“LA TAV,OPERA DA INTERROMPERE: NEL TUNNEL GIÀ SCAVATO FACCIAMO UN CENTRO DI RICERCA”

LAPRESSE
 
 
Pubblicato il 07/11/2018
FEDERICO CALLEGARO
TORINO

«È un’opera da interrompere e nella parte di tunnel già scavata si potrebbe pensare di inserire un centro di ricerca per esperimenti su neutrini e materia oscura». A parlare è Angelo Tartaglia, membro della commissione sulla Tav voluta dall’amministrazione 5 stelle del Comune di Torino che, insieme ai suoi colleghi, ha snocciolato dati per spiegare che l’alta velocità è un’opera da non portate avanti.

Il volume di merci  

«I numeri ci dicono chiaramente che il volume di merci dirette verso la Francia è in calo da anni – spiega -. In più anche i costi dell’opera sono fortemente spostati sulle spalle degli italiani: a fronte di un percorso che ci interessa per il 21% della tratta, ci dobbiamo fare carico del 60% della spesa dei pagamenti». Ma se la Tav ha ricadute così marginali sull’economia, a chi interessa? «Gran parte delle persone che saranno in piazza sabato non penso abbiamo dati per smentire i nostri studi – afferma Tartaglia -. Per il resto interessa agli imprenditori dell’edilizia e alle banche che presteranno i soldi per realizzarla allo Stato».

LA TAV,OPERA DA INTERROMPERE NEL TUNNEL GIÀ SCAVATO FACCIAMO UN CENTRO DI RICERCA

L’analisi costi-benefici  

Su una cosa la commissione è chiara: «Se l’analisi costi-benefici voluta dal Governo ci dimostrerà, numeri alla mano, che abbiamo torto, siamo disposti ovviamente a cambiare opinione sull’opera».

TAV: quello che i media non dicono

https://volerelaluna.it/societa/2018/11/08/tav-quello-che-i-media-non-dicono/

Ci sono alcuni dati che su StampaRepubblica e Corriere della Sera, non si leggono mai.

Anzi il “giornalone unico” (ottima definizione di Marco Travaglio) in questi giorni si distingue proprio come cassa di risonanza delle iniziative del fronte SI TAV, e per critiche insulse e pretestuose contro la Giunta Appendino accusata di “decrescita felice” (Molinari su La Stampa), dimenticando la “crescita infelice” del duo Chiamparino-Fassino che ha lasciato a Torino il debito pro capite più alto d’Italia (3.500 euro per ogni torinese) , che ancora oggi si avvicina complessivamente ai 3 miliardi di euro; debito che è la causa del taglio dei servizi e del peggioramento della qualità della vita nella Città metropolitana.

Primo. I dati sui flussi del traffico sono sempre stati gonfiati a dismisura per creare nell’opinione pubblica l’idea della necessità di una nuova linea ad Alta Velocità tra Torino e Lyon. Nel 1991 Confindustria affermava che nel 1997 l’attuale linea, che nel corso degli anni è stata ammodernata come l’attuale tunnel del Frejus e su cui da tempo passano i TGV e i carri Modalhor per il trasporto dei camion, sarebbe stata satura.
Dopo 27 anni da quella analisi l’attuale linea ferroviaria risulta utilizzata al 32 per cento della sua potenzialità e il traffico passeggeri con meta Lyon è risibile e non giustifica certo l’opera.

Secondo. In Francia come in Spagna le merci non viaggiano sulle linee ad Alta Velocità ma su quelle ordinarie che in Spagna come in Portogallo sono a scartamento ridotto: altro che arrivare Lisbona!

Terzo. La Francia (Sncf ha un debito di 50 miliardi in particolare proprio per la costosa gestione delle linee ad Alta Velocità) ha rimandato al 2038, e dopo la verifica dei flussi di traffico, la decisione se progettare oppure no la tratta ad Alta Velocità Modane-Chambery. Quindi, in sostanza, oggi non si sta più parlando della Torino Lyon ma solo di un tunnel di base, lungo 52 km, scollegato dall’Alta Velocità sia in Francia che in Italia e di conseguenza l’opera dovrebbe essere chiamata linea ad Alta Velocità Susa-Saint Jean de Maurienne (cittadina francese 30 km ad ovest di Modane). Inoltre per convincere la Francia, da sempre tiepida rispetto a questo progetto, l’Italia si è “generosamente” accollata il 57,9 per cento della spesa per il tunnel di base e la Francia solo il 42,1 per cento anche se ben 45 km del tunnel sono in territorio francese e solo 12 km in territorio italiano!

Un tunnel davvero inutile (se non per chi lo vuole costruire… con soldi pubblici) mentre, rispetto all’inquinamento atmosferico di Torino e della cintura metropolitana, sarebbe ben più indispensabile sviluppare una maggiore e migliore rete di trasporto pubblico e con almeno altre due linee di metropolitana, anche per decongestionare il soffocante anello della tangenziale che registra più di 400.000 passaggi giornalieri e che ha una gran quota di responsabilità sull’inquinamento atmosferico.

C’è anche un’altra questione, ancora sottovalutata nei suoi effetti dirompenti sul sistema trasportistico italiano, che dimostra come la Torino-Lyon sia ormai fuori tempo massimo rispetto all’evoluzione del trasporto delle merci: le due statali valsusine, così come altre direttrici di traffico, sono sempre più percorse, sette giorni su sette, da decine di camioncini con targa polacca o rumena con una capacità di carico compresa tra i 15 e i 18 quintali che guadagnano quote di traffico a danno dei TIR e anche del trasporto ferroviario che,  in Italia, manca di una logistica efficiente. È un modello di trasporto, su scala internazionale, che risponde alle nuove e ormai consolidate esigenze produttive delle aziende, che hanno abolito o comunque ridotto il deposito nei magazzini e che hanno quindi necessità di un continuo e flessibile rifornimento ad hoc (che il trasporto ferroviario non può garantire) dei pezzi o materiali per le necessità produttive, e anche per il rifornimento delle attività commerciali di media o grande dimensione.

C’è un altro motivo  dietro l’irreversibile affermazione di questo modello di trasporto: i bassi costi per le retribuzioni degli autisti calcolate su parametri dei Paesi dell’Est, il pernottamento degli stessi sul mezzo e pasti consumati lungo la strada, la non percorrenza delle autostrade a pagamento, la possibilità di circolare nei giorni festivi quando sono invece fermi i mezzi più pesanti, il non uso del cronotachigrafo e quindi, a discapito della sicurezza, la possibilità di guidare anche 14-18 ore giornaliere.

Un modello di “trasporto selvaggio” che aggrava la situazione trasportistica in un Paese in cui, in assenza di un Piano Nazionale dei Trasporti, le infrastrutture e in particolare le Grandi Opere non vengono programmate nell’interesse del bene pubblico ma vengono decise dagli interessi di chi le vuole costruire con soldi pubblici per averne poi la gestione privata.

