I politici vedono cose che altri non vedono .

 – Riccardo Uleri –

E’ iniziata ufficialmente la campagna elettorale dei nostri politici. Spuntano promesse di infrastrutture, soluzioni a problemi mai risolti, investimenti con soldi mai disponibili e si riaffacciano politici già visti, con marchi e nomi nuovi e vecchi e un cartello “NOVITA’” sempre appeso al collo. Perché c’è bisogno di tanta novità in questo nostro paese. E allora si creano nomi di liste nuove, si chiamano persone che hanno lavorato nell’oscurità fino al giorno prima ma che di fatto ci sono sempre state. Un pò come quando il croupier del casinò mischia le carte e da il via ad una partita nuova: è sempre una partita nuova.

Gli spazi televisivi o pollai televisivi, come preferite, spaziano dai temi di gastronomia, che evidentemente tanto piacciono agli italiani, ai temi economici, basta che il tutto venga condito dai soliti volti della politica. E’ un mondo virtuale quello descritto dai giornali e dalle televisioni dove si parla di tutto tranne che di una cosa: il cittadino italiano. Cittadino che con i suoi problemi è all’interno di una famiglia. Famiglia che è composta da una moglie e magari madre, con i suoi problemi, da figli con i loro problemi, da genitori mediamente anziani con altrettanti problemi. Il cittadino italiano e tutto questo corredo di problemi in cui naviga, non sembra essere al centro dell’attenzione nei dibattiti televisivi mentre si parla di grosse questioni come la macro economia e la finanza o come la politica. Che problema la politica… Accetterà Bersani di appoggiare Monti? Pannella starà con Storace? Quali sono le candidature del PDL ? Perché Berlusconi non ha candidato Cosentino? Il PD centra con la questione Monte Paschi di Siena ?

Il tempo passa e nel frattempo, tutti quei cittadini che si riempiono il cervello di questo martellamento mediatico, affrontano i loro problemi di tutti i giorni, completamente isolati da una società che non da supporto e da una comunità che non esiste. L’uomo ha difficoltà nel lavoro. La donna ha difficoltà nel lavoro e anche nella propria casa e famiglia. I figli crescono in una “non scuola” ormai quasi annientata, i genitori anziani vivono di difficoltà con la propria pensione e una “non struttura sociale” che (non) li assiste.

Il “non lavoro”, la “non famiglia”, la “non società”, la “non scuola”, il “non servizio sociale”, la “non sanità”, dovrebbero essere le tematiche che vorremmo leggere su giornali e vorremmo sentire discutere dalla classe dirigente che ci amministra e più che mai vorremmo risolte, ancora più che discusse. Invece no. Tutto rinviato fino al dopo-elezioni quando i cittadini continueranno a farsi martellare la testa per le stesse questioni, a vedere le solite faccie in interviste registrate che diranno le solite ovvietà senza mai toccar mano ai punti fondamentali della vita del cittadino, punti tra l’altro sanciti e tutelati dalla Costituzione Italiana.

I politici non vedono… e vedono altro. Non vedono aziende in difficoltà. Sanno che c’è una crisi ma non vedono le aziende in difficoltà; Non vedono neanche i poveri o coloro che essendo mono-stipendio in una famiglia, vanno a lavoro e poi dormono in roulotte perché non hanno potuto pagare il mutuo, perché se vanno al ristorante c’è il pieno di gente; Non vedono il traffico e l’inquinamento, perché non prendono i mezzi pubblici e stando dentro un auto blu si tengono i finestrini alzati… è inverno e fa freddo o se è estate hanno l’aria condizionata; Non vedono i negozi che chiudono perché quelli li vede solamente il cittadino che vive il quartiere; Non vedono i prezzi che aumentano perché non fanno la spesa; Non vedono le strutture RSA per gli anziani, perché scelgono solo le migliori strutture private; ma il fatto più preoccupante è che non vedono la fatica che facciamo per sopportarli…

Foto di Andrea Pilotti

http://www.reset-italia.net/2013/01/29/i-politici-vedono-cose-che-altri-non-vedono/#.UQi1l_Ll9Ls

 

DA ALBERTO PERINO

Vorrei soltanto ricordare che di minacce non ne sono state recapitate solo al sindaco di Susa o ad altri esponenti SI TAV: personalmente ho ricevuto moltissime lettere di minaccia di morte (compresa dissoluzione nell’acido), alcune con polveri strane che poi sono state analizzate dalla scientifica, l’ultima analisi irrepetibile su una di queste lettere è avvenuta il 15 gennaio; mi hanno anche avvelenato un cagna a casa nel cortile. Vorrei ricordare che di imbecilli che si divertono a scrivere minchiate ci sono sempre stati e sempre ci saranno, fa un po’ specie che quando tocca a qualcuno nessuno si preoccupa, quando tocca a qualcun altro tutti suonano la grancassa si stracciano le vesti e gridano “dagli all’untore…”
Se tagliano le gomme a ferrentino nel suo garage di casa succede un putiferio e tutti a portare solidarietà, se tagliano le gomme a Nicoletta, Mimmo, Marisa, Giovanni e agli altri NO TAV (fatti del 2013) allora la cosa passa sotto silenzio e nessun consiglio comunale fa un ordine del giorno per stigmatizzare queste “violenze”.

Non ci facciamo certo impressionare da queste campagne giornalistico/giudiziarie..

GUERRA INVISIBILE ALL’ITALIA

24.1.13 – da: SU LA TESTA – parole ed immagini di Gianni LanNes

Ho sognato un incubo a stelle e strisce. Ecco, in questo racconto affollato non c’è proprio nulla di reale, solo fantasie oniriche. 
 
 In tempi di guerra ambientale non dichiarata, quale miglior preda della Penisola, una sorta di portaerei USA nel Mediterraneo, non ancora sotto controllo  totale?
 
Se gli USA si premurano di proteggere la faglia di Sant’Andrea dai terroristi che potrebbero minarla (relazione del segretario di stato alla difesa) ed essendo noto da sempre che è meglio evitare esplosioni e trivellazioni in aree sismogenetiche, ma soprattutto vicino a faglie attive, perché  la NATO grazie al silenzio del governo italiano e del presidente della repubblichetta Napolitano, sceglie proprio quelle zone (“esercitazione” militare più recente il 18 gennaio 2013 nel Golfo di Catania) per sparare un numero imprecisato di missili e bombe in quell’epicentro? Ed attivare sistemi potenti di guerra elettronica sui fondali marini?

Che le guerre si possano dichiarare agli Stati del Medioriente e quindi inviare i bombardieri, è un conto. Ma quando la preda è uno Stato occidentale, ed anche membro dell’Alleanza atlantica Nato non si può fare tutto alla luce del sole.

Ecco che per questa ragione  esiste il terrorismo stragistico e nuove armi, come quella sismica di cui esiste anche un trattato internazionale di divieto di utilizzo e proliferazione (ENMOD). Perfino l’ex segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, Cohen, ne ha ammesso l’esistenza. Ed anche il britannico The Guardian ne parla (http://www.guardian.co.uk/environment/2012/feb/09/at-war-over-geoengineering).
 

Un passo indietro. A L’Aquila si sono salvate da sole migliaia di persone perché non hanno dato retta alle rassicurazioni fraudolente (31 marzo 2009) della Commissione Grandi Rischi, ossia ai servi di Stato che appunto dicevano alla gente ”tornate a casa e dormite sonni tranquilli, il grande sisma non ci sarà”.

Quando Bertolaso sorvolò L’Aquila dopo il terremoto e vide l’enorme numero di case a terra, ordinò 10 mila bare.  Poi successe che si resero conto in poche ore che la maggior parte della gente in barba ai loro ordini, aveva dormito fuori  e l’ordine rientrò!  
 

Quando avverrà il sisma o lo tsunami al Sud, ormai lo si dà per imminente e si dice pure che è normale, perchè da sempre ce ne sono tanti nella storia, solo che anche questa volta lo provocheranno loro stessi, quelli che posseggono  il complesso militare USA ed i circuiti finanziari.
 

Che coincidenza! Nel Tirreno si aggira la nave oceanografica più potente al mondo: la Alliance Nurc degli USA. Ufficialmente sta effettuando studi sui vulcani sottomarini Marsili e Vavilov.  Questa è l’unica nave al mondo (conosciuta) che può minare una faglia: condizione essenziale perchè si verifichi un terremoto distruttivo (come quello di Fukushima).  

Guarda un po’ il caso: i grossi sismi sono tutti partiti dal mare. Se alteri la ionosfera e prendi a bersaglio una faglia o gli spari un ordigno sott’acqua non ti vede nessuno. A terra si vede. Gli USA possiedono bombe nucleari miniaturizzate (grazie alla fusione fredda), grandi quanto una palla da tennis. E le hanno già sperimentate nei noti teatri di guerra, squarciati da loro stessi. Non ci sono segreti solo metodi alternativi per attaccare uno Stato che non protegge terroristi, che non massacra l’opposizione (inesistente), a cui non puoi dire che vuoi esportarci la democrazia a suon di bombardamenti come in Mali.  
 

Qualche anno fa, la nave Alliance Nurc della NATO è stata già coinvolta in uno strano incidente vicino all’isola di Pianosa nel Tirreno. Lì, sempre ufficialmente stava studiando le praterie di posidonia. O piuttosto, più realisticamente, stava sperimentando siluri ”intelligenti” a discapito dell’ecosistema marino.
 

 
D’altronde anche la ragazza uccisa a Brindisi, Melissa Bassi, fa parte di quella “nuova” strategia della tensione. Solo che siccome ancora non siamo del tutto rincitrulliti, appena avvenuto l’attentato, alcuni nella Rete di Internet hanno sollevato ragionevoli dubbi, e la Brindisi la gente è corsa per strada a protestare e gridare contro lo Stato.

E dopo qualche giorno, dopo che nessuno ha creduto alla pista mafiosa o terroristica, si è scelto l’uomo comune, magari preso tra psicolabili o che fanno uso di psicofarmaci e costretto (con tecniche subdole) a confessare, salvo poi scoprire incongruenze. A parte l’incendio al Balipedio della Polizia a Roma, in cui sono andati distrutti la scorsa estate i reperti dell’attentato di Brindisi.

I padroni del vapore non disperano e continuano coi terremoti in cui ancora la gente crede, per dominarci totalmente. Così si tiene spaventato il popolo italiano.

 Solo che questa volta sono stati scoperti con le mani nel sacco: dopo mezzo secolo di stragi di Stato, sempre impunite e coperte da segreto di stato (che nessuno osa rimuovere). Tutti buoni a piangere ipocritamente le vittime: Napolitano in primis. Eppure, nessuno chiede la rimozione del segreto di Stato che impedisce l’accertamento delle identità dei mandanti altolocati. Saremo anche un pò fessi, privi di sovranità come siamo, ma non ci manca l’ingegno. E la creatività rende liberi.

Si era capito subito, infatti, esonerando forzosamente la Procura di Brindisi (il cui procuratore aveva da subito fiutato la pista della strage di stato!) e si è incaricata la procura antimafia di Lecce con Cataldo Motta. La ministra interna Cancellieri per giustificare questo golpe ha detto ”è strage ma passa alla procura antiterrorismo, perchè siccome ha creato paura nella popolazione quindi terrore,  quindi diventa strage con finalità terroristiche”. Il che fa un pò ridere ma era solo per avocare alla procura nazionale (a Piero Grasso, attualmente candidato al Parlamento nel Pd di Bersani, quest’ultimo a sua volta già sul libro paga per 98 mila euro del clan Riva dell’Ilva assassina di Taranto) le indagini e quindi sotto diretto controllo del governo Monti. Lo Stato ha mandato poi numerosi investigatori, a nessun titolo, se non quello di esponenti dei servizi che dovevano distruggere alcune prove e costruirne delle credibili. In ogni caso il massimo che hanno trovato è un vecchio che solleva 3 bombole di gas! Ora stanno fabbricando anche il movente. Vogliono farci credere  che la bomba l’ha messa alla scuola perchè stava a 100 metri dal tribunale nei confronti del quale voleva vendicarsi. Insomma,  roba per disturbati istituzionali. Eppure i giornalisti in tv fanno finta di crederci, sono pagati per quello, per non mettere il discussione il padrone.  
 

