TAP, TAV, TRIV, MUOS, MOSE…. CHI NON ASCOLTA MUORE

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2018/11/tap-tav-triv-muos-mose-chi-non-ascolta.html

MONDOCANE

DOMENICA 4 NOVEMBRE 2018

Tap, Tav, Triv, Muos, Mose….

CHI  NON  ASCOLTA  MUORE

(Questo testo, pur privo di ingiurie, falsità e deontologicamente corretto, è a rischio rimozione. E nessuna Federazione della Stampa correrà in soccorso alla mia libertà d’espressione. Ritrovatelo in www.fulviogrimaldicontroblog. E semmai, fatemi avere i vostri indirizzi)

Oggi il contributo viene  da gente di cui mi fido, con cui ho collaborato e lottato. Di cui ho provato a riferire la rabbia, i bisogni, l’impegno, la generosità, la bravura, il sacrificio. Potete sbertucciarmi quanto volete sui 5 Stelle, ma io, che parto dagli anni ’60, compagni di viaggio in direzione ostinata e contraria ai regimi, dopo il vituperato o mistificato ’68, non ne ho avuti più, fino alla comparsa degli attivisti e di alcuni parlamentari di questo miscellaneo MoVimento. Nel frattempo qualcosina da Greenpeace, qualche altra cosina dai centri sociali, ma molto autoreferenziato, alcuni comunisti non normalizzati da Bertinotti o Diliberto, gli anti-guerra, sempre meno…

Sono due interventi, uno di un consigliere comunale 5 Stelle che è stato, insieme ai suoi colleghi, decisivo nel permettermi di realizzare, insieme a Sandra, un documentario sulla tragedia e i crimini di terremoto e post-terremoto, le rovine, le incompetenze, le sciagure politiche, la resistenza umana, i tentativi di sgomberare il territorio dai suoi abitanti per dedicarlo a una nuova destinazione d’uso, più redditizia per gli interessi al potere.

L’altro, dei Comitati No Muos con cui in Sicilia e poi nel mio lavoro giornalistico e di documentarista ho potuto condividere frazioni di un’annosa lotta, pagata da moltissimi a duro prezzo personale, professionale, giudiziario (quest’ultimo anche da me condiviso in qualità di cronista: libertà di stampa!), contro un impianto che governa le operazioni militari degli Usa nel mondo e che spara onde elettromagnetiche sulla popolazione della vicinissima Niscemi. Una del quasi centinaio di basi USA che occupanpo il nostro paese.

In entrambe queste situazioni, da “sinistra” non ho sentito che borbottii e borborigmi. Zitti sul TAP (è amerikano), bisbigli sul Muos (è amerikano), sguardo sghembo sul Terzo Valico (è del PD). Da destra plausi ad armi e cemento. Chi stava con le lotte erano, assieme ai locali, i Cinque Stelle. E su questo, cari miei critici, non ci piove.

I due interventi esprimono lo sconcerto, lo sgomento, la delusione provocata dai cedimenti, arretramenti, testacoda, realizzati, annunciati, o solo ventilati dal governo M5S-Lega, di cui qualcuno, di fronte all’imperversare dei soci di contratto, plaudenti a Borsonaro in Brasile e agli affari di ecocidi e sociocidi del nostro apparato economico, dovrebbe prendere rapidamente atto. Si tratta di non fare gli utili idioti e di imporre a un amico del giaguaro il rapporto di forza uscito dalla volontà popolare: 33,5% contro 17,3%. Si tratta anche non di uscire domani dalla Nato, ma di far capire al bolso alleato che a volte si può anche non partecipare, o preferisce che entriamo nei BRICS, o nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai? Che farebbe Trump, ci manderebbe un po’ di Isis? Attiverebbe per la bonifica un qualche Mohammed bin Salman?

Il M5S ci ha dato il Decreto Dignità, sta per darci il Reddito di Cittadinanza (è la prima volta che a milioni di italiani non si tolgono soldi e lavoro, ma si danno,  ed è questo che fa sbroccare I Moscovici, i Draghi, Moody’s, Chiamparino, il “manifesto”), la legge spazzacorrotti, la fine della prescrizione salvaladriricchi, per cui Andreotti ha potuto morire nel suo letto, il taglio della voce dei biscazzieri, al ministero dell’Ambiente un ex-capo della Forestale, anziché un socio dei fuochisti della Terra dei fuochi, la revisione del trucco scuola/lavoro, rimborso ai truffati delle banche (peraltro insufficiente; perché non li fanno rimborsare dal Fondo Atlante delle banche???), il blocco dei soldi a partiti e giornali parassiti…. E in vista di questo e molto altro che il M5S è stato eletto trionfalmente. E’ per questo e molto altro che ragazzi come quelli che hanno scritto qui sotto, a centinaia di migliaia si sono battuti per il loro paese  come non succedeva da mezzo secolo.

Puoi giustificare il via libera al TAP quanto vuoi e non lo giustifichi: è la testa di un rettile che avvelenerà l’Italia da fondo a cima. Parli di 20 miliardi di risarcimenti. A parte la fondatezza dell’assunto, quanto ci costa la devastazione del clima cui questo mostro dà un bel contributo? Quanto ci  costerebbe l’effetto dell’immancabile terremoto sui tubi e stoccaggi collocati sulle faglie? Tanto meno puoi giustificare l’orrenda infestazione di trivelle e piattaforme in Basilicata e nell’Adriatico, mortifere per vita di campi, mari, animali, umani. Non puoi neanche giustificare il TAV Terzo Valico: spesa assurda per un buco inutile lungo il quale già scorrono altre due vie ferroviarie sottoutilizzate e che dovrebbe collegare Tortona (sic) a un porto obsoleto e tutto da ammodernare, quello sì. E non puoi avallare la devastazione della Laguna veneziana e della stessa Gemma dell’Universo con i grattacieli vaganti del cafonal turistico e, peggio che mai, con quel prodotto di mille malversazioni e grottesche incompetenze che è il Mose. Una paratia, già arrugginita, che tappa una bocca di porto e ne lascia aperte altre due!  Un fogna di tangenti che verrà ridicolizzata quando, come è certo, il mare si alzerà di pochi centimetri. Qualsiasi prezzo ci dovesse costare l’eliminazione di questi carcinomi, sarebbero spiccioli rispetto al costo, nell’estensione di spazio e tempo, che imporrebbe la loro maturazione.