Di tutto questo non si parla ma si progetta una marcia SI TAV: 40.000 per La Stampa e 100.000 per Repubblica

Per cosa? Per un tratto di 52 km in galleria che, ovviamente, non può essere percorso a velocità elevata e slegato, sia ad est che ad ovest, dalla rete ad alta velocità! Evidentemente l’onestà intellettuale è scomparsa e prevalgono solo gli interessi finanziari dei poteri forti che già hanno in mano il debito di Torino.

I problemi di sviluppo e occupazione del Nord ovest sono ben altri e rimandano al grave ridimensionamento del settore metalmeccanico e manifatturiero, penalizzato dalle continue delocalizzazioni.

L’eventuale marcia SI TAV è anche un pessimo richiamo alla storia di Torino e della FIAT, dimenticando che proprio con quella marcia e la sconfitta della lotta operaia, complice un sindacato ambiguo e incerto, iniziò, in assenza di un’opposizione operaia e sociale, il percorso che ci ha portato all’oggi dove la FIAT non ha più il centro produttivo a Torino ma negli USA, le autovetture sono principalmente costruite all’estero, FCA paga le tasse in Inghilterra e ha la sede legale in Olanda e il nuovo manager Manley concluderà, con minori problemi d’immagine di Marchionne, l’operazione di rendere sempre più periferico il comparto auto italiano a cui, malgrado i forti utili (divisi tra gli azionisti) rimangono da anni e in particolare a Mirafiori cassa integrazione (a carico dell’INPS), contratti di solidarietà e nessun concreto progetto produttivo.

In tutto questo divenire Chiamparino giocava a scopone con Marchionne e tranquillizzava gli operai e Fassino, nel referendum FIAT del gennaio 2011, invitava a votare SI sulle proposte aziendali e sui sacrifici dei lavoratori … in cambio di investimenti che poi non ci sono stati.

I due sono stati scavalcati persino da Cesare Romiti, ex uomo forte di Agnelli che, in una recente intervista al Corriere della Sera sulla nomina di Michael Manley, coglie la realtà del progressivo allontanamento dall’Italia del comparto automobilistico e la prossima scomparsa del marchio FIAT, e soprattutto coglie l’involuzione del passaggio da un’industria produttiva a una prevalenza della speculazione finanziaria: «Mi dispiace constatare che gli interessi degli azionisti vengano sempre anteposti a quelli del Paese».Tesi confermata dalla recente vendita della Magneti Marelli (l’azienda di componentistica di FCA) alla nipponica Calsonic Kansey ora di proprietà del fondo Usa Kkr, che sicuramente più che agli investimenti produttivi guarderà ai dividendi degli azionisti. E questa operazione finanziaria già garantisce agli azionisti un dividendo straordinario di 2 miliardi di euro ma ai 10.000 operai del gruppo e a quelli del relativo indotto regala l’incertezza del futuro.

Chiamparino minaccia il referendum… Strana proposta da parte di un esponente del PD, partito che nulla ha fatto per rendere esecutiva la volontà espressa dagli Italiani nel referendum del 2011 contro la gestione privata dell’acqua (95 per cento dei votanti favorevoli per l’acqua bene comune). Conta di avere il pieno appoggio mediatico del giornalone unico (Corriere della SeraLa Stampa e Repubblica) e dei poteri forti della città, alcuni dei quali, come già detto, hanno in mano il debito di Torino, in gran parte dovuto ai costi delle Olimpiadi del 2006, e che è la causa della difficoltà finanziaria e amministrativa del capoluogo.

Questa è la realtà con cui Torino deve confrontarsi per trovare le giuste soluzioni di un positivo sviluppo, mentre è inutile e controproducente inseguire le sirene di una linea ferroviaria che, eventualmente, promette solo il trasporto di merci prodotte altrove per andare altrove: non sono i “corridoi di traffico” che possono produrre i posti di lavoro di cui ha necessità il Nord ovest e in particolare la Città metropolitana.

«Schedati e sottoposti ad una perquisizione corporale i passeggeri del pullman diretto a Roma alla manifestazione nazionale antirazzista»

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Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, Partito Comunista Italiano, Sinistra Anticapitalista, Cobas, Archivi della Resistenza.

LA SPEZIA – “Il pullman partito da Spezia e da Massa diretto a Roma per la manifestazione nazionale antirazzista in programma per oggi è stato fermato come gli altri pullman provenienti da varie città d’ Italia. Tutti i manifestanti sono stati fatti scendere, schedati e sottoposti ad una perquisizione corporale, dei bagagli con un controllo certosino anche di bandiere e striscioni.

L’operazione ha ovviamente richiesto parecchio tempo e non contenti, terminati i controlli, le forze dell’ordine hanno trattenuto i pullman per oltre 40 minuti.

Mentre scriviamo veniamo scortati presso il centro di Roma dagli agenti della Polizia di Stato. Quanto sta accadendo rappresenta un fatto molto grave, una limitazione delle libertà democratiche e costituzionali ingiustificata e inaccettabile, una vera  intimidazione che nulla ha a che fare con la sicurezza.

Tutto questo rafforza le ragioni per cui stiamo andando a Roma per dire NO al Decreto Salvini che dopo il Minniti limiterà sempre più il diritto all’espressione e all’organizzazione  del dissenso.”

La risposta dei No Tav: “L’8 dicembre in piazza a Torino”

http://www.nuovasocieta.it/la-risposta-dei-no-tav-l8-dicembre-in-piazza-a-torino/?fbclid=IwAR3maH-ID69wC45MJWrpSw5tAghPAil-uP17hpquymeKyizGYg7zYFQSYAY

|8 novembre 2018 – 15:38|Scritto da Giulia Zanotti

 I No Tav ritorneranno all’ombra della Mole con una grande manifestazione l’8 dicembre. Lo annuncia il Movimento, a pochi giorni dalla manifestazione Si Tav e contro la giunta Appendino che si svolgerà sabato a Torino.

«Il movimento No Tav da quati 30 anni promuove le ragioni dell’opposizione alla Torino-Lione, con manifestazioni, azioni di lotta, studi e documentazioni, libri e conferenze pubbliche. Dal principio si è chiesto un confronto tecnico che, privo di pregiudizi ed interessi di sorta, potesse confrontarsi sui dati e prevedere tra i diversi esiti quello dell’”opzione zero”. Tutto questo non è mai stato permesso dai vari governi che negli ultimi trent’anni si sono susseguiti nel nostro paese, senza alcuna distinzione di bandiera od orientamento. Per contro, laddove le ragioni non venivano ascoltate, si è deciso di imporre l’opera con la forza, sulla testa di decine di migliaia di valsusini» scrivono gli esponenti del Movimento No Tav in una nota.