E i campi di concentramento a L’Aquila nell’anno 2009? Qualcuno li rammenta? Non sono queste prove generali di legge marziale che prima o poi imporranno in Italia quando la crisi peggiorerà e la popolazione andrà controllata per i tumulti? Non si deve sapere che la popolazione protesta contro Napolitano che ha firmato, in maniera infame, e poi si “commuove” in diretta tv, la riforma della protezione civile, che prevede che lo Stato pagherà solo l’emergenza ma non la ricostruzione. L’ha approvata anche il Pd e Napolitano alla chetichella senza dire niente. Ed è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale pochi prima del sisma in Emilia, mentre Monti era negli States a prendere ordini dai banchieri e da lì che invece di disperarsi per le vittime, annunciava che la ricostruzione era a carico dei cittadini. 

 Il fine di tutto questo? Semplice. Come previsto da Orwell nel suo romanzo 1984, la pratica dell’odio e della paura rende le masse estremamente manipolabili.

 

Attenzione! Il Popolo italiano ha bocciato il nucleare e ha impedito la vendita dell’acqua alle multinazionali. Eppure, nessuna legge è stata fatta per rendere pubblica l’acqua. Si fa finta di niente. Ma i poteri forti hanno deciso di farcela pagare, comunque di piegare il popolo italiano. 
 
Come quando gli anglo-americani durante la seconda guerra mondiale bombardavano le città italiane. Gli “alleati” solo a Foggia, fecero 22 mila morti. Senza alcuna motivazione strategica, ma solo per terrorizzare la popolazione italiana.  
 

L’unica differenza che oggi si usano armi più sofisticate quando si vuol fare una strage, punire o piegare un popolo. I giapponesi ancora oggi sono scioccati da quel che accadde a Fukushima nel 2011. Così oggi ci bombardano di nuovo sotto i nostri occhi che non vedono perché siamo succubi di schemi mentali artificiosi ed eterodiretti. 
 
Stanno tentando di sottometterci definitivamente con altri metodi, a differenza di come hanno fatto distruggendo brutalmente la Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, e tutti gli Stati sovrani che non si sono piegati al loro disegno di predominio mondiale. Inventandosi pretesti come l’11settembre (creato da loro stessi)o le armi di distruzione di massa di Saddam (che poi non c’erano).
 

Siamo cavie in un gigantesco esperimento. L’Italia ormai trema da troppo tempo. Loro sono sicuri di aver già vinto: si sentono superiori.  

Sveglia dal letargo: è ora di tirare SU LA TESTA!

 

Inchiesta sulla polizia italiana.

da: Informando

Blog dedicato alla libera informazione.

martedì 29 gennaio 2013

Da ormai dodici anni la polizia italiana è piombata in una crisi di identità, valori e di comportamenti: si può dire che dopo il G8 di Genova per la polizia italiana è stato un continuo essere nell’occhio del ciclone delle critiche e delle cronache giuidiziarie di questo paese. Se di crisi si tratta allora cerchiamo di capirne meglio le motivazioni e da dove, eventualmente ha inizio la genesi della crisi della polizia che fa gridare, da più parti (si pensi agli studenti letteralmente pestati quando si trovavano inermi a terra e senza oggetti contundenti tra le mani per le vie di Roma oppure lì, dove tutto iniziò cioè alla Scuola Diaz o a Bolzaneto in quel drammatico G8 ma anche i casi drammatici che ha visto la morte di cittadini italiani come Aldrovandi o Cucchi) che si tratta di un vero e proprio problema di repressione che diventa sistematica e di Stato e, qui, il pensiero non può non andare fino in Val di Susa dove, le forze dell’ordine sparano, senza pietà, ad altezza d’uomo, i famigerati e fuorilegge CS, lacrimogeni banditi dall’Onu.
Procediamo dunque, addentriamoci in questo viaggio e in questa inchiesta.
La problematica di “certi” comportamenti molto repressivi della polizia italiana si deve al blocco dei concorsi che, di fatto ha sbarrato la porta della carriera ai civili. Questo si deduce analizzando a fondo il fatto della grande presenza di soldati e reduci chiamati a svolgere mansioni di servizio di ordine pubblico.
La maggior parte dei nuovi agenti hanno una provenienza che non lascia dubbi: sono tutti provenienti dall’Esercito, con tutto ciò che ne consegue e comporta. E’ risaputo e accertato che, questi agenti, una volta tolta la divisa dell’Eseercito italiano e indossata quella della polizia di stato, sono portati alla “conservazione” della mentalità militare nonché lo “stile di addestramento”. Quando avviene questo “passaggio di divisa” e, da militari entrano in quella da poliziotto non avviene, come ci si potrebbe aspettare, una trasformazione, non fosse altro che per le mansioni che questi agenti sono chiamati a coprire. Anzi avviene esattamente il contrario.
Nel passaggio da militare a poliziotto rimangono questi agenti, a tutti gli effetti “militari”.
E’ il cuore del problema che poi si vede durante la gestione dell’ordine pubblico e della piazza da parte della poilizia italiana – come si diceva all’inizio dal G8 di Genova fino ai giorni nostri.
Il problema quindi diventa: come agiscono i militari. Si tratta di un problema non secondario. Risulta sempre più difficile far capire a questi “ex militari” che seppure si trovassero difronte al più violento dei cittadini, costui, non deve essere considerato un nemico. Ci vorrebbero fondi per riaddestrarli a questo fondamentale differenza d’ingaggio che dovrebbe esserci tra poliziotto e militare. Purtroppo non ci sono nè c’è la volontà politica per reperirli questi fondi.
Allora poi, stando così le cose non si può cadere dalle nuvole o gridare allo scandalo se le conseguenze si traducono in giornate drammatiche (anche se dal punto di vista dei cittadini tutto questo è ritenuto giustamente intollerabile e non da paese civile) come il G8 di Genova 2001 oppure, come quella giornata del mercoledì 14N 2012. 
Naturalmente sono solo due esempi, altrimenti la lista sarebbe lunga. Proprio perchè sarebbe lunga essa certifica la “lunga stagione di crisi” della polizia italiana inaugurata proprio con le giornate di Genova e quel drammatico G8; il problema dunque emerge in tutta la sua drammaticità: siamo difronte alla “sistematica” violenza compiuta dagli agenti ai danni dei manifestanti, spesso e volentieri inermi e a terra. Il problema è grave se è vero che si registra – anche qui sistematico – “silenzio omertoso” che sempre segue a giornate drammatiche che, finiscono per inchiodare la polizia italiana, al gravissimo ricorso della repressione dura e sistematica che, proprio per questa sua particolare conformazione diventa di Stato.
Per capire come sia possibile tutto ciò è semplice.
Basta tornare indietro a 10 anni fa quando, l’accesso in polizia, era possibile solo attraverso concorso pubblico. Dal 2000 non ci sono più questi concorsi. Sono fermi, bloccati. Così l’arruolamento è garantito a coloro i quali, dopo aver trascorso un periodo che si chiama “Ferma Breve” nell’esercito, accedono a una “corsia preferenziale”; garantita loro per legge ed entrano nella polizia, nei carabinieri e nella guardia di finanza o, nella polizia penitenziaria.
A tal proposito sono esaustive le parole di un funzionario che “coperto” dall’anonimato spiega: “Il problema è che questi giovani sono stati addestrati per combattere e obbedire agli ordini senza discutere – dice il funzionario con anni di esperienza di piazza alle spalle – Non capiscono che il ruolo che ricoprono ora è completamente diverso”.-
Se si analizza il curriculum di questi agenti si scopre che hanno partecipato a missioni all’estero a partire dalla Bosnia passando per l’Iraq e l’Afghanistan. Posti dove la regola è: sopravvivi se combatti!
Spiega ancora il funzionario anonimo: “Bisognerebbe addestrarli per spiegargli la differenza tra essere poliziotto ed essere soldato. Purtroppo i soldi per fare questo non ci sono ormai da perecchio tempo”.
Il cosiddetto “nuovo corso” della polizia italiana fa emergere un altro aspetto del problema: da quando non si fanno più i concorsi è diminuito il numero delle donne che decidono di fare carriera nella polizia. Anche se questo non incide poi molto sui servizi di piazza (le donne non vengono assegnate ai reparti mobili) ha però un peso molto rilevante dal punto di vista culturtale. La polizia italiana è diventato un ambiente sempre più maschile e maschilista.
Conclude il funzionario: “A tutto questo si aggiunga un’ultima considerazione: quando in polizia si accedeva attraverso concorso, molti giovani laureati sceglievano di intraprendere questa carriera. Adesso chi ha una laurea non viene più in polizia perchè non ha voglia di passare prima alcuni anni della sua vita sotto le armi”.
Chi invece accetta di parlare senza ricorrere all’anonimato è il segretario Silp, il sindacato dei lavoratori della polizia, Claudio Giardullo che è stato uno dei pochi a spiegare cosa accadde in quel mercoledì drammatico nelle vie di Roma. Era il 14N 2012.
Certo esordisce operando dei distinguo su quegli agenti che hanno sbagliato e grossolanamente: “Le forze dell’ordine ghanno una professionalità altissima e le violenze che abbiamo visto tutti sono opera di singoli che dovranno risponderne”. Come detto però Giardullo va oltre: “Se si vuole capire cosa è successo quel 14N a Roma allo, io dico – è il segretariodel sindacato che parla – che ci sono almeno due concause. La prima: sta prevalendo, nella strategia dell’ordine pubblico, l’idea che l’importante è impedire a chiunque di avvicinarsi ai palazzi delle istituzioni. Se il governo (all’epoca dei fatti era già insediato Mario Monti, ndr) non chiarisce che insieme alla tutela dei palazzi ci deve essere la massima tutela dei diritti della persona, qualcuno potrebbe equivocare il suo ruolo. C’è un’ambiguità politica da risolvere”.
E’ tuttavia la seconda considerazione di Giardullo (ripetuta nelle ore subito seguenti a quella infausta giornata, 14N 2012) che pone l’accento su un vero e proprio grido d’allarme. “Si ha l’idea di usare le forze di polizia come supplenza alle mancanze della politica, questo è chiaramente sbagliato”.
A decretare poi la 2crisi strutturale” della polizia contribuiscono anche altri elementi: il “corvo” che denuncia una squallida storia di “potere & corruzione” che vede i vertici della polizia di stato coinvolti e addirittura confluiti nello “Scandalo Finmeccanica”.
La fase di passaggio che, se da un lato, certifica che il “modello” del G8 di Genova è alle spalle ma, quale sia quello futuro nessuno sembra saperlo. E non è detto che sia un passo in avanti rispetto al passato.
Altra questione, anche questa per nulla secondaria vede da ben 30 anni la mancata “promozione” di un prefetto, al quale è stato, in tutti questi anni impedito di sedere sulla poltrona del capo della polizia: pare che questa lunga parentesi si stia per chiudere. Vedremo cosa accadrà.
Quello che comunque appare certo e registare sono le voci di tutti quei movimenti dell’abitare o, come quelli degli studenti fino ad arrivare a quello notav che, a più riprese denunciano come, il problema della repressione sistematica della polizia italiana sia  il vero  e urgente problema da risolvere se, si vuole ricostruire il paese.

