D’Alema si adegua: “Il Pd per salvare il Paese”

L’ex Presidente del Consiglio utilizza gli argomenti del “pensiero unico”. Ingroia è solo un estremista 


Matteo Mascia

Massimo D’Alema ha scelto di difendere l’ortodossia postcomunista. Gli elettori dei vecchi Ds non hanno alternative, devono votare convintamente il partito di Bersani. Non ci sono possibilità per le altre liste. Le sue dichiarazioni elettorali ci fanno dimenticare per un attimo il suo atteggiamento degli ultimi mesi; integerrimo e disposto a tutto pur di evitare una virata del partito verso posizioni eccessivamente liberal.
Per prima cosa, l’ex Presidente del Consiglio demolisce i partiti a sinistra di Sel. “La lista Rivoluzione civile è un guazzabuglio di tutti i partitini estremisti che abbiamo conosciuto nel corso di questi anni e che hanno creato tanti danni alla sinistra”, ha ammonito D’Alema. Parole che ricalcano quelle pronunciate dal vecchio compagno Veltroni nel 2008, quando non perdeva occasione per ricordare la necessità di esprimere un “voto utile”. Una scelta responsabile dell’eliminazione dei partiti con la falce e il martello dal Parlamento.
Il presidente del Copasir ha spiegato anche quanto sta accadendo in queste ore in Lombardia: “Alla lista Ingroia abbiamo chiesto di non presentare una lista inutile ma di indicarci piuttosto una personalità da mettere nella nostra lista per evitare che Berlusconi vinca le elezioni. Non c’è nulla di cui vergognarsi, è totalmente ragionevole, ciò che è vergognoso è l’aver detto di no e di volersi presentare per vincere le elezioni. Questo modo di ragionare è la quintessenza dell’estremismo”.
Insomma, il vecchio “bambino prodigio” del Pci sarebbe addirittura favorevole ad una riconsiderazione del diritto di elettorato passivo. Va bene presentare una lista a Milano, questa però non deve disturbare il Pd ed i suoi candidati. Idee che – in tutta sincerità – sono da rigettare senza possibilità di contestualizzazioni ulteriori. Intervenendo ad una trasmissione radiofonica, D’Alema non ha avuto timore nell’utilizzare gli argomenti del “pensiero unico economico”. Anche per lui, l’Italia era sull’orlo del baratro al momento delle dimissioni di Silvio Berlusconi. “Noi abbiamo lasciato il debito pubblico al 103 per cento del PIL – ricorda il deputato riferendosi al governo Prodi II – Berlusconi in tre anni lo ha portato al 121. Dopodiché è chiaro che in una situazione così drammatica Monti ha dovuto aumentare le tasse per arginare il rischio della bancarotta, questi sono i numeri. Un Paese che non vuole guardare la realtà e che quindi poi prende le decisioni in modo cieco dopo non si lamenti. Questa è la realtà, non è l’opinione di D’Alema o l’opinione di Monti e spero che il Paese voglia voltare pagina, perché se torna a scegliere male pagheremo un prezzo altissimo tutti”.
La scelta giusta corrisponderebbe ai piani del Partito democratico, movimento che ha già preso contatti con Washington. Il suo responsabile Esteri avrebbe fornito rassicurazioni ad Obama in merito agli assetti della prossima legislatura. È notorio quanto i “nostri interlocutori internazionali” siano vicini alle scelte ed alle politiche di Mario Monti. Su questo tema, D’Alema ha detto la sua: “Noi siamo l’unico grande partito del Paese – ha chiarito l’ex Pci – Un partito che ha più del 30 per cento dei voti, quando il secondo ne avrà 15 per cento, quindi voglio partire da un semplice considerazione elementare: in tutti i Paesi democratici una grande forza che da sola ha il doppio della forza della seconda è la principale forza di governo del Paese. Sono gli altri che debbono dire come vogliono rapportarsi al Pd, sembra che il Pd acquisti un senso o un altro a seconda che si metta con Vendola o altri. A mio giudizio, con un criterio democratico, noi ci candidiamo a governare l’Italia sulla base di un programma certamente di rigore finanziario ma anche, come ha detto tante volte Bersani, di maggior impegno per il lavoro, per la crescita economica, per la giustizia sociale. Io sono convinto che intorno a questo programma è possibile avere una convergenza sia di progressisti, come Vendola che è stato con noi fin dal primo momento, sia con le forze moderate che sono raccolte intorno a Monti. Questa convergenza deve essere intorno al nostro programma, d’altro canto quando un partito che ha il 5 per cento si allea con un partito che ha il 33 per cento è abbastanza probabile prevalga l’impostazione del secondo. È democrazia, non prepotenza”.
Parafrasando, si capisce come sarà riservata a Vendola poca libertà di manovra. Le decisioni principali saranno assunte dal Pd, a Sel non resterà che adeguarsi. Anche perché, in caso contrario, ci saranno sempre gli eletti montiani disposti a tendere una mano al centrosinistra. Con tutta probabilità, D’Alema avrà un posto d’osservazione privilegato. Le indiscrezioni lo danno già seduto tra i banchi del Governo di Montecitorio con la delega agli Affari esteri. Un incarico di prestigio per un politico che non ha accetta di essere rottamato dalla nouvelle vague piddina. Lui ci sarà e vorrà dire la sua.


24 Gennaio 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=18720

 

Precario e flessibile, così Monti vuole il lavoro

Al Forum di Davos, l’ex consulente di Goldman Sachs e di Moody’s attacca la Cgil e se la prende incredibilmente con i governi precedenti che non hanno impedito “le manipolazioni del mercato” 