«In queste ultime settimane, partiti, sindacati e lobby industriali e di categoria con l’appoggio sfrontato e interessato di tutti i maggiori media, hanno deciso di attaccare il movimento No Tav, a livello ideologico, negando quelle ragioni documentabili per anni diffuse e pensando di strumentalizzare una vicenda tanto delicata quanto fondamentale per il futuro del nostro territorio e delle nostre vite» proseguono, aggiungendo «Non ci siamo mai fatti ingannare e continueremo a lottare per la nostra terra e per un modello di sviluppo sostenibile per tutti».

I No Tav rilanciano dunque la mobilitazione per l’8 dicembre, data storica per il Movimento che proprio in quel giorno nel 2005 i militanti riuscirono a resistere e liberare il presidio di Venaus.«In contemporanea a noi, poiché l’8 dicembre dal 2010 è la Giornata Internazionale contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e in difesa del pianeta, molti altri movimenti sul territorio italiano si mobiliteranno per la tutela dei territori e contro lo spreco di risorse pubbliche».

“Infimi sciacalli”, Di Maio attacca i giornalisti

https://www.adnkronos.com/fatti/politica/2018/11/10/infimi-sciacalli-maio-attacca-giornalisti_RSiaJG5khoAAHXodIuelWL.html?refresh_ce

Infimi sciacalli, Di Maio attacca i giornalisti

Contento di averti sempre difesa e di aver sempre creduto in te“. Lo scrive in un post su Facebook, Luigi Di Maio, capo politico del movimento 5 Stelle, dopo l’assoluzione della prima cittadina di Roma, Virginia Raggi, ricordando i “due anni di attacchi alla sindaca più massacrata di Italia”. “La magistratura ha fatto il suo dovere e la ringrazio, ha solo seguito quello che andava fatto d’ufficio” sottolinea Di Maio.

“Il peggio in questa vicenda – scrive il vicepremier in un durissimo attacco alla stampa – lo hanno dato invece la stragrande maggioranza di quelli che si autodefiniscono ancora giornalisti, ma che sono solo degli infimi sciacalli, che ogni giorno per due anni, con le loro ridicole insinuazioni, hanno provato a convincere il Movimento a scaricare la Raggi”.

“La vera piaga di questo Paese” per il ministro del Lavoro “è la stragrande maggioranza dei media corrotti intellettualmente e moralmente. Gli stessi che ci stanno facendo la guerra al governo provando a farlo cadere con un metodo ben preciso: esaltare la Lega e massacrare il Movimento sempre e comunque“.

Di Maio parla di “pagine e pagine di fake news, giornalisti di inchiesta diventati cani da riporto di mafia capitale, direttori di testata sull’orlo di una crisi di nervi”. “Presto – scandisce – faremo una legge sugli editori puri, per ora buon Malox a tutti”. Poi ai microfoni del Tg1 torna sulle sue parole contro i giornalisti. “Sono toni giustificati verso una parte della stampa”, che ha pubblicato “una serie di balle che si rivoltano contro chi le ha raccontate” dice Di Maio.

“Una legge che difenda gli editori puri è la strada maestra per uscire dall’impasse sull’editoria che riconosciamo. Prendo atto e mi affianco ad una visione di ampio respiro” commenta all’Adnkronos Alessandro Morelli, presidente della Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni della Camera. “Dopo le chiare parole di Di Maio sono certo che torneremo a parlare della materia con i 5 Stelle dopo l’intenso lavoro che vedrà impegnati i due movimenti su una legge di Bilancio che deve iniziare a dare i segnali di cambiamento sull’economia”, aggiunge il leghista.

Intanto l’attacco di Di Maio alla stampa ha scatenato reazioni da più parti. Carlo Verna, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, commenta: “Gli insulti del ministro Di Maio si commentano da soli come è stato già stigmatizzato dai colleghi della Fnsi. Sono espressi nell’esercizio del suo mandato e per questo non prendo iniziativa di trasmetterli al consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti della Campania cui è iscritto”. “Ma, mentre da cittadino mi chiedo se sia questo il modo di esercitare un alto mandato, da presidente dei giornalisti – conclude Verna – gli chiedo di valutare seriamente la possibilità di lasciare spontaneamente la nostra comunità, nella quale ha diritto di stare, ma in cui chi si comporta così non è assolutamente gradito

TAV, M5S: PIAZZA VA RISPETTATA. ANCHE SE POLITICIZZATA. PER NOI TAV RIMANE PROGETTO VECCHIO, COSTOSO E DANNOSO. IN ATTESA DI COSTI BENEFICI MANIFESTAZIONE NO TAV L’8 DICEMBRE”

https://www.piemonte5stelle.it/2018/11/tav-m5s-piazza-va-rispettata-anche-se-politicizzata-per-noi-tav-rimane-progetto-vecchio-costoso-e-dannoso-in-attesa-di-costi-benefici-manifestazione-no-tav-l8-dicembre/?tg_rhash=f947ec6d32d3c7

MoVimento 5 Stelle Piemonte

Ogni manifestazione civile va sempre rispettata. Ed il gioco della politica prevede anche che alle manifestazioni aderiscano anche forze politiche, a volte cavalcandole portando bus di persone, a volte strumentalizzandole. In tutte le manifestazioni ci sono però cittadini che genuinamente portano proposte e proteste legittime. Anche noi come gruppo regionale siamo dunque aperti all’ascolto dei liberi cittadini che vogliano con noi confrontarsi su proposte di sviluppo di Torino e della Regione.

Rimaniamo però convinti che l’analisi costi benefici sul tunnel di base e la nuova linea Bussoleno-Saint Jean de Maurienne debba andare avanti a sancire, speriamo, quello che abbiamo sempre ritenuto: cioè che un nuovo tunnel ferroviario non serva né per i passeggeri né per le merci. L’attuale linea è già adeguata in sicurezza, capacità e competitività, al contrario dell’infrastruttura intermodale piemontese, assai arretrata.

Il M5S sta già portando avanti tutte le opere ferroviarie e non, utili al Piemonte per potenziare la logistica merci e passeggeri.

In ogni caso sin da oggi dichiariamo la nostra adesione alla manifestazione di chi è contrario al secondo tunnel in Alta Valsusa, indetta dal movimento No Tav a Torino, l’8 dicembre.

Gruppo regionale M5S Piemonte

Inchiesta nomine, Raggi assolta ‘Spazzati via due anni di fango’

https://notizie.virgilio.it/top-news/raggi-oggi-la-sentenza-nomine-m5s-nessun-automatismo-213282?ref=virgilio

La Procura aveva chiesto 10 mesi. La sindaca è scoppiata in un pianto liberatorio: ‘Spazzati via due anni di fango’. Di Maio: “Forza Virginia! Contento di averti sempre difesa”.

E’ scoppiata in un pianto liberatorio e ha abbracciato tra gli applausi i suoi avvocati. Cosi la sindaca di Roma Virginia Raggi ha accolto la sentenza di assoluzione nel processo sulla nomina di Renato Marracon l’accusa di falso. 