(Fonte.:ilfattoquotidiano;laRepubblica;ilmanifesto)
Bob Fabiani
Link
www.interno.gov.it
-www.polizia distato.it
-www.infoaut.org
-www.laboratorioabitare.noblogs.org
-www.notav.info
  bob fabiani   

L’Ecuador e la falsa tranquillità degli Stati Uniti

GENNAIO 29, 2013 

Nil Nikandrov Strategic Culture Foundation 28/01/2013

Ho deciso di non perdere tempo a guardare un paio di video clip su YouTube dedicati alle attività dell’ambasciata degli USA in Ecuador. Secondo i diplomatici, la «rabbia» di Washington verso il governo dell’Ecuador guidato da Rafael Correa non è durata molto, dopo che l’ambasciatrice statunitense Heather Hodges è stata dichiarata «persona non grata» ad aprile.
Gli statunitensi fanno un punto nel mostrare efficienza e disinteresse nella cooperazione bilaterale con le autorità ecuadoriane. I diplomatici statunitensi sono onnipresenti in ogni attività di qualsiasi natura: fondi assegnati alla lotta contro l’AIDS, creazione di infrastrutture militari nei pressi di Columbia, curare la rara e intrigante fauna selvatica delle isole Galapagos, fare la lista dei vincitori del premio Fulbright e così via; l’elenco potrebbe continuare. Parlando in TV, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Ecuador, Adam Namm e Ronald Packowtz, console degli Stati Uniti a Guayaquil, hanno sottolineato che gli Stati Uniti sono interessati al progresso della democrazia e sono pronti a collaborare con i partiti politici e la società civile. Hanno sottolineato che la CIA non è coinvolta in nessuna attività sovversiva nel Paese, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID) è coinvolta solo nelle attività cui è assegnata e nient’altro. I diplomatici ripetono costantemente che circa 2 milioni di ecuadoriani vivono negli Stati Uniti e 30 mila cittadini statunitensi, soprattutto pensionati, risiedono in Ecuador. Almeno 250 mila turisti statunitensi visitano il paese ogni anno. Le esportazioni degli Stati Uniti verso l’Ecuador assommano a circa 6-7 miliardi di dollari all’anno, mentre le importazioni statunitensi dall’Ecuador sono più di 10 miliardi. I rappresentanti degli Stati Uniti sottolineano la stretta e intensa cooperazione economica, e che una qualsiasi destabilizzazione sarebbe dolorosamente dannosa per l’Ecuador e i suoi cittadini.
Il governo dell’Ecuador ha espulso l’ambasciatrice degli Stati Uniti, Heather M. Hodges, oltre che per i commenti fatti su un cablo diplomatico, pubblicato da Wikileaks, in cui la signora Hodges parlava della corruzione dei vertici del governo e della polizia in Ecuador e della possibile conoscenza di ciò del Presidente. E che presumibilmente questo permettesse al Presidente Correa di manipolare più facilmente coloro che vengono assegnati in quelle posizioni. Ci si può immaginare la reazione di Correa che si è visto ritratto come un piccolo laido Machiavelli dei tropici. Naturalmente, Hodges non poteva immaginare che i rapporti che aveva scritto con sicurezza, sarebbero emersi e resi pubblici. Washington vede Rafael Vicente Correa come un politico «ostile». La ragione di ciò è lampante. Per la prima volta in decine di anni un presidente indipendente, risoluto, patriottico e con un’istruzione di primo rango, governa l’Ecuador. In nessun modo gli si può gettare fumo negli occhi raccontando storie che lodano il modello di sviluppo neo-liberale come il migliore e insostituibile, imponendo il punto di vista che il libero mercato, sotto l’egida degli Stati Uniti, sia la cosa migliore, senza alternative, che la scelta socialista non ha prospettive per il futuro, o che il mantenimento della presenza del Pentagono sia necessario…
Washington diffonde surrettiziamente l’idea che il presidente ecuadoriano sia inaccettabile. Che ci sia qualcun altro, ma non lui! Il dipartimento di Stato e i servizi speciali vedono Correa come probabile successore politico e ideologico nel continente del presidente venezuelano Chavez. L’ambasciatore Adam Namm sa bene che Correa distacca di molto i suoi avversari nei sondaggi pre-elettorali. Secondo i recenti sondaggi è in testa con il 61%. E’ ampiamente accettata l’idea che Correa abbia la possibilità di vincere al primo turno. Ciò significa che l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra America), o ALBA si rafforzerà e continuerà a resistere alle politiche imperiali di Washington. La tetraggine regna nei media della destra conservatrice: non ci sono in programma intrighi nella campagna che precede le elezioni del 17 febbraio. Tuttavia, l’opposizione può prepararsi a una lotta per i seggi dell’Assemblea Nazionale, le cariche dei governatori e la rappresentanza nel parlamento andino. Questo è ciò su cui il dipartimento di Stato e i servizi speciali degli Stati Uniti sembrano contare.
Non importa se ci sono stati conflitti con le autorità, in passato, la Drug Enforcement Administration (DEA) e gli attaché militari (fino a 50 servizi segreti) preservano la loro presenza nel Paese. I funzionari della DEA fanno del loro meglio per utilizzare le vecchie ed efficaci tattiche per provare a coinvolgere funzionari governativi, militari, agenti di polizia e anche diplomatici nel traffico di droga, per screditare il regime di Correa (come è accaduto nel recente «caso della valigia»). I diplomatici del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti reclutano talpe per le azioni future, soprattutto offrendo incentivi materiali. Non c’è dubbio che gli istruttori del Pentagono abbiano ottenuto grandi risultati nel «lavaggio del cervello» della popolazione locale, così come nell’insegnare l’arte dell’interrogatorio di «terzo grado». Ciò di cui l’Ecuador non ha bisogno di sicuro è questo tipo di esperti della difesa, di potenziali cospiratori. Questo è il motivo per cui il presidente Correa ha preso la decisione di por fine all’addestramento di personale militare  ecuadoriano nelle scuole militari statunitensi. Trova che le strutture addestrative dell’ALBA siano più adatte allo scopo. Il Presidente ha suggerito che l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) dovrebbe avere una propria accademia militare «basata sui principi dei diritti umani, l’onore e la sovranità, con cui ai cadetti saranno insegnate le discipline militari, invece delle competenze da agente di polizia (per soddisfare gli obiettivi repressivi degli Stati Uniti»).
Gli sforzi del Pentagono volti alla militarizzazione dell’America latina sono visti dal governo ecuadoriano come una minaccia alla sovranità e all’indipendenza dei Paesi della regione. Amanda Davila, il ministro delle comunicazioni dell’Ecuador, ha recentemente condannato fermamente l’infiltrazione illegale di un gruppo di militari statunitensi nel territorio nazionale, con il pretesto di «esperimenti medici». Non vi è alcuna differenza tra i regimi di Evo Morales in Bolivia e Rafael Correa in Ecuador, per il Comando Sud degli Stati Uniti (US Southern Command) ma come sempre non li distingue mai nelle sue dichiarazioni pubbliche. Il generale Douglas Fraser, comandante del Comando Sud degli USA ha detto che gli Stati Uniti avevano legami militari molto buoni con l’Ecuador e con gli altri Paesi dell’America Latina, esclusi Cuba, Venezuela e Bolivia (che sono i membri principali di ALBA). Questo approccio dovrebbe allertare il governo dell’Ecuador. Che combina Washington?
La cosa principale è preservare la sostanziale presenza militare statunitense nel Paese. Centinaia di agenti svolgono il loro servizio in Ecuador per introdursi nel potenziale teatro di guerra. Il considerevole numero di diplomatici e consiglieri facilita notevolmente le attività d’intelligence umana (HumInt) all’interno delle forze armate dell’Ecuador. Il controspionaggio dell’Ecuador non è abbastanza forte per tenere sotto controllo tutti gli ufficiali dei servizi segreti della difesa degli Stati Uniti che operano nel Paese. Il presidente Correa e il suo entourage sanno bene quali minacce possono sorgere e cercano di osservare la correttezza politica. L’ex ministro della Difesa Javier Ponce ha definito l’approccio dell’Ecuador al problema. Secondo lui, l’Ecuador aveva legami normali con il Comando Sud degli Stati Uniti. Ciò significa che le azioni del SOUTHCOM nella parte settentrionale del paese (al confine con la Colombia) vengono accettate senza ulteriori laccioli. L’Ecuador sarà contrariato dalla sproporzionata e invadente presenza degli Stati Uniti nella zona di frontiera. Il Paese riuscirà ad addestrare il personale per l’intelligence militare e per le operazioni di contrasto delle formazioni armate illegali senza l’assistenza degli Stati Uniti. L’Ecuador perciò ricorre a Spagna, Cile, Argentina e Russia per migliorare l’operatività della propria sicurezza.
Lo scrittore guatemalteco Francisco Alvarado Godoy dice che l’Ecuador e la tranquilla rivoluzione dei suoi cittadini sono in pericolo. Nel suo articolo sui piani della CIA contro il presidente Correa  fornisce diversi fatti che confermano che vi sono dei piani volti alla destabilizzazione accendendo dei conflitti interni. I partiti che non hanno speranza di successo nelle elezioni e le varie agenzie non governative devono essere utilizzati per condurre un’ostile campagna di propaganda anti-governativa contro Correa e il movimento di sinistra Alianza Pais. In realtà tutti gli avversari di Correa ricevono sostegno finanziario dagli Stati Uniti, per esempio: l’ex banchiere Guillermo Lasso, il re delle banane Alvaro Noboa, e Lucio Gutierrez definito il Chavez dell’Ecuador all’inizio della sua carriera politica, ma che preferì il vergognoso ruolo di agente della CIA, di divulgatore di falsi diffamatori contro Correa e gli altri leader di ALBA.
Alvaro Godoy afferma che l’ambasciata statunitense e la residenza dell’ambasciatore vengono utilizzati come centri di controllo operativo per destabilizzare l’Ecuador prima delle elezioni. Ed è qui che provengono le istruzioni ai candidati controllati. Insegnano gli sporchi trucchi della propaganda e come intensificare gli attacchi contro il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE). Le accuse espresse contro il Consiglio sono sempre le stesse: i risultati delle elezioni potrebbero essere falsificate in favore di Correa, che accusano di mettere sotto controllo tutti gli organi amministrativi imitando Chavez. Così gli elettori devono svegliarsi e fare la scelta giusta, perché l’Ecuador è sul punto di diventare una dittatura. Il presidente del CNE Domingo Paredes ha espresso allarme: l’ente governativo responsabile principale per le elezioni è sotto attacco allo scopo di destabilizzare il processo elettorale legale. Secondo Paredes, alcune organizzazioni e personalità politiche hanno intenzione di creare strutture parallele al Consiglio Nazionale Elettorale. Il loro compito principale è fornire le prove delle elezioni truccate. Sono gli stessi metodi per frustrare e screditare le elezioni utilizzate dagli agenti dei servizi segreti degli Stati Uniti in Bolivia, Nicaragua e Venezuela in particolare. L’Ecuador è il prossimo.
L’ambasciatore Namm e la sua squadra di provocatori potrebbero essere al centro di tali eventi. Domingo Paredes non ha fatto i nomi di coloro che sono dietro le azioni sovversive volte a tentare di frustrare le elezioni. Ma l’Ecuador non è una specie di pupo manovrato. Namm dovrebbe tenersi pronto ad eventi inaspettati.

La ripubblicazione è gradita con riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

 

La giornata del ricordo ricordiamo sempre e solo un tipo di vittima?

Gli alleati non fecero vittime volute per insegnare chi comanda?

Le altre potenze colonizzatrici che si spartirono l’africa ben prima degli italiani hanno sottomesso le popolazioni indigene con baci e abbracci?

 Le vittime del comunismo si rimuovono per conferire a tale modello politico un’aurea di santità?

  Il Comunismo e i sanguinari sconvolgimenti sociali di Stalin(con foto e filmati)

 Come abbiamo parlato della crudele repressione nazista , dei campi di sterminio , delle atrocita’ commesse ai danni della popolazione ebraica , qui ora ci accingeremo a trattare dei sanguinari sconvolgimenti sociali avvenuti nell’ex Unione Sovietica ad opera di Stalin

dio-padre-padrone onnipotente che dietro l’apparente maschera di una ideologia commise nefandezze e crimini a discapito del suo stesso popolo.