Di questo Salvini teniamoci il blocco ai trafficanti di sradicati a forza dai loro paesi; teniamoci anche le risposte a muso duro a tutti coloro che, da totalmente non legittimati da niente, se non da un abuso totalitario decretato in Bilderberg, da Bruxelles e Francoforte ci dettano regole, comportamenti, obblighi, debiti, povertà e repressione. O preferiamo Tsipras? Per tutto il resto lo si faccia stare ai patti. Il nemico del popolo governa da sempre. Nel “governo del cambiamento”, per piccino che sia, non servono infiltrati e neanche continuisti. Meglio sennò ciascuno per sé. Costi quel che costi.

Ecco la lettera del consigliere comunale 5 Stelle e, poi, il comunicato No Muos.

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Buonasera,

Spinto anche dal disastro ambientale della settimana scorsa, con le mareggiate, le esondazioni dei corsi d’acqua e la distruzione di boschi secolari; flagellati da uragani in formato stelle e strisce ma guai a chiamarli così… non svegliamo le menti assopite dal gran bel lavoro mediatico del manovratore mascherato; giornate condite da allerte meteo ormai abbinate agli avvisi a colori scarlatti della ns protezione civile nazionale, ormai vestita col lutto al braccio;  perturbazioni viste come flagello divino…

abbiamo sdoganato l’accettazione supina dei bollettini di guerra causati dai disastri ambientali.

Rincoglioniti oltremisura, fa figo andare in bermuda e canotta a fine ottobre esibendo l’abbronzatura estiva

i conti non mi tornano

…mi guardo allo specchio e mi chiedo…

Dopo due anni, la ricostruzione

Ma se ormai è acclarato da parecchi anni e al massimo livello scientifico mondiale  che il cambiamento climatico è dovuto (scusate, semplifico) principalmente alla combustione di prodotti provenienti da fonti fossili (idrocarburi, carbone,gas) ha senso trincerarsi dietro alla scusa di dover pagare un mucchio di miliardi in ipotetiche penalirimborsieccecc per avvalorare la scelta criminale nel far passare dei tubi che  ci vomiteranno ancora miliardi di mcubi di gas in faccia per i prossimi decenni?

Ma ci stiamo con la testa, sì o no??!

Ma noi non siamo quelli che dovrebbero guardare un peletto oltre?

Ma noi non siamo quelli delle nuove forme di energia “eco frendly” (si dice così?)?

 Quelli che dicono  che bisogna riprogrammare il futuro in maniera completamente diversa per migliorare la qualità della vita di tutti, perché tra dieci anni la società sarà completamente diversa da oggi, lavori che scompariranno e altri che ne verranno…tecnologia che  stravolgerà i costumi e modi di vita?…modifiche antropologiche, geopolitiche e chi più ne ha più ne metta! 

“Si Noi!”

…noi che contiamo per un futuro che avrà il volto completamente diverso da oggi e allora affrontiamo convinti la sfida, ecchecazzo, mica siamo come quei trogloditi che ci hanno preceduto per 25 anni!

Poi mi pare che lo abbiamo pure strombazzato in ogni piazza fisica e virtuale…no?

 Eh sì, un tam tam martellante, signori.

Mi sono perso qualcosa?… correggetemi se sbaglio.

Marcia a folle, resto in attesa.

E scusate il pizzicotto, non volevo svegliare chi dorme sonni tranquilli.

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Muos, il radar dei 5S va in tilt

Guerra Stellare. Comitati in rivolta dopo che la ministra Trenta deposita una memoria che smonta il lavoro durato anni di ambientalisti e grillini

PUBBLICATO2.11.2018, 23:59

Il Muos c’è, esiste. A Niscemi lo sanno tutti. Un dato incontrovertibile. Sull’operatività del sistema radar invece tante ombre. Certo è che il satellite è stato collegato alle antenne per smistare le comunicazioni militari a forze navali, aeree e terrestri in movimento in qualsiasi parte del mondo.

UN SISTEMA ad alta frequenza che permette di tenere in collegamento i centri di comando e controllo delle forze armate Usa, i centri logistici e gli oltre 18mila terminali militari radio esistenti, i gruppi operativi in combattimento, i missili Cruise e i Global Hawk (Uav-velivoli senza pilota). Anzi, si parla addirittura di un ampliamento della base. Il resto top secret. Segreto di Stato. Questione militare.

Gli Usa non transigono. Il problema però è politico. Il governo Conte è favorevole o no alla centrale di antenne costruita a Niscemi, in provincia di Caltanissetta?

Dubbi legittimi. Soprattutto tra i 5stelle, quelli che si sono intestati la lotta civile contro il Muos.

Chi si è mobilitato negli ultimi cinque anni mentre al governo c’era il Pd è rimasto choccato dalla mossa di Elisabetta Trenta: la ministra della Difesa, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, ha depositato la memoria difensiva di opposizione al ricorso di revocazione presentato da Legambiente alla sentenza di secondo grado del Consiglio di giustizia amministrativa (Cga) che aveva in sostanza dato l’ok al Muos.

Saranno sempre i giudici amministrativi del Cga a doversi pronunciare il 14 novembre sui rilievi mossi dagli ambientalisti e dal comune di Niscemi.

Il comitato «No Muos» e le tante associazioni che si battono per fermare il sistema americano ci credono. I margini però sarebbero davvero stretti. Intanto tra i grillini che si sono schierati, senza infingimenti, contro il Muos c’è fibrillazione. Una battaglia condotta a viso scoperto, quando al governo c’erano Renzi e poi Gentiloni. In piazza, ma non solo.

