Chi ha ucciso Aaron Swartz? La rete esplode per l’attivista internet

14.01.2013 18:38 CET

Chi ha ucciso Aaron Swartz? La rete esplode per l’attivista internet

Candido Romano

Aaron Swartz si è suicidato nel suo appartamento a Brooklyn, New York, l’11 gennaio scorso. È stato trovato impiccato, come riferisce la famiglia e la polizia. Un ragazzo di appena 26 anni che aveva contribuito alla nascita del popolare sito di sharing-news, Reddit, successivamente acquistato dalla potente Condè Nast, proprietaria tra l’altro del popolare magazine Wired.

A 14 anni ha inventato l’RSS 1.0, un sistema che permette di sottoscrivere e organizzare le informazioni online, usato da quasi tutti i siti di informazione del mondo. Partecipò anche al progetto Creative Commons. A soli 20 anni deteneva già un patrimonio cospicuo, di questo non si poteva lamentare. Ma le battaglie di quello che viene definito un “hacktivista” (non chiamatelo smanettone, come ha impropriamente fatto Angelo Acquaro su Repubblica) non erano rivolte fortunatamente al profitto personale ma a rompere le catene che imbrigliano l’informazione e la condivisione di idee. E di documenti, stipati negli archivi chiusi di società private.

In molti hanno parlato della forte depressione di Aaron, riferendosi soprattutto a questo lungo e doloroso post che ha scritto nel 2007. Un suicidio è ovviamente la conseguenza di qualcosa di oscuro, ma cosa avrebbe spinto una mente così brillante a farla finita? I familiari, in una commovente lettera postata sul sito costruito per commemorare la morte del programmatore, accusa sia il MIT che il procuratore generale del Massachusetts, Carmen Ortiz: “La morte di Aaron non è semplicemente una tragedia personale”, si legge in una nota ufficiale firmata dai genitori, dai fratelli e dalla fidanzata. “La sua morte è il prodotto di un sistema giudiziario criminale. Decisioni prese da funzionari nell’ufficio del Procuratore Federale”.

Aaron rischiava 35 anni di galera, accusato di ben tredici infrazioni informatiche, tra cui quella di aver prelevato più di 4 milioni di articoli dall’archivio privato Jstor, del Massachusets Institute of Technology, il MIT. Di qui la causa, le accuse e le pesanti spese legali, sostenute in parte da una raccolta fondi del sitofree.aaronsw.com. Il problema è che le accuse stesse erano sospette: l’attivista in realtà non aveva hackerato l’archivio, aveva semplicemente prelevato i documenti, dopo essersi registrato. Per prelevarne così tanti aveva modificato gli indirizzi IP dei computer che stava utilizzando.

Solo due giorni prima del suicidio aveva dichiarato di voler rilasciare 4,8 milioni di documenti. Si era dichiarato non colpevole, il processo sarebbe dovuto iniziare nel 2013. Bisogna ricordare che questo archivio aveva un valore commerciale assai limitato. Il MIT denuncia l’accaduto, la procura fa il suo lavoro. Aaron viene arrestato due anni fa ma poi restituisce l’archivio, che voleva divulgare gratuitamente: Jstor ritira la denuncia. Ma per la procura non basta: “Rubare è rubare sia che lo si faccia con un grimaldello che con il comando di un computer”, dice Carmen Ortiz, il procuratore che ha chiesto 35 anni di galera con l’accusa di frode informatica.

Un attivista per la libertà, terrorizzato di perderla. Chi ha ucciso, quindi, Aaron Swartz? Il MIT? Il sistema giudiziario americano? Il ragazzo ha dato l’affondo finale, ma in molti pensano che questa brutta storia sia costruita da pezzi di un sistema volto a punire eccessivamente i reati di frode informatica. Minacciare un ragazzo di 26 anni con decine di anni di galera per aver prelevato dei documenti ad alcuni pare troppo. Certo, era duro con gli amici e con se stesso, soffriva di depressione, come racconta l’autore Cory Doctorow in un commovente ricordo, ma non meritava sicuramente questa fine. Swartz andava punito secondo l’immortale regola del “colpirne uno per educarne molti”. Ma la rete non si educa, anzi, si mobilita, anche in Italia.

Ad esempio Lawrence Lessig, avvocato e professore di Harvard, amico e confidente di Swartz, ha scritto un lungo e appassionato post sul suo blog riguardo la morte dell’attivista. Ha attaccato il sistema giudiziario, che secondo lui ha portato il ragazzo sempre più in basso: “Abbiamo bisogno di un maggior senso di giustizie e di vergogna. Il comportamento del pubblico ministero è stato assurdo. Fin dall’inizio il governo ha dipinto quello che ha fatto Aaron in maniera davvero eccessiva. La ‘proprietà’ che Aaron aveva ‘rubato’, ‘valeva milioni di dollari’, ci avevano detto. Articoli accademici: chi dice che valgono molto in termini monetari o è un idiota o un bugiardo. Il governo ha trattato la faccenda come se avesse catturato un terrorista in flagrante durante l’11 settembre 2001”.

La tragica dipartita di Aaron Swartz ha mobilitato persino Anonymous in un attestato di stima che non ha mancato però di avere forti connotazioni polemiche. Senza modificare il proprio modus operandi, il celebre team di hacking ha sostituito la pagina del Massachusetts Institute of Technology in nottata (ora non è più raggiungibile) proprio in memoria del giovane attivista, accusato di aver rubato documenti pubblici dall’archivio dell’istituto, reato per cui erano stati chiesti 30 anni di prigione.

Anonymous sottolinea come la persecuzione di Swartz sia stata “un grottesco errore giudiziario” che “mette in luce le ingiustizie delle leggi statunitensi contro il crimine informatico, in particolare i loro regimi punitivi, e i questionabili accordi pre-processuali”. Proprio per questo viene richiesto un rinnovamento, serie modifiche all’attuale legislazione che ha portato il giovane Swartz a una così drastica decisione. “Che il governo abbia contribuito al suo suicidio oppure no, la persecuzione di Swartz è stata un grottesco errore giudiziario, un’ombra distorta e perversa della giustizia per cui Aaron è morto combattendo, liberando la letteratura scientifica pubblicamente finanziata da un sistema di pubblicazione che la rende inaccessibile alla maggior parte delle persone che hanno contribuito, aiutando il miglioramento collettivo del mondo e facilitando la condivisione di un’idea che tutti dovremmo supportare” si legge in parte del messaggio lasciato sul sito del MIT.

Dai messaggi di cordoglio su Twiiter, tra cui quello di Tim Berners-Lee, al memoriale su Tumblr, i ricercatori stanno pubblicando gratuitamente i documenti riguardo i loro studi con l’hashtag #pdftribute. Una mobilitazione enorme, portata avanti anche dal blogger dell’Huffington Post e attivista del Tor Project Andrea Stroppa, che ha lanciato una raccolta di documenti di interesse pubblico: i proprietari dei file potranno diffonderli gratuitamente attraverso il web.

