In Amenas: rivelazioni sull’attacco terroristico

GENNAIO 20, 2013 

Mounir B. Liberte-Algerie 19 gennaio 2013

argel-rehenes

L’eccezionale operazione militare dell’ANP (Esercito Nazionale Popolare) contro il gruppo al-Muaqin bi Dima (firmatari di sangue), un gruppo creato di recente da Moqtar Belmoqtar, ha dato luogo a dichiarazioni contrastanti da parte di governi, esperti e media. 72 ore dopo il primo assalto, Liberté tenta una spiegazione del complicato caso e del sequestro industriale che l’Algeria ha dovuto gestire.

Come è stato preparato l’attacco, e perché?
L’attacco terroristico e il sequestro di ostaggi che n’è seguito, ha le sue radici in diversi eventi finora segreti, cheLiberté è ora in grado di rivelare. Si aveva il sospetto, da due mesi e mezzo, che Moqtar Belmoqtar, dissidente da AQIM e Mujao, avesse deciso di sferrare un colpo contro l’Algeria e le potenze occidentali. Paradossalmente, è stato nella Tripoli liberata… che si è tenuto il primo incontro di Belmoqtar con elementi che avevano lasciato AQIM per unirsi ad al-Multahimun (I turbanti), guidati dal capo del commando d’In Amenas, Mohamed Lamin Bushneb detto Tahir, arrivatovi con la sua organizzazione. La scelta della Libia non solo era ovvia, ma saggia.
Mentre Belmoqtar venivano indicato in Mali, Mauritania e Burkina Faso, fu sotto la benevola protezione del suo amico, l’imam Shafi, nella caotica Tripoli ancora sotto la febbre post-Gheddafi, che Belmoqtar si è recato per fare acquisti presso i suoi nuovi amici salafiti libici, che erano entrati in possesso di un arsenale impressionante. La lista della spesa di Belmoqtar era edificante: missili terra-aria (MANPADS), RPG-7, mitragliatrici di nuova generazione FMPK da 6,65 mm, montati su tecniche 4×4, AK47…
E’ stato il suo braccio destro Bushneb, che guidava l’organizzazione Figli del Sahara per la giustizia islamica, un gruppo di contrabbandieri e trafficanti di droga conosciuti nel sud-est dell’Algeria, che ha svelato questo incontro e il nascondiglio a Tripoli dove Belmoqtar è rimasto per 18 giorni senza essere turbato, né da parte del governo di transizione libico, né tanto meno dalle milizie salafite. Il capo del commando ucciso nel pomeriggio del 17 gennaio 2013, era l’uomo chiave di questa operazione. Al di là di suo pedigree jihadista (attacco contro un aeroporto militare a Djanet, nel 2008 o il rapimento di ostaggi italiani) Bushneb era colui che controllava i cartelli della droga in Libia. Questo era l’”uomo d’affari” di Belmoqtar, colui che aveva organizzato i canali di contrabbando verso la Libia.
Originario di Illizi, Bushneb conosceva ogni angolo della regione e sfruttava perfettamente le sottigliezze tribali e regionali. Conosceva domanda e offerta. Per esempio era riuscito a barattare 13 nuovi veicoli 4×4, tratti dai garage dalla guardia personale di Gheddafi, che le milizie libiche avevano depredato, contro alcune pecore, due serbatoi di kerosene e anche degli schermi al plasma! Con la rottura tra Belmoqtar e l’”emiro” Abu Zaid Belauer, voleva sferrare un colpo per imporre la sua nuova organizzazione sulla scena del terrorismo nel Sahel. Tra AQIM Mujao, Ansar al-Dine le altre fazioni indipendenti, Belmoqtar doveva ricordare a tutti che l””emiro” del Sahara era lui. Che i figli di Ghardaia avevano un’influenza con cui si doveva fare i conti. E fu Lamin Bushneb che dovette raggiungere l’obiettivo che gli avrebbe dato la fama internazionale che cercava.