IL M5S C’HA MESSO LA FACCIA anche nelle sedi istituzionali. Sempre. Raccogliendo attorno a sé migliaia di persone, tra cui le donne che hanno creato un comitato. Giampiero Trizzino è stato tra i protagonisti. Avvocato e deputato regionale da due legislature, Trizzino è stato il deus ex machina nella fronda anti-Muos del movimento. Un impegno costante, durato cinque anni. Prima a capo della commissione Ambiente dell’Assemblea siciliana, poi da esponente del cartello che raggruppa ambientalisti, comitati spontanei di cittadini, comuni dell’hinterland, no-global. In un corposo dossier i 5stelle hanno raccolto documenti, suffragati da pareri scientifici, che dimostrano come il sistema di antenne sia potenzialmente dannoso per la salute dei cittadini e per l’ambiente. Non solo.

IL MEGA-RADAR sorge nella riserva della Sughereta, un’area a vincolo Sic nella quale, secondo gli oppositori, non sarebbe stato possibile realizzarlo per paletti paesaggistici che sarebbero stati violati. «In questi giorni il governo è al lavoro sul dossier», ha detto il ministro Trenta. Una posizione che ha irrigidito i 5stelle in Sicilia. Il dossier i grillini lo hanno già stilato. Anzi. Proprio Trizzino ne diede contezza durante la convention a Palermo di «Italia a 5stelle». E dunque? Perché il ministro parla di nuovo dossier? Ci sono forse pressioni ad alti livelli nei confronti del governo Conte?

Dubbi alimentati proprio dalla memoria depositata da Trenta. Che in sostanza smonta il lavoro fatto da comitati, ambientalisti e 5stelle siciliani. Claudio Fava, presidente dell’Antimafia siciliana, chiede un intervento del Parlamento e del governo siciliani. «Mentre a parole si afferma di voler intervenire per avviare la dismissione della base di Niscemi, gli atti amministrativi vanno nella direzione opposta», attacca Fava. Nel mirino «la richiesta formulata dal ministero della Difesa, per conto del comando della US Navy, per nuovi lavori di manutenzione straordinaria all’interno della base». «Richiesta – incalza – formulata al comune di Niscemi e alla Regione siciliana e di cui poco si è saputo e ancor meno parlato».

«Al presidente Musumeci, che in più occasioni aveva dichiarato la contrarietà all’opera, e al Movimento 5 Stelle, che ora ha la responsabilità del governo del Paese – continua Fava – chiediamo di decidere una volta per tutte da che parte stare. Per questo abbiamo depositato una mozione, che chiediamo venga rapidamente discussa, affinché l’Assemblea siciliana si esprima contro le autorizzazioni a nuovi lavori nella base e chieda ai governi regionale e nazionale, ciascuno per le proprie responsabilità, di smantellare il Muos». Per Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, «il sostegno del governo nazionale, con atti formali del ministero della Difesa, alla realizzazione del Muos è un fatto grave».

PERCHÉ «RAPPRESENTA un attacco al diritto dei cittadini e degli enti locali ad essere attori nei processi decisionali che li riguardano e una negazione della vocazione pacifica della Sicilia, la cui posizione strategica deve essere spunto per promuovere azioni di pace e dialogo e non per nuove strutture e interventi militari». Sferzante Gaetano Di Rocco, tra i fondatori del meetup a Niscemi, appena fuoriuscito dal M5s: «Siamo molto delusi dalla linea che il movimento sta tenendo sul Muos da quando è al governo». Lapidario Fabio D’Alessandro, portavoce dei comitati. «Sono in tanti i delusi fra gli esponenti locali dei 5stelle che hanno gli stivali nel fango mentre i loro colleghi al governo non fanno nulla». E aggiunge: «Chi non è andato via, come il comitato delle mamme legato a Trizzino, spera in una novità che non arriva».

IL TIMORE è che il M5s, ormai al governo, si comporti come i predecessori. La prossima settimana è in programma un vertice tra il ministro Trenta e i 5stelle «No muos» capeggiati da Trizzino. In ballo ci sono interessi geostrategici Nato sul versante africano e in quello mediorientale. Basti pensare che a Sigonella ci sono gli hangar con i droni che vengono teleguidati verso gli obiettivi Isis in Medio Oriente e Africa, mentre ad Augusta e a Birgi (Trapani) ci sono le postazioni navali e dell’aviazione.

PER CHI FOSSE INTERESSATO AD APPROFONDIRE LA STORIA DELLE NOSTRE GRANDI OPERE (I DVD  SI POSSONO ORDINARE A visionando@virgilio.it)

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:43

I 3 trafori da 21 miliardi inutili: colpa dei binari

https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/i-3-trafori-da-21-miliardi-inutili-colpa-dei-binari/

Frejus,Terzo valico e Brennero permettono l’accesso di 600 treni al giorno destinati ad arenarsi
I 3 trafori da 21 miliardi inutili: colpa dei binari

Al governo per decidere al meglio su Tav e trafori (Frejus, Terzo valico e Brennero) manca un’analisi strategica. Questi tre nuovi “cuori” logistici, capaci di pompare oltre 600 treni merci al giorno, troveranno un sistema “circolatorio” inadatto. Da una parte la rete gestita da Rfi, e dall’altra la società Cargo delle Ferrovie dello Stato non saranno in grado di cogliere queste nuove enormi potenzialità.

La rete italiana è il fanalino di coda del trasporto merci comunitario con il 6% di quota di traffico contro il 18% di media europea, e il vettore merci pubblico Fs è il peggiore tra quelli dei maggiori Paesi europei.

Un programma di tre trafori ferroviari in contemporanea per il costo complessivo di 21,1 miliardi (Frejus 8,6 miliardi, Brennero 5,9 e Terzo valico 6,6) è esagerato.

Sarebbe meglio scansionare per priorità gli interventi ai valichi e non per scelta campanilistica (politica). Piemonte contro Veneto, Liguria contro Alto Adige per sostenere opere che per tutti sono prioritarie e strategiche senza sapere il perché.

All’indomani dell’apertura del traforo del Gottardo, 57 km costati 7,3 miliardi, inaugurato un anno e mezzo fa, la rete italiana si è trovata impreparata ad accogliere i treni dal nord Europa.

La gestione del traffico merci fa acqua da tutte le parti e il trasporto su camion risulta più competitivo rispetto a quello ferroviario, con costi inferiori del 30% e maggiore flessibilità. Prima dei nuovi trafori non sarebbe più opportuno sfruttare le capacità che ci offre il Gottardo pagato dagli svizzeri?

