VALSUSA, KIEV, CARACAS: COLPI DI CODA

 da www.fulviogrimaldicontroblog.info: “Valsusa, Kiev, Caracas: colpi di coda”

GIOVEDÌ 20 FEBBRAIO 2014

 Qualcuno sta cercando Vladimir Luxuria dalle parti dell’Uganda dove passa la legge che dà l’ergastolo ai “devianti omosessuali”? (Anonimo)

 “Poi gli uomini di Stato inventeranno miserabili bugie, addossando la colpa alla nazione che viene attaccata e ogni persona sarà felice di queste falsità che ne placano la coscienza e le studierà diligentemente e si rifiuterà di esaminare ogni messa in discussione. E così a poco a poco convincerà se stessa  che quella guerra è giusta e ringrazierà dio per il buon sonno di cui godrà grazie a questo grottesco processo di auto-inganno“. (Mark Twain) 

Nuova immagine

  Nuclei armati di Stato

Prima una nota domestica. I magistrati torinesi, privati del Caselli in pensione e quindi, solo stavolta, usciti dalla coazione a ripetere incriminazioni assurde solo contro i No Tav e mai contro chi li sevizia, o ne mafizza la valle, mandano a processo un carabiniere picchiatore (riconosciuto dalla vittima grazie a un tatuaggio), nonché il senatore Stefano Esposito, ultrà pro-Tav per aver sistematicamente diffamato esponenti della resistenza No Tav. Non si era ancora dissipata l’eco di queste inusitate azioni, che il copione classico della provocazione, riabilitatrice del carabiniere e del senatore, si è manifestato sotto forma di un comunicato che annuncia “l’inizio della lotta armata contro il TAV”, a firma “Nuclei Operativi Armati”, con tanto di condanne a morte per protagonisti pro-Tav, tra cui il noto Esposito che aveva trovato tre molotov su pianerottolo e un giornalista infatuato di trivelle e buchi, Numa della “Stampa”, aveva ricevuto un “pacco esplosivo”.

Poteva esserci anche la firma “Brigate Rosse” e se ne sarebbe levato lo stesso fetore di infiltrati e servizi segreti che ne emanò ai tempi detti “di piombo”. L’operazione ha la calcolata tempestività dei comunicati BR alla vigilia di Legge Reale, Teorema di Calogero e altre svolte verso il destino perfezionato oggi da BCE, Washington e UE. Un Napolitano vale un Cossiga e un Renzi vale un Rumor. Mancavano tre giorni alle manifestazioni nazionali No Tav e si trattava di calmierare le proteste per lo scandaloso trattamento da 41bis riservato ai 4 ragazzi No Tav arrestati per “terrorismo” per i fuochi d’artifizio al cantiere della Clarea nel 2013. Hanno aperto la caccia. Ma il popolo della Valsusa non farà da lepre. Facile passare da questi detriti della strategia della tensione e di Gladio, a quelli che hanno appiccato la miccia a Piazza Fontana, o alle Torri Gemelle. Correttamente, il movimento della Val di Susa ha “rispedito la porcheria al mittente (governo e Co.)”.

 Mostri 

mostro marino

Avete mai visto una balena immergersi? Spettacolo grandioso. Quando il corpo è già tutto sotto la superficie, si vede solo la gigantesca pinna caudale agitarsi, mena fendenti tremendi e sconvolge il mare. E’ la metafora dei grandi colpi di coda. Tocca vedere se sono quelli di una creatura ferita e agonizzante, o di un sovrano del mare che, come nessun altro, domina i flutti. Personalmente, fuori metafora, propendo per la prima ipotesi. I corifei dell’imperatore inneggiano alla “ripresa” degli Stati Uniti, a cui presto a tardi si aggancerà anche quella dei vassalli. E intanto la disoccupazione dilaga, la competitività crolla e Obama ha perfino tagliato 50 miliardi di dollari ai buoni-viveri elargiti ad alcuni dei 50 milioni di poveri assoluti. Per contenere la collera di coloro che vedono pasti, scuole, ospedali, fabbriche, asili nido, energie alternative, trasformarsi in bombardieri, droni e armamenti stellari, ha trasformato la “fucina di democrazia” in Stato di polizia.