Base BP: perché così tante strutture?
Scelsero il sito d’In Amenas Tiguenturin, e non fu per nulla un caso. Non solo il complesso della britannica BP era un obiettivo dal forte potenziale mediatico, ma aveva il vantaggio di essere a due passi dal confine con la Libia, da dove proveniva il commando terrorista che era entrato nel territorio algerino alle 2 di notte; e aveva anche la particolarità che vi lavoravano dei parenti dei terroristi. Liberté è in grado di rivelare che la società britannica BP impiegava, attraverso un imprenditore locale, una società per il trasporto merci che appartiene alla famiglia Ghediri, che non è altri che il fratello di … Abu Zaid, il leader di AQIM nel sud, il cui vero nome è Abdelhamid Ghediri. Bushneb vi reclutò membri della sua famiglia e la società prosperava grazie ai contratti con BP.
La società, nel quadro di una società legalmente registrata a Ouargla, incrementò la sua flotta di autocarri e di almeno 30 semirimorchi ad In Amenas per almeno 3 anni, assicurandosi anche  la logistica dei trasporti tra la base della BP e i loro siti a Illizi o In Salah. I terroristi che hanno preso d’assalto il complesso gasifero sapevano praticamente tutto del dispositivo di sicurezza e della logistica della base. Fermarono gli autobus degli espatriati, nel momento in cui iniziarono ad attaccare l’aeroporto. Cercarono di evitare che i lavoratori sabotassero le pompe che alimentano le turbine a gas. In pochi secondi distrussero gli interruttori elettrici. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza dei basisti che conoscessero la base dall’interno. Pertanto molti dipendenti sono sospettati di far parte di una rete di sostegno al terrorismo, e il fratello di Abu Zaid era stato arrestato più volte, nel corso delle indagini. Ma ogni volta, nonostante gli avvertimenti provenienti dall’Algeria, la società britannica, che era conoscenza di questi fatti, non rescisse il contratto con il fratello del leader di AQIM nel sud.
Peggio ancora, specialisti in HSE (Salute, Sicurezza e Ambiente) della BP, che regolarmente provengono da Londra per controllare la sicurezza del sito BP in Algeria, e senza interferenze dalla Sonatrach e dalla Statoil, suoi partner in questo giacimento, non sembrarono aver scoperto questa falla nella sicurezza. Quando notiamo le domande legittime di coloro che si chiedono come sia potuto accadere ciò, o le  reazioni intempestive del primo ministro britannico David Cameron, ci si chiede se l’intelligence britannica MI-6 non sapesse di tale anomalia, o se la direzione generale della BP l’avesse informata che nel suo sito principale in Algeria degli individui sospetti… lavorassero per essa. Questo riguardo le complicità interne scoperte.
Riguardo la protezione del sito, che quindi incombeva agli inglesi, processare Algeria equivale a criticare l’esercito algerino per non proteggere dall’interno le … ambasciate straniere. Si tratta di una questione di sovranità, e la BP aveva attraverso la sua HSE ogni possibilità di proteggere il proprio sito senza assistenza dall’Algeria. Ciò che veniva fatto al riguardo, era che il sito venisse protetto da una società di sicurezza privata di cui non si conoscevano né la capacità reali né le competenze esatte. Il governo algerino doveva proteggere l’area intorno al sito (come ad esempio il posizionamento di una brigata della gendarmeria presso la base della BP), o almeno ponendo nei dintorni degli sbarramenti mobili della Gendarmeria Nazionale. L’esercito doveva essere chiamato in caso di un attacco, poiché la sua missione è difendere i confini e combattere il terrorismo dovunque si trovi. Vale a dire, in questo caso, sul confine l’algerino-libico laddove i gruppi terroristici hanno deciso di testare le difese algerine.

Gli ostaggi da scudo umano a scudo mediatico!
Attualmente, la situazione è critica. Tra 8 e 10 terroristi si sono rintanati nel complesso gasifero della BP, minacciando gli ostaggi rimanenti, stimati in circa 30. Tutti gli accessi sono stati minati con esplosivi e i terroristi hanno una logica suicida. Hanno abbastanza per far saltare il complesso gasifero con gli ostaggi e per cancellare dalle mappe la città e gli abitanti d’In Amenas. Gli esperti credono di essere “in una situazione psicologica estrema.”
Dopo aver usato gli ostaggi come scudi umani (con cinture esplosive senza detonatori) e “schermi mediatici”, li hanno torturati psicologicamente in modo che telefonassero ai loro rispettivi governi per descrivere una situazione drammatica e fare pressione su Algeri. Ciò ha avuto parziale successo, ad In Amenas l’attacco non è ancora stato completato, dato che Washington, Londra, Parigi e Tokyo hanno subito un lavaggio del cervello da parte della propaganda apocalittica dei terroristi, in particolare attraverso l’ANI della Mauritania. Questi vogliono un corridoio via terra, per ritirarsi con gli ostaggi in… Libia. E ancora vogliono che il corridoio sia garantito dalle potenze occidentali da cui provengono gli ostaggi. Ma riguardo al percepibile cambiamento, nelle capitali occidentali, della valutazione sempre più attenta della crisi, con l’esercito algerino che gestisce al meglio questo evento unico negli annali del terrorismo, rischiano di non uscirne vincitrici. Il trucco sta nel vedere se commetteranno l’irreparabile.
Mentre l’operazione è in corso, Liberté ha saputo di una seconda colonna di terroristi di Ghadames che si sta preparando al salvataggio dei loro camerati. 60 pick-up pesantemente armati sono stati riportati in viaggio, durante la notte, in direzione del confine con l’Algeria. Il caso d’In Amenas è solo l’inizio della controffensiva terrorista all’intervento francese in Mali.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