Filippo Ghira

Al convegno del World Economic Forum a Davos, trovandosi tra “amici” e colleghi che condividono il suo approccio ultra liberista, Mario Monti ha sferrato un attacco alla Cgil accusata di rappresentare un freno alla riforma del mercato del lavoro. Nel sindacato rosso, ha lamentato l’ex consulente di Goldman Sachs e di Moody’s, c’è la più forte resistenza al cambiamento. Un cambiamento che Monti reputa necessario per permettere alle aziende italiane di tornare ad essere competitive sul mercato globale. Una competitività che, per Monti e i suoi sodali, può essere ottenuta soltanto se le imprese acquisiranno quella flessibilità che finora in Italia è stata sconosciuta. Una flessibilità che significa libertà di licenziamento in ogni momento a seconda delle proprie necessità economiche. Un principio introdotto dalla legge del ministro in lacrime, Elsa Fornero, che ha cancellato di fatto l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori sostituendo, in caso di licenziamento giudicato illegittimo, il reintegro con una indennità economica. Dal punto di vista dei dipendenti, la riforma ha gettato le basi per sostituire i contratti nazionali di categoria con tanti singoli contratti aziendali. Una svolta che implica la progressiva esautorazione del ruolo del sindacato e il trionfo della legge del più forte con una guerra al coltello tra i lavoratori per assicurarsi uno straccio di posto di lavoro, che peraltro sarà mal pagato visto che i contratti aziendali registreranno il mutamento della busta paga, sempre più condizionata dall’incidenza degli straordinari e dei premi di produzione.
A giudizio dell’ex commissario europeo alla Concorrenza e al Mercato Interno, la riforma Fornero non è andata avanti abbastanza per colpa di un sindacato che ha resistito con decisione al cambiamento e non ha firmato accordo che gli altri avevano firmato.
La Cgil deve quindi cambiare “questa cultura” che la anima. A Monti non viene nemmeno in mente che il no della Cgil derivi dalla volontà del sindacato “rosso” di fare il sindacato, ossia difendere i diritti e la dignità di chi lavora e soprattutto dalla volontà di non collaborare alla trasformazione del lavoro in merce. Una deriva già iniziata da tempo e che è evidenziata dall’utilizzo costante del termine “mercato del lavoro” che si sta tentando di fare passare nel linguaggio comune come una cosa scontata. Il lavoro come merce e che come tale può essere spostato (o eliminato) a piacere, al pari delle materie prime, dei prodotti finiti, degli impianti o dei capitali finanziari. Una deriva inaccettabile per un sindacato degno di questo nome. Una deriva che invece sindacati come la Cisl e la Uil hanno accettato entusiasticamente, appiattendosi sulla linea della Fiat che è stata l’azienda che più di ogni altra ha imposto il nuovo modello contrattuale nei propri stabilimenti di Mirafiori e di Pomigliano. Il paradosso è che la Fiat, che pure è uscita da Confindustria e da Federmeccanica e ha disdettato il contratto nazionale dei metalmeccanici, è stata poi in grado di fare passare la sua linea “aziendalistica” alla maggioranza delle imprese di Viale dell’Astronomia. In ogni caso la riforma Fornero non è piaciuta nemmeno al presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che l’ha definita “una boiata”. Non una “boiata pazzesca” alla Fantozzi ma pur sempre una boiata perché confusa e farraginosa. Una bocciatura netta da parte di coloro, gli imprenditori, per i quali la legge era stata teoricamente pensata.
E’ necessario continuare le riforme strutturali, appunto il lavoro, ha insistito Monti che rivolto in inglese ai gentili speculatori presenti si è compiaciuto che sia cambiata (grazie a lui ovviamente!) l’atmosfera verso l’Italia. Lui non ha solo sentito la gentilezza dei presenti, ma anche rispetto e fiducia nella stabilità. Lui avverte e vede un concreto interesse per gli investimenti In Italia . Il mondo cambia e non si deve cedere all’illusione che il mondo possa rimanere fermo.
Lui, ha assicurato, è fiducioso nel futuro dell’Italia perché è un Paese molto diverso da un anno fa. Su questo punto non si può essere che d’accordo con Monti. L’Italia è un Paese molto diverso perché gli italiani sono molto più poveri di prima dopo che Monti, e i politici suoi complici che l’hanno votata, li ha rapinati con l’introduzione dell’Imu. La riduzione del debito, ha continuato senza che nessuno lo prendesse a pernacchie, non si può più fare attraverso le tasse. E infatti il debito con Monti al governo è cresciuto dal 120% al 127% e parte degli introiti dell’Imu sono andati per aiutare le banche italiane amiche e per finanziare i fondi europei salva Stati. Monti si ritiene indispensabile e annuncia che tornato al governo avrà ancora molto da fare. Lui ha “una agenda ambiziosa” e sente di avere “una responsabilità sociale” verso gli italiani. E spera che le forze più dinamiche della società sostengano il suo programma di riforme. Per questo ha deciso di presentarsi alle elezioni. Anche se è stata una decisione contro la sua natura e pure contro il suo interesse personale (?). Lui crede di doverlo agli italiani, in particolare a quelli “più fragili”, quelli che hanno pagato il prezzo più alto e intollerabile della disoccupazione e delle privazioni. Come i giovani che sono delle vittime. La colpa è dei governi che lo hanno preceduto. Quelli di destra e di sinistra, o di centrodestra e di centrosinistra,  che non sono stati abbastanza forti contro l’evasione fiscale e la corruzione. I politici, ha lamentato, hanno troppo spesso fatto promesse elettorali senza tenere conto se fossero o meno realizzabili e non hanno invece pensato alle riforme necessarie e non rinviabili. In tal modo, hanno fatto passare l’idea che tutti avessero diritto a tutto, hanno aggravato la crisi e hanno alimentato il nazionalismo e il populismo. E poi, ha affermato ancora, i governi del passato non hanno contrastato gli interessi particolari e le manipolazioni del mercato finanziario.
Ci vuole davvero un bel coraggi, per non dire peggio, a sostenere quest’ultimo punto. Monti è stato infatti consulente di Goldman Sachs e di Moody’s. Due società che hanno manipolato il mercato, la prima con capitali finanziari propri o presi a prestito, la seconda con i rating su questo o quel titolo di Stato italiano o straniero o sui titoli di società private. E tra i titoli manipolati ci sono stati ovviamente i titoli di Stato italiani. Di conseguenza, di cosa sta parlando Monti?
 
 
24 Gennaio 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=18715

 

Dopo Rospo Mare ci sara’ Ombrina Mare

 

 

 

 

Foto WWF Abruzzo – in basso i gabbiani al petrolio del parco della Costa Teatina 

Nella notte fra il 21 ed il 22 gennaio sono stati riversati in mare 1000 litri di petrolio in Adriatico dalle piattaforme Rospo Mare, a 12 miglia al largo delle coste fra Vasto e Termoli, circa 20 chilometri. 

Rospo Mare e’ al 38% di proprieta’ dell’ENI e al 62% della Edison e quest’ ultima ne e’ anche  responsabile delle operazioni produttive.

Gli idrocarburi sono stati riversati in mare fra due riserve naturali – Punta Aderci e la Dune di Marine di Vasto. Il WWF riporta l’avvistamento di almeno sei uccelli sporchi di petrolio. Purtroppo non e’ la prima volta che ci sono perdite di petrolio nei mari d’Italia. Gia’ nel 2005 ci furono delle perdite secondo dinamiche del tutto simili.

Subito la Edison manda un comunicato stampa in cui certifica l’onnipresente tuttapposto italico secondo il quale “al termine della giornata di interventi” di squadre di soccorso e di sommozzatori  – e forse di qualche prestigiatore – “si conferma l’assenza di greggio in mare. 

Chissa’. Gli uccelli se lo saranno portati via sulle loro piume, il petrolio.  Menomale pero’ che il greggio sia scomparso, perche’ la Castalia, che dovrebbe in teoria occuparsi delle questioni di pulizia del mare non sempre ha i soldi per farlo. La Capitaneria di porto di Pescara invece dice dai microfoni di Rai Tre che in questo periodo ci sono “episodi di mucillagine” e che non e’ detto che si tratta di idrocarburi!

Non so se ridere o piangere.

Prima di andare avanti vorrei far notare che Rospo Mare e’ il tipico campo italiano dove si estrae petrolio di pessima qualita’ ed in scarsa quantita’.

L’indice API di Rospo Mare infatti e’ stimato in 11.5 gradi. Il greggio dei mari della riviera d’Abruzzo e’ quindi solo un po’ migliore delle sabbie bitumiche canadesi – di indice 8 – e di gran lunga peggiore rispetto al petrolio del mare del nord dove l’indice API e’ superiore a 40. 

Dal 1982 ad oggi sono stati estratti da Rospo Mare circa 92 milioni di litri di petrolio – o meglio, di melma petrolifera. In Italia ne usiamo 1.5 milioni di litri al giorno. E cioe’ Rospo Mare da’ all’Italia lo 0.5% circa del suo fabbisogno nazionale energetico.

Bell’affare questo petrolio italiano, eh? 

Attaccata a Rospo Mare c’e’ una nave FSO – che sta per Floating Storage and Offloading. Le FSO sono navi ormeggiate ai fondali marini vicino alle piattaforme che hanno semplicemente lo scopo di stoccare il petrolio e convolgiarlo al momento opportuno su petroliere. Queste FSO sono in genere vecchie navi riconvertite e costano poco in manutenzione. 

