In Amenas: rivelazioni sull’attacco terroristico

GENNAIO 20, 2013 

Mounir B. Liberte-Algerie 19 gennaio 2013

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L’eccezionale operazione militare dell’ANP (Esercito Nazionale Popolare) contro il gruppo al-Muaqin bi Dima (firmatari di sangue), un gruppo creato di recente da Moqtar Belmoqtar, ha dato luogo a dichiarazioni contrastanti da parte di governi, esperti e media. 72 ore dopo il primo assalto, Liberté tenta una spiegazione del complicato caso e del sequestro industriale che l’Algeria ha dovuto gestire.

Come è stato preparato l’attacco, e perché?
L’attacco terroristico e il sequestro di ostaggi che n’è seguito, ha le sue radici in diversi eventi finora segreti, cheLiberté è ora in grado di rivelare. Si aveva il sospetto, da due mesi e mezzo, che Moqtar Belmoqtar, dissidente da AQIM e Mujao, avesse deciso di sferrare un colpo contro l’Algeria e le potenze occidentali. Paradossalmente, è stato nella Tripoli liberata… che si è tenuto il primo incontro di Belmoqtar con elementi che avevano lasciato AQIM per unirsi ad al-Multahimun (I turbanti), guidati dal capo del commando d’In Amenas, Mohamed Lamin Bushneb detto Tahir, arrivatovi con la sua organizzazione. La scelta della Libia non solo era ovvia, ma saggia.
Mentre Belmoqtar venivano indicato in Mali, Mauritania e Burkina Faso, fu sotto la benevola protezione del suo amico, l’imam Shafi, nella caotica Tripoli ancora sotto la febbre post-Gheddafi, che Belmoqtar si è recato per fare acquisti presso i suoi nuovi amici salafiti libici, che erano entrati in possesso di un arsenale impressionante. La lista della spesa di Belmoqtar era edificante: missili terra-aria (MANPADS), RPG-7, mitragliatrici di nuova generazione FMPK da 6,65 mm, montati su tecniche 4×4, AK47…
E’ stato il suo braccio destro Bushneb, che guidava l’organizzazione Figli del Sahara per la giustizia islamica, un gruppo di contrabbandieri e trafficanti di droga conosciuti nel sud-est dell’Algeria, che ha svelato questo incontro e il nascondiglio a Tripoli dove Belmoqtar è rimasto per 18 giorni senza essere turbato, né da parte del governo di transizione libico, né tanto meno dalle milizie salafite. Il capo del commando ucciso nel pomeriggio del 17 gennaio 2013, era l’uomo chiave di questa operazione. Al di là di suo pedigree jihadista (attacco contro un aeroporto militare a Djanet, nel 2008 o il rapimento di ostaggi italiani) Bushneb era colui che controllava i cartelli della droga in Libia. Questo era l’”uomo d’affari” di Belmoqtar, colui che aveva organizzato i canali di contrabbando verso la Libia.
Originario di Illizi, Bushneb conosceva ogni angolo della regione e sfruttava perfettamente le sottigliezze tribali e regionali. Conosceva domanda e offerta. Per esempio era riuscito a barattare 13 nuovi veicoli 4×4, tratti dai garage dalla guardia personale di Gheddafi, che le milizie libiche avevano depredato, contro alcune pecore, due serbatoi di kerosene e anche degli schermi al plasma! Con la rottura tra Belmoqtar e l’”emiro” Abu Zaid Belauer, voleva sferrare un colpo per imporre la sua nuova organizzazione sulla scena del terrorismo nel Sahel. Tra AQIM Mujao, Ansar al-Dine le altre fazioni indipendenti, Belmoqtar doveva ricordare a tutti che l””emiro” del Sahara era lui. Che i figli di Ghardaia avevano un’influenza con cui si doveva fare i conti. E fu Lamin Bushneb che dovette raggiungere l’obiettivo che gli avrebbe dato la fama internazionale che cercava.