 

Il Mali, un paese ricco di petrolio, gas e di miniere d’oro

GENNAIO 19, 2013 1 COMMENTO

Elisabette Studer, Le Blog Finance, 13 gennaio 2013 Mali_Mines_Ministry_mapIl Mali ha decisamente delle risorse del suolo molto promettenti… che potrebbero portare a una nuova maledizione del petrolio? Il paese è di grande interesse per le grandi compagnie petrolifere come Total, per via delle enormi risorse energetiche del bacino del Taoudeni, a cavallo tra il Mali, Mauritania, Niger e Algeria, oltre che per il giacimento di gas situato nelle vicinanze della capitale Bamako e delle miniere d’oro che possono suscitare cupidigia. Per non parlare del coltan, materia prima altamente apprezzata, utilizzata per la produzione di telefoni cellulari.

Mali, un paese ricco di idrogeno e futuro esportatore di elettricità?
La Société d’exploitation pétrolière du Mali (Petroma) ha scoperto di recente un enorme giacimento di gas a Bourakèbougou, a 60 km dalla città di Bamako e a 45 km da Kati, la città-guarnigione. Meglio ancora, si tratta di idrogeno puro (98,8% di idrogeno e 2% di metano e azoto), una cosa molto rara al mondo, se dobbiamo credere ad Aliou Diallo, l’uomo d’affari a capo della Petroma. Ciliegina sulla torta: il gas si trova a soli 107 m di profondità.
Una scoperta che consente al direttore della società di considerare la produzione di elettricità dall’idrogeno, in Mali. Ha detto che la sua società sarebbe anche in grado di generare energia per l’intera Africa occidentale, per meno di 10 Franchi CFA (2 centesimi di euro) per ogni kilowatt contro, i 106 franchi Franchi CFA di oggi. Molto interessante se si considera che la vicina Mauritania ha recentemente dichiarato di voler esportare elettricità in Mali e Senegal, mentre quest’ultimo si trova ad affrontare delle difficoltà strutturali energetiche. Meglio ancora, la Petroma ha appena acquistato un impianto per condurre le  ricerche affinché si scopra il petrolio, i cui segni positivi sono stati rilevati nella zona.

Un paese con significative risorse aurifere
Di recente, vi è stata l’inaugurazione della miniera d’oro di Kodieran, sempre di proprietà della Petroma, cui ha partecipato Aliou Boubacar Diallo, Amministratore Delegato della società mineraria Wassoul’Or-Sa, una controllata della Gold Pearl, che ne detiene una quota del 25%. Aliou Boubacar Diallo è anche membro del Consiglio di Sorveglianza della Gold Pearl.
Situata a Kodieran, la Wassoul’Or è una delle società minerarie del Mali con la logistica più promettente e le infrastrutture ben sviluppate (300 km di strade, a sud di Bamako), secondo il proprio sito. Un impianto pilota, con una capacità di 1000 tonnellate/giorno (materia prima) opera con successo, ed è stato attivato per testare il processo di produzione aurifera e per evidenziarne la percentuale in oro. Dopo aver iniziato con un rendimento iniziale di 5.000 tonnellate al giorno, all’inizio del 2012,  gradualmente è passato alle 11.000 tonnellate al giorno.