E se i riversamenti fossero stati maggiori o non ce ne fossimo accorti per tempo?O peggio, se ci fossero stati incendi, o urti, o problemi agli ormeggi? Siamo sicuri che va bene mettere trivelle a distanza cosi ravvicinata dalla riva? In California dove – dal 1969 – il limite e’ di 160 chilometri da riva per precauzione, sono scemi?

Ma i 1000 litri di Rospo Mare non sono niente in confronto ad un altra concessione, proposta invece dall’inglese Mediterranean Oil and Gas e detta Ombrina Mare che sta per piombare sui mari d’Abruzzo grazie al governo Monti-Passera e grazie all’apatia di quasi tutta la classe politica d’Abruzzo. Si, quegli stessi che oggi fanno i proclami populistici su Rospo Mare ma che su Ombrina, che si potrebbe ancora fermare, non muovono un dito. 

Di Ombrina Mare parleremo la volta prossima in dettaglio. Come per Rospo Mare, il petrolio che c’e’ qui e’ scadente e poco abbondante. Ombrina sorgera’  vicino ad una riserva di pesca finanziata dall’UE e avra’ l’onore di ospitare una nave FPSO, dove la P sta per Production e che vuol dire che non solo da questa nave il petrolio verra’ caricato e scaricato, ma lo si processera’ pure.  E dove processare vuol dire eliminarne gli scarti sulfurei con desolforatore, inceneritore e fiamma costante in bella vista.

Lungo quella che in teoria dovebbe essere il costituendo Parco Nazionale della Costa dei Trabocchi. 

Ecco, per tutto questo occorre ringraziare la Strategia Energetica Nazionale di Passera e Monti – contornare l’Italia di piattaforme a pochi chilometri da riva in cambio di pochi spiccioli e di briciole di petrolio di qualita’ schifosa.

Non c’e’ che dire. Proprio dei grandi e lungimiranti professori.

Reati contro i No Tav? Quelli non fanno notizia

di  | 22 gennaio 2013  – tratto da:  Il Fatto Quotidiano

C’è una storia che possiamo definire “minore” rispetto alla Tav. È la storia di tutti i reati che sono stati commessi contro i No Tav e che non troveranno mai un colpevole. Perché, ahimé, la giustizia e l’informazione qui in valle paiono proprio essere a senso unico.

La grande opera. E i piccoli attentati. Senza pretesa di esaustività. La gente inerme picchiata nella notte a Venaus. Il presidio di Bruzolo dato alle fiamme. Il ragazzo preso a calci dalla polizia il 3 luglio. Il fotografo ferito da un lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo. Lunedì 14 gennaio 2013 dueautomobili a Bussoleno con i pneumatici tagliati.

Certo, mi si dirà, anche Antonio Ferrentino ha subìto atti vandalici. Peccato che quando a subire il taglio dei pneumatici è Ferrentino – a suo tempo presidente della Comunità Montana e fiero oppositore della Tav, poi fulminato sulla via di Damasco ed ora Sì Tav – la cosa faccia notizia eStefano Esposito (deputato Pd, ndr) si scagli contro il clima di intimidazione, mentre se a subire il taglio dei pneumatici è un tale No Tav di nome Giovanni Vighetti la cosa passi del tutto inosservata. Da un lato c’è l’intimidazione. Dall’altra? Da una parte lo sdegno. Dall’altra?

Da un lato una valle che deve subire l’opera inutile (contro cui adesso peraltro anche Renzi e Vendola si sono espressi, oltre che la Corte dei Conti francese), che reagisce anche scompostamente, ammettiamolo, ai soprusi subiti ed al chiarissimo e compatto schieramento di forze contro cui si trova ad agire. Dall’altro chi colpisce proditoriamente i No Tav o cosa li rappresenta perché difendono il loro territorio, ma anche quel che resta (ben poco oramai) della democrazia. Ed intanto la Procura di Firenze scopre per la tratta Bologna–Firenze: “Materiali scadenti per la costruzione della galleria, l’ombra della camorra sullo smaltimento dei rifiuti di cantiere del Tav e il sospetto di favori negli appalti alle Coop rosse.”  Io lo spero davvero tanto che un giorno venga alla luce l’enorme intreccio che sta dietro l’opera inutile

Mps, la banca del Pd che nel 2012 è costata 3,9 miliardi agli italiani. Più dei tagli della riforma Fornero

ASCA) – Roma, 23 gen – ”Miliardario e tecnico lontani da questioni sociali. Con me la sala verde di Palazzo Chigi sara’ aperta al volontariato”. Lo scrive su Twitter il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, al termine dell’incontro con il mondo delle associazioni ad Albano laziale.

  

Mps, la banca del Pd che nel 2012 è costata 3,9 miliardi agli italiani. Più dei tagli della riforma Fornero

  Capita spesso di leggere dei veri e propri esercizi di comprensione su quale sia il potere su cui, in ultima istanza, poggia il Pd. Se ne parla in termini di geografia del sistema politico, un centrosinistra che tende al centro, oppure di geografia economica. Allora si parla del radicamento territoriale del Pd nelle ex-zone rosse. Oppure, facendo esercizio più sociologico, si parla della permanenza della rappresentanza, da parte del Pd, di residui di classe operaia, di pubblico impiego o di una sua forte rappresentanza nei confronti dei pensionati. In tutti i casi si tratta di simulacro ovvero, di fatto, il Pd è solo un simulacro di rappresentanza di regioni che sta portando verso il declino e di ceti sociali ai quali offre solo un progressivo impoverimento.

Ma allora, ci si domanda, quale è la vera base sociale, produttiva del Pd?Sicuramente la si trova nelle evoluzioni del mondo delle coop in tre principali rami: grandi opere, grande distribuzione e immobiliare (sul rapporto tra Ipercoop e mattone ci sarebbe molto da scrivere. Su Senza Soste ora in edicola c’è un’inchiesta in questo senso). Ma si tratta solo di una parte del radicamento del potere reale del Pd.

Se si comincia a osservare Unipol, il cui titolo ultimamente è in salute, si capisce come da (molto) tempo il principale partito del centrosinistra presidi un altro grande potere delle società postindustriali: il ramo finanziario-assicurativo.Eccoci quindi ad uno storico potere italiano, nel ramo bancario, nel quale il radicamento Pd può vantare una lunga storia. Ci riferiamo al Monte dei Paschi che è controllato direttamente dal Pd senese quindi su una base territoriale con rilievo nazionale. Ora non ha importanza descrivere qui la guerra tra bande che si è aperta nel Pd a Siena con la crisi di Mps, una guerra che nessuno in Toscana riesce a spegnere tale è l’autonomia del partito democratico senese dal resto della regione. Bisogna soprattutto brevemente raccontare come l’Mps, grazie alla acquisizione sbagliata di Antonveneta e ad una lunga serie di operazioni speculative andate a male, da almeno un lustro si trova in cattive acque. Tanto che, nell’autunno del 2012, il governo Monti decreta, su un testo approvato da un relatore Pd ed uno Pdl, un aiuto alla banca senese pari a 3,9 miliardi di euro.Aiuto poi messo in discussione dal Bce ma superiore, dal punto di vista finanziario, ai “risparmi” che la riforma Fornero ha prodotto con i tagli alle pensioni.