E investire per portare il peso dei treni a 2.000 tonnellate la loro lunghezza a 750 metri, le sagome (larghezza) dei carri merci a 4 metri?

Gli attuali standard sono obsoleti e al massimo raggiungono le 1.600 tonnellate di peso i 500 metri di lunghezza con sagome di 3,80 metri.

A che serve transitare rapidamente dal Brennero o da un altro valico se prima o poi il treno va fermato e sdoppiato con costi che mandano in fumo il tempo di spedizione recuperato nel tunnel?

In un sistema a rete come quello ferroviario non ci sono scorciatoie: se si raggiunge rapidamente Genova e poi ci si trova un porto con bassi fondali, costi di gestione elevati, raccordi ferroviari sotto le prestazioni del terzo valico e banchine obsolete, la produttività di tutta la rete non migliora. Se Milano resta un nodo percorribile solo di notte per i treni merci e a velocità medie di 30 chilometri all’ora, se le linee che collegano Milano con il Gottardo, come la Luino e la Chiasso sono già congestionate, anche il traforo del Gottardo si rivela inefficace.

A causa dell’inadeguatezza della rete italiana gli svizzeri hanno destinato all’adeguamento agli standard europei della sagoma e del modulo della nostra rete ferroviaria Luino Gallarate Milano, ben 120 milioni di euro.

Gli svizzeri non solo hanno pagato l’infrastruttura in territorio svizzero. Ma poiché sul versante italiano, allo sbocco del Gottardo, la nostra rete di collegamento con Novara, Busto Arsizio e Milano non è stata nel frattempo potenziata, anche se sono piovuti, gratis, 120 milioni di euro.

La decisione svizzera è avvenuta con un referendum popolare e il meccanismo di finanziamento non è stato a fondo perduto ma il 65% dei costi è stato recuperato dal pedaggio dai Tir in transito, il 25% con l’accisa sulla benzina e il 10 dall’Iva.

Idee ben chiare sui trasporti sostenibili guidate dal libro bianco europeo che il Paese terzo ha preso come oro colato, non solo a parole ma nei fatti.

Tav, il fanatismo del “Sì al cemento” è la vera ideologia

https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/tav-il-fanatismo-del-si-al-cemento-e-la-vera-ideologia/

È abbastanza evidente che l’alleanza gialloverde ha portato al governo una squadra deludente per coerenza, competenza e chiarezza di idee. Ma non è uno scherzo della storia. Il livello della classe dirigente è questo e la vicenda del Tav Torino-Lione lo conferma. Sono soldi buttati. Ma la variopinta alleanza tra partito del cemento e provincialismo  piemontese pensa di riuscire nello spreco faraonico al servizio di carriere politiche miserabili accusando il Movimento 5 Stelle.

Inventano un partito del “no a tutto” e gli contrappongono competenza, razionalità e progresso. Ideologia pura.

Anche un piemontese non provinciale come l’ex direttore di Repubblica (e de La Stampa) Ezio Mauro ha versato lacrime sulla perdita “dell’appuntamento con il progresso” e sul “totem ideologico” che sarebbe il no al Tav.

Magari avesse ragione. Ma è il partito del Sì a incarnare il fanatismo.

Chiedete per esempio al sussiegoso Paolo Foietta, l’uomo dell’Osservatorio, quello che “mi ha nominato Mattarella” e che, messo lì dai governi Pd a fare la guardia all’affare si offende se il governo gialloverde lo ignora. Chiedete a Foietta, l’uomo che predica l’apertura alla Francia senza sapere il francese, se la nuova ferrovia porterà merci o persone.

Su una ferrovia o vanno i passeggeri a 300 all’ora o le merci a 80.

TAV Torino-Lione – Convocazione di Conferenza Stampa 7 novembre 2018 ore 11 30 – Circolo della Stampa, Torino

Cartellina Stampa

La Commissione Tecnica Torino-Lione

e

PresidioEuropa

invitano i Media alla Conferenza Stampa

Mercoledì 7 novembre 2018, ore 11.30

presso il

Circolo della Stampa

Sala Roccati

Corso Stati Uniti, 27 – Torino

Info 320 265 9560

Vero, falso, realtà e ideologia

di una Grande Opera

Un rapporto basato su dati e argomentazioni relativi ai diversi aspetti del progetto TAV Torino-Lione:
– una realtà che continua a smentire affermazioni ideologiche prive di riscontri,

– notizie false che non vengono mai smentite,

– cifre fantasiose prive di riscontri,

– accordi Italia-Francia squilibrati a vantaggio dello stato francese che peraltro li disattende,

– un promotore pubblico che pretenderebbe di utilizzare finanziamenti italiani per opere di competenza francese.