Una delle testimonianze arriva dalla ragazza di Swartz, Quinn Norton: “Eravamo distrutti dall’indagine, alla fine mi disse di allontanarci. L’ho lasciato andare, aspettando il giorno in cui sarebbe tornato. Sapevo per certo che un giorno saremmo tornati insieme, anche come semplici amici. Iniziò un nuovo rapporto, era una persona che ti toccava l’anima”. Aaron Swartz non c’è più, ma è diventato il vero simbolo per di una libera condivisione delle informazioni.

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Il giudice candidato getta un’ombra sulla sua attivita’

Il giudice candidato getta un’ombra sulla sua attivita’

 di: Massimo Fini Pubblicato il 14 gennaio 2013

 Critiche e dubbi su Ingroia e altri magistrati candidati alle elezioni: possono anche essersi comportati nel modo più corretto e imparziale ma al cittadino resta il legittimo dubbio che abbiano svolto il suo delicatissimo lavoro “per favorire gli interessi di parte” di una formazione politica. Opinione di Massimo Fini

Antonio Ingroia alla presentazione del suo progetto politico Rivoluzione Civile.

ROMA (WSI) – Alle prossime elezioni si presenteranno come candidati numerosi magistrati – Grasso (PD), Ingroia (Rivoluzione Civile), Dambruoso (Lista Monti), per dire dei più noti – che fino a pochi giorni fa erano in piena attività nell’amministrazione della giustizia. Si tratta di un’aberrazione. Un magistrato non dovrebbe entrare in politica perché questo getta un’ombra sulla sua attività pregressa. Il magistrato puo’ anche essersi comportato nel modo più corretto e imparziale ma al cittadino resta il legittimo dubbio che abbia svolto il suo delicatissimo lavoro non ai fini superiori della giustizia ma per favorire gli interessi di parte della formazione politica con cui si è candidato.

 Questo dubbio basta per inficiare tutta la sua attività di magistrato. Come la moglie di Cesare non solo deve essere onesta ma deve anche apparirlo, così un magistrato non solo deve essere imparziale ma deve anche apparire tale. E se si immerge nella lotta politica questa apparenza di imparzialità si dilegua. Tra l’altro poiché tutti i magistrati che abbiamo citato si sono candidati in formazioni di sinistra o di estrema sinistra, si finisce per dare ragione a Berlusconi quando delira sui complotti delle ‘toghe rosse’ ai suoi danni e sostiene che esiste un ‘partito dei giudici’.

 Dice : i magistrati sono cittadini come tutti gli altri e ne hanno quindi gli stessi diritti, anche quello, dismessa la toga, di fare politica attiva. I magistrati non sono cittadini come tutti gli altri é la loro delicatissima funzione, che può incidere sulla libertà e l’onorabilità delle persone, che impone loro dei limiti e dei doveri che i normali cittadini non hanno. Uno dei provvedimenti che dovrebbero essere presi nella prossima legislatura – ma è una utopia sperarlo- è una legge che impedisca ai magistrati, lasciata la toga, di entrare nella politica attiva o quantomeno che imponga un congruo lasso di tempo (cinque anni) fra l’abbandono della toga e il loro impegno attivo in politica. In questi cinque anni possono fare di tutto : gli avvocati, i pittori, i carpentieri ma non i politici.

 Lo stesso discorso vale per le ‘esternazioni’ dei magistrati in carriera. Anche qui il limite alla libertà di espressione garantito a tutti i cittadini dall’articolo 21 della Costituzione è dato dalla loro funzione. Ci sono soggetti istituzionali che proprio a cagione dell’ufficio che svolgono hanno più doveri e quindi più limiti degli altri. Il Presidente della Repubblica è, come la Magistratura, un organo di garanzia, anzi il massimo organo di garanzia. 

 Il suo primo dovere è quello di essere, e di apparire, imparziale. Non può dire «il partito Tal dei Tali non mi piace », anche se lo pensa, deve limitarsi a sussurrarlo in un orecchio a sua moglie. Oggi invece assistiamo ad un profluvio di dichiarazioni ‘politiche’ da parte dei magistrati, in convegni, in dibattiti, in conferenze stampa, nei talk show, e spesso su procedimenti in corso e addirittura su procedimenti di cui hanno la titolarità. Ci furono tempi, non poi tanto lontani, in cui il magistrato parlava solo ‘per atti e documenti’. Erano, appunto, altri tempi. Di un’Italia più sobria, meno narcisista e più civile. 

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Venezuela: 27 Paesi a fianco del governo di Chávez

Giudici respingono pretese dell’opposizione – Opposizione alla mercé deglisponsor stranieri – Chávez patrimonio dei popoli latinoamericani
Caracasa 10/1 – Il Tribunale Supremo di Giustizia ha proclamato che non esiste nessuna invaliditá nel fatto che il ri-eletto presidente Chávez non possa assumere oggi la carica, a cui 8 milioni e mezzo di cittadini l’hanno votato nel dicembre scorso. La cerimonia puó essere effettuata in altra data. In primo luogo perché Chávez giá esercita la massima funzione del potere politico, poi perché é un pretesto giuridico -privo di fondamento- che la volontá degli elettori possa essere annullata per il fatto che non “puó giurare” nel corso della giornata del 10 di dicembre.
Con ogni evidenza, si tratta di una forzature interessata o fuga per la tangente, da parte del settore piú reazionario della dirigenza opossitrice, illusa di poter annullare con un cavillo da azzeccagarbugli arraffoni il risultato avverso d’un duro verdetto degli elettori venezuelani. Vorrebbero che il formalismo avesse la meglio sulla sostanza e sulla materialitá della volontá popolare.

Il massimo organo costituzionale del Venezuela si é espresso in modo opposto ai desideri di chi si arrampica sugli specchi, e cerca di rimuovere che sono la minoranza dello spettro politico e sociale. Questo dato é stato riconfermato venti giuorni fa, dove nelle elezioni regionali sono riusciti ad affermarsi solo in 3 regioni si 23. Il catastrofico gruppo dirigente anti-Chavez con un’ennesima fuga in avanti -prima del verdetto del Tribunale Supremo- aveva inviato un appello alle ambasciate straniere. 

Saltando le istanze giuridiche nazionali, l’opposizione ha giá fatto ricorso all’Organizzazione degli Stati Americani, invocando sanzioni contro il Venezuela. Le intenzioni scoperte di questo modo di agire, da un lato servono a sviare l’attenzione dalle ripetute sconfitte, dall’altro sanno che raccolgono in modo automatico l’appoggio mediatico internazionale. Preferiscono il tifo interessato esterno alla conquista del consenso interno, e sottovalutano il prezzo del ridursi a protesi degli soliti e arcinoti sponsor globalisti.

E’ sorprendente come le informazioni diramate dagli Stati Uniti e dall’Europa sembrano riprodurre alla lettera il medesimo clichet: varia solo il titolo e qualche dettaglio di contorno. Ignorano ed occultano il responso del massimo organo cotituzionale, perché piú della costistituzionalitá e del rispetto della legalitá, privilegiano lo scandalo mediatico e la diffamazione d’un  Paese sotto tiro da 14 anni.

