NEL VALICO DI RAFAH – Il finanziamento per le missioni militari, per il solo 2013, ammonta a ben 947 milioni 350 mila euroPoco meno di un miliardo di euro spalmato soltanto su un anno. Una cifra che ha dell’incredibile. O, perlomeno, ce l’ha se si pensa – ingenuamente – che il nostro Paese sia impegnato in poche missioni militari.

spese_militari_italia_assurdeChi, d’altronde, non pensa che si potrebbero contare sulle dita i presidi militari italiani all’estero? E invece è proprio qui che sorge il problema – e arriviamo al secondo punto della questione – dato che, accanto alle missioni principali, più onerose e certamente più note (Afghanistan, Libia, Libano, Somalia) ce ne sono altre certamente meno note, se non proprio sconosciute alla maggioranza degli italiani. Sono ad esempio 52 i milioni messi a disposizione dallo Stato per i 465 militari (con tanto di aeromobile) ancora presenti nei Balcani33 milioni invece andranno per le forze militari impegnati nella missione portata avanti daUnione Europea e Nato “per il contrasto alla pirateria”; 6 milioni per le iniziative nel Cono d’Africa2 milioni per gli uomini che andranno in soccorso della polizia nigeriana. E poi, ancora, 223 mila euro per i solo 5 militari presenti ancora in territorio bosniaco195 mila euro per i soldati impegnati in Sudan200 mila euro destinati invece ai militari in Cipro (c’è una missione militare in Cipro?).

E poi, ancora, i posti sconosciuti ai più. Come l’Hebron in cui ci sono ben 13 militari italiani848 mila euro per loro. Novanta mila euro, invece, sono andati per la “partecipazione di personale militare alla missione europea” nel famosissimo valico di Rafah. Domanda: a quanto ammonta questa “partecipazione”? Ad un solo soldato. Ci si chiede che senso abbia.

Ultima piccola curiosità: per la missione in Afghanistan sono stati stanziati ben 15 milioni di euro. Si dirà: i soldi saranno arrivati ai presidi in territorio afghano. E invece no, dato che i presidi per la missione non sono in Afghanistan, ma negli Emirati, in Bahrein, in Qatar e – udite udite – a Tampa, negli Stati Uniti. Il senso di un presidio non proprio nei pressi del teatro militare rimane oscuro ai più.

 MUTANDE, DENTIFRICI E RASOI IN LIBIA – Arriviamo, a questo punto, al terzo punto. Già, perché accanto ai finanziamenti diretti per le campagne militari, abbondano anche particolari finanziamenti per progetti, campagne, concorsi. Financhedismissioni e donazioni decisamente particolari. Come non pensare sia particolare, ad esempio, la cessione “a titolo gratuito alla Libia di effetti di vestiario e materiale per l’igiene personale”, tra cui 19.635 cinture kaki, 3.826 cravatte kaki, 2.374 camicie a maniche lunghe e 6.752 camicie a mezze maniche, 28 mila pantaloni e 6 pantaloncini. E ancora: 30 mila magliette di cotone e altrettanti slip, 80 mila tubetti di dentrificio, 150 mila saponi da toilette, 38 mila spazzole per scarpe, ben 2 milioni di rasoi.

 I PROGETTI: DAL GIORNALISTA ALLA ARMI NUCLEARI – Non solo. Accanto a queste strane donazioni, infatti, troviamo anche dei finanziamenti per progetti non meno particolari. Come i 200 mila euro messi a disposizione in Libia per la “realizzazione di attività di formazione in favore di giornalisti e opinion makers, ma anche degli operatori tecnici responsabili della parte editoriale dei quotidiani e delle pubblicazioni libiche”; o come i 317 mila euro in territorio siriano per la “assistenza tecnica internazionale nel settore giudiziario”. È difficile, ancora, pensare che riesca ad andare in porto, viste le vicende politiche di Assad, la missione di un team di esperti per promuovere in Siria l’adesione alla convenzione sulle armi chimiche. Costo: quasi 40 mila euro. In territorio siriano, peraltro, sarà attivo anche un altro progetto – di quasi 500 mila euro – per la “riqualificazione e riorientamento di esperti siriani nel campo biologico e chimico in applicazioni pacifiche”. Cosa significhi, rimane non molto chiaro.

I 60 MILA EURO PER SOCNGIURARE LA TERZA GUERRA MONDIALE TRA ITALIA E GERMANIA – Interessante, infine, anche il finanziamento di 60 mila euro per il Centro, sconosciuto ai più, italo-tedesco di Villa Vigoni. Cosa sarà mai questo centro? L’obiettivo, a distanza di sessant’anni, è quasi grottesco: le iniziative infatti sono “dirette a favorire la composizione e il superamento di talune questioni collegate alla Seconda Guerra Mondiale che ancora pesano sul rapporto tra Italia e Germania”.

A distanza di sessant’anni, insomma, i rapporti tra i due Stati ancora non sono limpidi. Meglio finanziare il Centro. Non sia mai la Germania invadesse la penisola.