Quello che i Media non dicono

http://www.notavtorino.org/documenti-16/quel-che-i-media-tacciono-2018-11-04.pdf

 Ci sono alcuni dati che sulla Stampa, Repubblica e Corriere della Sera, non si leggono mai. Anzi il “giornalone unico” (ottima definizione di Marco Travaglio) in questi giorni si distingue proprio come cassa di risonanza delle iniziative del fronte SI TAV, e per critiche insulse e pretestuose contro la Giunta Appendino accusata di “decrescita felice” (Molinari sulla Stampa), dimenticando la “crescita infelice” del duo Chiamparino-Fassino che han lasciato a Torino il debito pro capite più alto d’Italia, (cioè fino a 3.500 euro per ogni torinese e che ancora oggi si avvicina complessivamente ai 3 miliardi di €.); debito che è la causa del taglio dei servizi e del peggioramento della qualità della vita nella Città Metropolitana. Del resto le linee editoriali SI TAV che rimandano ai Gruppi Finanziari che controllano l’economia del Paese e l’informazione, non lasciano margini di autonomia ai giornalisti, sempre più fedeli alla linea della formazione più che dell’informazione. Primo: i dati sui flussi del traffico sono sempre stati gonfiati a dismisura per creare nell’opinione pubblica l’idea della necessità di una nuova linea ad Alta Velocità tra Torino e Lyon. Nel 1991 Confindustria affermava che nel 1997 l’attuale linea, che nel corso degli anni è stata ammodernata come l’attuale tunnel del Frejus e su cui da tempo passano i TGV e i carri Modalhor per il trasporto dei camion, sarebbe stata satura. Dopo 27 anni da quella analisi l’attuale linea ferroviaria risulta utilizzata al 32 % della sua potenzialità e il traffico passeggeri con meta Lyon è risibile e non giustifica certo l’Opera. Secondo: in Francia come in Spagna le merci non viaggiano sulle linee ad Alta Velocità ma su quelle ordinarie che in Spagna come in Portogallo sono a scartamento ridotto: altro che arrivare Lisbona! Terzo: la Francia (Sncf ha un debito di 50 miliardi in particolare proprio per la costosa gestione delle linee ad Alta Velocità) ha rimandato al 2038, e dopo la verifica dei flussi di traffico, la decisione se progettare oppure no la tratta ad Alta Velocità Modane-Chambery. Quindi in sostanza oggi non si sta più parlando della Torino Lyon ma solo di un tunnel di base, lungo 52 KM, scollegato dall’Alta Velocità sia in Francia che in Italia e di conseguenza l’Opera dovrebbe essere chiamata linea ad Alta Velocità Susa-Saint Jean de Maurienne (cittadina francese 30 Km ad ovest di Modane). Inoltre per convincere la Francia, da sempre tiepida rispetto a questo progetto, l’Italia si è “generosamente” accollata il 57,9% per cento della spesa per il tunnel di base e la Francia solo il 42,1% anche se ben 45 km del tunnel sono in territorio francese e solo 12 km in territorio italiano! Un tunnel davvero inutile (se non per chi lo vuole costruire… con soldi pubblici) mentre, rispetto all’inquinamento atmosferico di Torino e della cintura metropolitana, sarebbe ben più indispensabile sviluppare una maggiore e migliore rete di trasporto pubblico e con almeno altre due linee di metropolitana, anche per decongestionare il soffocante anello della tangenziale che registra più di 400.000 passaggi giornalieri e che ha una gran quota di responsabilità sull’inquinamento atmosferico. C’è anche un’altra questione, ancora sottovalutata nei suoi effetti dirompenti sul sistema trasportistico italiano, che dimostra come la Torino Lyon sia ormai fuori tempo massimo rispetto all’evoluzione del trasporto delle merci: le due statali valsusine, così come altre direttrici di traffico, sono sempre più percorse, sette giorni su sette, da decine di camioncini con targa polacca o rumena con una capacità di carico compresa tra i 15/18 quintali che guadagnano quote di traffico a danno dei TIR ed anche del trasporto ferroviario che, in Italia, manca di una logistica efficiente. E’ un modello di trasporto, su scala internazionale, che risponde alle nuove e ormai consolidate esigenze produttive delle aziende, che hanno abolito o comunque ridotto il deposito nei magazzini e che hanno quindi necessità di un continuo e flessibile rifornimento ad hoc (che il trasporto ferroviario non può garantire) dei pezzi o materiali per le necessità produttive, e anche per il rifornimento delle attività commerciali di media o grande dimensione. E c’è un altro motivo dietro l’irreversibile affermazione di questo modello di trasporto: i bassi costi per le retribuzioni degli autisti calcolate su parametri dei Paesi dell’Est, pernottamento degli stessi sul mezzo e pasti consumati lungo la strada, la non percorrenza delle autostrade a pagamento, la possibilità di circolare nei giorni festivi quando sono invece fermi i mezzi più pesanti, il non uso del cronotaghigrafo e quindi, a discapito della sicurezza, la possibilità di guidare anche 14/18 ore giornaliere. 

Un modello di “trasporto selvaggio” che aggrava la situazione trasportistica in un Paese in cui, in assenza di un Piano Nazionale dei Trasporti, le infrastrutture e in particolare le Grandi Opere non vengono programmate nell’interesse del Bene Pubblico ma vengono decise dagli interessi di chi le vuole costruire con soldi pubblici per averne poi la gestione privata. Di tutto questo non si parla ma si progetta una marcia SI TAV: 40.000 per la Stampa e 100.000 per Repubblica…… Per cosa? Per un tratto di 52 km in galleria che ovviamente non può essere percorso a velocità elevata e slegato, sia ad est che ad ovest, dalla rete ad alta velocità ! Evidentemente l’onestà intellettuale è scomparsa e prevalgono solo gli interessi finanziari dei Poteri Forti che già hanno in mano il debito di Torino. I problemi di sviluppo e occupazione del nord ovest sono ben altri e rimandano al grave ridimensionamento del settore metalmeccanico e manifatturiero, penalizzato dalle continue delocalizzazioni. L’eventuale marcia SI TAV è anche un pessimo richiamo alla storia di Torino e della FIAT, dimenticando che proprio con quella marcia e la sconfitta della lotta operaia, complice un sindacato ambiguo ed incerto, iniziò, in assenza di un’opposizione operaia e sociale, il percorso che ci ha portato all’oggi dove la FIAT non ha più il centro produttivo a Torino ma negli USA, le autovetture sono principalmente costruite all’estero, FCA paga le tasse in Inghilterra ed ha la sede legale in Olanda e il nuovo manager Manley concluderà, con minori problemi d’immagine di Marchionne, l’operazione di rendere sempre più periferico il comparto auto italiano a cui, malgrado i forti utili (divisi tra gli azionisti) rimangono da anni e in particolare a Mirafiori cassa integrazione (a carico dell’INPS), contratti di solidarietà e nessun concreto progetto produttivo. In tutto questo divenire Chiamparino giocava a scopone con Marchionne e tranquillizzava gli operai e Fassino, nel referendum FIAT del gennaio 2011, invitava a votare SI sulle proposte aziendali e sui sacrifici dei lavoratori ….in cambio di investimenti che poi non ci sono stati. I due sono stati scavalcati persino da Cesare Romiti, ex uomo forte di Agnelli che, in una recente intervista al Corriere della Sera sulla nomina di Michael Manley, coglie la realtà del progressivo allontanamento dall’Italia del comparto automobilistico e la prossima scomparsa del marchio FIAT, e soprattutto coglie l’involuzione del passaggio da un’industria produttiva a una prevalenza della speculazione finanziaria “…mi dispiace constatare che gli interessi degli azionisti vengano sempre anteposti a quelli del Paese..”.