Petroma e Canada, per l’oro e il petrolio
Ricordiamo, a fini pratici, che la Petroma è una società canadese specializzata nella ricerca, sfruttamento, trasporto e raffinazione di petrolio e gas, il cui 98% del capitale è del Mali e il resto della Petroma Ink (una società canadese) che ha investito più di 10 milioni di dollari nel progetto di Bourakèbougou, che secondo gli indicatori è un grande giacimento. La costruzione della prima unità aurifera di Kodierana è stata compiuta dalle aziende canadesi BumigemeABF Mines,  interamente finanziata dal Fondo Oro Mansa Moussa.

Mali settentrionale: una regione dal forte potenziale energetico e minerario
Con particolare riguardo al nord del Mali, dove vi sono le tensioni principali, si nota che se questa regione contribuisce molto poco, per il momento, al PIL del paese, il sottosuolo delle regioni di Gao, Kidal e Timbuktu solleva grandi speranze: 850000 kmq di petrolio e di gas potenziali, secondo gli studi condotti dall’Autorità per il petrolio (AUREP). Un contesto che potrebbe in parte spiegare la situazione attuale e le tendenze che potrebbero giustificare la partizione del paese. In ogni caso, quattro bacini principali sono stati identificati in questa regione: Tamesna (a cavallo tra Mali e Niger), Taoudeni (che copre anche parte di Algeria e Mauritania), la regione di Gao e la faglia di  Nara (Mopti).
Dal 2005, l’Autorità per la Promozione della Ricerca di Idrocarburi (AUREP), un’organizzazione del Ministero delle Miniere del Mali, ha eseguito la suddivisione di questi bacini in 29 lotti da esplorazione. La maggior parte di essi sono stati acquistati da imprese di piccole dimensioni, ma anche dall’algerina Sonatrach (attraverso la su controllata Sipex Internationale) e dall’italiana ENI. È anche presente la compagnia petrolifera francese Total. Ma l’insicurezza in questa parte del paese limita alquanto l’entusiasmo degli investitori, nonché i costi di trasporto del materiale, che dovrebbero aumentare a causa della situazione attuale. Quest’ultima molto probabilmente congelerà i lavori.
Peggio ancora, secondo l’Africa Energy Intelligence, tre giorni dopo il suo rientro nel governo, il ministro delle miniere del Mali Amadou Baba Sy ha firmato, il 18 dicembre 2012, un decreto attestante l’acquisizione da parte dello Stato del blocco 4 del bacino di Taoudeni, precedentemente concesso a ENI e Sipex (Sonatrach).

Quando il Wall Street Journal ha dedicato un articolo all’imprenditore maliano Aliou Boubacar Diallo
Ma il Mali non ha solo risorse energetiche. Esplorazioni condotte nell’Adrar des Ifoghas (Kidal) hanno rivelato un terreno favorevole alla presenza di oro e uranio, mentre la provincia di Ansongo  (regione di Gao) celerebbe manganese. Il vero nodo del conflitto in corso?
In ogni caso, il famoso e prestigioso Wall Street Journal del 30 maggio 2012 dedicava un articolo ad Aliou Boubacar Diallo, dopo la sua partecipazione, accanto alle società finanziarie internazionali, alla settimana di lavoro della Conferenza per l’Africa di Francoforte, Germania.
Nel corso della conferenza dedicata alle risorse naturali e minerarie, il proprietario di Wassoul’Or è intervenuto per spiegare “come conciliare gli interessi dei paesi ricchi di risorse naturali e gli investitori stranieri“. A questo proposito, Aliou Boubacar Diallo aveva indicato i “quattro punti essenziali” che secondo lui “meglio controllati, possono conciliare i diversi interessi“: “un quadro giuridico chiaro ed equo, una sicurezza giuridica per gli investimenti, fornita da codici minerari e petroliferi, fare in modo che il popolo africano benefici dell’estrazione e sfruttamento del petrolio e, cosa più importante, stabilità politica“.
Come no…

Fonti tratte della stampa africana

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

 

http://aurorasito.wordpress.com/2013/01/19/il-mali-un-paese-ricco-di-miniere-di-petrolio-gas-e-oro/

 