Base BP: perché così tante strutture?
Scelsero il sito d’In Amenas Tiguenturin, e non fu per nulla un caso. Non solo il complesso della britannica BP era un obiettivo dal forte potenziale mediatico, ma aveva il vantaggio di essere a due passi dal confine con la Libia, da dove proveniva il commando terrorista che era entrato nel territorio algerino alle 2 di notte; e aveva anche la particolarità che vi lavoravano dei parenti dei terroristi. Liberté è in grado di rivelare che la società britannica BP impiegava, attraverso un imprenditore locale, una società per il trasporto merci che appartiene alla famiglia Ghediri, che non è altri che il fratello di … Abu Zaid, il leader di AQIM nel sud, il cui vero nome è Abdelhamid Ghediri. Bushneb vi reclutò membri della sua famiglia e la società prosperava grazie ai contratti con BP.
La società, nel quadro di una società legalmente registrata a Ouargla, incrementò la sua flotta di autocarri e di almeno 30 semirimorchi ad In Amenas per almeno 3 anni, assicurandosi anche  la logistica dei trasporti tra la base della BP e i loro siti a Illizi o In Salah. I terroristi che hanno preso d’assalto il complesso gasifero sapevano praticamente tutto del dispositivo di sicurezza e della logistica della base. Fermarono gli autobus degli espatriati, nel momento in cui iniziarono ad attaccare l’aeroporto. Cercarono di evitare che i lavoratori sabotassero le pompe che alimentano le turbine a gas. In pochi secondi distrussero gli interruttori elettrici. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza dei basisti che conoscessero la base dall’interno. Pertanto molti dipendenti sono sospettati di far parte di una rete di sostegno al terrorismo, e il fratello di Abu Zaid era stato arrestato più volte, nel corso delle indagini. Ma ogni volta, nonostante gli avvertimenti provenienti dall’Algeria, la società britannica, che era conoscenza di questi fatti, non rescisse il contratto con il fratello del leader di AQIM nel sud.
Peggio ancora, specialisti in HSE (Salute, Sicurezza e Ambiente) della BP, che regolarmente provengono da Londra per controllare la sicurezza del sito BP in Algeria, e senza interferenze dalla Sonatrach e dalla Statoil, suoi partner in questo giacimento, non sembrarono aver scoperto questa falla nella sicurezza. Quando notiamo le domande legittime di coloro che si chiedono come sia potuto accadere ciò, o le  reazioni intempestive del primo ministro britannico David Cameron, ci si chiede se l’intelligence britannica MI-6 non sapesse di tale anomalia, o se la direzione generale della BP l’avesse informata che nel suo sito principale in Algeria degli individui sospetti… lavorassero per essa. Questo riguardo le complicità interne scoperte.
Riguardo la protezione del sito, che quindi incombeva agli inglesi, processare Algeria equivale a criticare l’esercito algerino per non proteggere dall’interno le … ambasciate straniere. Si tratta di una questione di sovranità, e la BP aveva attraverso la sua HSE ogni possibilità di proteggere il proprio sito senza assistenza dall’Algeria. Ciò che veniva fatto al riguardo, era che il sito venisse protetto da una società di sicurezza privata di cui non si conoscevano né la capacità reali né le competenze esatte. Il governo algerino doveva proteggere l’area intorno al sito (come ad esempio il posizionamento di una brigata della gendarmeria presso la base della BP), o almeno ponendo nei dintorni degli sbarramenti mobili della Gendarmeria Nazionale. L’esercito doveva essere chiamato in caso di un attacco, poiché la sua missione è difendere i confini e combattere il terrorismo dovunque si trovi. Vale a dire, in questo caso, sul confine l’algerino-libico laddove i gruppi terroristici hanno deciso di testare le difese algerine.

Gli ostaggi da scudo umano a scudo mediatico!
Attualmente, la situazione è critica. Tra 8 e 10 terroristi si sono rintanati nel complesso gasifero della BP, minacciando gli ostaggi rimanenti, stimati in circa 30. Tutti gli accessi sono stati minati con esplosivi e i terroristi hanno una logica suicida. Hanno abbastanza per far saltare il complesso gasifero con gli ostaggi e per cancellare dalle mappe la città e gli abitanti d’In Amenas. Gli esperti credono di essere “in una situazione psicologica estrema.”
Dopo aver usato gli ostaggi come scudi umani (con cinture esplosive senza detonatori) e “schermi mediatici”, li hanno torturati psicologicamente in modo che telefonassero ai loro rispettivi governi per descrivere una situazione drammatica e fare pressione su Algeri. Ciò ha avuto parziale successo, ad In Amenas l’attacco non è ancora stato completato, dato che Washington, Londra, Parigi e Tokyo hanno subito un lavaggio del cervello da parte della propaganda apocalittica dei terroristi, in particolare attraverso l’ANI della Mauritania. Questi vogliono un corridoio via terra, per ritirarsi con gli ostaggi in… Libia. E ancora vogliono che il corridoio sia garantito dalle potenze occidentali da cui provengono gli ostaggi. Ma riguardo al percepibile cambiamento, nelle capitali occidentali, della valutazione sempre più attenta della crisi, con l’esercito algerino che gestisce al meglio questo evento unico negli annali del terrorismo, rischiano di non uscirne vincitrici. Il trucco sta nel vedere se commetteranno l’irreparabile.
Mentre l’operazione è in corso, Liberté ha saputo di una seconda colonna di terroristi di Ghadames che si sta preparando al salvataggio dei loro camerati. 60 pick-up pesantemente armati sono stati riportati in viaggio, durante la notte, in direzione del confine con l’Algeria. Il caso d’In Amenas è solo l’inizio della controffensiva terrorista all’intervento francese in Mali.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

 

In Amenas: rivelazioni sull’attacco terroristicoultima modifica: 2013-01-21T23:24:00+01:00da davi-luciano
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