Parleremo qui della polizia segreta del dittatore comunista, dei mezzi di repressione degli oppositori politici dell’Unione Sovietica, dei gulag , dei trattamenti medici forzati mediante imprigionamento psichiatrico, utilizzati, al posto del campo di lavoro, al fine di isolare ed esaurire psichicamente i prigionieri politici, del genocidio in Ucraina voluto da Lenin negli anni anni 1932-33 a seguito di una carestia di stato dove a causa della fame morivano 17 persone ogni minuto, 1000

ogni ora, quasi 25 mila ogni giorno.Le vittime del regime di Stalin si contarono a milioni.

 IL LENINISMO

 Come affermato da Stalin, il leninismo può essere definito l’applicazione del marxismo alle condizioni originali della situazione russa… ma sopratutto il leninismo è il marxismo dell’epoca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria. Più esattamente: il leninismo è la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria in generale, la teoria e la tattica della dittatura del proletariato in particolare.

Molotov , ministro degli esteri dell’Urss staliniana ebbe a dire:“Se ritenete che Stalin sia crudele è perché non avete visto in azione né Lenin né Trozkij”. Durante il periodo del terrore leninista la polizia segreta si macchiò di crimini inauditi, assassinando un numero enorme di persone: una donna bolscevica si specializzò nell’infornare i cosiddetti “nemici del popolo” nelle caldaie delle locomotive. Mentre Dzerzhinskij scaraventava i “nemici del popolo” dalle finestre della tristemente famosa prigione della Lubjanka.

 LO STALINISMO

 Con questo termine si indica la politica di Stalin nel periodo in cui fu a capo dell’URSS, dal 1924 al 1953. Fu in questo periodo che si costituirono i tratti fondamentali del sistema sovietico, segnato dall’ispirazione dello stato-partito ad assumere il controllo totale su tutti gli aspetti della vita del paese (politica, economica, sociale e culturale).

Nel 1929, dopo la sconfitta dell’opposizione di destra di Bucharin, Stalin assunse il pieno controllo del partito e diede avvio alla “grande svolta” che avrebbe dovuto portare alla rapida edificazione dell’economia socialista, regolata dalla pianificazione statale: ebbe inizio la collettivizzazione dell’agricoltura, accompagnata dall’industrializzazione forzata.Questo programma fu svolto rafforzando a dismisura l’unico strumento che i bolscevichi avevano a disposizione: lo stato.

Stalin in nome dello Stato diede vita a spaventosi sconvolgimenti sociali.

Vennero distrutte identità collettive secolari e vennero vennero rafforzati a dismisura gli apparati repressivi dello stato.Il paese si riempi’ campi di concentramento. Nasceva il Gulag. La mobilità sociale altissima provocò un colossale rimescolamento. Interi strati sociali vennero scaraventati dai vertici al fondo della piramide, mentre altri emergevano, prima di essere a loro volta travolti.

 IL PARTITO COMUNISTA PARTITO UNICO

 Il partito salì poi al potere con la rivoluzione d’ottobre del 7 novembre 1917 .Il partito fu guidato da Stalin dopo la morte di Lenin e la seguente lotta di potere tra i probabili successori. Prima Trockij poi Zinov’ev Bucharin e Kamenev vennero allontanati dalla scena politica e processati. Il partito perse la sua struttura collegiale durante lo stalinismo e subì diverse purghe. La sua struttura era parallela a quella dello Stato stesso. L’organizzazione era fortemente verticistica: alla base, vi erano i comitati cittadini, distrettuali e regionali. Questi erano organizzati nel Partito comunista della singola Repubblica membro dell’Unione, che era a loro volta sottomesso al Comitato Centrale del partito a livello dell’Unione. Il partito rispondeva alle regole del centralismo democratico che evitava la formazioni di correnti e rendeva unitaria la linea politica. Come burocrazia permanente nell’intervallo delle due sessioni ordinarie del Comitato Centrale vi era il Segretariato; esso si occupava di rendere esecutiva la linea politica decisa dal cuore politico della dirigenza ovvero il Politbjuro diretto dalla figura del Segretario Generale, il quale aveva un ampio potere politico. Il potere lo si esercitava in qualsiasi modo, ancor meglio con la violenza ,doveva mirare alla soppressione delle classi sociali, ad un organizzazione economica e sociale fondata sulla proprietà collettiva dei beni e servizi di produzione, alla negazione della differenza tra lavoro manuale e quello intellettuale, ad annullare la differenza sostanziale tra città e campagna. In altre parola il comunismo diventa una vera e propria religione politica , alla quale si pretendera’ una completa adesione e totale dedizione. Poco importa delle rinunce sul piano dei consumi di massa. Violente misure di repressione e di terrore, compreso il sistematico ricorso alla pratica delle deportazioni e relativa confisca delle terre, permisero la formazione di 230 mila aziende collettive al posto dei 26 milioni di piccole aziende individuali precedenti. Iniziò così la sistematica eliminazione di ogni forza alternativa alla sua: liquidò fisicamente, in tutta fretta i “nemici del popolo”, che fino a pochi giorni prima avevano rappresentato la vecchia guardia della rivoluzione di ottobre del 1917. Le mitiche purghe staliniane, coordinate dal boia Berija, che alla morte del generalissimo georgiano, sarà premiato con il ministero degli Interni. Terrore, processi farsa, nessuna prova ma umilianti confessioni estorte con la tortura in sentenze prefabbricate. Tuttavia, nonostante il loro alto credo ideologico a proposito della parità di classe, tutti i leader del partito vivevano in sontuose dimore, facevano montagne di soldi, giravano in Rolls-Royce ed avevano stuoli di amanti.

 L’ABOLIZIONI DELLE RELIGIONI

 Anziani rivoluzionari, dirigenti della prima ora, scomodi testimoni, quadri dell’industria di stato, ufficiali dell’Armata Rossa, milioni di semplici cittadini con le loro famiglie, in prevalenza contadine, e anche vittime di religione ebraica, molto invisi al dittatore, così come i molti sacerdoti, spediti nei gulag non perché colpevoli, ma perché divenuti superflui. Fin dagli inizi i soviet, nell’ambito della loro politica repressiva contro nobiltà, clero e borghesia, agirono con la forza per estirpare la religione (essenzialmente la Chiesa ortodossa russa) dal cuore e dalla mente dei russiNon c’era posto per le loro chiese, per questo bruciate, il loro Dio abolito e cancellato dalla rivoluzione che avrebbe visto un nuovo regno, mai esistito fino a prima, quello dell’uomo libero. Furono trucidati religiosi e distrutte chiese , si misero in prigione preti, suore e perfino chierichetti condannati a morte e fucilati, o al meglio finiti ai lavori forzati nei campi d’internamento dei gulag, e nelle miniere d’uranio, indifesi dalle mille radiazioni, solo perché si possedesse una Bibbia, per 8-10- 12 anni.

Percosse, timpani rotti dai pugni e dagli stivali con punte di ferro degli ufficiali, 30 e più persone chiuse in baracche di pochissimi metri, dove anche nel gelido inverno era vietato chiudere la finestra, e possibile andare al bagno, solo la mattina o la sera, 20 minuti per tutti i prigionieri insieme. Poi molto spesso stanze degli interrogatori e delle torture, tra muri foderati per assorbire le urla, persone chiuse in delle tute, e poi colpite fino al collasso. Povere vittime fucilate alle spalle dal boia, dopo essere fatte entrare con l’inganno di entrare in una stanza dove chiedere la grazia. Altre invece credute morte, si salvarono svegliandosi al cimitero o in fosse comuni cercando di rimanere nascoste fino alla caduta di Stalin.

 LA POLIZIA SEGRETA DI STALIN

 La potente polizia segreta (Nkvd), sottoposta direttamente a Stalin, aveva diritto di vita e di morte sugli abitanti del paese dei soviet. Dopo l’assassinio, probabilmente ordito da Stalin alla fine del 1934, di Kirov, prestigioso dirigente del partito di Leningrado e rappresentante della nuova tecnocrazia che si era creata durante il primo piano quinquennale, la macchina repressiva si volse contro le elite politiche. Iniziava il grande Terrore.

 Tra il 1936 e il 1938, nei processi di Mosca, venne sterminata la vecchia guardia bolscevica; sotto la scure della polizia politica cadde anche l’Armata rossa, che fu gravemente scompaginata dalle purghe, come dimostrò la facilità dell’avanzata nazista al momento dell’aggressione nel 1941. Alla fine degli anni trenta Stalin era ormai padrone assoluto del paese. Capriccioso despota autocratico, fece distruggere anche lo stesso gruppo dirigente a lui fedele che aveva patrocinato la “grande svolta”. Si riprodusse un modello di potere che aveva le sue origini nella Russia antica e che istituzionalizzava la nuova struttura gerarchica della società: l’autocrate creava una elite dirigente priva di una legittimazione autonoma (funzionale o legata alla proprietà) e quindi alle sue assolute dipendenze; questa disponeva, in cambio, dello stesso potere assoluto nei confronti dei suoi sottoposti. Un esempio vale per tutto ,nel 1936 Nikolai Iejov diventa Commissario del Popolo per gli Affari Interni e assume la direzione della NKVD, la polizia segreta. Nel dicembre del 1938, viene sostituito da Béria, che lo fa arrestare. Sarà fucilato nel febbraio del 1940 dopo essere stato torturato, passando dalla condizione di carnefice a quella di vittima, secondo la logica di un sistema che aveva fedelmente servito.

 ABOLIZIONE DELLA PROPRIETA’ PRIVATA

 Si avvio’ avviò un programma di rapida industrializzazione e di riforme agricole forzate, utilizzando lo stato come leva dell’accumulazione capitalistica russa, mantenendo un’impalcatura ideologica socialista abolendo qualsiasi forma di proprieta’ privata . I contadini lavoravano in fattorie collettive – kolchoz – o statali – souchoz – ,e prendevano lo stretto indispensabile per la sopravvivenza. I kolchoz e i souchoz sarebbero stati i maggiori acquirenti dei prodotti industriali .

Erano cooperative agricole nelle quali i contadini lavoravano collettivamente la terra, condividendo anche strumenti e macchinari agricoli. Furono costituite inizialmente già dal 1918 sostituendo gli artel ma fu in seguito alla collettivizzazione avvenuta nel 1927 che vennero ufficialmente istituite. A partire dal 1929 la participazione ad un kolchoz o ad un sovchoz fu resa obbligatoria da parte delle autorità sovietiche. In quell’anno si verificò l’ingresso nei kolchozy non più di singoli contadini, ma di villaggi e, a volte, di interi circondari. Questo significava l’adesione dei contadini medi alle cooperative agricole di produzione.

contadini del kolchoz erano chiamati kolkhoznik (?????????) o kolkhznitsa (??????????) al femminile.

 I kolkhozniky erano pagati in parte della produzione del kolchoz e dei profitti fatti dal kolchoz proporzionalmente al numero di ore di lavoro; essi avevano inoltre a disposizione un appezzamento di terra ad uso privato (nell’ordine dei 4 000 m2) ed un po’ di bestiame. Questi vantaggi in natura rendevano il kolchoz molto più attraente ai sovietici rispetto al sovchoz nel quale i sovkhozniky erano salariati. Non tutti però furono entusiasti della collettivizzazione: i kulaki, che avevano contrastato in ogni modo il crescente movimento contadino il quale si volgeva in favore della collettivizzazione, si rifiutarono di entrare nei kolchozy e in seguito furono liquidati come classe secondo la politica del Comitato centrale.

 LA POLITICA DEL TERRORE

 Gli anni trenta li possiamo definire il periodo della violenza di stato piu’ brutale durante il quale milioni di persone furono imprigionate o uccise a volte anche con sistematica continuita’.

Lenin in una lettera del 1922 scriveva: ” I tribunali non devono eliminare il terrore (…) Il principio del terrore va radicato e legalizzato senza ambiguità o abbellimenti”. La stessa linea verrà seguita da Stalin. I tribunali rivoluzionari prima, e poi le cosiddette “trojke”, triumvirati di estrazione politica, ebbero il compito di condannare alla deportazione nei lager sia i criminali comuni sia i controrivoluzionari.