Il giudice Roberto Ranazzi, durante la lettura della sentenza di assoluzione , ha detto che ‘il falso del quale Raggi era accusata non costituisce reato“. 

Dopo l’emozione per essere stata assolta, la sindaca ha stretto la mano al giudice Roberto Ranazzi e al pm Francesco dall’Olio. “Questa sentenza – le prime parole di Raggi – spazza via due anni di fango. Andiamo avanti a testa alta per Roma, la mia amata città, e per tutti i cittadini”.  “Per i miei cittadini sono andata avanti testa alta. Ho fatto tutto con correttezza e trasparenza nell’interesse di Roma. Umanamente è stata un a prova durissima ma non ho mai mollato. Credo in quel che faccio, nel lavoro, nell’impegno costante, nel progetto che nel 2016 mi ha portata alla guida della città che amo. Un progetto che può andare con maggiore determinazione”. Così in un post su Facebook la sindaca Virginia Raggi dopo la sua assoluzione.

Raggi: contro me violenza inaudita – “Assolta. Con questa parola il Tribunale di Roma, che ringrazio e rispetto per il lavoro svolto, ha messo fine a due anni in cui sono stata mediaticamente e politicamente colpita con una violenza inaudita e con una ferocia ingiustificata. Due anni durante i quali, però, non ho mai smesso di lavorare a testa alta per i miei cittadini. Li ringrazio per il sostegno e l’affetto che mi hanno dimostrato”. Così la sindaca di Roma Virginia Raggi nell’esordio del suo post su Fb. “Vorrei liberarmi in un solo momento del fango che hanno prodotto per screditarmi, delle accuse ingiuriose, dei sorrisetti falsi che mi hanno rivolto, delle allusioni, delle volgarità, degli attacchi personali che hanno colpito anche la mia famiglia. Vorrei, soprattutto, che questo fosse un riscatto per tutti i romani, di qualsiasi appartenenza politica, perché il loro sindaco ce la sta mettendo tutta per far risorgere la nostra città”. Così la sindaca di Roma Virginia Raggi su Fb.

Di Maio: forza Virginia, sempre con te – “Forza Virginia! Contento di averti sempre difesa e di aver sempre creduto in te”. Così il vicepremier Luigi Di Maio, Capo Politico del Movimento 5 Stelle, commenta a caldo l’assoluzione di Virginia raggi su Fb. “La vera piaga di questo Paese è la stragrande maggioranza dei media corrotti intellettualmente e moralmente. Gli stessi che ci stanno facendo la guerra al Governo provando a farlo cadere con un metodo ben preciso: esaltare la Lega e massacrare il Movimento sempre e comunque. Presto faremo una legge sugli editori puri, per ora buon Malox a tutti!”. Lo afferma in un post su facebook il vicepremier Luigi Di Maio commentando l’assoluzione della sindaca di Virginia Raggi. “Oggi la verità giudiziaria ha dimostrato solo una cosa: che le uniche puttane qui sono proprio loro, questi pennivendoli che non si prostituiscono neppure per necessità, ma solo per viltà. Ma i colpevoli ci sono e vanno temuti. I colpevoli sono quei pennivendoli che da più di due anni le hanno lanciato addosso tonnellate di fango con una violenza inaudita. Sono pennivendoli, soltanto pennivendoli, i giornalisti sono altra cosa”. Lo afferma in un post su facebook Alessandro Di Battista commentando l’assoluzione di Virginia Raggi.

Salvini, bene Raggi assolta, ora giudichino cittadini – L’assoluzione del sindaco di Roma Virginia Raggi “è buona notizia”. Lo ha detto il ministro dell’Interno e e vicepremier Matteo Salvini arrivando a Eicma, il salone della ruote che si tiene a Milano. “È giusto che i cittadini giudichino una amministrazione non in base alle indagini che finiscono in nulla come in questo caso ma in base alla qualità della vita. Quindi i romani giudicheranno l’amministrazione dei 5 Stelle in base a come è messa Roma. È giusto che non siano le sentenze e i magistrati a decidere chi governa e chi va a casa”.

ANSA | 10-11-2018 19:09

Polizia, cade l’obbligo di informare i superiori. Incostituzionale la legge per fare conoscere le indagini ai governi

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/07/polizia-cade-lobbligo-di-informare-i-superiori-incostituzionale-la-legge-per-fare-conoscere-le-indagini-ai-governi/4748871/?fbclid=IwAR0RVCf18jRHxU6YfnZcRallpkzYFb8dx_-HlN4LVckpoxlqSVuS9XtZJ_Y

Polizia, cade l’obbligo di informare i superiori. Incostituzionale la legge per fare conoscere le indagini ai governi

La norma – varata nell’agosto del 2016 dal governo Renzi – era stata aspramente contestata da magistrati e investigatori. Prevedeva che l’informativa di reato – cioè il primo atto all’interno dell’inchiesta – dovesse scalare le scale gerarchiche di Polizia, carabinieri, Guardia di finanza. E chi sta all’ultimo gradino di quelle gerarchie? I rispettivi ministeri di competenza: Interno, Difesa ed Economia

La legge che poteva consentire ai politici di conoscere in anticipo le indagini è incostituzionale. Il motivo? Lede le attribuzioni costituzionali del pubblico ministero. Lo ha stabilito la Consulta che ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzionetra poteri dello Stato proposto dal procuratore di Bari nei confronti del governo. La norma era stata varata nell’agosto del 2016 quando a Palazzo Chigi sedeva Matteo Renzi. A luglio, invece, si erano registrate le prime fughe di notizie all’interno dell’inchiesta Consip. I vertici della centrale acquisti della pubblica amministrazione furono informati quasi in diretta dell’esistenza dell’indagine che ora rischia che di portare alla richiesta di rinvio giudizio per l’ex ministro dello Sport Luca Lotti e il generale dell’Arma Tullio Del Sette. L’ad Luigi Marroni, intercettato il 20 dicembre 2016confessò al capo dell’ufficio legale di sapere dell’esistenza degli accertamenti “4-5 mesi” prima.

Il conflitto sollevato dal procuratore di Bari – Il procuratore del capoluogo pugliese, Giuseppe Volpe, sosteneva che la norma di fatto abrogasse parzialmente il segreto investigativo e che il governo fosse andato oltre la delega del Parlamento introducendo una sorta di deroga alla riservatezza. “Notizie riservate potevano arrivare dove non dovevano con il rischio di compromissione delle indagini”, cioè vere e proprie “fughe di notizie legittimate”, commenta il magistrato che ha definito “la sentenza come “un grandissimo successo”. Il magistrato spiega che la legge rischiava di “compromettere il segreto istruttorio e la stessa obbligatorietà dell’azione penale”. Il ricorso è stato scritto personalmente dal procuratore di Bari, rappresentato nel giudizio dai professori Giorgio Costantino e Alfonso Celotto.