Questo per dire in che genere di politiche si è gettato il Pd. Per salvare una propria banca da uno sbilancio epocale, di proporzioni gigantesche, è entrato nel governo Monti legittimando le politiche di trasferimento delle risorse dello stato dalla spesa pubblica agli aiuti ai bilanci delle banche. Monti si è occupato, per dare un’idea sommaria dell’operazione, degli aiuti a banche greche, spagnole, portoghesi (che finiranno, in una partita di giro, alle banche tedesche e francesi) e al Pd è toccato il corposo aiuto a Mps. Aiuto che è servito, tra l’altro, ad evitare che la banca fosse commissariata dallo stato, disintegrando il residuo potere piddino senese e nazionale nei corridoi di Mps. Queste storie hanno sempre la caratteristica di fornire nuovi capitoli. Pochissimi giorni fa, con delle prove fornite dal Fatto Quotidiano, esce la prova inoppugnabile che Mussari, allora presidente di Mps e fino a poche ore fa presidente dell’associazione delle banche italiane (praticamente un ministro), aveva fatto una pesante operazione di cosmesi finanziaria con il bilancio 2009 del Monte dei Paschi. In poche parole aveva acquisito come attivo una serie di pericolosi derivati, contratti con una banca giapponese, che altro non erano che letali bombe ad orologeria nei bilanci della banca senese. E bravi Monti e il Pd, con il concorso del Pdl, che hanno decretato aiuti, e di quali proporzioni, ad una banca che è piena di vere e proprie bombe ad orologeria finanziarie. Tutto questo per sottrarre la banca ad un vero controllo pubblico.

Nel frattempo Mussari, che alcuni blog finanziari definiscono “il peggior presidente dell’Abi di sempre” si è dimesso, dichiarandosi innocente, dall’associazione italiana dei bancari. Resta uno sbilancio di dimensioni ciclopiche in Mps, con risorse considerevoli tolte ai beni pubblici per immetterle in una voragine di debiti privati. Tutto questo, naturalmente, senza che Mps abbia minimamente migliorato la propria offerta finanziaria a imprese, famiglie, singoli, coppie in cerca di mutuo. Si è presa una parte notevole di denaro pubblico per farla sparire nel niente di una voragine di bilancio.

A questo punto chiedersi cosa sia veramente il Pd non fa certamente male. Al di là delle operazioni di creazione di simulacro per attirare elettori resta la sostanza materiale di un potere profondamente immobiliare (Ipercoop non è solo grande distribuzione), legato alle grandi opere (le cooperative edilizie) e speculativo-finanziario (Unipol e Mps). Si tratta di tipici poteri del liberismo odierno nazionale, quello legato al circuito mattone-moneta. Un circuito a cui le attuali politiche dell’eurozona di trasferimento, per quanto convulso ed instabile, delle ricchezze dalla spesa sociale ai bilanci delle banche va benissimo. Ma anche un partito molto diverso non solo dalla propaganda che fornisce di sè ma anche dall’immagine che comunemente si fanno anche i suoi avversari. Eppure basta seguire gli interessi materiali per sapere, in politica e non solo, chi si ha davanti.

http://senzasoste.it/nazionale/mps-la-banca-del-pd-che-nel-2012-e-costata-3-9-miliardi-agli-italiani-pi-dei-tagli-della-riforma-fornero

In giro per minerali d’uranio e amianto in Valsusa

IL MANIFESTO BLOG
   D’ambiente, nucleare, TAV e altri mostri…di Massimo Zucchetti
 
      
 
In giro per minerali d’uranio e amianto in Valsusa
 
  • Mio padre era ingegnere minerario ed insegnava geologia e giacimenti minerari. Mi portava in giro, quando ero ragazzino, in cerca di minerali, ed erano belle giornate ad arrampicarsi per i monti, a piccozzare e trovare piccoli tesori.

    Oggi, voglio portare voi a fare altrettanto, scegliendo un sito particolare e dei minerali particolari. Andiamo in Val Susa, e cerchiamo i minerali di uranio, torio e amianto.

    Alcuni sostengono che in quella Valle quei materiali sono praticamente assenti, e che non costituiranno un problema casomai qualcuno volesse mettersi a scavare dei buchi e tirare fuori roccia da quelle montagne. Da più parti si sostiene invece il contrario, portando dati e rilevamenti fatti a partire dagli anni 60. Abbiamo già dibattuto tanto su questi aspetti, ma oggi facciamo qualcosa di diverso, parliamo non di rocce, ma di bei minerali per le nostre collezioni.

    Un primo minerale di uranio imporante è l’uraninite. Si tratta di un ossido misto di uranio e torio. Se andiamo a dare un’occhiata ad un sito che cataloga tutti i minerali esistenti nel mondo, in tutte le possibili località, troviamo molti dati anche per la Valsusa.

    In località Grange della Valle, Exilles, Valle di Susa, sono segnalati importanti siti con presenza di uraninite. Fra l’altro, potete anche fare una bellissima escursione a piedi fino al Rifugio Levi Molinari, sito a 1850 metri di altezza.

    Autunite, minerale d'uranio

    Autunite, minerale d’uranio
    (da http://www.mindat.org/photo-19380.html)

    Un’altra località famosa per l’uranininte e per la pechblenda è il Monte Seguret, con la sua minieravicino a Oulx. Famosa in quanto famigerata. Vi sono state testimonianze che parlano della vecchia minera di ferro aperta dalla Fiat negli anni 30, in località Rio Secco. Le testimonianze ci dicono che moltissimi operai di quella miniera morirono, e si attribui la loro malattia polmonare alla silicosi. Ma in quelle rocce, a sentire le testimonianze di allora ”c’era qualcosa che ammazzava la gente”. Il radon, emissione dell’uranio, e i tumori polmonari da esso provocati allora non erano ancora stati scoperti, quindi il dubbio – pur legittimo – resterà tale.  Che fine fece la miniera? Cessati i contributi dello Stato, la Fiat sospese le ricerche e poi chiuse il cantiere. Ma negli anni ’60 – nel periodo del boom dell’energia atomica – arrivarono degli specialisti del Centro Ricerche Nucleari della Fiat con apparecchiature per rilevare la radioattività, ed iniziarono dei sondaggi. A cento metri dalla ex miniera di ferro della Fiat individuarono un filone di pechlenda, minerale d’uranio. Furono aperte due gallerie, poi improvvisamente tutto venne abbandonato: quel minerale non era competitivo economicamente con quello reperibile all’estero.

    Ma torniamo alla nostra caccia di minerali d’uranio in Val Susa. Un altro “buon posto” è Salbertrand, sempre in Valle: qui troviamo, oltre l’uraninite, anche l’autunite, un altro minerale di uranio. In quella zona, altri scavi vennero probabilmente fatti dalla FIAT, sempre in epoca anni 60, in località S. Romano, che è proprio sotto la direttrice verticale della vena uranifera del Seguret.

    Non potremmo concludere un giro “a caccia di minerali d’uranio” in Val Susa senza parlare del Molaretto, il sito fra Chiomonte e Giaglione lungo la statale del Moncensio. In queste “miniere”, in realtà gallerie di prova e di saggio effettuate dall’Agip negli anni 70, per verificare l’esistenza di minerale di uranio, mi sono recato di persona alcune volte, facendo verificare a chiunque volesse, munito di rivelatore di radiazioni, gli elevati livelli di radioattività che si raggiungono in quegli angusti tunnel. In realtà, quel sito è solo uno dei 28 affioramenti di uranio che l’Agip negli anni ‘70 aveva individuato in Valle di Susa.  Prima ancora, nel 1960, la Somiren SpA avviò una campagna di prospezione tra Venaus, Novalesa e Giaglione: si scoprirono affioramenti uraniferi consistenti proprio al Molaretto, ma l’impresa anche quella volta fu valutata non conveniente per lo sfruttamento industriale. Nuovi studi nel 1965 da Sergio Lorenzoni e nuove conferme: rilevanti formazioni di uranio nel sottosuolo del massiccio dell’Ambin. A seguire, lo studio di un altro tecnico, Daniele Ravagnani, che per conto del Gruppo Mineralogico Lombardo mappa i giacimenti di uranio in val Susa segnalando soprattutto due affioramenti, quello di Molaretto sopra Venaus e quello di San Romano, nelle vicinanze di Salbertrand, di cui abbiamo appena parlato. Diversi studiosi, in epoca “nucleare”, fino agli anni 70, definirono quella zona del Molaretto come “uno dei più interessanti giacimenti uraniferi delle valli occidentali piemontesi”. Per i riferimenti esatti a quegli studi rimando alle mie relazioni scaricabili qui e qui.

