Trivelle, la Cgil contro il referendum: “Rischiamo posti di lavoro”

si sà, come la Cgil mai nessuno ha difeso tanto i lavoratori, per questo hanno approvato dalla Treu alla Biagi, fino al Job act senza fare troppo rumore, disturbare sì, ma entro certi limiti. Sia mai che le lobbies si indispettiscano
 
Il segretario dei chimici della Cgil, Emilio Miceli, prende posizione a un mese dal voto: “Di petrolio e gas ci sarà ancora bisogno, si rischia di perdere posti di lavoro”. Ma la Cgil in Basilicata va controcorrente. La Consulta boccia i ricorsi delle Regioni
 
di LUCA PAGNI
09 marzo 2016
 
trivelle
MILANO – “In un mondo attraversato dall’ombra della guerra e con il rischio di un coinvolgimento fortissimo dell’Italia, sarebbe un errore strategico, fatale per il nostro paese vietare l’estrazione di idrocarburi”. A poco più di un mese dal referendum indetto da comitati locali e ambientalisti che cercano di porre un freno all’attività della ricerca di idrocarburi in Italia, il fronte dei “trivellatori”, dopo lo stop della Corte costituzionale al ricorso delle regioni, trova un nuovo alleato. Con un intervento pubblicato nelle pagine dei commenti del quotidiano “Unità”, il segretario nazionale dei chimici della Cgil, Emilio Miceli, prende nettamente posizione contro il referendum. E lo fa con una serie di argomentazioni di carattere politico-economico, dietro alle quali è comprensibile leggere tutte le preoccupazioni del sindacalista per la possibile perdita di posti di lavoro.
 
Miceli lo sostiene senza girarci troppo intorno. Partendo dal presupposto che nell’Adriatico le estrazioni si faranno lo stesso anche se verranno impedite in Italia (in Croazia, Montenegro e Grecia sta già avvenendo), il segretario della Filctem sostiene che ci saranno “imprese che chiuderanno i battenti” con “emigrazione verso altri lidi di frotte di ingegneri e di complesse infrastrutture tecnologiche e logistiche che rischiamo di perdere, insieme a migliaia di posti di lavoro dell’indotto, nelle quali primeggiamo perché è un lavoro che sappiamo fare, una volta tanto tra i primi nel mondo”.
 
Ma non c’è solo l’aspetto occupazionale. C’è anche quello politico a sostegno della posizione contro il referendum. Miceli, nel suo intervento, sostiene che siamo ancora lontani “dal superamento dell’energia da fonte fossile”. Detto in altri termini, di gas e petrolio c’è ancora bisogno e siccome si può estrarlo in Italia perché ricorrere alle importazioni che sarebbero più costose? “Noi speriamo che gli impegni presi a Parigi vengano rispettati, perché il mondo è malato e si stente l’urgenza di una inversione di rotta che ha bisogno di nuove tecnologie per avverarsi. Ma possiamo permetterci un disarmo unilaterale?”
 
Così, Miceli arriva a sostenere, di fatto, alcune decisioni del governo Renzi su grandi opere di interesse nazionale, con le quali ha affidato al potere centrale più competenze rispetto al passato: “E’ giusto affidare temi complessi come quello dei titoli concessori utili alle estrazioni di petrolio e di gas a uno strumento come il referendum? E’ legittimo – conclude il suo ragionamento il sindacalista della Cgil – diffondere il dubbio che l’Italia sia un paese nel quale, oggi per la burocrazia e domani per il costo dell’estrazione, non convenga investire perché è un Paese a legislazione emotiva e quindi è bene guardare fuori dal perimetro nazionale?”
 
Ma non tutti nella Cgil la pensano allo stesso modo. In Basilicata, il sindacato guidato da Susanna Camusso si è espresso a favore dei referendari: “Le trivellazioni, il petrolio, le fonti fossili – si legge in un documento approvato da tutte le segreterie lucane della Cgil – rappresentano un passato fatto di inquinamento,  dipendenza energetica, interessi e pressioni decisionali delle lobby, conflitti, devastazione ambientale e della salute, cambiamenti climatici. Noi vogliamo – si legge ancora – un futuro basato sull’efficienza energetica e le fonti rinnovabili distribuite, un’economia sostenibile e equa, la piena occupazione e la democrazia partecipativa. Vogliamo che il nostro Paese acceleri la transizione energetica, si doti di un piano industriale strategico per lo sviluppo sostenibile e di un piano per la decarbonizzazione che contribuisca a realizzare l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale entro 1.5° sancito nell’accordo della conferenza sul clima di Parigi”.
 
Il perché della contraddizione all’interno della Cgil è spiegabile: a livello nazionale le preoccupazioni con la possibile riduzione di investimenti e quindi di posti di lavoro complessivi, mentre a livello locale la Cgil deve tener conto delle proteste per lo sfruttamento della Val d’Agri dove si trovano i più grandi giacimenti di idrocarburi d’Europa sulla terraferma. Da tempo le polemiche riguardano il fatto che i giacimenti non hanno portato quei benefici al territorio della Basilicata, sotto forma di occupazione e royalties.
 
Il referendum, ricordiamo, si terrà il 17 aprile per per proporre “l’abrogazione della norma che concede di protrarre le concessioni per estrarre idrocarburi entro 12 miglia dalla costa italiana fino alla vita utile del giacimento. Se il referendum approverà l’abrogazione, le concessioni giungeranno alla scadenza prevista.
Trivelle, la Cgil contro il referendum: “Rischiamo posti di lavoro”ultima modifica: 2016-03-09T21:07:43+01:00da davi-luciano
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