La norma bocciata – Al centro dell’atto c’è  l’articolo 18, comma 5, del decreto legislativo n. 177 del 2016. La disposizione prevede che, a fini di coordinamento informativo, “i vertici delle Forze di Polizia adottino istruzioni affinché i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettano alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescrittidalle norme del codice di procedura penale”. La Corte, pur riconoscendo che le esigenze di coordinamento informativoposte a fondamento della disposizione impugnata sono meritevoli di tutela, ha ritenuto lesiva delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero, garantite dall’articolo 109 della Costituzione, la specifica disciplina della trasmissione per via gerarchica delle informative di reato.

Spataro: “Incostituzionale. Segreto investigativo carta straccia” – Un testo che all’epoca aveva fatto molto discutere. “Una norma a dir poco sorprendente”, l’aveva definita il procuratore di Torino, Armando Spataro segnalando subito “profili di incostituzionalità“, ma soprattutto di un “contrasto con alcune norme del codice di procedura penale che attribuiscono al pm il ruolo di dominus esclusivo dell’indagine”. “Così il segreto investigativo diventa carta straccia“, diceva il magistrato parlando di un ulteriore passo della “generale tendenza a spostare ogni attività verso l’esecutivo, persino la guida della polizia giudiziaria”. La legge, sottolineava sempre Spataro, non prevede infatti “alcun divieto” per le gerarchie delle forze dell’ordine “di riferire all’autorità politica”. La questione era arrivata sui tavoli di Palazzo dei Marescialli, con il Consiglio superiore della magistratura che si era espresso in maniera critica sul provvedimento.

Le indagini top secret al governo in anteprima –L’informativa di reato è il primo atto scritto in cui uno o più membri delle forze dell’ordine riassumono i risultati di un’inchiesta, in quel momento coperta da segreto, per trasmetterli alla magistratura, alla procura di competenza. Il “coordinamento” di cui parla il testo, necessario per evitare doppioni e sovrapposizioni, in precedenza spettava proprio ai magistrati inquirenti. Con la norma, invece, l’informativa deve scalare le scale gerarchiche di Polizia, carabinieri, Guardia di finanza. E chi sta all’ultimo gradino di quelle gerarchie? I ministeri di competenza: Interno, Difesa ed Economia. Così, per esempio, un’inchiesta per corruzione o per mafia, o qualunque indagine che possa mettere in imbarazzo un ministro, un parlamentare, un amministratore locale, potrà arrivare sul tavolo della politica prima di essere resa nota all’interessato con un provvedimento della magistratura.

La circolare di Gabrielli – Una normativa simile era già prevista i carabinieri, sottoposti al Testo unico dell’ordinamento militare del 2010. Con la legge del 2016 è stata estesa a tutti le altre forze dell’ordine. L’8 ottobre 2016 una circolare dal capo della polizia, Franco Gabrielli, spiegava che i superiori gerarchici devono essere informati anche degli ulteriori sviluppi “rilevanti” dell’inchiesta, “fino alla fine delle indagini preliminari”. Ma precisava che nel farlo è necessario “preservare il buon esito delle indagini in corso”, e quindi le comunicazioni dovevano  essere selezionate in modo “graduale” e al solo scopo di “garantire un adeguato coordinamento informativo”.
 
Il conflitto sollevato dalla procura di Bari  – La Corte costituzionale – giudice relatore Nicolò Zanon – aveva ammesso il conflitto tra poteri dello Stato il 6 dicembre del 2017. Anche se l’allarme sui possibili profili di incostituzionalità della norma era stato lanciato dai procuratori – Spataro in primis – e dal Csm già diversi mesi fa, in piena tempesta sull’inchiesta Consip tra fughe di notizie e dubbi sulle prove manipolate. E aveva suscitato la reazione indignata di Gabrielli. A sollevare il conflitto era stato il procuratore Bari, Volpe nei confronti del governo per quella disposizione inserita a sorpresa nel decreto che aveva accorpato la Forestale all’Arma dei carabinieri. La norma venne introdotta con l’obiettivo dichiarato di evitare duplicazioni e sovrapposizioni tra le forze di polizia e e per ottenere così un efficace coordinamento informativo. Per il procuratore pugliese, però, non solo il governo era andato oltre la delega ricevuta dal Parlamento, ma aveva di fatto abrogato parzialmente il segreto investigativo, che è uno dei cardini del nostro sistema processuale, introducendo una sorta di deroga alla segretezza.
 
Per procuratore Bari lesi gli articoli 109 e 112 della Costituzione – Non solo: introducendo quell’obbligo a carico della polizia giudiziaria, il governo, per il procuratore, aveva anche leso le prerogative riconosciute dalla Costituzione alla magistratura inquirente. Perché quella norma contrasta con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (articolo 112), che garantisce l’indipendenza funzionale del pm da ogni altro potere e soprattutto da quello esecutivo; e ledeva anche l’articolo 109 della Costituzione che dà ai pubblici ministeri il potere di disporre direttamente della polizia giudiziaria.
 
I rilievi del Csm – Gli stessi rilievi che aveva mosso nel giugno del 2017 il Csm. L’organo di autogoverno della magistratura sollevò il problema anche del rischio di “interferenze”nelle indagini dei magistrati con la trasmissione di notizie sulle inchieste a “soggetti che non rivestono la qualifica di polizia giudiziaria e che, per la loro posizione apicale, vedono particolarmente stretto il rapporto di dipendenza organica dalle articolazioni del potere esecutivo”. La delibera fu approvata dal plenum del Consiglio superiore della magistratura. Fu quel passaggio che fece sentire “offeso” Gabrielli, “come se il sottoscritto – disse in un’intervista – e i vertici delle forze dell’ordine non avessero giurato fedeltà alla Costituzione, ma alla maggioranza di governo del momento”.Anche a giudizio del plenum il governo era andato oltre la delega ricevuta dal Parlamento. Palazzo dei Marescialli suggerì anche una possibile via d’uscita: che la comunicazione in via gerarchica sulle informative della polizia giudiziaria avvenisse “compatibilmente con gli obblighi” di legge sul segreto investigativo e non “indipendentemente” da tali obblighi, come detto nella disposizione. Che però è stata bocciata dai giudici costituzionali.

Manifestazione sitav: è andata come previsto, ma sappiate che state giocando in difesa  

post 10 novembre 2018 at 14:02

La manifestazione sitav è andata come doveva andare: numeri alti come annunciato, cronache giornalistiche cotonate, un’ora di discorsi mirabolanti e tutto nei tempi prestabiliti, dalle 11 alle 12 e poi tutti a casa belli soddisfatti.

