No Tav contro Chiamparino: «La Val Susa non è il cortile di casa sua»

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«Se davvero il presidente della Regione vuole pagare il tunnel lo faccia con i suoi soldi, quelli dei cittadini li usi per la sicurezza nei territori, per la sanità e per i servizi utili a tutti»

No Tav contro Chiamparino: «La Val Susa non è il cortile di casa sua»

«Siamo sempre più orripilati dall’arroganza di un amministratore che pensa di poter usare i soldi di tutti come fosse il suo portafogli e la Val Susa come il cortile di casa». Il movimento No Tav commenta così le affermazioni del presidente Sergio Chiamparino, che ha annunciato l’intenzione della Regione Piemonte di sostituirsi allo Stato nella realizzazione della Torino-Lione nel caso il governo intenda fermare l’opera.

«Se davvero Chiamparino vuole pagare il tunnel – aggiunge – lo faccia con i suoi soldi e nel suo cortile di casa, i soldi dei cittadini li usi per la sicurezza nei territori, per la sanità e per i servizi utili a tutti». 

ECCO, QUESTE SONO LE MADAMIN NO TAV,

Oscar Margaira

L'immagine può contenere: 8 persone, persone che sorridono, testo

alcune perfino tote.
Bele, forte, infiurmà e sensa pur.
(alcune perfino ragazze, belle forti, informate e senza paura).
GRAZIE DI ESISTERE E DI VOLER CONOSCERE.
Dopo na smana ed madame buje a servia un pò ed bela gent.
(Dopo una settimana di Signore bollite serviva un pò di bella gente)

Grandi opere, evocare il canale di Suez per dire sì alla Tav non è una buona idea

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/16/grandi-opere-evocare-il-canale-di-suez-per-dire-si-alla-tav-non-e-una-buona-idea/4770192/

Grandi opere, evocare il canale di Suez per dire sì alla Tav non è una buona idea

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Esperto di trasporti e ambiente

Nel 2018 non basta l’espressione “grande opera” per assicurarne il successo. E per successo si intende non solo il suo utilizzo, ma la sua di capacità di “modificare il modo di vivere”, di cambiare profondamente gli stili di vita e le attività di intere Regioni con conseguenze economiche, urbanistiche, sociali ed ambientali di grande impatto. Come non basta affermare che il Frejus è vecchio perché è stato aperto al traffico nel 1871, ai tempi di Cavour, per giustificare la realizzazione di un altro tunnel e garantirsi il successo sperato.

Non è neppure bastato per il raddoppio del canale di Suez, seppur pensato dai tempi di Napoleone Bonaparte e realizzato nel 1869, quasi 150 anni fa da Napoleone III. Dopo il suo raddoppio, i traffici sono diminuiti e non aumentati come auspicato e l’economia egiziana non ha subito quell’impulso e quello sviluppo sperato. Chi l’avrebbe mai pensato che il tanto decantato, e costoso, (8,3 mld di dollari) raddoppio del canale di Suez sarebbe stato un flop? Eppure, anche le grandi opere possono avere i “piedi d’argilla”. Non basta, quindi, la retorica per giustificarle, spesso sostenuta da analisi dei traffici euforiche e previsioni dei costi sottostimate.

Quanto accaduto con il canale di Suez ci deve mettere in guardia: allungato per 72 km e con un nuovo tratto di 35 chilometri parallelo a quello esistente, non ha raggiunto nessun obiettivo sperato. Senza aumento dei traffici anche gli introiti da pedaggio si sono rivelati un obiettivo dello Stato egiziano mancato quando le compagnie di navigazione hanno preferito circumnavigare l’Africa. Così, per non avere un crollo dei traffici, i pedaggi si sono dovuti diminuire. Il governo annunciò che, con il completamento dei lavori, le entrate annuali previste avrebbero presto raggiunto l’invitante cifra di 13 miliardi e mezzo di dollari mentre, negli anni precedenti, gli introiti ammontavano a un massimo di 5 miliardi di dollari.

Molte cose però non sono andate come previsto, e i profitti per l’Egitto invece di aumentare esponenzialmente, stanno lentamente ma inesorabilmente diminuendo. Dalla festeggiatissima riapertura del Canale, le entrate totali derivanti dalle tasse di transito e dai servizi marittimi e di navigazione sono crollate: dai 462 milioni di dollari dell’agosto 2015 ai 447 milioni di dollari del luglio 2017 (dati del IDSCEgyptian Cabinet’s Information and Decision Support Centre). Ciò significa che la promessa del governo di raggiungere i 13,4 miliardi di dollari di profitto annuale entro il 2023 sarà impossibile da mantenere. Per finire si è generato il fenomeno della migrazione lessepsiana (dal nome dell’architetto che progettò il canale) di specie sia animali che vegetali dal mar Rosso al Mediterraneo che ha alterato l’ecosistema, anche a causa dell’innalzamento del riscaldamento delle acque dovuto all’allargamento del canale.

L’esperienza egiziana dovrebbe servire come monito all’Italia: non sempre i problemi di traffico merci sono legati a mancanze strutturali, quanto piuttosto a carenze gestionali. Nel caso specifico del nostro Paese i problemi del traffico ferroviario merci (e passeggeri) non derivano dalle carenze infrastrutturali di valico ma piuttosto da gravi carenze gestionali lato rete (RFI) e lato compagnie ferroviarie (Trenord, Trenitalia, Mercitalia ecc.).