Tesi confermata dalla recente vendita della Magneti Marelli (l’azienda di componentistica di FCA) alla nipponica Calsonic Kansey ora di proprietà del fondo Usa Kkr, che sicuramente più che agli investimenti produttivi guarderà ai dividendi degli azionisti. E questa operazione finanziaria già garantisce agli azionisti un dividendo straordinario di 2 miliardi di euro ma ai 10.000 operai del gruppo e a quelli del relativo indotto regala l’incertezza del futuro. Chiamparino minaccia il Referendum…strana proposta da parte di un esponente del PD, partito che nulla ha fatto per rendere esecutiva la volontà espressa dagli Italiani nel Referendum del 2011 contro la gestione privata dell’acqua (95% dei votanti favorevoli per l’acqua bene comune). Conta di avere il pieno appoggio mediatico del Giornalone Unico (Corriere della Sera La Stampa e Repubblica) e dei poteri forti della Città, alcuni dei quali, come già detto, hanno in mano il debito di Torino, in gran parte dovuto ai costi delle Olimpiadi del 2006, e che è la causa della difficoltà finanziaria e amministrativa del Capoluogo. Questa è la realtà con cui Torino deve confrontarsi per trovare le giuste soluzioni di un positivo sviluppo, mentre è inutile e controproducente inseguire le sirene di una linea ferroviaria che, eventualmente, promette solo il trasporto di merci prodotte altrove per andare altrove: non sono i “corridoi di traffico” che possono produrre i posti di lavoro di cui ha necessità il nord ovest e in particolare la Città Metropolitana.

Giovanni Vighetti

Busoleno, 4 Novembre 2018

“Rispetto chi ha manifestato a Torino ma quell’opera è inutile”

https://torino.repubblica.it/cronaca/2018/11/03/news/_rispetto_chi_ha_manifestato_a_torino_senza_tessere_di_partito_-210700016/

Il ministro delle infrastrutture commenta la manifestazione Si Tav: “Serve manutenzione non un’opera pensata 20 anni fa”

03 novembre 2018
 

Il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli giudica la maniestazione Sì Tav di oggi: “Ho sempre avuto profondo rispetto nei confronti di chi scende in piazza a manifestare per un’idea o per una battaglia civile. Soprattutto se lo fa senza strumentalizzare o senza farsi strumentalizzare.
Alle persone che hanno protestato oggi a Torino, in favore della Tav Torino-Lione senza avere tessere di partito in tasca, sperando ce ne siano, chiedo di osservare con attenzione quello che sta accadendo proprio in queste ore in giro per l’Italia, in Veneto, in Liguria o in Sicilia, tanto per citare tre regioni, a causa del maltempo e per colpa dell’incuria.
Siamo sicuri che il benessere di Torino e del Piemonte dipendano da un’opera progettata 20 anni fa, la cui costruzione in sostanza non è mai iniziata e basata su previsioni di traffico del tutto campate in aria? Le cronache di queste ore, di questi giorni dimostrano ancora una volta quello che diciamo da sempre: la vera grande opera di cui abbiamo bisogno è una manutenzione massiccia, un piano straordinario di intervento a difesa del territorio e delle infrastrutture esistenti”

Tav e Terzo valico, i veri dati dietro i due pesi e misure

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M5S vuole lo stop alla Torino-Lione, ma cederà sull’altra opera i cui lavori sono andati spediti. L’utilità di entrambe smentita dai numeri
Tav e Terzo valico, i veri dati dietro i due pesi e misure

Il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, è in una posizione difficile. Non ha ancora pubblicato l’analisi costi-benefici sul Terzo Valico – conclusa dalla task force di esperti economisti nominata al ministero – che non offre appigli per salvare l’opera. Ma i lavori andranno avanti lo stesso per accontentare la Lega. Il M5S vuole però almeno  fermare il Tav Torino-Lione, la cui analisi è appena iniziata (finirà quasi certamente con una bocciatura) ma è già partito il fuoco di fila di industriali, sindacati e politici bipartisan a colpi di bufale sulla reale utilità e i costi di uno stop.

Come stanno davvero le cose?

I COSTI.

1) Tav. Secondo il commissario governativo per la Torino-Lione, Paolo Foietta, che serve lo Stato come lobbista del tunnel, fermare il Tav costa “4 miliardi, più dei 2,9 miliardi che ci servono per finirlo ”.

Non è vero. Finora sono stati spesi 1,4 miliardi.

Per Foietta, con lo stop, Ue e Francia ci chiederebbero indietro il miliardo speso, poi si perderebbero gli 813 milioni di ulteriore finanziamento europeo.

Premesso che non esistono “penali ”, come Foietta ha finalmente ammesso (nessun grande appalto è stato assegnato), gli accordi bilaterali non prevedono alcuna clausola che compensi le spese per lavori fatti dall’altra parte sul proprio territorio.

Non si capisce poi come un finanziamento Ue mancato si possa considerare una spesa.

In ogni caso, andare avanti costerebbe all’Italia almeno 3 miliardi (il 35% del costo previsto per il tunnel, 8,6 miliardi, secondo il costruttore italo-francese Telt), più i 2 per il collegamento finale al tunnel da parte italiana: 5 miliardi per un’opera inutile.

2) Terzo Valico. “Credo che lo stato di avanzamento sia tale che bloccarlo costerebbe più che mandarlo avanti”, ha spiegato Toninelli nel nuovo libro di Bruno Vespa (sic).

La realtà è più complessa. Finora per la linea ferroviaria di 53 km –essenzialmente merci – che dovrebbe collegare Genova e il suo porto alla Pianura Padana (arriva a Tortona, passando per Novi Ligure) sono stati spesi 1,5 miliardi.

È stato concluso il 30% dei lavori. Toninelli ha scoperto che, sotto l’occhio vigile del predecessore, Graziano Delrio, il consorzio Cociv (Salini Impregilo, Condotte e gruppo Gavio) si è mosso con una rapidità impressionante, avanzando con più talpe per scavare le gallerie e aprendo cantieri multipli. In questo modo i costi per fermare i lavori sono lievitati. A questi si aggiungono le penali per la rescissione dei contratti. È l’appiglio che verrà usato per giustificare un via libera che le reali stime di traffico suggeriscono invece di evitare.