27 Paesi latinoamericani e dell’area caraibica, peró, erano presenti alla manifestazione di solidarietá di ieri, rappresentati da 3 capi di  Stato e ministri degli esteri. Il blocco regionale sudamericano sta al lato della legalitá e con il governo di Caracas. “Chávez non appartiene solo al popolo venezuelano, é unpatrimonio dei popoli latinoamericani” hanno detto durante le allocuzioni alla numerosa folla festante accorsa attorno alla residenza presidenziale di Miraflosres.    

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NUCLEARE/ Valsusa, continuano i trasporti di scorie: e in caso di incidente popolazione a rischio

NUCLEARE/ Valsusa, continuano i trasporti di scorie: e in caso di incidente popolazione a rischio

 

 

 

 

Notizie – Italia

Scritto da Maurizio Bongioanni

Lunedì 14 Gennaio 2013 

Il passaggio era previsto per la notte tra il 13 e il 14 gennaio. Ma arrivata la “soffiata” ai membri del movimento antinucleare, il treno incaricato di trasportare scorie radioattive da Vercelli a Le Hague (Francia) ha rimandato il suo passaggio. Passaggio che comunque avverrà nel giro di questa settimana, forse la notte stessa della pubblicazione di questo articolo, come d’altronde hanno deciso in gran segreto la delegazione di responsabili e i Dirigenti della Pubblica Sicurezza vercellesi di ritorno la scorsa settimana da Parigi.

 

di Maurizio Bongioanni

Una cosa è certa: su questo particolare tipo di trasporto bisogna far sapere il meno possibile. L’obiettivo dichiarato delle prefetture è quello di non lasciarsi sfuggire informazioni circa la localizzazione del treno e quindi di scongiurare manifestazioni lungo la tratta che potrebbero, a detta loro, aumentare il rischio di incidenti. Come ha sostenuto l’assessore all’ambiente della Regione Piemonte, Roberto Ravello, a un “Tavolo di Trasparenza nucleare” in cui disse che“una popolazione informata rappresenta un pericolo per la sicurezza”.

Ma così facendo i Comuni interessati dal passaggio non conoscono nemmeno le procedure di evacuazione in caso di emergenza. Tanto da spingerne alcuni – il primo è stato Villarfocchiardo – a presentare un ricorso contro il Governo centrale, la Regione Piemonte e le prefetture per mancata informazione (basti pensare che il Consiglio dei Ministri, nel 2006, ha disposto l’informazione ex post, cioè dopo eventuale incidente). Senza parlare del fatto che far correre alla nazione un simile rischio significa vanificare il risultato di un referendum in cui il popolo sovrano ha dichiarato non solo di non voler centrali nucleari sul proprio territorio ma, come spesso si tende a dimenticare, di non voler correre alcun pericolo connesso al nucleare.

I convogli di cui stiamo parlando trasportano materiale irraggiato oltre il confine francese, all’interno della centrale nucleare gestita dall’Areva, a Le Hague appunto. Areva, tra l’altro, è la stessa azienda che ha progettato la realizzazione di diverse centrali nucleari in Italia. Per essere trasferite, le barre vengono caricate su appositi tir dal deposito di Saluggia e trasportate poi alla stazione di Vercelli dove vengono caricate su appositi convogli – denominati Castor – e dopo aver attraversato Novara e Mortara transitano lungo la Valsusa.

Qui incontrano spesso le proteste dei valligiani che dal 2011 si oppongono al passaggio di materiale radioattivo. Alla protesta si aggiunge la voce dei ferrovieri francesi, stanchi della disinformazione legata al rischio che incorrono venendo a contatto con questi convogli.

trasporto-scorie-radioattiveL’ultima spedizione però non è avvenuta verso la Francia ma -e questo risale a poche settimane fa – dal porto di Trieste: qui infatti sono arrivate le scorie da Saluggia ed esse sono state convogliate con quelle provenienti dalla Germania. Successivamente caricate su una nave merci, le scorie hanno preso il largo verso gli Stati Uniti.

Inutile qualunque commento relativo al rischio di disastro ambientale se mai una nave fosse affondata lungo il tragitto.

Il nostro Paese deve sistemare 80-90mila tonnellate di scorie. In parte sono all’estero a vetrificare, in parte le produciamo ancora (negli ospedali ad esempio). A Saluggia ci sono ancora il due per cento delle barre di combustibile irraggiato che facevano andare il reattore. L’Italia è l’unico Paese al mondo a non aver ancora indicato un sito di stoccaggio permanente delle scorie sebbene la legge ne abbia ordinato l’apertura già dal 2008.

Ma il problema del trasporto di rifiuti radioattivi – trasporto che serve a far guadagnare tempo al nostro Paese e rimandare le soluzioni a un imprecisato futuro – è un vizio che l’Italia ha già da prima della cessata attività nucleare voluta dal referendum del 1987: in quegli anni infatti venivano spedite a Sellafield, in Gran Bretagna. Poi nel 2007, l’allora Ministro allo Sviluppo Luigi Bersani firmò un accordo economico con il suo corrispettivo francese per l’invio di 235 tonnellate di combustibile irraggiato entro il 2015 per il riprocessamento e relativa vetrificazione, mentre il rientro degli scarti dovrà avvenire tra il 2020 e il 2025. Un accordo economico, insomma.

Una speculazione, per dirla con parole povere dal momento che per l’Italia si tratta di una spesa di 250 milioni, spesa destinata a salire. Nessuno sa spiegare cosa ci guadagni l’Italia. Forse si capirà approfondendo maggiormente l’aspetto militare: infatti il riprocessamento prevedere l’estrazione di plutonio dalle barre per essere reimpiegato a fini militari, in particolare nell’impiego di bombe atomiche.

Parliamo dei rischi. In caso di incidente, nel raggio di cinquanta metri si sprigionerebbe un’ondata radioattiva pari a 5,83 Sv (Siviert, l’unità di misura della radiazione). Secondo le tabelle scientifiche 6 Sv equivalgono a una morte certa. A duecento metri la radiazione scenderebbe a 3,47 Sv. I treni merci sono progettati per resistere a urti con velocità di cinquanta chilometri all’ora e a cadute non superiori ai nove metri.

Inutile dire che i percorsi di montagna sfiorano strapiombi ben più profondi di nove metri. I Castor vengono testati per resistere a cadute di nove metri su superficie piana, a un fuoco di ottocento gradi per mezz’ora e a un’immersione in duecento metri d’acqua per un’ora.

Molte associazioni, come ad esempio la rete francese Résau Sortir du nucléaire, giudicano questi test inaccettabili in un contesto di trasporto di scorie radioattive: incidenti frontali con mezzi di trasporto carichi di idrocarburi, la caduta da un ponte su una superficie irregolare o un affondamento in acque più profonde supererebbero di gran lunga le aspettative dei test. Inoltre, la dispersione anche di un solo grammo di plutonio in aree urbane provocherebbe l’evacuazione di migliaia di persone.