Per questi ultimi esisteva un articolo apposito del Codice penale, l’art.58.

Il regime sovietico considerava i criminali comuni “socialmente vicini”, compagni che hanno sbagliato e possono essere redenti. Al contrario i condannati secondo l’art.58 erano considerati “socialmente estranei”, dei nemici irrecuperabili, per i quali il lager era la destinazione finale.

 L’ideologia alla quale si ispira il potere sovietico è il marxismo–leninismo, che si proponeva di creare una società nuova, eliminando innanzitutto quei gruppi sociali che erano considerati nemici di classe. Il regime instaurato in URSS presenta le caratteristiche di un vero e proprio sistema totalitario, col potere nelle mani di un partito che si identifica con lo Stato e agisce in base ad un’ideologia dominante, che definisce gli obiettivi da raggiungere. La società di massa era completamente controllata dai mezzi di comunicazione e dall’onnipresente polizia segreta. Il mezzo più economico ed efficace usato per mantenere il controllo sulla popolazione ed eliminare il dissenso fu il terrore, che investì ad ondate successive tutte le componenti della società sovietica e in modo assolutamente arbitrario. E’ il fenomeno del nemico oggettivo ovvero di un nemico che non si definisce in base alla sua ostilità verso i detentori del potere, ma in base ad una scelta arbitraria, finalizzata al mantenimento del potere sull’intera società.

Dapprima entrarono nei GULag i nemici naturali dello stato sovietico, i nemici di classe: la nobiltà russa, gli imprenditori, i proprietari terrieri, il clero ortodosso e, in generale, tutti i gruppi considerati privilegiati.

In seguito le purghe riguardarono tutti i settori della società sovietica, compresi i prigionieri di guerra scampati ai lager nazisti e gli specialisti di vari settori, necessari all’attività produttiva dei lager.

Una menzione particolare va fatta per gli ostaggi, scelti tra persone di livello sociale elevato, con lo scopo di ricattare parenti ed amici.

La responsabilità di questo sistema concentrazionario, che ha fatto uso del terrore ed ha imprigionato persone che appartenevano a tutte le classi sociali, è tanto di Lenin, che ne è stato l’iniziatore, quanto di Stalin, che, con l’avvio dei piani quinquennali, ha ampliato e potenziato il sistema di lavoro coatto. Con loro ne portano la responsabilità anche la potente polizia segreta, l’NKVD, tutto il sistema giudiziario sovietico e i dirigenti ai quali il sistema fu dato in gestione. Tra questi, Lavrentji Beria,

che nella foto vediamo assieme a Stalinuno dei più feroci collaboratori del dittatore, che alla fine degli anni Trenta organizzò anche un laboratorio segreto per sperimentare sui detenuti gli effetti dei veleni chimici.Piu’ tardi Stalin lo chiamera’ “il nostro Himmler”.

 I GULAG E LE CONDIZIONI ESTREME

 Il sistema carcerario in Russia era stato fondato da Pietro il Grande, che aveva ordinato la creazioni di campi di detenzione nelle zone più isolate dell’impero al fine di allontanare i detenuti politici antizaristi e i personaggi scomodi dai maggiori centri del potere, sfruttando la vastità del territorio russo.

Dopo la rivoluzione del 1917 avvenne la liberazione di tutti i prigionieri, ma dal 1918 fu necessario dotare il sistema penale di nuove strutture di detenzione in grado di “rieducare gli internati attraverso il lavoro”. Vennero ristrutturate le attrezzature carcararie dei precedenti campi di lavoro katorga, realizzati in Siberia: furono istituiti i “Campi speciali Vechecka” e i “Campi di lavoro forzato”.

 I campi di prigionia nacquero per ospitare varie categorie di persone considerate pericolose per lo stato: criminali comuni, prigionieri della Guerra civile russa, funzionari accusati di corruzione, sabotaggio e malversazione, nemici politici vari e dissidenti, nonché ex nobili, imprenditori e grandi proprietari terrieri.

Dopo l’iniziale creazione del Gulag nel 1926, varie organizzazioni confluirono al suo interno sotto il controllo dell’NKVD.

Questi campi conobbero il maggior sviluppo negli anni del consolidamento del potere di Stalin e durante il suo lungo regime. I presunti responsabili di una pianificazione insufficiente o di cattiva produzione vennero incarcerati in massa con le accuse di corruzione e sabotaggio.

 Il numero di prigionieri crebbe dai 176.000 del 1930 ai 510.307 del 1934, fino all’impennata del 1938 legata alle Grandi Purghe staliniane durante le quali il numero dei detenuti salì a 1.881.570. Durante la seconda guerra mondiale (1943) a causa dei reclutamenti nell’esercito si registrò una diminuizione a 1.179.819 unità. Dal 1945 tornò a crescere, raggiungendo il valore massimo di circa 2.500.000 persone, che rimase pressapoco costante fino al 1953 (anno della morte di Stalin)

 Sebbene tra i prigionieri dei Gulag, comunemente chiamati zek, dall’abbreviazione della parola russa zaklinchionnyj (prigioniero), ci fossero anche disertori, criminali, e prigionieri di guerra, la gran parte dei reclusi erano stati condannati soltanto perchè sospettati di tradimento e “cooperazione col nemico”. Secondo i documenti dell’NKVD il numero complessivo di detenuti del Gulag fra il 1929 e il 1953 fu di circa 18 milioni.

 Il Gulag fornì per decenni forze di lavoro non retribuito per il raggiungimento delle quote di produzione stabilite dal regime di Stalin. Nuovi campi sorsero in tutta l’area di influenza sovietica. I lavoratori forzati vennero tra l’altro impegnati per la costruzione del canale Mar Bianco-Mar Baltico, la ferrovia Baikal-Amur, parti della Metropolitana di Mosca e dei campus dell’Università statale di Mosca.

All’interno dei campi uomini e donne lavoravano a ritmi disumani, controllati da una gerarchia interna di capisquadra scelti tra i criminali comuni.Le condizioni climatiche spesso estreme, la fame perenne, le fucilazioni arbitrarie, i ritmi di lavoro massacranti e finalizzati al raggiungimento di obiettivi produttivi impossibili, la costante violenza psicologica tesa all’annientamento della volontà individuale furono le caratteristiche costanti dei GULag sovietici.

Il taglio e trasporto del legname e il lavoro in miniera erano le attività più comuni. In una miniera, la quota di produzione pro capite poteva raggiungere le tredici tonnellate al giorno. Mancare la quota significava ricevere minori razioni di cibo e conseguentemente causava conseguenze fatali, passando attraverso una condizione di spossatezza e devitalizzazione, soprannominata dohodyaga. La fame e la durezza delle condizioni di vita furono le principali ragioni dell’alto tasso di mortalità che raggiungeva nei primi mesi di permanenza nei campi, anche l’80%. I detenuti erano spesso costretti a lavorare in un clima glaciale senza essere adeguatamente vestiti. Era frequente l’avitaminosi che conduceva a malattie come lo scorbuto o sindromi quali la cecità notturna (detta anche cecità del pollo). Durante la pianificazione stalinista degli anni trenta, l’attività dei Gulag si estese anche in ampi settori dell’industria sovietica.

 La maggior parte dei Gulag era situata in aree disabitate della Siberia nordorientale, senza collegamenti, ma ricche di minerali e di risorse naturali: i principali furono il Sevvostlag (Campi nordorientali) lungo il fiume Kolyma e il Norillag (vicino a Norilsk) e nelle zone sudorientali dell’Urss, principalmente nelle steppe del Kazakhstan (Luglag, Steplag, Peschanlag). Altri campi si trovavano nella parte europea della Russia, la Bielorussia, l’Ucraina e all’esterno dell’URSS: in Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Mongolia, ma pur sempre sotto il controllo diretto dell’amministrazione centrale Gulag.

L’area lungo il fiume Indigirka, nell’estrema Russia orientale, era conosciuta col nome di “Gulag dentro il Gulag”. Il clima nella zona era talmente rigido che il fiume rimaneva gelato per gran parte dell’anno, da ottobre fino a maggio; nel suo bacino idrografico, dotato di risorse minerarie rilevanti (oro), si trovavano alcune fra le località più fredde della Terra, prima fra tutte il villaggio di Ojmjakon, dove si registrò la temperatura record di -71.2°C.

 I GULAG SPECIALI

 In aggiunta alla categoria più comune di campi che praticava lavoro fisico pesante e vari tipi di detenzione, esistevano anche altre forme.

Un tipo singolare di Gulag detti šaraška (???????, luogo d’ozio) erano in realtà laboratori di ricerca dove gli scienziati arrestati, alcuni dei quali eminenti, venivano riuniti e sviluppavano in segreto nuove tecnologie e ricerche di base.

 Psichuška (????????, manicomio), trattamento medico forzato mediante imprigionamento psichiatrico, utilizzato, al posto del campo di lavoro, al fine di isolare ed esaurire psichicamente i prigionieri politici.

 Campi o zone speciali per fanciulli (nel gergo dei Gulag: “?????????”, maloletki, minorenni), per disabili (a Spassk), e per madri con neonati (“?????”, mamki). Queste categorie erano considerate improduttive e spesso soggette a molti abusi.

 Campi per “mogli di traditori della Patria” (esisteva una categoria particolare di repressi: “Membri familiari dei traditori della Patria

 “campi di sterminio”.Furono 43 i campi dell’Unione Sovietica nei quali i prigionieri furono “forzati a lavorare in condizioni pericolose e insane responsabili di una morte certa”. Si identificarono tre tipi di campi: 1) campi dai quali nessuno uscì vivo (miniere di uranio e impianti di arricchimento); 2) campi di lavoro pericoloso per l’industria bellica (impianti nucleari ad alto rischio); 3) campi di lavoro pericoloso, responsabile di disabilità e malattie fatali (impianti senza ventilazione)

Raramente i lager erano fortificati, in Siberia alcuni erano delimitati da semplici pali. La fuga veniva scoraggiata dall’isolamento e dalla durezza degli agenti atmosferici, nonché dai cani della polizia. Negli anni venti e trenta le popolazioni autoctone spesso aiutavano i fuggitivi finchè non vennero istituite laute ricompense a chi avesse aiutato le autorità a catturare gli evasi. Anche le guardie dei campi avevano severe consegne per tenere sotto controllo i carcerati; se un prigioniero scappava sotto il controllo di una guardia, spesso questa veniva privata dell’uniforme e degradata a detenuto.

L’OLOCAUSTO UCRAINO (Holodomor -?????????)

 Holodomor in lingua ucraina significa “infliggere la morte attraverso la fame”e fu quella la tattica usata da Stalin per sconfiggere gli oppositori ucraini. Negli anni dal 1929 al 1933 Stalin studiò a tavolino una carestia che causò milioni di morti, un vero e proprio genocidio . L’intera Ucraina fu isolata e tutte le forniture di cibo ed il bestiame furono confiscati e con un’intollerabile politica fiscale prosciugò tutte le risorse monetarie.

Fu requisita l’intera produzione agricola per l’ammasso statale nei kolchoz: per chi fosse stato sorpreso a rubare sarebbe scattata la fucilazione o la detenzione superiore a dieci anni, secondo la legge del 7 agosto del 1932, detta “delle cinque spighe”, proposta dal dittatore in persona. Furono cosi’ affamate milioni di persone tanto che il cannibalismo divenne una pratica comune.

 Ma andiamo per gradi.

Il meridione dell’Unione sovietica era quello piu’ produttivo .dal punto di vista agricolo: agli inizi del XX secolo l’Ucraina forniva oltre il 50% della farina di tutta la Russia imperiale e dell’Urss poi. Poichè il regime aveva pianificato che tutta la ricchezza prodotta dall’agricoltura doveva essere interamente trasferita all’industria affinché il processo si realizzasse compiutamente, le terre e tutta la produzione dovevano passare sotto il controllo dello stato. Come abbiamo gia’ detto fu avviato il processo di accorpamento degli appezzamenti in cooperative agricole (Kolchoz) o in aziende di stato (Sovchoz), che avevano l’obbligo di consegnare i prodotti al prezzo fissato dallo stato. Ma l’Ucraina aveva una lunga tradizione di fattorie possedute individualmente. I piccoli imprenditori agricoli costituivano la componente più indipendente del tessuto sociale ed economico locale. L’azione dello stato ebbe in Ucraina effetti particolarmente drammatici.