L’UTILITÀ.

1) Tav. Secondo Confindustria Piemonte fermarlo “condannerebbe la manifattura italiana a 200 anni di marginalità”.

Le merci però non cercano la ferrovia ma la evitano. Le stime di traffico non giustificano l’opera. Pochi mesi fa Foietta ha ammesso che quelle su cui sono stati firmati i trattati erano sballate, ma “in buona fede”.

Tra Francia e Italia passano circa 42 milioni di tonnellate di merci ogni anno, solo 3,9 via treno.

La linea ferroviaria che passa per il traforo del Frejus è sottoutilizzata e prevedere, come si è fatto negli studi preliminari, 15 milioni di tonnellate di merci su rotaia non è realistico.

Il solo modo per ottenerlo –come auspicava l’accordo italo-francese del 2012 – è aumentare i pedaggi sull’autostrada del Frejus.

Oppure dirottare di 200 chilometri il traffico di Ventimiglia, da dove passa il grosso del traffico merci su strada.

Confindustria lo sa che per fare il Tav i costi di trasporto su gomma saliranno?

2) Terzo valico. Per la Lega è indispensabile.

Toninelli è invece consapevole che l’analisi costi-benefici la boccia senza appello, anche solo per i costi necessari a finirla (4,7 miliardi) e anche considerando che il tratto già fatto non potrà essere collegato alla linea esistente per le differenze di altitudine delle gallerie.

Sull’utilità dell’opera i numeri sono impietosi.

Non a caso nel 2014 fu Mauro Moretti, capo delle Ferrovie, a definirla inutile: “Da Genova a Milano è giusto che le merci vadano in camion. In nessun altro Paese per fare 150 chilometri si va con le ferrovie”.

Già in passato le analisi indipendenti, seppur con dati parziali, avevano bocciato l’opera.

La marcia dei 4 gatti

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Cronaca semiseria di un pomeriggio farseco a Torino.

La marcia dei 4 gatti
 

Uno dei più grandi crucci della lobby del TAV è sempre stata quella di non potersi rappresentare, seppur parzialmente, come forza sociale in qualche modo opposto al vasto movimento che si oppone alla Torino-Lione. Negli anni i tentativi sono stati innumerevoli, prezzolati, pilotati, stimolati con ogni mezzo lecito e illecito ma si sono sempre rivelati infruttuosi. Il fatto di non riuscire a rompere, nell’indefinitezza formale delle opinioni contrapposte, la materialità di uno scontro che si è sempre declinato come quello di un territorio contro le istituzioni ha sempre però rappresentato un problema politico cruciale per la riuscita della grande speculazione in Val di Susa. Ma com’è possibile che se ci sono i notav non ci sono i sitav? Per questo i grandi gruppi editoriali, appoggiati dai grandi gruppi industriali, provano con ciclica regolarità a proporre uno sceneggiato sempre uguale, la rivolta di un’immaginaria maggioranza silenziosa che scende in piazza in nome del progresso contro lo stop alla grande opera. L’orizzonte ideale di questa parola wannabe performativa, che ritroviamo anche oggi su tutti i giornali, è sempre quello del capolavoro che continua a popolare l’immaginario delle élite sabaude, la marcia dei 40’000 quando i quadri della fiat scesero in un lungo corteo per chiedere la fine delle lotte operaie negli stabilimenti degli Agnelli. Come è noto, però, il problema non è tanto che la storia non si ripete mai quanto che lo faccia prima come tragedia e poi come farsa. Prendiamo la replica di ieri.

Il canovaccio era quello di sempre ma con un po’ più di pepe dato dal fatto che la fine della grande mangiatoia ad alta velocità sembra farsi sempre più concreto. In occasione del voto di una mozione del comune di Torino in cui si ribadisce la contrarietà della giunta alla realizzazione dell’opera, si tenta la solita messinscena rilanciata a reti unificati da Stampa e Repubblica. Tutti i corpi intermedi che sentono mancarsi la terra sotto i piedi rispondo presenti. Confcommercio, Confindustria, Confesercenti, Confartigianto, Amma, Confapi. Ma anche CGIL, CISL, UIL. E poi +Europa con la Bonino e i radicali. Si aggiungono, nel tripudio giornalistico, anche l’ordine dei notai, degli avvocati e dei commercialisti. A capitanare la truppa della clientela ci sono Forza Italia e il PD, ovviamente uniti nella lotta. Se i titoli di testa sono in stile “l’armata brancaleone” l’esecuzione ricorda però più “odissea nell’ospizio”. Al comune si ritrovano in quattro gatti. Canuti funzionari sindacali della CISL, dirigenti confindustriali, la ristretta nomenklatura del PD torinese, eletti di Forza Italia con qualche pensionato probabilmente appassionato della nobile arte dell’osservazione dei cantieri. La CGIL riempita di sberleffi dai notav presenti fiuta la mala parata e non osa nemmeno aprire le bandiere. Gli slogan sono comici SITAVSITAV, RIUFIUTAMO L’ISOLAMENTO, SIETE DEI FASCISTI. A un certo punto si leva addirittura un coro LAVORO, LAVORO, LAVORO senz’altro un esorcismo da parte di un gruppo di privilegiati che, dalla prima repubblica in poi, non ha avuto altra attività che non fosse quella di ciucciare la tetta della politica a danno della collettività.

Come dichiarato dal presidente di Confindustria torinese la priorità assoluta degli industriali è ora quella dell’assicurarsi che niente cambi e che le grandi opere possano proseguire indisturbate. Aspettiamoci di vedere, nei prossimi giorni, altre repliche di questa stanca serie TV. Nella speranza che lo stop definitivo all’opera faccia scorrere finalmente la scritta THE END.