E a Saluggia di plutonio se ne trovano circa cinque chili.

 

MINISTERO ESTERI/ Oltre un milione di euro agli “enti” di politici e banchieri. E spunta la Trilateral

Inchieste – Italia

Scritto da Carmine Gazzanni

Lunedì 14 Gennaio 2013 

Da Giuliano Amato a Piero Fassino. Da Franco Frattini a Enrico Letta. E poi, ancora, Roberto FormigoniGiuliano PisapiaGianni De MichelisLivia TurcoLuciano Violante. Tanti sono i politici “coccolati” dal ministro degli Esteri Giulio Terzi Sant’Agataattraverso il finanziamento di oltre un milione di euro per i cosiddetti “enti internazionalistici”. Tutte queste associazioni, infatti, vedono nei consigli direttivi politici di destra e di sinistra (spesso lo stesso politico anche in due o tre comitati diversi). Più – particolare non da poco – tutto il gotha della finanza italiana. E, come vedremo, non solo italiana: sputano, infatti, anche tanti membri della Commissione Trilaterale.

 di Carmine Gazzanni

Se c’è una cosa che accomuna politici di destra e di sinistra, tecnici e non, sindaci e onorevoli, è la passione per gli affari esteri. Almeno questo è quello che sembra andando a vedere a chi finiranno i finanziamenti disposti dal ministro Giulio Terzi Sant’Agata e divisi tra i cosiddetti “enti internazionalistici”, i quali – come prevede la legge del 28 dicembre 1982 – “sono ammessi al contributo annuale ordinario dello Stato” per aver svolto “attività di studio, di ricerca e di formazione nel campo della politica estera o di promozione e sviluppo dei rapporti internazionali”.

Tutto secondo legge, insomma. Eppure quando leggiamo che è stato disposto che laSIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale) riceverà 92 mila euro e che Presidente dello stesso ente è l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, che vice presidente è l’ex ministro del governo Amato Giovanni Conso e che nel consiglio direttivo compaiono anche i nomi dell’attuale capo della Farnesina Giulio Terzi Sant’Agata e del suo secondo, il Segretario generale del ministero Giuseppe Massolo, qualche domanda sorge spontanea. Specie se consideriamo un’altra piccola coincidenza. La SIOI è tra i diciannove enti beneficiari del finanziamento, “sottoposti alla vigilanza del ministero degli Affari Esteri”. Curioso, dunque, che nei comitati direttivi compaiano proprio quelli che dovrebbero vigilare sugli enti (Terzi e Massolo). Ma non è questo l’unico caso. Anche il sottosegretario Marta Dassù ricopre la duplice veste di controllata e controllore: membro del comitato direttivo dell’Istituto Affari Internazionali (a cui andranno 92 mila euro), ma anche del comitato strategico dell’Ipalmo (insieme, peraltro, a Luca Barbareschi e al viceministro del LavoroMichel Martone), che beneficerà di 50.600 euro.

Quello tra gli enti internazionalistici, insomma, è un viaggio che regala tante sorprese. Un ultimo regalo “tecnico” bipartisan alla classe dirigente. Basta andare a spulciare gli organi direttivi per rendersi conto di come la politica, anche qui, faccia il bello e il cattivo tempo. Insieme alla SIOI, 92 mila euro saranno consegnati anche all’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) e al già citato IAI, i cui consigli direttivi – appunto – pullulano di politici.

ruberie_ministero_esteriPer quanto riguarda il primo spiccano i nomi del Presidente della Provincia di Milano Guido Podestà, del sindacoGiuliano Pisapia e del delegato di Formigoni per le Relazioni Internazionali Roberto Ronza (che, peraltro, è anche membro del comitato organizzatore del meeting di Rimini). Per quanto riguarda invece l’IAI abbondano i parlamentari: da Adolfo Urso (Fli) agli onorevoli Pdl Alfredo Mantica e Margherita Boniver. Per non parlare dei democratici: Emma Bonino,Enrico Letta e Piero Fassino.

I soldi in palio, peraltro, non sono affatto pochi. I diciannove enti “sottoposti alla vigilanza del ministero degli Affari Esteri” godranno di 515 mila euro di “contributi ordinari”, più altri 196 mila euro di non meglio precisati contributi straordinari (“a favore di singole iniziative di particolare interesse o per l’esecuzione di programmi straordinari”), per un totale di 711 mila euro. La cifra stanziata dalla Farnesina, però, è molto più alta: un milione e 366 mila euro, a cui ci si arriva tramite due ulteriori finanziamenti. Cento mila euro per l’Unidroit (Istituto Internazionale per l’Unificazione del Diritto Privato) e 555 mila per la Società Dante Alighieri (il cui vice presidente, non a caso, è l’ex sottosegretario Gianni Letta).

Nonostante i tanti enti beneficiati, però, sembra che i nomi di calibro siano sempre gli stessi. Ecco allora che il presidente dell’Ipalmo (Istituto per le Relazioni tra l’Italia e i Paesi dell’Africa, America Latina, Medio e Estremo Oriente) è l’ex ministro Gianni De Michelis, il cui nome, però, compare anche nel comitato esecutivo dell’Aspen Intitute– ente che riceverà 18.400 euro – insieme, peraltro, a quello di altri “big” della politica come Giuliano Amato, il premier Mario MontiGianni LettaLorenzo Ornaghi,Romano Prodi e quello del presidente Giulio Tremonti.

Stesso discorso, ancora, per Giuliano Amato: oltre ad essere membro dell’Aspen, è anche consigliere della Fondazione Lelio e Lisli Basso (insieme a Luciano Violante e al ministro Fabrizio Barca), presidente del Centro Studi Americani e socio fondatore della Fondazione Rosselli. Tutti enti che riceveranno 9.200 eurocadauno. Anche l’ex ministro Franco Frattini non si accontenta di un solo incarico. E allora, oltre ad essere a capo della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, presiede la Fondazione De Gasperi (18.400 euro) ed è membro – anche lui – del comitato esecutivo dell’Aspen.

Come detto, però, gli incarichi direttivi sono assolutamente bipartisan. E infatti, se a destra sono piazzati più che bene, a sinistra non possono certo lamentarsi. A cominciare dal sindaco di Torino Piero Fassino: membro dell’IAI, membro del consiglio di presidenza del Cespi (Centro Studi Politica Internazionale, 32.200 euro) e vicepresidente dell’Ipalmo. L’antifona non cambia se ci spostiamo su Enrico Letta: con Fassino siede nel comitato direttivo dell’IAI e in quello del consiglio di presidenza del Cespi (insieme, peraltro, ad altri democratici come Livia Turco e l’europarlamentareGianni Pittella). In più è vicepresidente dell’Aspen Institute.