No Tav (2013)- corto d’animazione

media17 gennaio 2013 at 20:27

No Tav (2013)- corto d’animazione

da http://lascreeningroom.net/

Animazione creata da Emilio Rizzo, animatore e illustratore partenopeo (lo avevamo già seguito in ‘Racconti per una solitudine insonne‘) che, con i suoi ormai caratteristici personaggi tozzi e stilizzati, riesce a costruire una storia ben narrata. Accurata la regia con l’uso di panoramiche, di carrellate, dell’effetto dolly, della soggettiva.
Il corto ricostruisce uno degli episodi più significativi del movimento No Tav (su maggiori dettagli guardate il doc ‘Fratelli di Tav‘) e della lotta per il territorio valsusino. Era il febbraio 2012, il cantiere andava avanti in gran fretta, i poliziotti erano dispiegati, gli attivisti sempre più motivati. Uno di loro, Luca Abbà, era salito su un traliccio della corrente elettrica. Una telefonata a Radio Black Out, un uomo senza divisa stava salendo per portarlo giù, ma Luca sale più in alto e… cade da un’altezza di dieci metri. Lo soccorrono, mentre i lavori non cessano neanche un minuto.
Poi un salto indietro di alcuni istanti: la stretta di mano tra il Governo italiano e quello francese a suggellare l’accordo; i poliziotti in tenuta anti-sommossa sparano contro i manifestanti una pioggia di lacrimogeni, alcuni scaricano manganellate contro i manifestanti… uno scontro (impari) in trincea. In seguito Luca uscirà dal coma.
Qualche mese più tardi, gli hacker attivisti di “Anonymous” pubblicano i files privati della polizia italiana, tra le altre informazioni, scoprono che sono stati lanciati 4357 gas lacrimogeni contro gli attivisti NO TAV… e la storia non finisce qui.

Lina Rignanese

 

Il processo trasferito nell’aula bunker del carcere delle Vallette di Torino

WRITTEN BY: MASSIMO BONATO – JAN• 19•13

È di queste ore la notizia del trasferimento del processo ai 45 NoTav nell’aula bunker del carcere delle Vallette di Torino, a partire dal 1° febbraio. Questo spostamento sancisce in modo inequivocabile la scelta di dare una lettura politica a tale processo.

L’aula bunker del carcere delle Vallette è il simbolo della pericolosità di imputati, per i quali la scelta del luogo è scelta di alienazione e distacco, isolamento delle attività processuali dalla vita civile e dalla condivisione che di esse dovrebbe esser resa possibile. Ma è una scelta non connaturata alla gravità delle imputazioni relative a questo processo, per questo l’interpretazione che che se ne può dare è che sia scelta politica: alzare il tiro per rendere più grave agli occhi dell’opinione pubblica qualcosa che oggettivamente grave non è. Non si parla infatti di criminalità organizzata o di costituzione di banda armata; non si tratta di gravi truffe o di omicidi. Si parla di reati dovuti a lesioni, resistenza a pubblico ufficiale, danni o al più devastazione – dove per devastazione si debba intendere il taglio di qualche metro di rete metallica usata per recintare il cantiere di Chiomonte. Tutti reati per i quali una comune aula di tribunale sarebbe stata più che sufficiente.

Non certo l’aula 46 messa a disposizione il 21 novembre scorso, quando stipati i 45 imputati, i relativi avvocati e il folto pubblico in non più di sessanta metri quadri, fu chiaro sin da principio che il buon senso aveva lasciato il passo alla provocazione. Il buon senso e il senso del rispetto che avrebbero evitato, con un aula più capiente, il trambusto delle proteste di chi pigiato e accaldato si era trovato anche nella impossibilità di sentire alcunché dal momento che l’impianto sonoro non funzionava. Finché gli stessi avvocati si erano ribellati chiedendo con forza che il prosieguo dell’udienza avvenisse in un’aula appropriata.

Se ne scrisse allora, e diversi furono i presenti che testimoniarono di quella giornata tramutatasi in breve in una sonora giornata di protesta e di lotta. Vale la pena ricordarla ancora, per meglio inquadrare ora la scelta di trasferire questo processo nell’aula bunker delle Vallette, perché è pensando a quella prima udienza che tornano in mente le parole di Caselli, quando dichiarò che non era il movimento NoTav a subire un attacco politico, ma i singoli reati a esser perseguiti. Quale relazione allora si è voluta stabilire tra un luogo deputato a processi di ben altra natura e gravità e gli imputati di questo processo se non il discredito verso  le singole persone e il movimento stesso?