Dal Pd a Forza Italia, passando dai sindacati a Forza Nuova, con lo sponsor esplicito di tutti i quotidiani (Repubblica menzione speciale) e di associazioni di imprenditori della torino bene hanno riempito la piazza dei tanti capelli bianchi, dei giubbotti firmati, dei tanti che non possono accettare che le cose vadano in maniera diversa di come sono sempre andate.

Trovarsi di colpo a veder sottratto quel gioco, composto da politica/affari/favori/conoscenze, che ha foraggiato la crescita del “Sistema Torino” in tutti questi anni meritava una difesa bella compatta, veloce ed esplicita.

A questo, si somma il livore verso i 5 stelle ed ecco il capolavoro odierno: SITAV per non far affondare la città, SITAV per far andare Torino avanti.

Un racconto di parte, in una posizione di difesa che poche volte avevamo visto. Si perché di difesa stiamo parlando, di rimessa come si direbbe in gergo calcistico, perchè questa volta, cari e care, siamo noi a giocare in attacco!

Penserete mica che ci spaventiamo o ci deprimiamo per piazza Castello piena? L’abbiamo riempita così tante volte che non ci stupisce nemmeno un pò, anche perchè lo abbiamo fatto sempre con tutti contro, con cronache giornalistiche tese solo a disincentivare la partecipazione e poi a ridimensionarla appena terminata.

E c’è una cosa in più diversa dal solito: questa è la manifestazione di una piccola parte di persone che difende un suo interesse particolare, parziale ed esplicito. Sì perchè il nostro NOTAV parla un linguaggio comune, non difende interessi di categoria, non cerca nuove garanzie.

Il NOTAV parla di futuro per tutti e tutte, di denaro pubblico da ri-distribuire, di possibilità di lavoro diffuse, di sicurezza quotidiana per tutti, da Torino a Palermo.

Per questo non siamo preoccupati, anzi siamo ancora più positivi perchè ci piace il fermento che avvertiamo e avremo più occasioni per dire la nostra, e da qui all’8 dicembre, anche senza il favore dei nostri giornali, state tranquilli, lo faremo con un sorriso.

TIFARE DESTRA FINGENDOSI SINISTRA —- LA LA LAND USA, DOVE IL BANCO VINCE. SEMPRE.

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2018/11/tifare-destra-fingendosi-sinistra-la.html

MONDOCANE

SABATO 10 NOVEMBRE 2018


“In America abbiamo realizzato la profezia di Orwell. Un popolo schiavizzato è stato programmato ad amare i propri ceppi, mentre guardano sullo schermo fiabe e finzioni di libertà. Non sono i corpi a essere imprigionati, ma le menti. I desideri delle persone sono programmati, i gusti manipolati, i valori stabiliti da altri” (
Gerry Spence, From Freedom to Slavery)

Dopo Saragat, Rossanda & Co?

Quando ti appioppano, come fosse una sberla, la qualifica di complottista, puoi essere certo che chi te la tira è un complottista. Come tante cose, quasi tutte, del nostro inverno dello scontento, il termine e il suo uso con intento di dileggio e irrisione ci arrivano dagli Usa: conspiracy theorist. Lì una classe dirigente al potere dai tempi della fondazione, dovendo imporre le sue ragioni dei pochi sulle ragioni e i bisogni dei più, è costretta di conseguenza a costantemente tramare nell’ombra: far passare per vero il falso, per giusto l’ingiusto, per bello il brutto, per morale l’immorale, per Valpreda Gladio. Regola del resto imprescindibile per qualunque minoranza che volesse mantenersi al comando a spese e a danno della maggioranza. Solo che nel cuore dell’Impero questo classico trucco del bue che dà del cornuto all’asino si è dato forma e potenza di uragano che travolga chiunque tenti di aprire uno spiraglio nelle quinte del teatrino e dare una sbirciatina di là.

Questa premessa a onore e difesa dei complottisti, intesi come disvelatori di complotti e, dunque, difensori della verità, mi serve per avanzare un azzardo che mi è balenato tanto tempo fa nel seguire le involuzioni verso destra, e anche estrema destra sul piano geopolitico, di certa “sinistra” italiana che si riconosce nel “manifesto”.  “Sinistra” e “manifesto”  che, nelle temperie delle recenti elezioni di midterm statunitensi, mi sono sembrati dare definitiva credibilità all’originale dubbio. Ricordate Saragat, la scissione socialdemocratica del suo PSLI, poi PDSI, dal PSI di Nenni nel 1947, notoriamente innescata dagli Usa e facilitata dai denari della Cia? Tolse ai socialisti, uniti al PCI nel Fronte Popolare, una cinquantina di parlamentari, contribuì alla sconfitta del 1948 e rappresentò per la DC il ruotino di scorta di consolidamento capitalista e atlanticista. Si rafforzò lo schieramento anti-operaio e antisovietico.

Moro, Saragat, Nenni, il generale Usa

A pensar male…

A pensar male, diceva uno che la sapeva lunga sul male, ci si azzecca. Ma è proprio pensar male vedere un parallelo tra quella spaccatura del fronte delle sinistre  e la dipartita dal PCI di quelli del “manifesto” nel 1969? Rossanda, Pintor, Magri, Parlato, incoraggiati e poi abbandonati dall’eternamente traccheggiante Ingrao, rifacendosi al revisionismo di Kruscev  e alle nefandezze attribuite a Mosca, a partire dall’Ungheria del 1956, fecero di tutto per farsi cacciare da un PCI che, privato di queste teste d’uovo, ci rimise in fatto di  egemonia culturale e anche un bel po’ di consenso.. Nel 1947 si trattò di fare arrivare alle elezioni decisive del ’48 una sinistra indebolita. Nel 1969 ci si trovava in piena guerra fredda (e caldissima in Vietnam e nelle decolonizzazioni appoggiate dall’URSS)  e quindi, di nuovo, nell’urgenza di infliggere un’altra mazzata al campo socialista. Inserendosi nell’ondata rivoluzionaria  del ’68 e seguenti, peraltro sempre da robusto calmiere rispetto alle altrui istanze rivoluzionarie, il “manifesto” ebbe modo di rendere credibile e anche di sinistra l’accodarsi alla guerra fredda e a una campagna anti-URSS sempre più virulenta.

Oggi quella campagna è diventata anti-russa , dopo la perdita di punti di riferimento come Gorbaciov e Eltsin e il “manifesto”, da piccino che è, le fa da mosca cocchiera, in piena adesione a operazioni subgiornalistiche e di intelligence come il Russiagate, le rivoluzioni colorate, le scelleratezze di Pechino, e nella piena condivisione di ogni singola iniziativa geopolitica dell’Impero neoliberista, in Cina come in Siria, in Libia come in Nicaragua, nell’immigrazione da sradicamento coatto come nel sostegno allo sgorbio europeo, come nel dirottamento dell’antagonismo sociale verso l’innocua battaglia per diritti civili, conflitti di genere e di minoranze. Per chi non fosse stato ottuso (part.pass. di ottundere) da testatine fuorvianti e nobili firme, i campanelli d’allarme sarebbero stati molti.