Accanto ai nomi di politici abbondano anche quelli dell’alta finanza. A cominciare da quello del Direttore Generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni, membro del comitato direttivo dell’IAI insieme a Innocenzo Cipolletta (ex Presidente di Ferrovie dello Stato, de Il Sole 24 Ore ed ex direttore generale di Confindustria) e Marco Forlani(direttore delle relazioni esterne di Finmeccanica). Per quanto riguarda, invece, l’ISPI compaiono, tra gli altri, i nomi di Franco Bernabè (ad Telecom), di Paolo Andrea Colombo (presidente Enel), Enrico Tommaso Cucchiani (consigliere Intesa San Paolo), Giuseppe Orsi (Presidente Finmeccanica), Andrea Merloni (presidente Indesit), Carlo Peretti (Presidente Vodafone), Giuseppe Recchi (presidente ENI),Carlo Salvatori (presidente Allianz) e Giuseppe Vita (presidente Unicredit). Il discorso non cambia se ci spostiamo sull’Aspen: oltre al già citato Giuseppe Recchi, anche Fedele ConfalonieriCesare RomitiJohn ElkannEmma Marcegaglia , il presidente della Bnl Luigi Abete e l’ad di Enel Fulvio Conti.

Tutti insieme appassionatamente, insomma. E non solo in enti nazionali. Molti di questi, infatti, sono anche membri dell’organizzazione internazionale privata dellaCommissione Trilaterale. A cominciare dal vice di Giancarlo Aragona (ex vicecapo di Gabinetto della Farnesina e oggi presidente dell’ISPI), il dottor Paolo Magri, che ricopre la carica – come si legge dal suo curriculum – di segretario del Gruppo Italiano.


Un’incredibile rete di interessi e di poltrone, dunque, che supera anche i confini partitici. Non c’è politica che tenga quando di mezzo c’è l’amore per l’estero. Pura e semplice “esterofilia”.Gruppo in cui rientrano, tra gli altri, anche il presidente dell’IAI Stefano Silvestri (in passato Sottosegretario di Stato alla Difesa, consigliere del Sottosegretario agli Esteri incaricato per gli Affari Europei e consulente della Presidenza del Consiglio sotto diversi governi), gli onnipresenti Enrico Letta eMarta Dassù e il professor Carlo Secchi(anche lui, come Magri, vicepresidente dell’ISPI).

Gruppo in cui rientrano, tra gli altri, anche il presidente dell’IAI Stefano Silvestri (in passato Sottosegretario di Stato alla Difesa, consigliere del Sottosegretario agli Esteri incaricato per gli Affari Europei e consulente della Presidenza del Consiglio sotto diversi governi), gli onnipresenti Enrico Letta eMarta Dassù e il professor Carlo Secchi(anche lui, come Magri, vicepresidente dell’ISPI).

Un’incredibile rete di interessi e di poltrone, dunque, che supera anche i confini partitici. Non c’è politica che tenga quando di mezzo c’è l’amore per l’estero. Pura e semplice “esterofilia”.

 

Altro crollo, il quindicesimo di fila, della produzione industriale

 

La crisi non molla la stretta sulle imprese. La produzione industriale a novembre ha registrato un calo del 7,6% su base annua (dato corretto per gli effetti di calendario) e dell’1,0% rispetto a ottobre. Lo rileva l’Istat. È il quindicesimo ribasso consecutivo su base annua, con la discesa tendenziale che accelera a confronto con il mese precedente.

Soffre l’auto: meno 19,1% in 11 mesi: La produzione industriale di autoveicoli ha segnato a novembre un meno 13,9% tendenziale, secondo l’indice grezzo calcolato da Istat, e meno 19,1% in 11 mesi. L’indice corretto per gli effetti di calendario, invece, (con 21 giorni lavorativi come a novembre 2011) ha segnato -14,1% tendenziale e -19,6% in 11 mesi.

Variazioni negative in tutti i settori: A novembre 2012 – spiega l’Istat – l’indice corretto per gli effetti di calendario registra, rispetto a novembre 2011, variazioni negative in tutti i settori dell’industria. Le diminuzioni maggiori riguardano la fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche, altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (-16,9%), la fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (-10,5%), la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (-9,3%) e la metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti (-8,4%).

FONTE ORIGINALE: /WWW.ILSOLE24ORE.COM

 

Il “pentimento” dell’avvoltoio

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Articolo di Luciano Lago

schermata 2012-11-29 alle 12.05.26 Il FMI (fondo monetario internazionale) l’istituto finanziario internazionale che piomba come un avvoltoio sui paesi indebitati, ultimamente per mano del suo capo economista Olivier Blanchard, assieme al collega Daniel Leigh, ha scritto e pubblicato un rapporto in cui si afferma che il Fondo ha sbagliato formulando, chiedendo e imponendo l’austerità alla Grecia, senza capire quali sarebbero stati i risultati.

I cervelloni del FMI adesso riconoscono di aver “sbagliato” nel chiedere tagli massicci alla spesa pubblica, quindi alla spesa per le pensioni (dimezzate per effetto dei tagli), ai salari dei dipendenti pubblici, alla spesa sanitaria ed all’assistenza, poiché questo non ha provocato, come prevedevano nei loro calcoli, un ritorno alla crescita ed alla occupazione ma al contrario c’è stato in Grecia una drastica contrazione dell’economia di oltre l’8% ed una crescita del debito fino al 175% del PIL.

La “cura” dell’austerità, prevista e predicata dai cervelloni del FMI a cui si sono associati in coro i responsabili della BCE e della Commissione europea, ha provocato una catastrofe umanitaria in Grecia con centinaia di migliaia di malati deceduti per mancanza di medicinali e di assistenza, con milioni di famiglie ridotte in miseria e costrette a tagliare gli alberi e bruciare la legna in casa per riscaldarsi, provocando numerosi incendi ed incidenti mortali con fortissimo aumento dell’inquinamento ad Atene, con una emigrazione di massa di migliaia di persone fuggite dal paese per disperazione. La distruzione di un paese europeo.

La stessa cura di austerità prescritta che sta portando risultati simili, anche se ancora non così disastrosi, in Portogallo, in Spagna ed in Italia ma sufficiente a provocare recessione, perdita di milioni di posti di lavoro, tagli sostanziali all’assistenza e sanità, disoccupazione ai massimi livelli, centinaia di migliaia di “esodati” over 50 senza pensione né lavoro, emigrazione massiccia dei giovani, chiusura di 150.000 piccole aziende e fuga delle imprese industriali all’estero, situazione di miseria per pensionati e famiglie della già classe media.

I signori del FMI hanno “sbagliato” ma non si assumono responsabilità per quelli che sono veri crimini contro l’umanità, non si dimettono dai loro incarichi per i quali percepiscono lucrosi stipendi e tanto meno verranno mai processati per quello che hanno causato.