Maurizio Pallante a Susa “La soluzione alla crisi è la decrescita. Ecco perchè…”

18 gennaio 2013 at 14:04

18/1 Maurizio Pallante a Susa “La soluzione alla crisi è la decrescita. Ecco perchè…”

Sala Monsignor Rosaz – Susa dalle ore 21

MAURIZIO PALLANTE, Presidente e fondatore del Movimento per la Decrescita Felice, esperto di risparmio energetico, già consulente per il Ministero dell’Ambiente e attualmente consulente per il Comune di Parma.” I tentativi di rilanciare la crescita economica effettuati sinora non hanno dato i risultati sperati. Secondo la visione ottimistica della signora Merkel, per superare la crisi ne occorreranno almeno altrettanti. Il fatto è che la domanda è sostenuta in maniera determinante dal debito, per cui le misure di politica economica finalizzate a ridurlo deprimono la domanda e aggravano la crisi, mentre le misure finalizzate a rilanciare la domanda attraverso la crescita dei consumi lo accrescono. Per superare questa impasse, senza peraltro ottenere i risultati sperati, le misure di politica economica adottate sino ad ora nei Paesi industrializzati sono state finalizzate a:

1. ridurre i debiti scaricandone i costi sulle classi sociali meno abbienti e sui ceti medi, mediante drastici tagli alla spesa pubblica per i servizi sociali, riduzioni delle tutele sindacali dei lavoratori, licenziamenti e blocchi delle assunzioni che hanno penalizzato soprattutto le fasce giovanili, inasprimenti della fiscalità indiretta, cessione ai privati della gestione dei beni pubblici;

2. rilanciare la crescita finanziando col denaro pubblico grandi opere infrastrutturali, realizzabili soltanto da grandi aziende multinazionali. Questa strategia fallimentare è sostenuta da un blocco di potere costituito da tutti i partiti politici, di destra e di sinistra, che hanno la loro matrice culturale nell’ideologia della crescita di derivazione ottocentesca e novecentesca, dalle industrie multinazionali e dalla grande finanza, con un progressivo disprezzo delle regole democratiche a cui pure dicono di ispirarsi.

Un’incredibile rimozione collettiva induce i sostenitori della crescita, a qualsiasi corrente di pensiero appartengano, a ignorare i legami delle attività produttive con i contesti ambientali da cui
prelevano le risorse da trasformare in merci e in cui scaricano le emissioni dei processi produttivi e gli oggetti che vengono dismessi al termine della loro vita utile.

Il rilancio del consumismo a debito, che comporta un aggravamento della crisi ambientale, non è l’unica alternativa all’austerità, che comporta un aumento della disoccupazione, privando del futuro le giovani generazioni e causando peggioramenti alle condizioni di vita delle classi sociali più deboli. L’austerità non è l’unica alternativa all’aumento del debito pubblico. La scelta strategica per uscire dalla crisi aprendo una fase più avanzata nella storia dell’umanità è lo sviluppo delle tecnologie che riducono gli sprechi delle risorse naturali aumentando l’efficienza con cui si usano.

Nei Paesi industriali avanzati, gli usi finali dell’energia sono costituiti al 70% da sprechi. Se la politica industriale venisse finalizzata a ridurli, si aprirebbero ampi spazi per un’occupazione utile, i cui costi sarebbero pagati dai risparmi economici conseguenti ai risparmi energetici senza aggravare i debiti pubblici e privati. Lo sviluppo di queste tecnologie consentirebbe inoltre di attenuare le crisi internazionali per il controllo delle fonti fossili e la crisi climatica causata dalle emissioni di CO2.

Una politica economica finalizzata alla decrescita selettiva della produzione di merci e del consumo di energia e materia mediante la riduzione degli sprechi, può essere promossa solo da forze politiche non condizionate dai vincoli dell’ideologia della crescita e può essere realizzata solo da piccole aziende, professionisti e artigiani radicati nei territori in cui operano, in grado di effettuare una serie di interventi puntuali, anche di portata limitata. Una politica industriale finalizzata alla ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio esistente offrirebbe opportunità di lavoro non altrimenti ottenibili a una miriade di operatori del settore e consentirebbe di accrescere l’occupazione in attività qualificate.

Il Movimento per la decrescita felice, attraverso una Proposta di confronto su un progetto per superare la crisi, creare un’occupazione utile e dare un futuro ai giovani, auspica che sulla base di queste considerazioni si possa aprire un confronto tra i soggetti politici non legati all’ideologia della crescita presenti o pronti a entrare nelle istituzioni, le piccole e medie industrie, gli artigiani e i professionisti in grado di sviluppare le tecnologie che accrescono l’efficienza nell’uso delle risorse, l’associazionismo di ispirazione religiosa, i gruppi del volontariato, le associazioni ambientaliste, le imprese del terzo settore, i settori del sindacato che non hanno accettato di barattare i diritti dei lavoratori con le promesse di un vago rilancio della crescita economica, i gruppi di acquisto solidale, le banche del tempo e la finanza etica.