Hillary e Rossana, unite in Libia

Ma uno, addirittura una sirena d’allarme di quelle dei bombardamenti, non potrebbe non averlo percepito chi ha visto l’augusta Rossana Rossanda, madre nobile di tutta l’impresa, affiancarsi alla ghignante Hillary Clinton nel proporre, perorare, nel caso dell’americana anche condurre, la guerra contro la Libia, con esito finale di morte e orrore per il suo leader e il suo popolo. L’escalation è continuata e ha raggiunto vertici un tempo inimmaginabili sul Nicaragua, quando il pogrom sorosiano contro il governo sandinista è stato interpretato dal “manifesto”, al di là di ogni freno e pudore, con la stessa foga mistificatoria con cui tratta l’altra operazione del finanzcapitalismo totalitario, le migrazioni.

Non per nulla sono le immagini apologetiche di Emma Bonino che con frequenza adornano il quotidiano. Se ne dovrebbe dedurre che il filo rosso che ha tracciato l’itinerario di questa comunella, protetto dall’autotitolazione di “comunista”, era ieri ed è oggi l’opposizione alla Russia in sintonia con lo Stato profondo statunitense e con le forze che lo muovono. Il che non poteva non accompagnarsi , sempre in sintonia con i radicali, a una drastica revisione dell’idea di rivoluzione: da insurrezione proletaria, presa della Bastiglia o del Palazzo d’Inverno, Lunga Marcia, la Comune, lavoratori comunque al potere, alla guerra al velo, ai matrimoni e alle filiazioni gay.. A essere cattivi si parlerebbe di una Stay behind intellettuale.

Tutto questo ha portato a un rinsaldarsi sulle grandi questioni di un’unanimità di giudizio e di analisi tra tutti i media del paese, con il “manifesto” che vi figura irrisorio sul piano quantitativo, ma qualitativamente di grande interesse per il contributo a un antagonismo politico e sociale appariscente, ma innocuo. Una meringa di panna montata rosa. Ne è stato dimostrazione eclatante lo scomposto tifo con cui il giornale ha affrontato le elezioni di rinnovamento di Senato e Camera negli Stati Uniti. Nella sola giornata della vigilia sono stati ben 11 gli articoli, per 10 pagine su 16, e il fatto giornalisticamente grottesco che quasi tutte queste espressioni di forsennato tifo anti-Trump e pro-Partito Democratico, replica dell’appassionata campagna manifestista per la Clinton, dicano le stesse identiche cose. Un impegno spasmodico, su modestissimi soggetti e con concetti propagandistici uccisi dalla stereotipia, ma che il giornale dichiara decisivi per le sorti del mondo. Manco fossimo al 18 aprile, o al referendum su monarchia o repubblica.

E ci stupiamo che, in odio ai 5Stelle perché fanno cose che dovrebbero fare loro, questi del “manifesto” a casa nostra tifino addirittura Lagarde, Draghi, Moscovici?

Much ado about nothing, molto rumore per nulla

Fa suo, il “manifesto”, l’appello al voto costi quel che costi, rilanciato da quella bella schiera di progressisti liberal, perlopiù mercatisti accademici, sinergici con certe industrie, e trash hollywoodiano, che si sentono orfani di Obama e defraudati della Clinton, contro il Golem fascista che avanza dalle nere montagne di Mordor. E che da noi ha la faccia di Salvini, e ci sta, ma anche un po’ di Di Maio, anche un po’ di Melenchon, anche un po’ di Sahra Wagenknecht e perfino del poro Fassina, tutta pessima sinistra sovranista. Gente per la quale il cappio di Trump al collo dell’Iran e del Venezuela, la sua clava su Siria, Yemen e un sacco di altri posti, le crisi epilettiche guerrafondaie di Pompeo e Bolton, contano poco rispetto a quanto di progressista ci ha lasciato l’accoppiata nero-donna.

Tre colpi di Stato, Honduras, Paraguay, Ucraina, le stesse sette guerre di Bush, assassini seriali tramite droni, la militarizzazione della polizia con l’assegnazione di materiale bellico, primato di neri ammazzati da una polizia sempre più impunita, prigioni segrete della tortura e extraordinary rendition di sgraditi, forze speciali-squadroni della morte in 130 paesi, infrastrutture nazionali fatiscenti in un’economia allo sfascio e la delocalizzazione della produzione all’estero con conseguente impennata della disoccupazione, senzatetto a milioni in tendopoli e baracche, sorveglianza e spionaggio di ogni attimo di vita a raggio mondiale, il più alto numero di immigrati mai espulso dagli Usa, un Obamacare che ha messo la salute dei cittadini poveri tra le zanne delle assicurazioni…. Potrei andare avanti per altre dieci pagine. E si definiscono progressisti.

Anticlimax, quando l’orgasmo non arriva

A risultati elettorali acquisiti, l’organo  della sezione italiana dell’Asinello (simbolo del Partito Democratico per chi non  lo sapesse, quello dei Repubblicani essendo l’elefante), si è vagamente ricomposto. Il trionfo dei succedanei di Obama e Hillary non si è verificato, il Leviatano Trump ha tenuto botta e Senato, contrariamente a quanto è sempre capitato ai presidenti nelle mid term. Ha perso la Camera, ma i suoi governatori sono 25 contro i 23 dei Democratici. Con il Senato in mano, l’impeachment vagheggiato dai servizi segreti, Wall Street, Pentagono, e “manifesto” è diventato chimera. “L’onda rossa” (rossa?) si è arenata, a dispetto di sondaggi e appassionati vaticinii di tutto il main stream, “manifesto” in testa. E si è dissolta anche la fantastica architettura del Russiagate, le interferenze di Mosca, entusiasticamente condivise dal “manifesto” (mirabolanti rispetto a un paese come gli Usa che mette soldi, sicari e media in ogni benedetta elezione del mondo), che avrebbero fatto vincere Trump nel 2016: Al ministro della Giustizia Sessions, colluso con il procuratore Mueller, che non è riuscito in due anni a tirare fuori uno straccio di prova, è stato sostituito Matthew Whitaker, che da sempre qualifica di bufala l’operazione.

Donne, si cambia pagina

Il che non ha impedito al “quotidiano comunista” dell’obam-hillarismo nostrano di celebrare un’”America che volta pagina”. Anzi, addirittura di ricuperare le esultanze annichilite dal flop dei sedicenti progressisti, concentrandole sul gran numero di donne elette: per una Hillary trombata, 107 “giovani e di varie etnie” e, a questo punto, chissenefrega se sono xenofobe trumpiste, o benevole liberal-hillariane. A’ la guerre comme à la guerre e lì ci vanno tutte. Pure le comparielle, tutte donne, di Amnesty International e Human Rights Watch. Sulle 19 donne afroamericane il “manifesto” va in solluchero e titola “Abbiamo le Black Girl Magic”. Sono le nuove categorie politiche del “quotidiano comunista”: basta essere nera, o donna, o, meglio, nera e donna, o, perfetto, nera, donna e gay.