 L’opposizione dei contadini ucraini

 I contadini opposero una strenua resistenza all’esproprio dei loro beni. Molti , almeno all’inizio , preferirono abbattere il proprio bestiamo pur di non vederlo confiscato dai russi .

Tra il 1928 e il 1933, il numero dei cavalli si ridusse da quasi 30.000.000 a meno di 15.000.000; da 70.000.000 di bovini, di cui 31.000.000 vacche, si passò a 38.000.000, di cui 20.000.000 vacche; il numero dei montoni e delle capre diminuì da 147.000.000 a 50.000.000 e quello dei maiali da 20.000.000 a 12.000.000. Alcuni contadini assassinarono funzionari locali, incendiarono le proprietà della collettività e arrivarono a bruciare le proprietà della collettività. Altri, e in numero ancora maggiore, si rifiutarono di seminare e di raccogliere.

 Con l’accusa (falsa) di rubare il grano ed opporsi alle misure del regime, migliaia di kulaki vennero arrestati e poi deportati insieme alle loro famiglie nei gulag siberiani. Il termine kulak fu applicato a chiunque resistesse alla collettivizzazione. Poi la politica di Stalin divenne piu’ feroce Il 7 agosto 1932 il governo di Mosca introdusse la pena di morte per il furto allo Stato o alla proprietà collettiva includendo, tra i reati, anche l’appropriazione da parte di un contadino di grano per uso personale.Una speciale commissione capeggiata da Vjaceslav Molotov

fu inviata in Ucraina per sorvegliare la requisizione del grano ai contadini. Il 9 novembre 1932 un decreto segreto ordinò alla polizia e alle forze di repressione di aumentare la loro “efficacia”. Molotov ordinò anche di non lasciare grano nei villaggi ucraini e di confiscare anche barbabietole, patate, verdure ed ogni tipo di cibo.

 Sulla popolazione contadina ucraina si concentrò l’azione coercitiva dello stato sovietico, che non rinunciò al sistematico ricorso alla violenza per attuare il suo piano di trasformazione della società. Dal 1929 al 1932 furono varate due misure, dette “collettivizzazione” e “dekulakizzazione”. La prima comportò la fine della proprietà privata della terra. Tutti gli agricoltori dovettero trovare un impiego nelle fattorie collettive create dal partito. La “dekulakizzazione” significò l’eliminazione fisica o la deportazione (nelle regioni artiche) di milioni di contadini. Queste misure furono contenute nel primo piano quinquennale, approvato in una riunione del Partito comunista sovietico nel dicembre 1929. negli anni 1932-1933 vennero attuate misure governative tali da mettere in ginocchio la popolazione sopravvissuta, quali: a) la requisizione totale di tutti i generi alimentari; b) l’obbligo di cedere allo stato quantità di grano talmente elevate da non lasciare ai produttori neanche il minimo necessario per il loro stesso sostentamento.

 <<era atroce – ricorda una contadina – le strade erano dissipate di cadaveri e spesso seppellivano persone che respiravano ancora, con la terra che ancora si muoveva sopra i loro corpi>>. E basta guardare le foto crude e raccapriccianti di quei giorni per percepire “visivamente” l’entità del delirio che in quegli anni si consumò sotto l’azzurro cielo ucraino.

Vennero confiscate le derrate alimentari alla popolazione e ne fu proibito il commercio, pena la fucilazione o dieci anni di internamento. Fu vietata qualsiasi azione di sostegno da parte delle altre regioni dell’Unione Sovietica.

E venne ritirato il passaporto interno in modo che le famiglie affamate non potessero trovar cibo in altre zone. La repressione fu accompagnata da un attacco spietato alla cultura ucraina, alla fede ortodossa, alla coscienza nazionale. Per la prima volta nel corso della storia uno Stato usò a fini politici la confisca di beni alimentari come arma di distruzione di massa del proprio popolo. Holodomor («fame di massa») è il neologismo entrato nella lingua ucraina per identificare una tragedia senza precedenti. Uno sterminio tra i più ignorati: Stalin intimò l’assoluto silenzio. E la censura fu applicata alla perfezione. E fu così che l’Ucraina, uno dei paesi più produttivi dal punto di vista agricolo, divenne il macabro teatro di una drammatica e delirante pianificazione economica.

Sapevano bene che questa decisione avrebbe condannato la popolazione alla fame, ma era un <<male necessario>> affinché la maggiore esportazione agricola fornisse capitale ulteriore da investire nell’industria. <<si presero tutto ciò che c’era di commestibile – ricorda un superstite – e ci lasciarono a bocca asciutta>>. Distrussero perfino i forni da cucina e requisirono il corredo agricolo. Fu sancito il divieto di conservare, acquistare o barattare cibo. La “legge delle cinque spighe” prevedeva la morte per chiunque possedesse anche poche spighe di grano. Era considerato colpevole chiunque volesse mangiare e le frontiere furono chiuse per impedire la fuga dei cittadini ucraini. Il popolo ucraino, insomma, fu condannato dalla nomenklatura sovietica a morte certa. Uomini, donne e bambini cominciarono a morire a ritmi esponenziali; dopo una lunga agonia di fame o perché fucilati istantaneamente se colti anche solo a raccogliere qualsiasi cosa potesse avere anche una lontana parvenza di cibo. Un’intera nazione diventò un campo di sterminio a cielo aperto.

 Le vittime di questo genocidio furono tra i sette e gli otto milioni , vittime che non hanno mai avuto giustizia , vittime passate sempre sotto silienzio.Solo nel 2008 il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione in cui riconosce l’Holodomor come “crimine contro l’umanità”.

 La carestia terroristica 

 GLI ANNI TRENTA E LE EPURAZIONI (PURGHE) STALINIANE

 Il dittatore sovietico , ossessionato dall’idea dell’accerchiamento, temeva che le minoranze collaborassero con il nemico , per cui in base ad un semplice sospetto fu pronto ad ordinare uccisioni e deportazioni di quelli che riteneva suoi nemici o probabili nemici.

Le minoranze etniche rappresentavano le Stalin una delle principali preoccupazioni , in quanto riteneva che potessero collaborare col nemico. E furono proprio queste uno degli obiettivi principali del terrore staliniano.

Nel 1937 – ’38 Stalin diede precise disposizioni affinche’ fossero deportate, e severamente epurate, intere popolazioni che abitavano su territori di confine, ritenute inaffidabili nell’eventualita’ di un conflitto. Cominciarono cosi’ le deportazioni di polacchi, ceceni, ingusci, tedeschi del Volga e di cittadini sovietici di etnia coreana, 170 mila persone, e giapponese. A loro tocco’ di sperimentare quanto sarebbe accaduto dopo ai polacchi e alle minoranze del Caucaso, ai balkari, ai tatari dell’Uzbekistan, Cosacchi del Don, i Tatari di Crimea e gli Ucraini.

 Tutti potevano essere messi sotto accusa

Non solo le monoranze etniche erano nel mirino del despota comunista, ma anche i rappresentanti della stessa nomenclatura del partito.

 Servendosi della potentissima polizia segreta, eliminò tutti gli oppositori, tra i quali molti protagonisti della rivoluzione d’ottobre del 1917. Nel 1934 Stalin prese a pretesto la misteriosa uccisione del suo collaboratore Kirov per scatenare le “grandi purghe”, che ebbero il culmine tra il 1936 e il 1939: centinaia di migliaia di militanti comunisti e soldati dell’ Armata Rossa furono messi sotto accusa come “nemici dello Stato”, incarcerati, costretti a confessare colpe inesistenti e condannati a morte o al lavoro forzato. Bukharin, Kamenev, Rykov e Zinoviev, condannati alla fucilazione, furono le più celebri vittime delle epurazioni staliniane.

 Trotskij, acerrimo oppositore di Stalin anche dall’esilio, fu rintracciato in Messico da agenti della polizia segreta sovietica e assassinato nel 1940. È difficile calcolare quanti morti provocò il terrore scatenato da Stalin negli anni Trenta in tutti i settori della società, ma si può parlare di alcune centinaia di migliaia di persone. Tra i 15 e i 20 milioni furono invece i deportati nell’arcipelago dei campi di lavoro, il Gulag.

 L’IMMAGINE PUBBLICA E IL CULTO DI STALIN

 Stalin era nemico di ogni forma di culto della personalità, e combattè sempre con insistenza l’idealizzazione di singoli individui, forse non la sua stessa idealizzazione. Nei manifesti Stalin è al fianco di minatori e contadini sorridenti, felici di contribuire alla riuscita dei piani quinquennali. I bambini lo adorano e gli offrono fiori in segno di omaggio e riconoscenza per il bene che ha fatto alla nazione. Grandi ritratti di Stalin bonario e rassicurante si vedevano negli uffici pubblici e sulle piazze

 La propaganda comunista alimentò un vero e proprio “culto della personalità” staliniana: la sua immagine fu esaltata ed egli fu celebrato come la guida salda e ferma del Paese, che aveva aperto la via dello sviluppo e avviato l’URSS a divenire una grande potenza mondiale. Dopo la seconda guerra mondiale l’esaltazione di Stalin fu amplificata dalla vittoria militare sul nazismo e si allargò al di fuori dell’Unione Sovietica tramite i Partiti comunisti dei vari Paesi.

 IL MASSACRO DI KATYN

 Per anni questo massacro fu addebitato da parte sovietica ai nazisti , poi finalmente la verita’ è venuta fuori. Ad ordinarlo fu Stalin.

Il massacro della foresta di Katyn avvenne durante la seconda guerra mondiale e consistette nell’esecuzione di massa, da parte dell’Armata Rossa, di soldati e civili polacchi. L’espressione si riferiva inizialmente al massacro dei soli ufficiali polacchi detenuti del campo di prigionia di Kozielsk, che avvenne appunto nella foresta di Katyn, vicino al villaggio di Gnezdovo, a breve distanza da Smolensk. Attualmente l’espressione denota invece l’uccisione di 21.857 cittadini polacchi: i prigionieri di guerra dei campi di Kozielsk, Starobielsk e Ostashkov e i detenuti delle prigioni della Bielorussia e Ucraina occidentali, fatti uccidere su ordine di Stalin nella foresta di Katyn e nelle prigioni di Kalinin (Tver), Kharkov e di altre città sovietiche

 L’URSS negò le accuse in tutte le maniere possibili fino al 1990, quando riconobbe l’NKVD come responsabile del massacro e della sua copertura.

 I MOTIVI DEL MASSACRO DI KATYN

 Per più di 50 anni questa tragedia è rimasta avvolta nel mistero e nella menzogna. Chi era responsabile di questo crimine? La Germania nazista o la Russia comunista?

Gli alleati non vollero credere ai tedeschi, nè vollero accettare la responsabilità russa. Dopo il crollo del regime comunista l’apertura degli archivi sovietici ha permesso di far luce sulla verità di Katyn. Già negli ultimi mesi del governo Gorbaciov si cominciavano a diradare le nebbie su tale mistero e, con l’avvento di Eltsin e la denuncia del PCUS come organizzazione criminale, veniva fuori una documentazione agghiacciante attraverso la quale si capiscono i meccanismi criminali di un sistema totalitario. Da un documento della Croce rossa polacca si deduce che la data probabile del massacro di Katyn si possa far risalire al periodo marzo-maggio 1940 e ciò indica una chiara responsabilità dei sovietici e non dei tedeschi, come invece sostenuto dalla propaganda comunista.