    E’ forse meno affascinante dei minerali di uranio, che hanno aspetto molto attraente per gli appassionati, ma la Valle di Susa è anche un buon posto per la ricerca dei minerali contenenti amianto. Essi hanno nomi poco noti, o che – se sono noti – destano, più che passione, paura per l’essere associati ai terribili effetti sulla salute dell’amianto stesso: antofillite, tremolite, actinolite, crocidolite, per citarne solo i principali.

    Ebbene, oltre alla presenza ben nota di rocce amiantifere in Valle, minerali d’amianto di rilevante interesse per i “collezionisti” si possono trovare in Valususa a Sant’Ambrogio di Torinoper quanto riguarda la Tremolite.

    Se alla vostra collezione manca invece l’Actinolite, suggerisco il Col Gimont, nel comune di Cesana, sempre in Val Susa. Oppure, l’Actinolite potete trovarla a Roche Major, nel comune di Oulx.

    Astraendosi un momento dalla ricerca di bei minerali, la presenza di amianto ha caratterizzato da decenni la storia della Valsusa: ricordiamo la chiusura dopo una lunga battaglia delle cave di serpentino di Trana, ed ancora il ritrovamento di amiantifero  nei sondaggi geognostici per la pista da bob a San Marco-Jouvenceaux. Ricordiamo il Musinè, massiccio colle noto non soltanto per le scritte che compaiono sui suoi fianchi e per alcune leggende ad esso collegate, ma anche, più prosaicamente, per la presenza di ”rocce verdi”, come vengono chiamate le rocce contenenti l’amianto. La bassa valle di Susa è il li­mite inferiore del “massiccio ultrabasi­co di Lanzo”, un grande massiccio geo­logico nel quale è riconosciuta la presenza di rocce potenzialmente contaminate da presenza naturale di vene asbestiformi (ofioliti, pietre verdi e serpentiniti): in particolare, le serpentiniti rappresentano il litotipo più diffuso ed affiorano sia in destra che in sinistra orografica della bassa Valle Susa. Le serpentiniti sono notoriamente rocce potenzialmente amiantifere. Amianto è poi anche presente nella collina morenica di Rivoli, con massi erratici costituiti da serpentiniti, metagabbri e prasiniti, che contengono minerali d’asbesto. Le  rocce del “massiccio ultrabasi­co di Lanzo”, che abbiamo citato per la bassa Val Susa, fanno parte dello stesso massiccio geologico di Balangero. Le serpentiniti sono le stesse del monte San Vittore della cava di amianto di Balangero. La genesi di questi serpentini e la loro età è la stessa. Non si può quindi escludere che anche le serpentiniti del Musinè e di Almese contengano crisotilo, l’amianto del serpentino. In effetti, la sua presenza è già segnalata nella relazione di accompagnamento della “Carta geologica d’Italia, foglio 56, Torino”, redatta dal Servizio Geologico d’Italia.

    Bene. Credo che questa piccola guida per “appossionati” di minerali di uranio e di amianto in Valle Susa abbia fornitobuoni spunti per chi è interessato a questo tipo di minerali.

    Un’unica avvertenza è d’obbligo, per gli escursionisti minatori: abbiate cura di verificare, prima di recarvi in cerca di uranio e amianto, che l’area che intendete esplorare non sia già occupata dai cantieri per il Traforo Alta Velocità Torino-Lione. In quel caso, non vi lascerebbero entrare e addio gita. E non varrebbe neppure la pena andare a cercare i minerali nelle cave dove verrà smaltito lo smarino degli scavi: lì, l’uranio e l’amianto ci sarebbero ancora, ma solo sotto forma di polveri, quindi non interessanti dal punto di vista collezionistico.

     

    Alcuni riferimenti per approfondire:

    – Ravagnani, D. (1974). I giacimenti uraniferi italiani e i loro minerali. Gruppo Mineralogico Lombardo – Museo Civico di Storia Naturale, Ed., Milano 188 pp.

    – Barresi, A. (1999). La Val di Susa e i suoi minerali volume 2. Gruppo Mineralogico e Paleontologico C.A.I.-U.G.E.T, Torino 32 pp.

    – Piccoli, G.C., Maletto, G., Bosio, P., Lombardo, B. (2007). Minerali del Piemonte e della Valle d’Aosta. Associazione Amici del Museo “F. Eusebio” Alba, Ed., Alba (Cuneo) 607 pp.

di massimozucchetti 
pubblicato il 21 gennaio 2013 
Tag: 

Mali- Il doppiopesismo imperialista.

Il socialista Hollande è intervenuto pesantemente in Mali, approfittando anche delle basi in Costa d’Avorio, in cui il suo predecessore era a suo tempo già intervenuto.

E’ curioso come i fili conduttori delle propagande di guerra occidentali si intreccino in nodi insolubili. Uno di questi è la libertà dei popoli o diritto di autodeterminazione: è stato usato innumerevoli volte, ci ricordiamo della guerra alla Jugoslavia per l’indipendenza del Kosovo, ormai albanesizzato, ma sappiamo quanto stia a cuore a USA e Europa la indipendenza del Tibet, al punto che il Dalai Lama è divenuto un’icona intoccabile sul modello di Teresa di Calcutta. Anche la libertà della Cecenia è a tal punto importante, che persino di fronte alla strage di Beslan, i nostri media hanno suggerito che potrebbero considerarsi una ritorsione alle nefandezze dei Russi.

Ma in altri casi si ricorre alla repressione violenta per impedire rivendicazioni simili: basti pensare ai Paesi Baschi, alla Corsica, all’Alto Adige, e ovviamente alle istanze di popoli appartenenti alle ex Repubbliche dell’Unione Sovietica, che non godono negli stati indipendenti su base nazionalistica dei diritti che possedevano in precedenza (l’Ossezia ma non solo).

I ribelli sono considerati in certi casi combattenti per la libertà, in altri terroristi e si sa uno dei cavalli di battaglia della propaganda di guerra è stata la lotta al terrorismo, possibilmente islamico.

Un altro tema emblematico è la lotta per la democrazia, intesa naturalmente nel significato comunque ristretto di possibilità di libere elezioni: ma anche in questo caso, si tratta di condizione non sufficiente, infatti il risultato delle elezioni nella striscia di Gaza non fu gradito, e neppure quello in Venezuela.

Inneggiando ipocritamente alla primavera araba, in Libia si è intervenuti a favore di una fazione armata all’interno di uno Stato sovrano, e analogamente, anche se per adesso con minor successo, si sta facendo in Siria.

In Mali dunque, le popolazioni Tuareg che vorrebbero uno stato indipendente sono considerate alleate dei terroristi islamici, e vengono bombardate dagli aerei francesi.

Ormai sono decenni che subiamo questa guerra permanente, a volte sotterranea, dei governi occidentali di destra e di sinistra contro i Paesi di quello che un tempo era considerato Terzo Mondo, i cosiddetti Paesi in via di sviluppo, a partire dai “Non Allineati” (Iraq, Jugoslavia, Libia,…), e sembra che sia subentrato allo stupore, all’indignazione, alla lotta, una apatica indifferenza.