Solo da un confronto tra queste componenti delle società industriali è possibile di costruire un progetto di futuro in grado di superare la crisi e di aprire una fase nuova nella storia dell’umanità.” MAURIZIO PALLANTE

La guerra dall’Afganistan ha tracimato in Pakistan ; dalla Siria , in Turchia e Libano; dal Mali, in Algeria e B urkina Faso; dalla Somalia, in Kenia

La guerra dall’Afganistan ha tracimato in Pakistan ; dalla Siria , in Turchia e Libano; dal Mali, in Algeria e Burkina Faso; dalla Somalia, in Kenia.

Se non conoscete la storia della rana ( cinese ) nell’acqua calda, ditemelo che ve la racconto.

 In Algeria, intanto, lo scontro prosegue: oltre l’impianto di produzione propriamente detto, esiste una sorta di villaggio costruito per gli addetti. I due ” compound ” distano circa 600 metri ( stando alla cartina) e uno dei due – la fabbrica – è ancora sotto il controllo degli attaccanti.

A questo punto, trenta morti in più o meno, non fanno differenza ai fini della valutazione politica che è molto complessa. Vediamola.

 a) L’Algeria è ormai circondata da milizie e truppe potenzialmente ostili dai quattro punti cardinali, non ha mai avuto buoni rapporti col Marocco, con la Libia è in tensione per via degli aiuti dati a Gheddafi, il mare è in mano occidentale e a sud , adesso ci sono i francesi e 60 carri armati in arrivo dalla Costa d’Avorio che andranno ad aggiungersi ai 40 blindati della Forza Liocorno dell’esercito transalpino stazionati in Mali, al Sud.

 Questo significa che un eventuale attaco contro l’Algeria potrebbe venire da qualsiasi direzione e , viste le distanze ( il sito degli scontri è a 1.200 Km da Algeri) un attaccante incontrerebbe una difesa debolissima data la dispersione delle forze che sarà costretto a dislocare senza poter ipotizzare la direzione da cui verrà la minaccia.

 La Germania non può non vedere in questo dispiegamento una minaccia al suo faraonico progetto da 500 miliardi ( mi pare si chiami Solartec) di creare nel Sahara un serbatoio di energia solare ( e pulita) con cui rifornire l’Europa, rendendo obsoleta la politica e la strategia petrolifera con cui gli USA regolano gli equilibri del mondo fin dalla guerra mondiale.

 b) gli americani hanno mandato un aereo per prelevare i propri cittadini, anche se non è chiaro che ce ne siano. Gli attaccanti dicono di averne catturati 7 gli USA 3. Credo sia inutile cercare i numeri esatti. Gli alleati, spedire 3300 soldati africani con la benedizione dell’ assemblea ONU di settembre e a ottobre inviare le truppe subito dopo la stagione delle piogge . Adesso devono adattarsi all’accelerazione dei tempi.

 c) la situazione di isolamento politico del governo Boutlefika si è ulteriormente accentuata a causa della generale esecrazione per le vittime provocate e se persino il governo giapponese ha convocato l’ambasciatore algerino responsabilizzandolo per i 17 suoi cittadini. L’accusa è di non aver fatto della salvezza degli ostaggi, una priorità assoluta.

In questo campo, solo l’Italia ha le carte in regola, avendo sempre profumatamente pagato i riscatti richiesti da AQIM .

Nessuno sembra notare che gli ultimi due tentativi armati dei francesi – ultimo quello somalo – sono finiti con la morte degli ostaggi e anche quello delle SAS britanniche per liberare l’ostaggio italiano Franco Lamolinara e l’inglese Christofer Mac Manus in Nigeria, si è concluso con il rimpatrio di un paio di cadaveri.

 c) È evidente che il concentramento di ” Tecniche” , circa centocinquanta, che hanno attaccato il sud Mali non si è realizzato in un giorno ed ha certo richiesto una preparazione logistica accurata in termini di carburante, munizioni, manutenzione e viveri, senza parlare dello sforzo politico per riunire i gruppi finora indipendenti. Serve moltissimo denaro. Quello che abbiamo dato noi per il riscatto delle due italiane, non credo sia stato sufficiente. Se seguiamo i soldi, troviamo il produttore di questo film horror.