Al “manifesto”  questo fa sangue e ne siamo contenti anche noi, nella misura in cui abbiamo visto come basti essere donna e pure nera, per vedere il mondo colorarsi di amore, giustizia e pace: Madeleine Albright , Hillary Clinton, Condoleezza Rice, Samantha Power, Nikky Haley, Victoria Nuland, Susan Rice, Nancy Pelosi, Christine Lagarde E, si parva licet, Gelmini, Bernini, Pinotti, Santachè, Fedeli, Boschi, Madia… Una presenza femminile che ha fatto la differenza, soprattutto in politica estera. Le sono debitori tanti paesi, tanti popoli: Jugoslavia, Iraq, Libia, Siria, Ucraina, Honduras, Iran, Nordcorea, Yemen, Somalia, mezza Africa…Però,  vuoi mettere, tra i CEO delle multinazionali ci sono sempre più donne.

O no?

Alle voci del padrone, “manifesto” compreso, non importa nulla che, nella contesa elettorale, da nessuno dei contendenti, nemmeno da Bernie Sanders, finto socialista e autentico sostenitore delle guerre e di Israele, si sia andati oltre le questioni dei migranti, delle libere armi e delle donne. E nemmeno che l’asse attorno al quale tutto doveva girare, il Russiagate, era sparito dal dibattito per manifesta minchiata. Nulla cale del fatto che gli Usa siano coinvolti tuttora nelle sette guerre di Obama, tra cui quella dell’Afghanistan, la più lunga  della storia americana, che stia aiutando a cancellare lo Yemen dalla faccia della Terra, che stia assediando la Russia con eserciti alle sue frontiere minacciando guerre globali e nucleari, che il bilancio militare Usa sia più grande di quello di tutti gli altri messi insieme, a evidente vantaggio degli armaioli e detrimento del benessere planetario,  che Washington sostiene e glorifica, insieme all’obbrobrio saudita e a tutto il terrorismo jihadista, tutti i regimi dittatoriali e reazionari del mondo, che è in corso, tra sorveglianza parossistica e militarizzazione della società, un processo di dittatura plutocratica senza precedenti nella Storia….

Tutto questo bel panorama interno e geopolitico è sostenuto con uguale impegno dai due partitoni. La fallacia, con la quale si cerca di coglionare il volgo e  l’inclita, è che si confrontino uno buono e uno cattivo, l’uno del tutto alternativo all’altro. Mentre quello che succede sotto i nostri occhi e del tutto simile allo scontro finto, ma ben recitato, tra due lottatori di Catch che fingono di spezzarsi le ossa e strapparsi i muscoli. Solo che gli spettatori del wrestling sanno che si tratta di una messinscena. Quelli che negli Usa votano e che commentano il voto, no.

E’ solo catch

Portando al parossismo l’avallo della farsa su colui che comunque resta, volente (Obama) e nolente (Trump) un sicario della Cupola, promosso ”uomo più potente del mondo”,  in cui si sono impegnati i media di regime, il “manifesto” ha dato il suo contributo pestando l’acqua nel mortaio per dieci pagine alla vigilia e per cinque giorni dopo. Acqua marcia se si pensa a come si articola il sistema elettorale statunitense. A cominciare dai 50 milioni di cittadini esclusi dal voto perché non registrati (diversamente da tutti gli altri paesi, qui ci si deve registrare prima). Non registrati perché poveri, analfabeti, indifferenti, emarginati, senzatetto, sfiduciati. A continuare con la scelta del giorno lavorativo per il voto, tale da impedirlo a milioni di lavoratori e l’esclusione dal voto di 6,1 milioni di cittadini perché imputati di qualche reato, di cui uno su cinque afroamericano.

Poi il  gerrymandering, la definizione delle circoscrizioni elettorali tale da falsare completamente il rapporto tra votanti ed eletti: il piccolo Wyoming, 582mila abitanti, fornisce due senatori, quanti ne eleggono i 38,8 milioni della California.  La manipolazione del voto elettronico affidata a imprese vicine ai democratici, denunciata più volte. Una contesa presidenziale, Bush-Gore, decisa da un paio di giudici della Corte suprema, a dispetto del responso popolare. E, soprattutto, da cima a fondo, con raramente qualcuno che riesce a sgaiattolarne fuori, un sistema totalmente e da sempre manovrato dalla plutocrazia. Una gara riservata, l’ultima volta, al miliardario dell’immobiliare e a una parvenu arrampicatasi su una montagna d’oro erettale dai compari sauditi e delle multinazionali più necrofore. Montagna sotto la quale dovevano restare sepolti i trascorsi della erinni da segretaria di Stato.

E’ un gioco di ricchi,  arbitrato dai ricchi, giocato dai ricchi per i ricchi, sul quale agli altri è consentito di divertirsi scommettendo. E su tutto questo veglia il potere supremo, potere della moneta delegato dal pinnacolo della piramide alla Federal Reserve. Quella dei dollari, quanti ne servono. Il colpo di Stato strisciante che ha dissolto quel poco che c’era di democrazia americana ha portato a un regime in cui nulla si muoverà mai che non sia di profitto ai Rothschild, ai Bill Gates, Warren Buffett, Rockefeller, Bezos, Adelson, fratelli Koch e alle conventicole che si riuniscono attorno a questi nelle varie Trilateral, Bilderberg, Aspen Institute.

Dove il più pulito ha la rogna

Il “manifesto” si dia una calmata. Che ci siano gli amati Democratici, dalla pelle curata e dal cianuro col sorriso, o i detestati Repubblicani, dalla faccia truce e i modi sguaiati, tutto continuerà senza le scosse che non siano quelle che al popolino danno la soddisfazione di stare con l’uno o con l’altro clown del wrestling. Le mille basi Usa nel mondo, di cui un centinaio da noi, una guerra dopo l’altra per rimuovere ostacoli, installare tiranni amici o il caos, economie vampire, multinazionali ed eserciti che spostano di qua e di là popolazioni, chiamate profughi, sanzioni che strangolano popoli governati da chi non ci piace, nostrani paggetti che a Washington vanno per farsi investire delegati proconsolari, il travaso verso l’alto di quanto resta alle moltitudini in basso, detto neoliberismo. E il probabile figlio freak di questo: il pianeta arrosto. E’ “TINA”, There Is No Alternative, un pensiero unico che deve portarci da Gesù Cristo alla fine della Storia, facendoci tifare per l’uno o per l’altro tra brigante e brigante e mezzo. In compenso le coppie gay potranno far inseminare prestatrici di corpo e adottare bambini nell’universo tutto loro. Per la gioia del “manifesto”.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 16:17