15 Gennaio 2013

Tamara Bellone

 

Ma chi è il P.M. Antonio Ingroia?

assolto il capitano ultimo!

3 febbraio 2006: la 3^ sezione del Tribunale di Palermo assolve il capitano perchè “il fatto non costituisce reato”. Con questa – sentenza – divenuta irrevocabile l’ 11 luglio 2006, viene respinto l’ agguato giornalistico-giudiziario amato da RIINA Salvatore e dai suoi alleati.

Ma chi è il P.M. Antonio Ingroia?

Mentre con parole di fuoco intimava ad ultimo di chiedere scusa al popolo italiano,

in un’ altra aula del tribunale di Palermo scorrevano le intercettazioni telefoniche

nelle quali chiedeva al fiancheggiatore di Bernardo Provenzano, Aiello Michele,

di ristrutturare l’ abitazione del padre ed altre prestazioni varie.

Leggi la sentenza 

IL FOGLIO 27 SETTEMBRE 2004

In esclusiva per noi, le strane abitudini della gente per bene

Può un pm parlare al telefono con un mafioso che gli ristruttura la casa?

Il dottore INGROIA l’ha fatto

Il pubblico accusatore di Dell’Utri vittima di un’intercettazione che lo descrive

SCENE DAL DOPPIO GIOCO DEL COLLABORATORE E AMICO DEL MAGISTRATO

Palermo. Chi sarà mai questo Professore? Nel brogliaccio in cui prendono appunti sulle telefonate intercettate, i carabinieri del Nucleo operativo di Palermo annotano diligenti che Ciuro Giuseppe parla, il 28 febbraio del 2003, alle ore 9.36, con Aiello Michele, e che gli parla anche dei lavori in corso in quel di Calatafimi, provincia di Trapani, “in una casa di ‘u Professore'”. Annotano che “Michele dice che i lavori per ora sono fermi perché vuole farli fare a persone di sua fiducia” e Pippo Ciuro, poliziotto e spia della mafia, risponde “aspetta che te lo passo, ché il Professore è qui con me”. Ed ecco che il telefonino intercettato passa al Professore, e il Professore parla con Aiello di questi benedetti lavori di ristrutturazione. Chiede a che punto sono, si informa delle mattonelle, di tramezzi, muri, i colori. Chiede delucidazioni sui tempi di consegna e di completamento, ricorda di aver chiesto un primo conto, perché il padre – proprietario della masseria – ha ricevuto un finanziamento della legge per il terremoto del Belice e l’ingegnere Aiello lo rassicura: stia tranquillo dottore, ci pensiamo noi, arrivederla, arrivederla.

Dottore? Ma non era Professore? I carabinieri, usi a obbedir tacendo, annotano con cura, senza capire. O fingendo di non capire. Poi presentano il brogliaccio ai superiori e la cosa finisce in procura, tra le mani dei magistrati inquirenti. I quali invece sanno benissimo chi è il Professore. E’ Ingroia Antonio, il magistrato con cui Ciuro lavora da nove anni fianco a fianco – a palazzo di giustizia li chiamano i “puri e ciuri” – al processo contro Marcello Dell’Utri. Ciuro, maresciallo della Dia, è una talpa. E assieme al suo compare Giorgio Riolo, maresciallo dei carabinieri distaccato al Ros, vende informazioni riservate al suo amico Michele Aiello, imprenditore di Bagheria, proprietario di cliniche e di imprese edili, indagato per mafia e indicato dal pentito Nino Giuffrè, detto Manuzza, addirittura come il prestanome di Bernardo Provenzano. Ma i traditori, come si sa, sono stati scoperti da altri pm, Giuseppe Pignatone, Maurizio De Lucia, Michele Prestipino, Nino Di Matteo, meno gettonati e meno noti e qualcuno pure molto inviso a Ingroia. Quando l’indagine sui venditori di antimafia arriverà al punto di non ritorno e si preparareranno i mandati di cattura, il Professore verrà comunque avvertito di stare bene attento ai doppi giochi di Ciuro, ma anche pregato di non fargli capire nulla. C’è un problemino, però: il traditore, prima di essere scoperto, ha procurato al magistrato, che chiama amichevolmente “il Professore”, l’impresa che sta ristrutturando il vecchio casolare di Calatafimi: e l’impresa è proprio quella di Aiello, il mafioso in doppiopetto. Ingroia è costretto a fare buon viso a cattivo gioco e a parlare di mattonelle e tramezzi con un mafioso, lui che i mafiosi (come Dell’Utri) normalmente li processa.

Una ragnatela ammaliante

Doveva essere una ragnatela ammaliante, oltre che appiccicosa, quella di Michele Aiello. Non solo perché l’ingegnere era in grado di risolvere con le sue aziende qualsiasi problema edilizio, come quello di Ingroia: è bastata la raccomandazione di Ciuro e una squadra di operai raggiunse in quattro e quattr’otto Calatafimi. Ma anche perché, con la sua modernissima clinica “Villa Santa Teresa”, Aiello era in grado di rispondere a qualsiasi problema di diagnosi e di salute. Ed ecco così un altro puro e duro dell’antimafia militante, come l’onorevole Lillo Speziale, diessino, capogruppo del suo partito all’Assemblea regionale siciliana, dimostrare grande confidenza con Aiello, che lo chiama al telefono. “Uè, Michè come va? Oggi alle quattro ti mando l’ex presidente della Regione… Al ginocchio dell’onorevole ci tengo particolarmente, perché quando lui è stabile sui piedi ragiona meglio…”. Ride, si autocompiace della battuta, poi precisa: “Non ragiona con le ginocchia, neanche con i piedi, però quando è stabile Capodicasa ragiona meglio…”. E’ il 19 febbraio del 2003 e altri carabinieri annoteranno diligenti che l’indomani l’ex presidente diessino della Regione (l’unico ex comunista ad aver guidato l’amministrazione siciliana, oggi presieduta da Totò Cuffaro), vestito con un cappotto scuro, va nella clinica di Michele Aiello a fare una risonanza magnetica. Nel corso della telefonata annoteranno anche, i militari, segnandola in grassetto, una battuta di Speziale: “Poi io e te dobbiamo parlare di un paio di cosette che abbiamo in sospeso…”. Ci vanno pure magistrati, gli telefonano politici di ogni colore, ad Aiello. Dice il carabiniere Giorgio Riolo, la talpa numero due, “sapevo pure che si sentiva persino con la segreteria di Lumia…”. Lumia?, chiedono i pm allibiti. “Lumia, Lumia”, conferma Riolo: “Infatti io una volta mi sono trovato lì e lui, Aiello, ha chiamato la segreteria, non so con chi parlava, però mi diceva: questa era la segreteria di Lumia; e quando io so che Lumia ex presidente non so di che cosa sia all’Antimafia, io non potevo mai credere a tutte queste stupidaggini, al fatto insomma che lui fosse un mafioso”. Annotano diligenti i carabinieri addetti alle intercettazioni, che effettivamente la segreteria dell’onorevole diessino Giuseppe Lumia, ex presidente della commissione parlamentare Antimafia, aveva preso contatti con Aiello, per informarsi della situazione ed eventualmente presentare un’interrogazione sul blocco dei pagamenti alla clinica, da parte dell’Asl. Cosa che avevano già fatto, in Sicilia, i deputati dei ds Domenico Giannopolo e della Margherita Andrea Zangara… Lumia poi l’interpellanza non la presentò più… E poi c’era pure Zangara, bagherese, che andava a trovare Aiello con Pino Fricano, sindaco ulivista di Bagheria. E Ciuro che in aula, nella requisitoria del processo Dell’Utri, i pm hanno mostrato quasi di disconoscere? “Si è parlato in maniera ignobile del ruolo ricoperto da Ciuro in questo processo, si è detto che aveva avuto un posto riservato tra gli scranni di quest’aula, posto rimasto vuoto dopo il suo arresto”, ha puntualizzato il 3 maggio, indignato, il pm Domenico Gozzo, per ribattere a una lettera con la quale Marcello Dell’Utri chiedeva a Ingroia con quale coerenza potesse mai portare avanti un processo per mafia, le cui indagini erano state affidate a un maresciallo accusato di mafia. Chi potrà mai dimenticare infatti che il maresciallo Ciuro – era il 26 novembre del 2002 – si scapicollò, con un braccio ingessato, fino a Palazzo Chigi, per partecipare – naturalmente in coppia con il Professore – all’interrogatorio di Berlusconi Silvio, nato a Milano il 29 settembre 1936, indagato di reato connesso? E chi potrà mai ignorare che il povero Ciuro aveva firmato da solo l’informativa sul nominato Berlusconi Silvio, già generalizzato in atti. Che ingrati, certi magistrati. Ora pigliano le distanze, ma lui, il maresciallo più amato della procura antimafia – era l’estate del 2003 – si spendeva anche per la causa comune. Così almeno diceva, civettando, il 22 agosto del 2003, con la bellissima collega Brigida. Ascoltiamo. “Gli ho detto ad Antonio: facciamo il trasloco. E lunedì facciamo il trasloco”, esordisce Ciuro, impennacchiandosi come un gallo cedrone. Antonio è sempre lui, Ingroia, l’altro “puro e ciuro”. I due non dividono solo la stanza dell’ufficio, al secondo piano del palazzo di giustizia, hanno pure le villette a mare vicinissime, una accanto all’altra. “Avete finito quella cosa”, chiede ansiosa Brigida. Quella cosa è la requisitoria del processo Dell’Utri. “Ancora no, ma una buona botta gliela abbiamo data, sai Brigida… Buona sta venendo… Quella seccatura di Forza Italia ce l’abbiamo tolta tutta, ora c’è il problema delle dichiarazioni, che è la parte più rognosa, non dobbiamo dare il fianco alla difesa, se no quelli ci fanno nuovi… E poi hai visto il giornale oggi? Le dichiarazioni di Giuffrè, che dice che prima delle stragi ci sono stati dei contatti con imprenditori… ma questa è la vecchia strategia, la vecchia teoria di quello che abbiamo fatto noi nel sistema criminale, dei mandanti esterni, diciamo… Ora questo Giuffrè o parla a rate o aveva parlato prima e noialtri che siamo i titolari del processo non l’abbiamo saputo… Lo apprendiamo adesso dai giornali…”.