 Per uscire definitivamente dall’agonia della crisi da finanziarizzazione del ’29 e tornare all’accumulazione senza freni, il bestione nordamericano aveva scelto la soluzione Seconda Guerra Mondiale. Sono accecati dal guadagno a breve e, dunque, privi di immaginazione, come conferma la stanca ripetizione sempre degli stessi stereotipi di propaganda, menzogna e provocazione, dall’incendio della Maine per assaltare la Spagna a Cuba, a Pearl Harbour per far fuori il Giappone, all’11 settembre per la Terza Guerra Mondiale, quella detta “infinita” contro dittature, terrorismo e droga. Il più grosso paradosso della storia è che lo fanno per perfezionare la propria dittatura, il proprio terrorismo, il proprio traffico di droga.

Abissi di ignoranza, vette di spocchia e snobismo, paludi di complicità subalterna, sconfinata capacità di menzogna dei buffoni di corte politici e mediatici, fanno da carta stagnola intorno al cioccolatino velenoso. Quello che cercano di cacciare in gola agli ucraini, ai venezuelani, ai siriani, a centroafricani, ai sud-sudanesi, agli almeno 135 paesi in cui gli euro-atlantici brigano con destabilizzazioni, colpi di Stato, guerre a bassa intensità, forze speciali, sanzioni, intimidazioni e ricatti tramite sorveglianza e spionaggio universali.

 Ucraina, rivoluzione color sangueotpor pussy riot

 In Ucraina, svaporata da anni una rivoluzione tinta di arancione, affidata alle collaudate ONG di complemento e malamente capeggiata dal clan mafioso della Timoshenko, sono passati alla guerra colorata di sangue, sotto il piglio più deciso di bande naziste bene armate. Immancabile la presenza di Otpor, la banda di Soros, Cia e NED collaudata contro la Serbia e Milosevic, stampata sulle Pussy Riot, capofila delle varie Ong tossiche disseminate negli ambienti giovanili yuppie e teppisti dei paesi da distruggere. Nei Balcani si erano distinti gli italiani, con turpi elementi come Sofri, Langer, i vari chierici e Ong quali l’ICS di Marcon, poi riciclatosi nei correttori di bozze UE di  “Sbilanciamoci”: Anche in Venezuela, sono il mercenariato adatto alle circostanze, etero prodotto ed eterodiretto quanto quello jihadista, là dove l’intervento di marines e bombardieri darebbe troppo nell’occhio,  in casa e fuori. O riescono a cacciare il governo, qui davvero democraticamente eletto, o, Piano B, lacerano il paese con il caos creativo e magari un po’ di missili nucleari da primo colpo. Perché la guerra che i turibolanti dei diritti umani, qui come in Siria, Centrafrica,  Mali, Tailandia, definiscono sollevazione per la democrazia, non è che la guerra contro quanto al mondo si oppone a un cannibalismo rispetto al quale Gengis Khan non faceva che merenda. Russia delenda est. Con la Cina si vedrà dopo.

 Per neutralizzare la Russia tornata in piedi con Putin, Washington ruppe gli accordi Reagan-Gorbaciov e allargò la Nato ai paesi della sfera dell’ex-URSS. Ora punta a inglobarvi Georgia e Ucraina, parti costitutive di quell’Unione. Si è ritirata anche dal trattato che bandiva i missili balistici anti-missile e ha stabilito basi per questi missili alla frontiera russa. Ha modificato la sua dottrina di guerra per permettere primi colpi nucleari. Si trattava di spuntare il deterrente russo. Ora è stata messa in campo, con licenza di ogni atrocità, a rimpannucciare masse di decerebrati che, dopo tre mesi di ubriacatura, gelo, casino, stavano uscendo dall’allucinazione di un Eden europeo per tutti, la teppa con la croce uncinata.

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Ritirati in casa o nelle retrovie i seguaci del clan mafioso della Timoshenko, rassicurati dall’amnistia per i loro delitti, sono scesi in campo i duri del mercenariato atlantista, riuniti sotto l’accattivante sigla “Euromaidan”.  A segnare la svolta, la fiaccolata dei 15mila neonazisti di “Svoboda” (il 10,45% alle elezioni 2012), partito riconosciuto in Occidente come legittimo elemento della triade dell’opposizione democratica, accanto a “Patria” della predatrice Timoshenko (25,5%) e al democristiano  “Udar” dell’ ex-pugile Klitschko. Nel giro di giorni è avvenuta la programmata integrazione del “Congresso dei Nazionalisti Ucraini” (1,11%), gruppo clonato dalla Gladio-Stay Behind ucraina, e dell’ “Autodifesa Ucraina” (0,08%), che s’è fatta le ossa combattendo con i separatisti in Cecenia e Ossezia. Dalla Crimea sono stati trasferiti a Kiev bande di giovani tartari richiamati dalla jihad siriana. Da lì hanno importato la pratica del cecchinaggio dai tetti su manifestanti e poliziotti, da attribuire al regime onde parlare di dimostranti pacifici massacrati e preparare l’intervento esterno.Obama, l’ancella europea  Ashton e la Nato si sono attivati. Una volta perfezionato l’assetto e ottenuta la legittimazione da interferenti come John McCain, Kerry  e la sua vice Victoria Nuland, sono partiti i proiettili e gli incendi, con armi prelevate da caserme assaltate e, più probabilmente, arrivate dalle confinanti Georgia e Polonia.