 Dopo l’invasione della Polonia da parte degli eserciti di Hitler nel settembre 1939, la Russia occupò i territori orientali della Polonia, compresa la regione della foresta di Katyn. Il rapporto fu redatto dal segretario della Crp Skrzynsi e fu presentato al consiglio Generale della Croce Rossa polacca nel 1943, a Giugno. Nel 1945 ne fu consegnata una copia all’incaricato d’affari britannico a Varsavia e poi trasmessa a Londra nel 1946. Recentemente è stata ritrovata da un ricercatore polacco negli archivi del Foreign Office. Per non turbare le relazioni della Gran Bretagna con Mosca il documento fu celato al governo polacco in esilio a Londra durante la guerra.

Lo storico polacco Victor Zaslavsky, autore del recente libro “Il massacro di Katyn” dice che di fronte ad avvenimenti quali l’eliminazione dei kulaki come classe, la fucilazione di più di un milione di persone, compresi 44.000 alti militari durante il terrore degli anni tra il 1937 e il 1939 o le deportazioni di intere popolazioni, Katyn perde la sua eccezionalità e diventa un crimine comune dello stalinismo. Però, nel quadro dei rapporti internazionali, il massacro di Katyn resta uno degli episodi più significativi della seconda guerra mondiale. Grazie all’apertura degli archivi segreti sovietici si possono riconsiderare alcune analisi storiche di questo secolo. E’ grazie a questi archivi e agli studiosi che li hanno potuti consultare che il massacro di Katyn per 50 anni attribuito ai tedeschi, è venuto fuori in tutta la sua nuda e cruda verità.

Molti polacchi erano stati fatti prigionieri a seguito dell’invasione e sconfitta della Polonia da parte di tedeschi e sovietici nel settembre 1939. Vennero internati in diversi campi di detenzione, tra cui i più noti sono Ostashkov, Kozielsk e Starobielsk. Kozielsk e Starobielsk vennero usati principalmente per gli ufficiali, mentre Ostashkov conteneva principalmente guide, gendarmi, poliziotti e secondini. Contrariamente ad una credenza diffusa, solo 8.000 dei circa 15.000 prigionieri di guerra di questi campi erano ufficiali.

 Il massacro rispondeva ad una logica ben precisa di ulteriore indebolimento della Polonia appena asservita. Infatti, poiché il sistema di coscrizione polacco prevedeva che ogni laureato divenisse un ufficiale della riserva, il massacro doveva servire ad eliminare una parte cospicua della classe dirigente nazionale. Tutto ciò nel quadro di una spartizione della Polonia tra Germania nazista ed URSS, due potenze che rappresentavano due sistemi culturali ed ideologici opposti ed antitetici, ma che, per circa 2 anni e fino al giugno 1941, furono legate dal Patto Molotov-Ribbentrop, che stabiliva la non aggressione reciproca e la spartizione della Polonia e dei Paesi Baltici.

Il 5 marzo 1940, secondo un’informativa preparata da Lavrentij Beria (capo della polizia segreta sovietica) direttamente per Stalin, alcuni membri del politburo dei Soviet – Stalin, Vyacheslav Molotov, Kliment Vorošilov, Anastas Mikojan, e Beria stesso – firmarono un ordine di esecuzione degli attivisti “nazionalisti e controrivoluzionari” detenuti nei campi e nelle prigioni delle parti occupate di Ucraina e Bielorussia.

Nel periodo dal 3 aprile al 19 maggio 1940 circa 22.000 prigionieri di guerra vennero assassinati: circa 6.000 provenivano dal campo di Ostaszków, circa 4.000 da Starobielsk, circa 4.500 da Kozielsk e circa 7.000 dalle parti occidentali di Ucraina e Bielorussia.

Solo 395 prigionieri vennero salvati dal massacro. Furono portati al campo di Yukhnov e quindi a Gryazovets.

 LA TECNICA DEL MASSACRO

 I prigionieri di Kozielsk vennero eliminati in un luogo prescelto appositamente per le uccisioni di massa situato nella contea di Smolensk, chiamato foresta di Katyn, che diede poi il nome all’intero massacro; quelli provenienti da Starobielsk vennero uccisi nella prigione dell’NKVD di Kharkov e i loro resti vennero sepolti nei pressi di Pyatikhatki; gli ufficiali di polizia di Ostashkov vennero uccisi nella prigione dell’NKVD di Kalinin (Tver) e sepolti a Miednoje.

 Informazioni dettagliate sulle esecuzioni di Kalinin vennero fornite da Dmitrii S. Tokarev, ex capo del consiglio del distretto dell’NKVD di Kalinin. Secondo Tokarev le uccisioni iniziarono la sera e finirono all’alba. Il primo trasporto, il 4 aprile, contava ben 390 persone e i giustizieri ebbero difficoltà ad eseguire il loro compito nell’arco di una sola notte. Il trasporto successivo non superava invece le 250 persone. Le esecuzioni vennero compiute con pistole tipo Walther PPK fornite da Mosca.

 Il metodo con cui vennero eseguite era stato studiato nel dettaglio. Inizialmente venivano verificati i dati anagrafici del condannato, poi questi veniva ammanettato e portato in una cella isolata. Dopo essere stato fatto entrare nella cella, veniva immediatamente ucciso con un colpo alla nuca. Il colpo di pistola veniva mascherato tramite l’azionamento di macchine rumorose (probabilmente ventilatori). Il corpo veniva quindi trasferito all’aperto passando da una porta posteriore e poi veniva caricato su uno dei sei camion appositamente predisposti per il trasporto. A questo punto toccava alla vittima seguente. Questa procedura venne ripetuta ogni notte, ad eccezione della festa del primo maggio.

Nei pressi di Smolensk la procedura era diversa: i prigionieri venivano portati alle fosse con le mani legate dietro la schiena e uccisi con un colpo di pistola alla nuca.

—-

Non si può certamente dire che Stalin sia stato migliore di Hitler. Il nostro onorevole Togliatti in Russia acconsentì che prigionieri italiani fossero fucilati col suo consenso. Orribile.

Un passo del Mein Kampf mi rimase in mente, quando lessi anni fa (era censurato in Italia fino a poco prima)- Hitler fece una riflessione importante a mio avviso, si rese conto che le due facce della medaglia del mondo, ossia la ricchezza e la povertà, erano in mani ebraiche. Anche il comunismo infatti nacque dalle menti di Bakunin, Hengel, Lenin ebrei che gestivano la massa dei poveri nella Russia, dopo aver ucciso e depretato i beni e i possedimenti dello Zar NiKola.

Il capitalismo, sappiamo tutti che nacque da ebrei sin da dopo la loro fuga dall’Egitto.

Dunque, abbiamo nella storia moderna dei grandi crimini contro l’umanità, sia da parte del comunismo, sia dalla parte del nazifascismo.

Nonostante questo che la storia ha ormai divulgato in tutto il mondo, continuiamo ancora a sentirci fascisti o comunisti o altro senza capire che è l’uomo al centro della storia con le proprie idee e le proprie pazzìe.

Noi italiani non dovremmo mai dimenticare che i primi lager li abbiamo fatti noi nel 1861-

 http://pulcinella291.forumfree.it/?t=60377816

Giorno della Memoria – Le Foibe – Riflessione di Tamara Bellone

Nella Giornata delle Memoria si ricordano i campi di sterminio organizzati dai Tedeschi, è utile ricordare anche quelli gestiti dai loro alleati.

Il 6 aprile del 1941 l’aviazione tedesca bombarda Belgrado: invadono la Jugoslavia le truppe Tedesche, Italiane, Bulgare, Ungheresi. La Croazia è in parte occupata dall’esercito italiano, in parte è stato indipendente, retto dagli Ustaša. I crimini degli Ustaša, i fascisti croati, furono tali da far inorridire perfino alcuni generali tedeschi. In particolare nel campo di Jasenovac, morirono 700000 persone, tra cui Ebrei, Serbi, partigiani catturati, comunisti e in generale oppositori del regime. Nel campo le persone venivano spesso torturate nei modi più abbietti, prima di venire assassinate.

Nel campo di Jasenovac finirono anche i Rom jugoslavi.

E’ solo da pochi anni che si ricorda nella giornata della Memoria, oltre alla Shoà anche il Porrajmos, il “divoramento” in lingua Romanì. Per troppi anni il genocidio dei Rom è stato tenuto in sordina. Eppure l’organizzazione dello sterminio nei campi nazifascisti nella II Guerra Mondiale, affonda le radici nella pratica di controllo dei Rom nei Zigeuner Lager, dove nei primi decenni del Novecento, essi venivano rinchiusi, per essere analizzati, studiati, isolati. Con le dovute differenze, in Italia i campi nomadi appartengono allo stesso modello segregativo Dopo la II Guerra mondiale, i capi Ustaša riuscirono in parte a scappare in America Latina, dopo essersi nascosti in Austria e Italia, spesso nei conventi con l’aiuto essenziale del Vaticano e di settori della Democrazia Cristiana.

Gli Italiani, alleati degli Ustaša, a loro volta compirono efferatezze nei territori da loro occupati, in particolare in Dalmazia, in Lika (la regione della Croazia popolata da Serbi), e nel Montenegro. Interi villaggi furono rasi al suolo in Lika, tutto ciò che serviva ai contadini per sopravvivere veniva requisito, si ricordano episodi in cui i contadini erano inviatati a condurre il bestiame ai comandi dell’esercito occupante e poi, una volta requisito il bestiame, venivano consegnati agli Ustaša con l’accusa di essere partigiani, e i poveretti venivano liquidati.

La Dalmazia è piena di lapidi di partigiani e civili fucilati dal Regio esercito o dalle camicie nere. Numerosi furono i campi per civili jugoslavi gestiti dagli Italiani: non si trattava di campi di sterminio, ma la gente moriva lo stesso. Vorrei solo ricordare il famigerato campo di Rab (Arbe) isola della Dalmazia, in cui morirono di stenti nella sporcizia, nel freddo e nella fame bambini, donne e uomini, rinchiusi per svariati motivi. Molti campi di prigionia meno noti ma altrettanto terribili si trovavano in Italia e in Albania, in cui morirono migliaia di donne e uomini di ogni regione della Jugoslavia.

Del resto anche in Grecia l’occupazione italiana portò alla morte di 300000 persone per fame.

E’ utile ricordare come la Jugoslavia chiese la consegna di numerosissimi criminali di guerra italiani, ma non ottenne neppure il famigerato Mario Roatta (a tale proposito è utile la visione del film della BBC Fascist Legacy).

Fra poco in Italia verrà celebrata un’altra giornata, quella del “ricordo”, il 10 febbraio: questa volta non si tratta di una cosa seria, ma di una farsa. Infatti nel dopoguerra ci fu una profonda riflessione in Germania a vari livelli su quanto era successo, mentre in Italia ciò non avvenne, anzi fu proposto il mito “Italiani brava gente”.

Invece di ricordare i propri crimini, gli Italiani li rimuovono e addirittura si sentono le vittime di persecuzioni e di pulizia etnica: si tratta di una losca manovra, oltre che dal punto di vista storico e politico anche da quello etico e psichiatrico e spiace che responsabili siano non solo i soliti eredi dei fascisti, ma anche forze della “sinistra”.

Un’altra operazione vergognosa è l’utilizzo della memoria dell’Olocausto per la propaganda di guerra.

E’ già sorprendente è che a celebrare il giorno della Memoria siano anche coloro che si adoperano attualmente nella persecuzione dei Rom, degli extracomunitari e dell’organizzazione delle guerre contro i paesi scomodi, per riportarli nel cortile dello zio Sam e dei suoi alleati europei. Dalla prima guerra all’Iraq, passando per la Jugoslavia fino alla recente aggressione alla Libia, ai tentativi di distruggere lo stato siriano e all’intervento in Mali, le forze occidentali aggrediscono stati sovrani, o intervengono a favore di uno schieramento interno contro l’altro. Il fatto stesso che le forze occidentali siano incommensurabilmente superiori a quelle del cosiddetto nemico, il bombardamento sulle infrastrutture industriali e civili e l’embargo sono strumenti di sterminio, l’uso di uranio impoverito in Jugoslavia o la strage di Falluja sono esempi particolarmente significativi.