Ma non è tutto

Ma non è tutto. Qualche giorno dopo, parlando con la segretaria di Guido Lo Forte, Margherita Pellerano, che cercava una raccomandazione per il marito da Totò Cuffaro, Ciuro non sa più contenere la propria spavalderia. Si sente attore e regista di tutte le questioni che attraversano palazzo di giustizia. “Ma lunedì c’è riunione per quella storia?”, chiede Ciuro. La storia è la questione della Direzione antimafia, dalla quale devono uscire Lo Forte e Roberto Scarpinato, l’altro pubblico ministero del processo contro Giulio Andreotti. Il coordinamento di Palermo deve passare a Pignatone, l’odiato (da Lo Forte, Scarpinato, Ingroia) Pignatone. “Pare che farà il coordinatore di tutta Palermo”, annota sprezzante Ciuro. E la Pellerano: “Non lo sappiamo ancora… ci sono tutti i cosi i rumpere”, ci sono cose da rompere, “se questo succede veramente l’inferno ci sarà”. Previsione azzeccata: il tentativo di rivolta ci fu, ma fallì miseramente. Ciuro si sente ormai il padrone delle terre. Come i vecchi campieri del feudo che a forza di parlare a nome dei baroni, erano riusciti a spodestare i baroni. Ma ha voluto strafare ed è finito in galera. Chi si ricorderà di lui? Gozzo, al processo Dell’Utri, ha detto che non contava niente: ” ‘n’aranci ‘i terra”.Un’arancia caduta dall’albero, un’arancia da terra appunto, da raccogliere coi piedi. Ma il Professore? Che cosa dirà di lui il Professore quando verrà il giorno del processo? Gli darà un’altra calcagnata come si fa con l'”aranci ‘n terra”?

Leggiamo  le indagini svolte dal  capitano ultimo e dai suoi Carabinieri sulla strage di capaci.

##### <

 http://www.capitanoultimo.it/d/ingroia.htm

 

Bilderberg: i fanatici del rigore dietro le stragi di Stato

C’era il Bilderberg dietro alle stragi impunite, quelle degli “anni di piombo”. Lo rivela Ferdinando Imposimato, che da magistrato inquirente si occupò dei casi più scottanti, dal rapimento Moro all’attentato al Papa. A “inciampare” nella potentissima lobby politico-finanziaria mondiale, oggi accusata di pilotare l’euro-crisi per restituire il potere assoluto alle élite planetarie amputando la nostra sovranità democratica col ricatto del debito, fu il giudice Emilio Alessandrini, assassinato dai terroristi di “Prima Linea” nel 1979. Impegnato nelle indagini su piazza Fontana, Alessandrini “scoprì” il ruolo dell’allora oscuro Bilderberg trent’anni prima che il grande pubblico venisse a conoscenza della sua esistenza. Il più esclusivo club finanziario mondiale era direttamente responsabile delle stragi e della strategia della tensione, sostiene oggi Imposimato, che ha scovato documenti inediti, pubblicati nel libro “La Repubblica delle stragi impunite”.

Una rivelazione-choc, quella del presidente onorario della Corte di Cassazione: «La verità è ormai chiara: ci sono state complicità dello Stato, o di frammenti dello Stato, con la mafia e col terrorismo nero, e con la massoneria». Elementi «che erano poi fusi e armonizzati in questa organizzazione, manovrata dalla Cia», che in Italia si chiama Gladio e all’estero “Stay Behind”. Fino a ieri sarebbe stata fantascienza, aggiunge Imposimato, ma ormai si tratta di fatti accertati, e il problema è che “Stay Behind” esiste ancora. Negli anni ’70, «serviva a impedire la dinamica politica», cioè frenare lo spostamento dell’elettorato verso la sinistra. Attentati, bombe, stragi. «Hanno fatto tutto questo non per destabilizzare lo Stato, ma per rafforzare il potere: destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare il potere politico». In tribunale è finita la manovalanza, ma i “mandanti” sono spesso rimasti nell’ombra. Specie quelli più insospettabili: i super-finanzieri del Gruppo Bilderberg.

Per la verità, nel Bilderberg si era imbattuto Emilio Alessandrini, in un documento del 1967 che Imposimato ha «ritrovato miracolosamente» e pubblicato nel suo libro sulle stragi impunite. Della famigerata cupola finanziaria si parla solo da qualche anno, da quando cioè la crisi planetaria è precipitata. Nel gruppo militano esponenti di primissimo piano dell’economia, della finanza e della grande industria, inclusi alcuni campioni della tecnocrazia europea come Monti e Draghi, già impegnati nelle nefaste strategie della Goldman Sachs. Se il governatore della Bce fa parte anche del “Gruppo dei 30”, massima lobby planetaria che infiltra le sedi intergovernative per influire sulla legislazione bancaria, Mario Monti è stato un dirigente della Commissione Trilaterale, il super-vertice permanente del potere mondiale in cui siedono gli uomini più influenti di UsaEuropa e Giappone. Totalmente in ombra, invece, il Bilderberg: persino l’ultima riunione a Roma è rimasta avvolta nella riservatezza, nonostante l’imbarazzo di molti vip italiani – da Monti in giù – dopo la pubblicazione dei Il giudice Emilio Alessandriniloro nomi da parte di “Dagospia”.