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E sono arrivati i morti, a decine. I vari boss del putsch in corso si sono ben guardati dal prendere le distanze dalle devastazioni e occupazioni di edifici istituzionali, dalle fucilate ai poliziotti e dai roghi che stanno incenerendo la capitale. Il presidenteYanukovic, ritirata la mano ingenuamente tesa con l’offerta di coabitazione governativa, ora fa arrivare sul posto un battaglione di paracadutisti. Fossimo in un qualsiasi paese della “comunità internazionale” saremmo allo stato d’assedio e agli elicotteri Apache.

 La Russia ha pagato a Kiev la seconda tranche del credito di 15 miliardi di euro. Sono 15 miliardi e grossi sconti sul gas che bilanciano ampiamente le briciole previste dagli accordi di integrazione economica con l’UE, destinate comunque a svanire nel destino che Bruxelles  riserva alle sue periferie. Ma sono anche, per quanto riguarda i russi, 15 miliardi di assicurazione sulla vita del loro paese e, per quanto attiene a noi, il salvagente in un mare rimescolato dai colpi di coda. Per ottenere la rimozione di ogni ostacolo alla marcia verso il dominio mondiale, hanno polverizzato quel poco che veniva rispettato del diritto internazionale e della Carta di un’ONU piegata a proprio scendiletto. Una Russia ridotta in pezzi gli ha immolato il principale caposaldo in Medioriente, l’Iraq, e in Europa, la Jugoslavia. Una Russia ancora traballante (Medvedev), si è limitata ai rimbrotti quando hanno sbranato la Libia. Con Siria, Iran, Ucraina, una Russia divenuta, a forza di nefandezze occidentali, consapevole del pericolo e delle proprie responsabilità verso tutti, ha detto basta.

 La partita resta aperta perché, fallisse il “regime change”, resta l’opzione della guerra civile endemica. Damasco resiste da tre anni, Kiev da tre mesi e passa. Non c’è solo la difesa sempre più decisa della Russia e l’ostilità della maggioranza dei governi e dei popoli al terrorismo planetario di UE-USA. C’è la forza e la dignità della maggioranza cosciente delle rispettive popolazioni, a dispetto di tutte le inenarrabili sofferenze subite. E c’è anche la l’accanirsi sul bottino delle varie componenti degli assalitori. In Siria, Usa e Arabia Saudita sono ai ferri corti sulla scelta tra emirato siriano wahabita e alqaidista e proconsolato coloniale presentabile nelle forme in Occidente. Il che agevola la carneficina in atto tra formazioni parimenti terroristiche del “moderato” “Free Syrian Army”e dei jihadisti del “Fronte Islamico”, di Al Nusrah e dello “Stato islamico in Iraq e Levante”. Il primo rifornito di armi dagli Usa, gli altri tutti dall’Arabia Saudita (compresi missili terra-aria). Sembra avere un lieve vantaggio Riad, che ha piazzato i suoi fantocci alla testa di tutte le fazioni, politiche e militari. Ma il traguardo è lontano.

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Così per l’Ucraina. Il Dipartimento di Stato che, con la forbita Nuland, manda affanculo l’UE, non tollera che i subalterni europei, Germania in testa, nella questione coltivino una tentazione euroasiatica. Interpretando le preferenze per gli Usa del vecchio arnese arancione Timoshenko e di “Svoboda”, con annessi rigurgiti nazisti (eredi diretti di coloro che si batterono con Hitler contro l’URSS), la Nuland, parlando col suo ambasciatore a Kiev, si è fatta la Napolitano della situazione decidendo che primo ministro dovesse essere Yatsenyuk (familiarmente da lei chiamato “Yats”), il vicario della Timoshenko, e assolutamente non Vitali Klitschko, sospetto di un debole per Bruxelles e Berlino e disposto, come queste, alla mediazione. Così Angela Merkel ha immediatamente abbracciato e incoronato a Berlino il deprecato ex-pugile. La cosa è foriera, nella sedizione ucraina, di sviluppi analoghi a quelli tra i due schieramenti mercenari in Siria. E alla contesa tra Arabia Saudita (con sullo sfondo anche l’Egitto, sovvenzionato da Riad, ma sempre più interlocutore di Mosca) e Usa si affianca ora quella tra Usa e UE. Non c’ male, anche se sappiamo come andrà a finire. O forse no.