Ma è interessante notare che quando uno stato scomodo viene aggredito, in genere parte una campagna mediatica, in cui lo stato da aggredire viene equiparato alla Germania nazista, il capo di stato del Paese a un novello Hitler: ciò è avvenuto principalmente nella preparazione mediatica della guerra all’Iraq e alla Jugoslavia: nel secondo caso, in particolare, come a suo tempo fece notare Angelo d’Orsi, nella vulgata mediatica, i Serbi venivano paragonati ai nazisti e gli Albanesi agli Ebrei perseguitati.

La strategia mediatica si va modificando: dopo l’11 settembre il modello è stato la “lotta al terrorismo”, ed .attualmente è alla ricerca di nuove strade che possano ancora una volta ingannare l’opinione pubblica.

Torino 28 Gennaio 2013

Tamara Bellone

 

Politecnico di Torino- Giovedì 31 gennaio- PRESENTAZIONE DEL LIBRO “A SARA’ DURA”

PRESENTAZIONE DEL LIBRO “A SARA’ DURA”

Giovedì 31 gennaio ore 17,30- Politecnico di Torino, aula 13

Da oltre un decennio, pressoché l’intera comunità della Val di Susa è mobilitata per impedire la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità. In contrapposizione a media, partiti politici, forze dell’ordine e magistratura, un grande movimento di massa non cessa di crescere e, iniziativa dopo iniziativa, consolida la consapevolezza di poter vincere.

I militanti e le militanti del Centro sociale Askatasuna – insieme ad Alberto Perino, Lele Rizzo, Giorgio Rossetto, Nicoletta Dosio, Mario Cavargna e molti altri protagonisti della lotta no tav – raccontano le ragioni di un movimento che ha saputo costruire una diversa cooperazione sociale, produrre un’altra scienza, un sapere alternativo, una coscienza capace di tradursi in resistenza di massa.

Oggi, il movimento No Tav interpella il senso di alcune parole della politica, declinandole con nuovi significati:

cos’è un’«istituzione», quando essa assume il volto della repressione di un’intera comunità?

Cos’è la «democrazia», quando il parere del «maggior numero» viene del tutto ignorato?

Cos’è lo «sviluppo», quando l’infrastruttura proposta è mera speculazione?

Cosa sono le «risorse», quando il Tav appare come un gigantesco e insensato consumo di risorse naturali?

Per le popolazioni della valle di Susa nel conflitto no tav è anzitutto in gioco un diverso modello di società, di economia e di politica. Un modello che già vive dentro le forme di una soggettività radicale e massificata che diventa punto di riferimento e proposta di metodo per un nuovo agire sociale e politico.

Interverranno:

·         Lele Rizzo, attivista notav e militante del CSOA Askatasuna

·         Claudio Cancelli, attivista notav ed ex docente Politecnico

colpo.org

Pubblicato lunedì 28 gennaio 2013

 

Realizzati vaccini che modificano il tuo DNA

ANSA – Realizzato il primo vaccino contenente un tratto di Dna, il tutto nel formato di un cerotto: si tratta di uno strato di minuscoli aghi che rilasciano gradualmente il farmaco per intere settimane. Questa modalita’ di rilascio del vaccino, realizzata da un gruppo di ricercatori coordinato dall’Istituto di Tecnologia del Massachusetts (Mit) e descritta su Nature Materials, potrebbe risultare importante per i Paesi in via di sviluppo perche’ non richiede refrigerazione e risulta facile da immagazzinare e trasportare. Il cerotto realizzato dai ricercatori statunitensi potrebbe dunque aprire la strada all’utilizzo degli economici e innovativi ‘vaccini a Dna’, una nuova tipologia di farmaci candidata a sostituire i vaccini tradizionali.

A differenza di questi ultimi, realizzati normalmente iniettando virus o batteri ‘depotenziati’, i vaccini a Dna prevedono direttamente l’inserimento nelle cellule di un tratto di Dna con le istruzioni per combattere l’infezione. Una soluzione teoricamente molto semplice ed economica ma che ha prodotto finora scarsi risultati e si e’ rivelata molto difficile da attuare. Il cerotto realizzato dai ricercatori permette ora di superare alcune problematiche legate alla conservazione e al trasporto dei vaccini a Dna, facilmente deperibili. Si tratta di minuscoli aghi in grado di rilasciare il proprio contenuto di vaccino sotto forma di Dna per molte settimane, garantendo cosi’ un dosaggio continuo al paziente, una maggiore risposta alla terapia e una buona conservazione del farmaco. fonte

Link

SEGUITECI SU FACEBOOK!!!

 



http://terrarealtime.blogspot.it/2013/01/realizzati-vaccini-che-modificano-il.html

«Sono gay, francese e contro le lobby. Non voglio né matrimonio né l’adozione. E ora provate a dire che sono omofobo»

«Sono gay, francese e contro le lobby. Non voglio né matrimonio né l’adozione. E ora provate a dire che sono omofobo»

29 gennaio 2013 di Donato Lascia un commento

Intervista a Nathalie de Williencourt, portavoce di Homovox: «Rappresentiamo la maggioranza dei francesi omosessuali ma non ci ascoltano. Non vogliamo il matrimonio, perché non siamo come le coppie eterosessuali, che possono fare figli».

Sono francesi, sono omosessuali, «la maggioranza degli omosessuali», e non vogliono né il matrimonio né l’adozione per le coppie gay, soprattutto non vogliono essere trattati allo stesso modo delle coppie eterosessuali «perché siamo diversi: non vogliamo uguaglianza, ma giustizia». Parliamo dei cittadini francesi gay rappresentati da Homovox, che non chiede il “matrimonio per tutti” – nome del progetto di legge di François Hollande che legalizzerà il matrimonio gay e l’adozione per le coppie omosessuali – ma “la parola per tutti!”. «In Francia ci censurano, si ascoltano sempre le lobby LGBT, parlano sempre loro nei media, ma la maggior parte degli omosessuali sono amareggiati dal fatto che questa lobby parli a loro nome, perché non abbiamo votato per loro e non ci rappresenta», spiega a tempi.it Nathalie de Williencourt, portavoce di Homovox. Ecco perché l’associazione parteciperà domenica alla grande “Manifestazione per tutti”, che vedrà sfilare dai cattolici agli ebrei ai musulmani ai socialisti ai radicali agli omosessuali contro il progetto di legge di Hollande, che comincerà ad essere discusso all’Assemblea nazionale il 29 gennaio.

Chi rappresenta Homovox in Francia?

Homovox è un collettivo di cittadini francesi che porta la voce degli omosessuali francesi che si oppongono al progetto di legge Taubira. Sul nostro sito Homovox.com si possono trovare le testimonianze delle persone omosessuali che spiegano perché si oppongono al progetto di legge.

Perché avete firmato l’appello della “manifestazione per tutti”?
In Francia si ascoltano sempre le lobby LGBT, parlano sempre loro nei media, ma molti omosessuali non fanno parte di questo movimento. La maggior parte degli omosessuali sono amareggiati dal fatto che questa lobby parli a loro nome, perché non abbiamo votato per loro. Noi vogliamo dare la parola alla maggioranza degli omosessuali in Francia e sosteniamo la “Manifestazione per tutti” perché noi gay non vogliamo il matrimonio.

Perché?
Perché la coppia omosessuale è diversa da quella eterosessuale. Ed è diversa per un semplice dettaglio: non può dare origine alla vita, per cui ha bisogno di una forma di unione specifica che non sia il matrimonio. Ha bisogno di un’altra cosa perché la realtà delle coppie omosessuali è diversa da quella delle coppie eterosessuali.

Nel vostro comunicato accusate la comunità LGBT di essersi autoproclamata portavoce della comunità omosessuale.
È proprio così. Le comunità LGBT sono composte molto spesso da persone omosessuali che sono state rigettate dalla famiglia, sono venute a Parigi e hanno trovato ospitalità nella comunità Lgbt, sorta nel quartiere del Marais. Queste persone hanno una ferita in rapporto alla loro omosessualità: poiché non la accettano, rivendicano di essere come gli eterosessuali. Il nostro movimento rivendica invece che gli omosessuali siano trattati diversamente dagli eterosessuali, perché siamo differenti. Non possiamo chiedere l’uguaglianza per situazioni che sono differenti. Non è l’uguaglianza ad essere importante, ma la giustizia. C’è un’uguaglianza giusta e un’uguaglianza ingiusta.

E per quanto riguarda l’adozione di bambini da parte di coppie gay?
È importante capire che in Francia nella legge non ci sono distinzioni tra il matrimonio e l’adozione: tutte le coppie sposate hanno il diritto di adottare. Quando si propone il matrimonio per gli omosessuali, esso comprende automaticamente l’adozione. Non c’è divisione come in altri paesi europei. Noi crediamo che i bambini abbiano il diritto ad avere un padre e una madre, possibilmente biologici, che possibilmente si amino. Un figlio nasce dal frutto dell’amore di suo padre e di sua madre e ha il diritto di conoscerli. Se le coppie omosessuali adottano dei bambini che sono già privati dei loro genitori biologici, allora li si priva di un padre e di una madre una seconda volta. Questa legge in Francia è stata fatta nel dopoguerra, quando c’erano molti bambini da adottare e si voleva dare loro dei genitori. L’adozione però non è un diritto degli adulti, serve a donare dei genitori ai bambini che non ne hanno, ma oggi non è più così.

Cioè?
Le coppie che fanno domanda attendono anni prima di potere adottare un bambino, perché non ce ne sono più. Inoltre molti paesi del mondo non concederanno più adozioni alla Francia se questa legge sarà approvata, dal momento che paesi come la Cina e altri in Asia hanno procedure nelle quali chiedono che le coppie omosessuali siano escluse. Tutto ciò significa rendere l’adozione per le coppie uomo-donna ancora più difficile.

Chi espone gli stessi vostri argomenti, di solito, viene chiamato omofobo.
È da due mesi che in Francia sono usciti allo scoperto gli oppositori al “matrimonio per tutti”. Prima chi si opponeva al matrimonio gay veniva subito chiamato omofobo da quasi tutti i grandi media ed era impossibile opporsi senza essere immediatamente tacciati di omofobia. Io e i miei amici omosessuali, che non possiamo certo essere accusati di omofobia, chiediamo che ci sia un dibattito per permettere le unioni omosessuali, ma creando un’istituzione diversa dal matrimonio.

Ad esempio?
Che ci sia un allargamento dei Pacs, che si rifletta sui Pacs. Ma noi non vogliamo il matrimonio, che è riservato all’uomo e alla donna in quanto possono procreare. È così da secoli.

Che cosa chiedete quindi al presidente Hollande?
Noi domandiamo gli Stati generali del matrimonio, cioè domandiamo un dialogo fra François Hollande e il popolo. Perché il presidente aveva promesso che non avrebbe fatto passare una legge con la forza se il popolo francese non fosse stato d’accordo. Ha detto che voleva dialogare col popolo francese. Speriamo che aprirà il dialogo con degli Stati generali sul matrimonio e con un referendum per interrogare tutti i cittadini su questo argomento.

Hollande ha una grande maggioranza all’Assemblea nazionale. Secondo voi la manifestazione può andare a buon fine, la legge potrebbe non passare?
Dipenderà dalla mobilitazione della manifestazione di domenica e del modo in cui il governo ascolterà il popolo francese. La risposta dipende da François Hollande e domenica il popolo francese si rivolgerà a lui, non contro di lui ma per chiedergli di avere tutti insieme il tempo per riflettere su cosa sia meglio per la società francese perché le persone possano vivere in pace.

In che modo?
La pace si costruisce dentro la famiglia e per avere pace nella famiglia bisogna donare ai bambini il quadro più naturale e che più infonde sicurezza per crescere e diventare grandi. Cioè la composizione classica uomo-donna.

Fonte



http://freeyourmindfym.wordpress.com/2013/01/29/sono-gay-francese-e-contro-le-lobby-non-voglio-ne-matrimonio-ne-ladozione-e-ora-provate-a-dire-che-sono-omofobo/