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1914-1918, SI APRE L’ERA DEI MASSKILLER

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MONDOCANE

VENERDÌ 2 NOVEMBRE 2018

Nei prossimi giorni ci assorderanno con le celebrazioni della vittoria, il Piave mormorò, i nostri fanti, il generale Diaz, Trento e Trieste, “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”. Tra cimbali e fanfare, corse di bersaglieri, penne dritte degli Alpini,  Vittorio Veneto, commossi elogi e severi moniti all’unità nazionale e all’amore per l’Europa “che ci ha dato 70 anni di pace” (Jugoslavia, spedizioni Nato e guerra ai poveri escluse) pronunciati dal capo dello Stato, siamo tutti chiamati a festeggiare la “vittoria”. Dal 2 novembre, giorno dei morti, al 4, giorno del “compimento del Risorgimento” con la ripresa delle “terre irridente” (Trento e Trieste, va pure bene, ma Bolzano, il Brennero e una popolazione straniera soggiogata che c’entravano?), patria, nazione, sovranità gonfieranno i petti e orneranno le labbra dei cerimonieri sui colli e dei loro chierichetti nelle redazioni. Subito dopo torneranno  ad avere il sapore tossico che gli si attribuisce quando risultano concetti formulati dalla nota peste sovranista, populista, nazionalista, razzista e, perché no, va bene per ogni disturbatore, anche un bel po’ fascista.

Dalle crepe nell’edificio fatiscente delle Grande Guerra farà capolino qualche sparuto fiore. Qualcuno rapidamente ricorderà quell “Anno sull’Altopiano” di Emilio Lussu, o “La Grande Guerra” di Monicelli, controcanti ormai storici, nascosti ai giovani da strati di polvere. Accanto  all’eroismo, al martirio, perlopiù involontari, di quelli sbranati nelle trincee (magari fucilati nella schiena dai propri ufficiali) e di quelli scampati, scolpiscono nella Storia l’infamia senza limiti dei comandi e dei profittatori imboscati nelle banche e nei consigli d’amministrazione. Colpi di cannone, strazi di moribondi e tintinnio di lire suonavano la canzone della patria.

Industriali e generali

L’Europa si sbranò per decidere chi dovesse essere più imperialista e più colonialista e quale classe dirigente dovesse avere la fetta più grossa nel cannibalismo planetario. Fece staccare il biglietto per questo cammino alla gloria e ai dobloni della sua borghesia a 14 milioni di morti ammazzati. L’Italia  fece la sua parte, Agnelli, produttori di armi e innovatori tecnologici in testa. Per porsi al passo con un futuro capitalista di sconfinato arbitrio e altrettanto sconfinata ricchezza predata dal basso, vaticinato dalla borghesia  e, come in ogni trasferimento di ricchezza e di  consolidamento di potere, accompagnato dalle Chiese, i parvenu del nostro capitalismo, gli arrembanti delle magnifiche sorti e progressive, offrirono in pasto ai loro appetiti 600mila giovani vite. I cappellani militari benedivano, gli ufficiali sparavano a chi non attaccava con sufficiente vigore.

  

 Braccia perlopiù sottratte all’agricoltura. Procedimento perseguito, tranne un breve intervallo autarchico, senza soluzione di continuità, fino alla robotizzazione automobilistica e petrolifera del territorio per imperituro merito sempre di quegli Agnelli, fino allo svuotamento delle nostre terre grazie a opportuni terremoti e puntuali dopo-terremoti. Patrioti, ma a Detroit. Ma che fa: arriveranno braccia africane a coltivare soia all’ombra dei rosoni romanici, ci saranno i Briatori a valorizzare le fondamenta etrusche facendone vetrina pavimentale nei resort.

Il grande massacro si è poi ripetuto una ventina d’anni dopo. Stavolta, produzioni e tecnologie più moderne: 50 milioni di morti, senza calcolare quelli per fame. In ogni caso un bello sfoltimento di spazi perché ci si potesse muovere agevolmente, senza dover sgomitare tra troppi plebei. I padroni sono per scelta e dna assassini seriali. Non hanno il cromosomo dell’empatia, hanno quello della voracità, come certi organismi fatti solo di tubo digerente. Odiano tutto quello che gli impedisce di ingurgitare. Se i nostri sono, come vuole la vulgata, discorsi dell’odio, hate speech, i loro sono fatti dell’odio, hate facts. E mai come oggi, passati dai macelli tra liberali e monarchici a quelli tra liberali e nazifascisti, a quelli di liberali post-nazifascisti contro tutti gli altri, ne stanno rinnovando la dimostrazione.

In coda a tutti costoro ci sono poi i marciatori della pace, i nonviolenti senza se e senza ma. Senza di loro i violenti e i profittatori di guerre mancherebbero di una base d’appoggio. Finchè marciano inneggiando alla pace e riprovando la guerra, evitando accuratamente di nominare un solo generale, un solo presidente, un solo ministro, rigettando ogni funesta tentazione di schierarsi, magari dalla parte delle vittime, collocando i carnefici nella dimensione dell’inconoscibile, applicando il dettame della nonviolenza anche a coloro che mani possenti spingono sott’acqua, il mondo procederà senza scosse. Verso la fine.

Così, anche tra Perugia e Assisi, anche stavolta, dopo sette anni di guerra senza quartiere condotta da mezzo mondo civile e dai suoi civilissimi mercenari, non si è sentito neanche sussurrare la parolina “Siria”. Ah no, un momento. Ne ha parlato “il manifesto”, il 31 ottobre, a proposito del patrimonio archeologico del paese. Per attribuirne la rovina “all’indegno disinteresse del governo di Bashar el Assad”.

Da Palmira, dove era nato nel 1932 ed è morto il 18 agosto 2015, saluta l’autrice di quell’articolo Khaled al Asaad, archeologo, direttore degli scavi di Palmira per conto del governo di Assad, trucidato dai mercenari Isis per non aver voluto lasciare alla loro mercè le colonne millenarie della sua città.

Anni fa, in occasione di un anniversario della strage, mi ritroverai a fare una diretta tv dal cimitero che custodisce i resti dei 1.909 ammazzati dai costruttori e non manutentori della diga del Vajont. Come sottofondo musicale ci infilai la canzone del Piave. E nel commento accennai a qualcosa come: caduti della guerra dei costruttori e cementificatori come quegli altri, quasi mezzo secolo prima, nella guerra degli industriali e generali. Un verohate speech. E mi fu cancellata la rubrica al TG3. Che si chiamava “Vivere!”, col punto esclamativo.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 16:20