Lo stesso vale per i burocrati della Commissione Europea che stanno provocando in Europa (grazie all’euro che ha determinato l’indebitamento di buona parte degli stati nazionali) la più grave recessione mai vista dal dopoguerra. D’altra parte bisogna considerare che la crisi era prevista e voluta dall’oligarchia tecno finanziaria di Brussels e Francoforte poiché mediante questa hanno ottenuto la cessione di sovranità da parte degli stati nazionali che è passata nelle mani dei tecnocrati di Brussels (non eletti da nessuno) per mezzo di trattati come quello di Lisbona e successivamente il Fiscal Compact ed il MES (trattato di stabilità).
Lo avevano detto chiaramente i fiduciari dell’oligarchia come il prof. Monti: “ci vuole una crisi per cedere sovranità all’Europa”. Vedere per credere.
http://www.youtube.com/watch?v=nTHN0yitxBU

I parlamenti nazionali sono del tutto privi di poteri essenziali poiché la normativa europea è prevista come preminente rispetto alle leggi degli Stati nazionali e persino la costituzione, come accaduto in Italia, questa è stata modificata e resa inoperante in molte sue parti poiché sostituita dai trattati europei.

Del tutto inutili quindi le “sceneggiate” elettorali, come avviene oggi in Italia , che servono soltanto ai politici locali per assicurarsi posti e privilegi senza alcuna possibilità di emanare leggi e provvedimenti che non siano concordati con le autorità di Brussels persino nelle questioni di politica agricola ed alimentare.

Bisogna però dire che alcuni paesi europei hanno “mangiato la foglia”, quei paesi non ancora entrati nel sistema dell’euro, sistema che obbliga di fatto gli stati a rinunciare alla propria sovranità monetaria con la conseguenza di dover chiedere soldi in prestito (dietro interessi) al sistema delle banche private convenzionate con la BCE.

Paesi come la Polonia, l’Ungheria, la Bulgaria ed i paesi del Baltico (come Lettonia e Lituania), per i quali era previsto l’ingresso nell’area euro entro il 2012, hanno dato uno stop ed hanno dichiarato di essere ormai contrari a cedere la propria sovranità alle autorità di Brussels. Continueranno ad emettere la loro moneta nazionale senza dover pagare gli interessi alle banche della BCE.(chiamali stupidi!).
http://www.corriere.it/esteri/12_settembre_16/eurozona-no-grazie-frenate-bulgaria-repubbliche-baltiche-polonia_9cb60b0a-fff0-11e1-8b0a-fcb4af5c52c7.shtml

Il Italia abbiamo il “vantaggio” di avere al governo un personaggio come Monti (diretto fiduciario della tecnocrazia di Brussels), convinto monetarista ed assertore delle politiche di “rigore” il quale ha dichiarato poco tempo fa che l’euro è stato un “successo per la Grecia”. Vedere per credere.
http://www.youtube.com/watch?v=Qq7omxEXhR8

Ci chiediamo se si potranno mai portare un giorno queste persone, come autori di crimini quali la riduzione del popolo in miseria, davanti ad un processo con una giuria popolare eletta fra i cittadini ? Noi speriamo di si, ma ci vorrebbe una sollevazione popolare per farlo ed una coscienza del baratro nel quale stiamo tutti precipitando.

http://www.stampalibera.com/?p=58463

 

Finanza non credibile: mezzo milione di errori a Wall Street

Fabrizio Goria

436.702 incidenti. È questo l’impressionante numero di errori, dal 2008 a oggi, rilevato nella notte da Bats, la terza più grande piattaforma di negoziazione borsistica statunitense . 
Colpa di un modello di pricing, cioè di formazione del prezzo, che si è rivelato pieno di bachi. Una sconfitta per la società il cui acronimo è, per uno strano gioco del destino, Better Alternative Trading System. Una sconfitta, soprattutto, per tutti i clienti istituzionali di Bats che si fidavano della società. Una sconfitta per i mercati finanziari.

La vicenda ha del paradossale. Bats è il terzo operatore di Borsa negli Stati Uniti, nonché uno dei primi per l’High-frequency trading (Hft). Un colosso che era sul punto di quotarsi nello scorso marzo. L’Initial public offering (Ipo) fallì miseramente, provocando una reazione piuttosto irritata degli altri operatori finanziari. La storia è semplice. Il debutto sull’indice Nasdaq di Bats era fissato a 16 dollari per azione. Dopo pochi istanti dall’apertura delle contrattazioni il titolo crollò fino a zero. «Un Flash crash che non era facile prevedere», diranno poi i vertici di Bats, che ha poi ritirato la quotazione. In seguito è emerso che, a seguito di una massiva serie di errori tecnici che colpirono anche Apple, non fu possibile arginare la situazione. I vertici della piattaforma finanziaria diedero anche colpa ad alcuni fondi hedge dotati di sistemi Hft, gli stessi offerti da Bats.Ironia della sorte…

Oggi come ieri, Bats torna a essere al centro delle polemiche. Dal 28 ottobre 2008 al 4 gennaio 2013 la società ha ravvisato oltre 430.000 errori di pricing. In altre parole, hanno sbagliato i prezzi degli scambi. Il sistema che Bats ha ammesso aver fallito è il National best bid or offer (Nbbo). Tramite questo modello, utilizzato nella regolazione dei mercati finanziari americani curata dalla Securities and exchange commission (Sec), i broker sono tenuti a eseguire l’ordine dei clienti al miglior prezzo disponibile. E proprio in questo punto ci sono stati i problemi. In diversi casi il prezzo è stato più basso del modello Nbbo.Colpa del sistema di comparazione dei prezzi utilizzato da Bats. Contattata da Linkiesta, Bats ha affermato che occorrerà ancora diversi tempo per comprendere cosa sia successo. Nello specifico, ci vorrà circa un mese per passare al setaccio tutte le operazioni che sono a rischio.

Il caso di Bats solleva diversi interrogativi. Il primo di questi riguarda l’entità dell’evento. La maggior parte dei problemi è avvenuta sulla piattaforma Bats Bzx exchange, che ha un volume vicino al 9% per dell’intero mercato statunitense.Dato che il sistema di matching dei prezzi utilizzato dall’operatore non era corretto, e data l’estensione temporale del problema, è lecito domandarsi come mai il regolatore, cioè la Sec, non si sia accorta di nulla. Per quattro anni i prezzi a cui Bats eseguiva gli ordini dei clienti non erano corretti. Questo è il fatto. E solo oggi la società si è accorta di ciò.

Il secondo interrogativo riguarda la frammentazione dei mercati finanziari.L’esistenza di sistemi Hft, ovvero quelli che utilizzano sistemi di negoziazione algoritmica a elevata velocità, ha permesso di migliorare la liquidità presente nei mercati. Non solo. Le piattaforme di negoziazione alternativa, come le dark pool di cui anche Bats è proprietaria, garantiscono un’accesso a finestre di liquidità impensabili fino a pochi anni fa. Ma sia gli Hft sia le dark pool hanno il potere di amplificare gli squilibri esistenti.