 Venezuela all’ennesimo golpe Usacaracas chavisti

Si direbbe che nella sua demenziale corsa alla conflagrazione mondiale, in America Latina gli euroatlantici dovrebbero prendersela con il Brasile, pezzo forte del continente in termini economici, tecnologici e militari e forza trainante dei temutissimi BRICS, i grossi paesi emergenti e non demoliti dalla crisi architettata a Wall Street. Invece il bersaglio è il Venezuela. Conterà pure il petrolio, di cui il Venezuela è il secondo detentore mondiale, ma questo non comporterebbe che l’offensiva Usa colpisse, per ora con destabilizzazioni di bassa intensità, anche i fratelli minori di Caracas, Bolivia, Ecuador, Argentina. Il dato significativo che emerge dalle priorità di questi paesi nella strategia d’attacco di Washington è che, sulla competizione economica e addirittura militare, per l’élite di oligarchi globali prevale il terrore della contaminazione politica e sociale. Un modello di classe con forti caratteri di rivoluzione sociale, eliminato in un batter d’occhio nella pacifista Libia, con più fatica nel praticamente disarmato Iraq, aggredito in Siria, ha mostrato forte capacità di contagio in America Latina. Al punto che, per non dare l’impressione di antagonizzare la nazione di Hugo Chavez, popolarissima e invidiatissima tra le loro masse, anche paese legati al carro Usa, come Cile, Peru, Colombia, Messico hanno aderito al CELAC, la nuova unione inter-latinoamericana che esclude Usa e Canada e include Cuba, a suo tempo estromessa dall’OSA.

 Ed è dunque contro il Venezuela che si è nuovamente scatenata la belva ferita cui Hugo Chavez e ora Nicolas Maduro hanno sottratto il boccone latinoamericano. Di cosa sia capace nel suo odio-terrore per chi smentisce il pensiero unico dei predatori turbocapitalisti, l’ho visto nel 2002, quando, dopo il fallito colpo di Stato, gli Usa e i parassiti locali scatenarono contro la gente una guerra della fame lunga sei mesi. Senza combustibile, per cucinare e riscaldarsi, si era costretti a bruciare i mobili. Vinsero Chavez e il suo popolo. E continuarono a vincere contro le jacqueries  scatenate dagli ex-oligarchi e orchestrate dai locali emissari diplomatici e Ong nordamericane ogni volta che le più corrette elezioni del mondo rafforzavano la scelta bolivariana.

 Lo schema è sempre quello: provocare scontento popolare attraverso: l’insicurezza determinata, in buona parte, da una criminalità di strada manipolata; guerra del cibo da parte della grande distribuzione privata che imbosca prodotti, fa lievitare i prezzi e provoca carenze dei generi di prima necessità, poi contrabbandati sul mercato nero in Colombia; guerra della valuta, attraverso la manipolazione del mercato nero del cambio; attacco al bersaglio grosso, la compagnia petrolifera di Stato, PDVSA, con una campagna mediatica di diffamazione e di dati falsi;  campagna mediatica che scarica sul governo Maduro la responsabilità delle difficoltà economiche derivanti da queste manovre.

 Questa volta, però, ci sono scappati diversi morti e feriti. In assenza di terroristi islamici, incongrui nelle circostanze, sono state allevate e messe in campo bande di nazisti, come in Ucraina. La nuova forza ausiliaria dell’Impero. Nell’assalto al quartiere carachegno “23 Enero”, una roccaforte rivoluzionaria fin dalla guerriglia della seconda metà del ‘900, come nelle altre incursioni affidate agli studenti delle università private si è visto primeggiare tale Lorent Saleh. Presidente della solita Ong di copertura, “Operacion Libertad”. Nella foto lo si vede a Bogotà, a una tavola rotonda allestita dai neonazisti di “Tercera Fuerza”, braccio politico dei paramilitari cari all’ex-presidente Uribe, perenne cospiratore per conto Usa. Al suo fianco, Pablo Wilches, pre-candidato dell’estrema destra alla presidenza della Colombia, e Diego Cubillos, “comandante” di “Tercera Fuerza”. Sono le bande guidate da Saleh e camerati che hanno imperversato e sparacchiato per le vie di Caracas, Merida e altre città, privilegiando l’incendio di scuole e cliniche dove sono attivi i medici e insegnanti cubani.Maduro