 d) a proposito di denaro, il prezzo di un barile di greggio è salito, nella sola giornata di oggi, di un dollaro e venticinque centesimi, giungendo a superare i 95 US. sul mercato di New York.

 e) sul blog di Maurizio Barbero ( mercatoliberonews.blogspot.com ) vediamo un decreto presentato al Consiglio dei ministri del 28 dicembre 2012 all’art 1 commando 17 e leggiamo “È autorizzata, a decorrere dal 1º gennaio 2013 e fino al 30 settembre 2013, la spesa di euro 1.900.524 per la partecipazione di personale militare alla missione dell’Unione europea denominata EUCAP Sahel Niger, di cui alla decisione 2012/392/PESC del Consiglio del 16 luglio 2012 ” questo significa che persino gli italiani questa volta sono stati messi al corrente con grande anticipo e hanno versato l’obolo e – contrariamente a quanto dichiarato dal governo al Parlamento – invieranno 24 militari.

 f) gli argomenti della propaganda occidentale sono gli stessi , stucchevoli, pistolotti sul terrorismo, ula democrazia, la libertà che ci furono ammanniti per la guerra di Libia. Il nostro sottosegretario Staffan De Mistura ha persino dichiarato che ” non si può lasciare a Al Kaida un territorio grande come la Francia” dimenticando di dire che quel territorio ha scarsi 3 milioni di abitanti e che i TOUAREG non sono gli islamisti che si dice. Tra i TOUAREG, ad esempio, sono le donne a scegliere gli uomini e la rarefazione sul territorio impedisce il controllo sociale tipico attrezzo di ogni controllo religioso.

 g) altro elemento inspiegabile è che erano in corso e stavano avendo un esito positivo i negoziati di pace tra il Mali ( reduce da un colpo di stato) e i secessionisti del Nord rappresentati dal capo carismatico dei touareg stava conducendo nel vicino Burkina Faso a Ouagadougou ( la capitale) un negoziato che sembrava finalmente sbloccato, parlando di autonomia dei Touareg e di dissociazione rispetto ai movimenti estremisti di AQIM e MUJAO. La riunione successiva e forse decisiva era prevista per il 10 gennaio. Il giorno dell’attacco.

 h) un risultato certamente raggiunto è che , per fare la guerra a Al Kaida, bisogna allearsi col governo golpista del Mali e quindi riconoscerlo ufficialmente e mentre prima si parlava di pace, adesso il negoziato è accantonato.

 È successo come la scorsa settimana coi Kurdi: i turchi si erano decisi a trattare con – ricordate?- Abdullah Ocalan , l’ergastolano rimasto capo carismatico del PKK e in loro mani. I negoziati proseguivano bene, quando la scorsa settimana a Parigi qualcuno ha ucciso tre donne appartenenti al movimento creando un sicuro rallentamento a causa dei sospetti che hanno avvelenato l’atmosfera.

Decisamente, qualcuno non vuole la pace, in nessun posto.

 Jeremy Keenan, vedere su wikipedia , studioso inglese della marteria da anni, sostiene che dietro queste manovre dei Touareg ci sono gli Algerini ( alleati tradizionali dei nomadi in funzione antimarocco) d’accordo con la CIA. Mi pare azzardato e sono alla ricerca di una spiegazione migliore.

Va trovato qualcuno al corrente di entrambi i negoziati ( Burkina Faso e Turchia) , scontento degli attuali equilibri e ricco tanto da pagare per una guerra.

 A proposito di Burkina Faso, anche da qui la radio di oggi ha dato notizia che è iniziata la caccia al Touareg.

In Libano , a Tripoli, hanno annaffiato di pallottole l’auto del ministro per la gioventù ( Faisal Karamé nipote del più famoso Rashid , numerose volte primo ministro sunnita negli anni 53/70.)

Il ministro ne è uscito illeso, ma ha deciso di non comprare più biglietti della lotteria, avendo esaurito la scorta di fortuna. Il clan Karamé è filo siriano e ha rifiutato di fare commenti su mandanti ed esecutori. Nelle scorse settimane ci sono stati due attentati a due importanti deputati Cristiani Geagea e Harb. Il governo annunzia un ampio rimpasto che sa di crisi. In Libano, le consultazioni si fanno all’arma bianca.