Le attività ferroviarie necessitano attività complesse per accorpare volumi di merci ridotti caratteristici della nostra piccola e media impresa: il Tir invece è più semplice da organizzare, più flessibile e non necessita delle regole ferree tipiche del trasporto su ferro. Senza la concentrazione di volumi europei e con una gestione nettamente più inefficiente e costosa dei maggiori player del vecchio continente, il vettore pubblico di FS (Mercitalia) e quelli privati assieme, sono il fanalino di coda europeo. Ci vorrebbe uno sforzo di informatizzazione della rete di segnalamento, sistemi di circolazione, aumento del peso trasportabile e una nuova logistica che ottimizzi il ciclo di raccolta e smistamento delle merci.

Insomma, meno cemento e più tecnologia. Proprio quello che manca a valle (Lombardia) dell’Alp Transit (traforo del Gottardo) dove la strozzatura di Milano vanifica il senso dell’opera.

Innovare il meccanismo di finanziamento delle grandi opere pubbliche potrebbe aiutare a fare scelte più ponderate.L’Eruotunnel sotto la Manica è stato finanziato al 50% da capitali privati, il Gottardo prevalentemente da una tassa sull’autotrasporto, mentre il Canale di Suez è stato finanziato quasi interamente da investitori egiziani. Tantissimi cittadini hanno infatti risposto nel 2014 all’appello del governo del Cairo per sostenere il progetto e in soli otto giorni sono stati raccolti 6,5 miliardi di dollari, su 8,3necessari, tramite la vendita di obbligazioni. Per la Tav Torino-Lione, la grande opera che “cambierà il mondo”, perché non proviamo a vedere come rispondono, tanto per cominciare, i torinesi che erano in piazza per il sì la scorsa settimana?

Dopo l’analisi Costi/Benefici arriva l’analisi Costi/Sogni: panico in Piazza Castello !

Il popolo italiano è un popolo di sognatori. Sognare è bello. Ci si mette lì e si inizia a fantasticare ad occhi aperti. E nel sogno si è belli, abilissimi, e si ha un grande successo. Sognare è meraviglioso, e non costa nulla.

Non sempre però. Perché certi sogni costano, costano cari. E quando sognare costa è perché ci sono altri che ci guadagnano. Sono quelli che di mestiere vendono sogni. Loro non sognano, ma i sogni li costruiscono e poi li vendono agli altri. Noi sogniamo e loro ci guadagnano.

Sogniamo di andare dalla Calabria alla Sicilia in pochi minuti, su un ponte bellissimo, lunghissimo ed altissimo… e loro ci accontentano con un bel progetto.

Sogniamo che i rifiuti finiscano in discariche miracolose, che non inquinano le falde acquifere, e che, anche se il fondo di quelle discariche è garantito solo per trent’anni, in realtà quel fondo dura per tutta l’eternità. Noi sogniamo e loro ci accontentano.

Sogniamo che i rifiuti vengano bruciati e dentro marchingegni miracolosi, da dove non escono fumi velenosi… e loro ci accontentano.

Sogniamo un mondo in cui i treni vanno tutti a 300 all’ora… e loro ci accontentano.

Loro ci accontentano usando soldi pubblici, i soldi che dovrebbero servire a fare le cose che servono tutti i giorni, ma non importa, basta che si possa continuare a sognare.

E poi magari sogniamo le Olimpiadi, dove noi, proprio noi, vinciamo una medaglia d’oro, magari due o tre. Perché il sogno non ha limiti. E non li deve avere, perché altrimenti il sogno non serve a nulla, perché altrimenti il sogno non ci aiuta a sopportare la triste realtà fino al sogno successivo!

Sogniamo che ci sia un lavoro per tutti. Anche per i robot. E che con quel lavoro tutti si possa avere una vita dignitosa. E che tutti si possa lavorare e produrre, produrre e vendere, vendere e guadagnare, guadagnare e sopravvivere. E che su questa terra ci sia del posto dove poter mettere tutte le merci che sono state prodotte, anche quelle che nessuno ha comprato.

Sogniamo nuove strade, ferrovie e tunnel per esportare in tutto il mondo le merci che produciamo. E sogniamo che da quelle stesse strade, ferrovie e tunnel non arrivino mai merci identiche alle nostre, prodotte da altri nel resto del mondo, ad un prezzo così basso da far chiudere per sempre il luogo che fino a quel momento ci ha permesso di lavorare, produrre, vendere, guadagnare e sopravvivere.

Noi sogniamo la crescita senza limiti… e i venditori di sogni ci accontentano.

Ma… e se invece della crescita sognassimo l’uguaglianza? Nemmeno tanta, solo un pochino…. perché adesso di disuguaglianza ce n’è troppa. E continua ad aumentare, e andare in giro è sempre più pericoloso.

Nooo?… L’uguaglianza non è un bel sogno?… Perché se c’è l’uguaglianza non si può sognare di essere i primi? Perché per essere noi i primi occorre che esistano anche gli ultimi? E che ce ne siano tanti, in modo da poter essere noi il meglio, come ci hanno insegnato da piccoli?…

Certo che quei venditori di sogni sono proprio stronzi. Cominciano a riempirci la testa con i sogni che convengono a loro quando siamo ancora piccoli. Sogni pieni di disuguaglianza e di sudditanza. Poi, quando si è cresciuti, in condizioni di dipendenza da sogno, ci chiedono di andare a Torino, in Piazza Castello, per sognare tutti insieme.

E continuare a pensare che i sogni siano tutti gratis.

Tino Balduzzi