 Forte di un tessuto sociale creato da Chavez e da lui rafforzato, Maduro non è rimasto inerte. Sostenuto da ripetute manifestazioni bolivariane di centinaia di migliaia di persone, ha neutralizzato l’attacco valutario imponendo un cambio corretto. Contro il sabotaggio delle catene di distribuzione ha imposto un calmiere dei prezzi, ha sequestrato le merci imboscate, ha potenziato i mercati popolari “dal produttore al consumatore” gestiti dallo Stato. Contro le denunce di crisi economica stanno i dati che continuano a vedere un incremento annuale del PIL tra il 3 e il 5%, un debito nazionale o estero irrilevante, il superamento delle importazioni (59,3 milioni di dollari) da parte delle esportazioni (94 milioni), segno di una progressiva, seppure ancora del tutto insufficiente, diversificazione dell’economia, via dal monoreddito petrolifero. Grazie allo stanziamento  del 54% del bilancio statale in investimenti sociali – le “misiones” –   la povertà si è ridotta dal 68% precedente all’attuale 21%, la povertà assoluta al 7%. Sanità e istruzione gratuite hanno eliminato l’analfabetismo e una serie di malattie endemiche.

 Nell’indice ONU dello sviluppo umano, Caracas guadagna 7 posti. Sempre per l’ONU, il Venezuela è il paese latinoamericano con la più bassa diseguaglianza sociale. All’insicurezza, endemica, ma incrementata ad arte e comune a quasi tutte le capitali latinoamericane, Maduro ha risposto con il “Piano per la pace”, che fa assumere all’autorganizzazione dei consigli municipali, delle Comuni, dei Comitati  Cittadini per la sicurezza, la condivisione con le istituzioni statali della responsabilità per la sicurezza. Sono stati istituiti servizi di assistenza per le vittime del crimine e si sono responsabilizzati i media nella soppressione di programmi violenti.

 Quanto ai manovratori classici di ogni sabotaggio e violenza, neanche tanto in ombra, Maduro non ha avuto la mano leggera. Tre diplomatici Usa espulsi domenica scorsa. Fanno parte della chemioterapia venezuelana che aveva già rimosso tumori come USAID, l’incaricata d’affari Kelly Keiderling, due membri della segreteria, il viceconsole, due addetti militari che cercavano di corrompere ufficiali venezuelani… Dal 2010 i due paesi non hanno rappresentanze a livello di ambasciatore.

 Ancora una volta l’opposizione al processo bolivariano, al momento dello scontro auspicato decisivo, si disunisce. Registrando la debolezza numerica e l’inconsistenza sociale degli antichavisti, il candidato sconfitto delle due ultime elezioni, Enrique Capriles,  ha preso le distanze dai violenti ed è arrivato a esprimere solidarietà al ministro della giustizia, la cui sede era stata attaccata e incendiata. Stessa posizione è stata assunta dal vecchio partito “socialdemocratico”, AD. Resta in campo un altro provato arnese Cia, Leopoldo Lopez, parlamentare  e leader del partitino di estrema destra “Voluntad Popular”, considerato il vero promotore e dirigente della campagna di violenze scoppiate il 12 febbraio. Ma, colpito da mandato di cattura per essere il mandante degli omicidi, è stato arrestato il 18 febbraio. Piazza Altamira occupata, roccaforte della ricca borghesia compradora, è stata sgomberata senza colpo ferire.

 E’ prevedibile una nuova sosta nella guerra tra minoranza arroccata attorno ad antichi e indebiti privilegi, foraggiata dalle centrali Usa della destabilizzazione, Cia, Dipartimento di Stato, NED, Ong, con l’alleato Uribe e i suoi paramilitari, e una rivoluzione bolivariana che continua a confermarsi sostenuta dalla maggioranza della popolazione. Ci riproveranno. La coazione a ripetere è inscindibile dall’imperialismo, per quanto le sue imprese in genere finiscano male. Ma, alla luce dei tre lustri di ininterrotta avanzata del processo di emancipazione in Venezuela e del suo dilagare in altri paesi del continente, che Washington non è riuscito a fermare con i suoi colpi di Stato, parrebbe che la prossima volta dovranno provarci con i marines. Per ora digrignano i denti ed esigono, per bocca di John Kerry, l’immediata liberazione di Leopoldo Lopez, a scanso di “conseguenze negative sul piano internazionale”.

VALSUSA, KIEV, CARACAS: COLPI DI CODAultima modifica: 2014-02-20T18:09:49+01:00da davi-luciano
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