«Può darsi pure che qualcuno di loro non sappia nulla – ammette Imposimato – però il Bilderberg fa queste cose qua. Cioè: governa il mondo e le democrazie in modo invisibile, in modo da condizionare il loro sviluppo democratico». Clamorosa la portata del documento che Imposimato ha scovato, tra le carte di Alessandrini: «Il Bilderberg scrive che è uno dei responsabili della strategia della tensione, e quindi anche delle stragi». Letteralmente: «Il Bilderberg responsabile delle stragi». Imposimato, osserva Simone Santini in un intervento per “Clarissa” ripreso da “Megachip”, «delinea il quadro di una verità storica ormai accertata ma, è necessario dirlo, che si fatica a tradurre in azioni politiche per affrontare il sistema di potere ancora vigente in Italia». E così, aggiunge Santini, «l’“io so” pasoliniano appare esemplificato in maniera cristallina», grazie alla tenacia di un uomo come Imposimato e al coraggio di Alessandrini, che arrivò al Bilderberg più di trent’anni fa.

Niente di nuovo, peraltro, rispetto allo spietato memorandum stilato all’inizio degli anni ’70 dall’avvocato americano Lewis Powell, che la Camera di Commercio degli Stati Uniti incaricò di organizzare la storica riscossa del grande capitale e restituire il potere alle élite dopo due secoli di rivolte, rivoluzioni e riforme democratiche. «In confronto – dice Paolo Barnard – persino la mafia rappresenta una minaccia minore: le mafie sono anzi una semplice funzione di quel potere». Obiettivo: revocare i diritti del lavoro svuotando la democrazia. Come? «Disabilitando i sindacati e i partiti di sinistra», ormai ridotti a stampelle del potere unico che domina l’Occidente, e che in Europa è incarnato dalla Commissione Europea. Con Maastricht, si toglie agli Stati la sovranità monetaria, col Trattato di Lisbona si neutralizzano le Costituzioni democratiche nate dall’antifascismo, e col Fiscal Compact e il pareggio di bilancio si disarma completamente ogni governo, ormai costretto a spremere i cittadini con le tasse tagliando welfare, servizi sociali, pensioni, stipendi, diritti, scuole e ospedali. Fino al Mario Monticaso-limite dell’Italia “commissariata” da Monti, che esegue gli ordini del super-potere.

Quello che ancora non si sapeva è che il massimo salotto mondiale della finanza, il Bilderberg, non esitò a farsi complice della strategia della tensione, seminando sangue innocente nelle piazze italiane. Già allora erano loro, i professionisti della paura, a terrorizzare i cittadini che si erano illusi che il benessere dello stato sociale e idiritti del lavoro fossero acquisiti una volta per tutte. Errore: il “vero potere” aveva dichiarato guerra alla democrazia, ed era pronto a tutto. Caduto il Muro di Berlino, l’accelerazione si fa drammatica: spazzata via con Tangentopoli la vecchia classe dirigente, anche l’Italia entra docilmente nel recinto dell’Eurozona, il capolavoro egemonico della grande finanza che sogna la privatizzazione degli Stati e dei beni comuni. A quanto pare, il piano prosegue senza intoppi: l’Italia ha di fronte un collasso storico, imposto dalla maxi-stangata del Fiscal Compact, ma sembra che il pericolo venga completamente ignorato da centrodestra e centrosinistra, le comparse che si candidano alle elezioni. E le uniche due forze di opposizione – Grillo e Ingroia – preferiscono parlare di anticasta e antimafia. Sicché, non si vede come il voto di febbraio possa minimamente disturbare gli architetti del “massacro sociale”. Un piano che viene da lontano: addirittura, come rivela Imposimato, dal 1967.

(Il libro: Ferdinando Imposimato, “La Repubblica delle stragi impunite”, Newton Compton, 367 pagine, euro 9,90).

http://www.libreidee.org/2013/01/bilderberg-choc-i-fanatici-del-rigore-dietro-le-stragi-di-stato

 Tratto da: Bilderberg: i fanatici del rigore dietro le stragi di Stato | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/01/20/bilderberg-i-fanatici-del-rigore-dietro-le-stragi-di-stato/#ixzz2IXsK3DZ1 

– Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario! 

Roberta Benetti Scopre come Curare Cancro Senza Chemioterapie

By Archimede
on 22.01.13 15:49

Roberta Benetti è la ricercatrice italiana che ha scoperto le molecole che bloccano la proliferazione tumorale e che, aggredendo soltanto le cellule malate, potranno rappresentare l’alternativa alla chemio e alla radioterapia: la soluzione, quindi, è quella di autoproteggersi dai tumori con l’aiuto di molecole prodotte dall’organismo umano. Una cura che – tra qualche anno – potrebbe eliminare la chemio e la radioterapia. La strada a questo tipo di cure è stata aperta dall’Università di Udine grazie a uno studio guidato dalla ricercatrice monfalconese Roberta Benetti; studio che pubblicato sulla pretsigiosa rivista interrnazionale Cancer Research dell’American Association for Cancer Research, una delle più prestigiose a livello mondiale del settore.

roberta-benetti-ricercatrice.jpg

Lo studio è stato pubblicato mercoledì e spiega del successo ottenuto dal gruppo della facoltà di Medicina dell’ateneo di Udine. «In particolare – spiega l’Università –, la ricerca ha per la prima volta dimostrato che una delle molecole microRna, precisamente la miR-335, è direttamente responsabile nel controllo, della generazione e delle funzioni dell’oncosoppressore Rb, gene coinvolto nella protezione dello sviluppo dei tumori. Inoltre, nello studio si evince che l’espressione della miR-335 influisce in modo diretto nel bilanciare il delicato equilibrio di protezione contro lo sviluppo tumorale, perché intacca attraverso l’indiretta influenza anche sull’oncosoppressore p53, gli effetti di due fondamentali proteine note per essere deregolate nella genesi dei tumori».

Lo studio è stato realizzato grazie al fondamentale sostegno dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc). Il gruppo di ricerca guidato da  Roberta Benetti è composto dal giovane dottorando di ricerca Michele Scarola e da Stefan Schoeftner, esperto ricercatore austriaco che ha scelto l’esperienza di ricerca in Italia unendosi al gruppo udinese, ed è supportato da Claudio Schneider, ordinario di Biologia all’università di Udine e direttore del Laboratorio nazionale del Consorzio interuniversitario per le Biotecnologie (Cib) di Area Science Park.

La trentasettenne Roberta Benetti, originaria di Monfalcone, dopo la laurea in Biologia a Trieste con tesi sperimentale al Cib, dove ha continuato a operare come borsista grazie all’Airc-Firc, ha conseguito il dottorato di ricerca alla Sissa.Attratta dall’esperienza di ricerca all’estero, Benetti si trasferisce quindi in Spagna, al Centro di ricerca nazionale sul cancro di Madrid, guidato da Maria Blasco. Vincitrice di un concorso per ricercatore all’ateneo friulano, Benetti rientra nel 2007 in Italia, cogliendo al volo l’occasione di poter guidare un piccolo gruppo di ricerca.

Fonte: 

http://www.laleva.org/it/2013/01/roberta_benetti_scopre_come_curare_cancro_senza_chemioterapie_.html