Infine, c’è una terza questione. Come già successo nel caso della quotazione di Bats, il vantaggio competitivo degli Hft nei confronti dei normali sistemi di negoziazione inizia a creare distorsioni sempre più evidenti. Se nemmeno Bats, considerata dagli operatori una delle società più sicure, è esente da rischi di esecuzione, quanti altri problemi possono essere disseminati lungo i mercati finanziari? E ancora: che senso ha attivare piattaforme alternative a quelle tradizionali se poi il prezzo di esecuzione non è corretto? Tutte domande che non trovano ancora risposta. C’è una certezza, tuttavia. Come successo per J.P. Morgan, come anche per Société Générale e Ubs, tutte banche coinvolte in scandali finanziari negli ultimi anni, è chiaro che qualcosa si è rotto. A distanza di oltre quattro anni dal fallimento di Lehman Brothers, l’universo della finanza aspetta ancora di ritrovare la sua bussola.

http://crepanelmuro.blogspot.it/2013/01/finanza-non-credibile-mezzo-milione-di.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+LaCrepaNelMuro+(La+Crepa+nel+muro)

Le balle de La Stampa di Torino

 

 

 

 

Notare: hanno inserito il nome dell’autore Luigi Grassia
*dopo* la pubblicazione di questo post.
Alla Stampa che viene a leggere questo blog:
compratevi una copia del NY Times ed imparate come si fa il giornalismo.

Un piccolo sceiccato italiano del petrolio 

è (o potrebbe essere) la Basilicata. 

Questa regione nel 2012 ha estratto 5 degli 11 milioni di barili italiani 

La Stampa, 3 Gennaio 2013

In Italia si usano 1.5 milioni di petrolio al giorno.

Se fosse vero quel che dice la Stampa, 

abbiamo distrutto la Basilicata per quattro giorni
dei sette di fabbisogno nazionale prodotti in Italia.

E’ un articolo rigorosamente anonimo – come dire, chi l’ha scritto ha paura che il suo nome venga associato alle balle che scrive.  

Parte con il dire “L’Italia non e’ l’Arabia Saudita ma ha il suo tesoretto di petrolio”, che non si deve  dire “no grazie”, che bisogna darsi la “pena” di sfruttarli questi giacimenti di monnezza petrolifera e che non si deve essere “nimby”.

Peccato che l’anonimo giornalista dimentichi di dire che abbiamo melma petrolifera sottoterra e che tirandolo fuori non risolvera’ di una iota il bilancio energetico nazionale – e lo sanno pure loro!.

Peccato che l’anonimo giornalista dimentichi di dire che la parola nimby e’ stata inventata da affaristi di vario genere, inclusi i petrolieri, per schernire le popolazioni che si oppongono a interventi deliranti sui propri territori.

Chi altro deve difenderlo il territorio?

L’ONU? La Croce Rossa? Obama? I residenti, ma certo, e cosi’ e’ piu’ facile schernirli e ridicolizzarli inventandosi un insulto, mentre invece l’essere nimby per i backyard propri e degli altri dovrebbe essere una cosa di cui andare fieri.

Bene, caro anonimo giornalista.

Ci dica il suo nome, dove vive, e iniziamo da casa sua. Credo che nessuno si lamentera’ se lei ci offrisse il suo backyard per le trivellazioni.

Che ne dice? 

Lei parla di questa “Strategia Energetica Nazionale” e del petrolio che sara’ estratto con “il rispetto dei più elevati standard internazionali in termini di sicurezza e tutela ambientale”.

Ma mi faccia il piacere.

In Italia non sapete nemmeno adattarvi agli standard internazionali per i limiti emissivi che sono migliaia di volte superiore che altrove, o per le distanze di sicurezza che sono ridicole in confronto a quelle di altri, e non sapete nemmeno fare le multe a chi sgarra.

Avete presente i processi BP? Bene, quando saprete fare le multe di miliardi di dollari all’ILVA, ne riparliamo, quando saprete mettere zone di divieto di 160 km da riva sulle trivelle, ne riparliamo. Quando chi inquina finisce in galera, allora ne riparliamo.

Con tutto il marciume che c’e’ in Italia, dove mai li tirerete fuori questi “piu’ elevati standard di rispetto per l’ambiente”?

Non ci crede nessuno! Sono tutte balle di Monti, di Passera, di Clini che sono vecchi di mentalita’, di sensibilita’, di speranze.

Sono paralizzati nella melassa dei loro inciuci, dei loro calcoli politici, del cerchiobottismo e non sanno prendere le decisioni giuste ma difficili. Proprio non lo sanno fare. Sono troppo invischiati, piccoli, sporchi in affari ed accordi con i potenti per avere veramente a cuore il bene della nazione.

E come mostra questo articolo, anche la Stampa lo e’. 

Come sempre, l’Ilva parla per tutti. Non ci sono limiti adeguati, non ci sono multe ed e’ tutto gia’ passato dalle preoccupazioni dei politici. 

E’ con questa premessa che trivelliamo lo stivale?

E poi l’anonimo – quanto ignorante – giornalista tira fuori il caso di Trecate “uno dei principali centri storici” del petrolio italiano e della vicina Carpignano Sesia, un paesino con poche migliaia di persone che ha in blocco votato contro un pozzo ENI.

Il giornalista dimentica che uno dei pozzi di Trecate e’ scoppiato nel 1994 – questo ovviamente non si puo’ dire, vero? – e ci sono voluti piu’ di 10 anni per la bonifica.

Bel giornalismo! 

Infine si intervista Davide Tabarelli – quello di Nomisma che fa consulenze e inciuci con i petrolieri – come guru della faccenda che si lamenta del fatto che in tutta Italia “appena si vede in giro un geologo che saggia il terreno fioriscono i comitati del no”.

E certo, mica la gente e’ scema come lei vorrebbe farci credere, caro Tabarelli. O mica sono tutti come lei che hanno da lucrarci con il petrolio. 

Dice Tabarelli:

In Italia c’è una dorsale del petrolio e del gas che parte da Novara e poi si distende lungo l’Appennino fino in fondo alla Calabria e prosegue in Sicilia. Nel Mare Adriatico c’è una dorsale parallela offshore, da Chioggia al Gargano. In un secolo e mezzo in Italia sono stati perforati 7 mila pozzi, di cui 800 ancora attivi. Persino alle isole Tremiti, dove ci sono resistenze a trivellare, c’è già un pozzo, attivo dal 1962 senza danni per l’ambiente. La produzione italiana potrebbe facilmente raddoppiare, proprio come prevede la Strategia energetica nazionale, semplicemente perforando dove già si sa che il petrolio c’è. Invece è tutto bloccato».

E famno bene! 

Lì gli ambientalisti non vogliono i pozzi perché dicono che c’è il rischio della subsidenza, cioè che il terreno sprofondi. Ma basta entrare nella basilica di San Vitale a Ravenna per accorgersi che nei secoli c’è stata una subsidenza di un metro.In quella zona è un fenomeno naturale, l’estrazione del petrolio non c’entra. Tutti gli studi geologici dicono di no. Poi qualche singolo geologo disposto a dire che c’è pericolo lo si trova sempre.

Ma cosa dice, ma che ne sa lui, ma dov’e’ la sua obiettivita’?

Ci sono fior fiori di riviste a parlare della subsidenza indotta di Ravenna dai pozzi di metano e di acqua, e addirittura e’ L’ENI stessa a dirlo in uno studio commissionato nel 1999!

E poi ovviamente non poteva mancare il capro espiatorio della faccenda, il rifugium peccatorium, la Basilicata, descritta come “un piccolo sceiccato italiano del petrolio” che nel 

2012 ha estratto 5 degli 11 milioni di barili italiani ma ha risorse non sfruttate per altri 400 milioni di barili accertati e i tecnici valutano un potenziale di un miliardo di barili.

Ancora con la Basilicata! Ma cosa volete di piu’ dai lucani? Il sangue? Diteci.

Ma lo sa il “giornalista” che  l’Italia ne consuma 1.5 milioni di barili al giorno?

Per cui se le sue balle sono corrette, questo vuol dire che la Basilicata nel 2012 ci ha dato – sentite bene –  4 dei 7 giorni di fabbisogno nazionale prodotti in Italia!!

Ridicoli proprio – o non sanno di cosa parlano, o non ci azzeccano con i numeri.In ogni caso e’ un giornalismo che fa pena.

La fine dell’articolo e’ data a Tabarelli che dice
Io mi auguro che nel prossimo Parlamento qualcuno si prenda la responsabilità di fare una legge che dica che una volta rilasciata dal ministero la Valutazione di impatto ambientale, che in Italia è severissima, poi gli enti locali non possano sollevare altri ostacoli, e se lo fanno che vengano penalizzati.

Severissima i miei stivali.  Ne ho letti a dozzine e sparano a vanvera fatti che non stanno da nessuna parte.

Io invece, caro Nomisma mi auguro che nel prossimo parlamento non ce ne sia nemmeno uno dei politici attuali, a dare corda ad uno come lei e che questo “giornalista anonimo” torni a scuola di giornalismo.

Proprio un articolo obiettivo ed informativo questo della Stampa.
Il New York Times non e’ niente a confronto.

Microchip RFID: presto la Disney lo introdurra’ nei propri parchi

 

 

Grandi manovre all’orizzonte del Nuovo Ordine Mondiale. Anche il colosso massonico Disney partecipa all’introduzione del bodychip. Immaginate che il “posto più felice sulla terra” stia per diventare il “posto più controllato sulla terra”.

Secondo quanto riportato dal New York Times , questa primavera il Walt Disney World  di Orlando in Florida lancerà “MyMagic+”, un sofisticato sistema di gestione del soggiorno nel parco divertimenti americano, che comprenderà l’utilizzo di un braccialetto di identificazione chiamato “MagicBand.

I braccialetti di gomma, corredati di un bel chip RFID , verranno codificati con le informazioni della carta di credito del cliente, consentendo ai visitatori di acquistare i biglietti per le attrazioni, acquistare cibo e bevande, e passare attraverso i tornelli con un semplice movimento del polso.

I MagicBands potranno anche contenere informazioni personali dei clienti, come il nome di chi lo indossa e la sua data di nascita, così da favorire, secondo i piani della Disney, un’esperienza più coinvolgente all’interno del parco.

“Immaginate Topolino avvicinarsi ad un bambino e dirgli: ‘Ciao Jack, oggi è il tuo compleanno’! Questa facoltà magica amplifica la meraviglia dei partecipanti”, spiega Thomas O. Staggs, presidente della Disney Parks and Resorts .

Gli utenti potranno fornire volontariamente le informazioni personali registrandosi sul sito del parco. In questo modo, i braccialetti fungeranno anche come chiave per accedere alla propria camera d’albergo e per utilizzare il proprio posto auto.

Inoltre, i MagicBands raccoglieranno tutti i dati relativi alle attività vissute dall’utente durante il suo soggiorno nel parco: quali e quante attrazioni sono state visitate, quali e quanti acquisti sono stati fatti e con quali e quanti personaggi Disney ci si è fermati a parlare.

L’ambizioso progetto della Disney alimenta notevolmente il dibattito sulla raccolta dei dati personali. Come tutte le altre aziende, Disney vuole raccogliere quante più informazioni possibile sui suoi clienti, in modo da ottimizzare le future campagne pubblicitarie.

Disney è consapevole dei problemi legati alla violazione della privacy, soprattutto dei bambini, ma l’azienda ritiene che l’introduzione di MyMagic+ sia fondamentale, soprattutto per monitorare il comportamento della clientela nei minimi dettagli.

 

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L’introduzione di MyMagic+ ha anche destato l’attenzione dei teorici della cospirazione, secondo i quali la Disney starebbe partecipando ad una delle più grandi sperimentazioni preliminari all’introduzione del chip RFID da applicare ad ogni cittadino dell’occidente.

Secondo costoro, i motivi occulti che si nascondono dietro a questa grande operazione di marketing sarebbero almeno due: il primo, quello di testare il funzionamento del chip RFID in un “villaggio” come può essere un parco divertimento della Disney, riproduzione in scala di quella che potrebbe essere una nostra città, nella quale abbiamo la necessità di acquistare prodotti e servizi, e incontrare persone.

Il secondo motivo, molto più subdolo, sarebbe quello di cominciare ad abituare le nuove generazioni (i bambini nella fattispecie) all’utilizzo e all’apprezzamento del biochip, facendolo conoscere in un contesto di divertimento e di relax. In questo modo, gli illuminati sperano di convincere anche i genitori sull’utilità di uno strumento così innovativo (e così invasivo).

Anche tra i tifosi della Disney comincia a serpeggiare il sospetto: “Anche se so che questo tipo di tecnologia si sta facendo strada in ogni aspetto della vita, comunque continua a mettermi i brividi”, scrive Jayne Townsley su StitchKingdom.com.

Ad ogni modo, la Disney non è la prima corporation ad utilizzare braccialetti dotati di chip di identificazione a radiofrequenza. La Great Wolf Resort, proprietario di ben 11 parchi acquatici nel Nord America, ha cominciato ad usarli già nel 2006.

Ma il numero di persone che frequenta i parchi della Disney, circa 120 mila presenze l’anno, è così alto che può notevolmente condizionare il comportamento futuro dei consumatori. “Quando la Disney fa una mossa, genera cultura”, osserva Steve Brown, capo della Lo-Q, una società britannica che fornisce sistemi di gestione per le biglietterie dei parchi a tema.

Che dire… se l’intenzione è quella di sperimentare il chip RFID e di creare nei cittadini una mentalità “disponibile” ad essere equipaggiati con uno strumento che consegna la propria vita nelle mani delle corporations, allora, forse, questa volta gli Illuminati hanno segnato un colpo da maestri, per nostra sfortuna...

Fonte: ilnavigatorecurioso.myblog.it