Pininfarina padre: dichiarazioni fatte nel 2003 (manca la data precisa), Pininfarina figlio degno erede, dichiarazioni fatte il 7 novembre 2018

http://www.presidioeuropa.net/blog/wp-content/uploads/2016/03/Un-treno-da-non-perdere-Panorama.pdf

Un treno da non perdere

La Lione-Torino, con la galleria sotto il Moncenisio: è qui che si gioca la partita per l’alta velocità in Europa. Una sfida che l’Italia può vincere.Parola di Sergio Pininfarina. http://archivio.panorama.it/archivio/Un-treno-da-non-perderedata indicativa dell’articolo: 2003 

 

di Roberto Seghetti

«Presenterò una proposta definitiva per il collegamento ferroviario ad alta velocità Torino-Lione prima del vertice tra i governi italiano e francese in calendario per l’inizio del 2004. Riguarderà sia i progetti operativi che la parte economico-finanziaria». È determinato Sergio Pininfarina, presidente della Commissione intergovernativa italo-francese creata per vigilare sulla realizzazione della Torino-Lione, anello mancante del collegamento fra le reti ad alta velocità francese e italiana. La direttrice Ovest-Est Lione-Lubiana sarà parte integrante del cosiddetto «Corridoio 5», l’arteria ferroviaria che collegherà l’Europa dell’Est a Lisbona (vedere la cartina in alto a destra). Certo, è preoccupato per la rapidità con la quale si sta realizzando, in parallelo, un altro tracciato ferroviario Ovest- Est, che toccherà Strasburgo, Stoccarda, Vienna, Bratislava senza passare per l’Italia. Ma non crede all’eventualità che la Torino-Lione non venga realizzata.

L’impegno per realizzare la ferrovia ad alta velocità a nord delle Alpi non penalizzerà il «Corridoio 5»?

Non sono in alternativa: c’è spazio per entrambi. Anzi il Corridoio 5 è stato indicato come uno dei progetti prioritari dall’Ue. Non c’è alcun dubbio sulla sua realizzazione: interessa troppo tutti i paesi che attraversa. Certo per la Torino-Lione ci sono problemi, anche pesanti, di ordine finanziario. Tuttavia si parla di date e di risorse, ma non si discute sul farla o meno. È stato firmato un preciso accordo nel 2001 tra Giuliano Amato e Jacques Chirac, ratificato dai due parlamenti. Ora il presidente Silvio Berlusconi ha confermato le intese con il premier francese Jean-Pierre Raffarin. Nessuno mette in dubbio gli accordi.

Perché allora Parigi punta i piedi?

Perché l’impegno finanziario è importante. Il patto di stabilità impone di non sfondare i tetti di deficit ed è la Francia che deve sopportare l’onere maggiore: su 15,2 miliardi di euro per la realizzazione della Torino-Lione, 9,5 peseranno su Parigi e 5,7 su Roma. Il tunnel, che sarà in due tratti di 52 e di 12 chilometri, costerà 6,7 miliardi, divisi a metà tra Italia e Francia. Ma per collegare il tunnel a Lione l’investimento sarà elevato.

Intanto però la Francia investe sulla Parigi-Strasburgo. Non è inquietante?

È preoccupante, ma non credo che la Francia pensi a rinunciare alla Torino-Lione: sarebbe contro il suo stesso interesse. L’Italia è il secondo partner economico per i francesi. La Francia è il primo per l’Italia e i francesi, come noi, non possono rinunciare a infrastrutture efficienti che colleghino i due mercati. L’ammodernamento della linea esistente non è assolutamente sufficiente a rispondere all’incremento dei trasporti dei prossimi decenni; né si può pensare che le merci francesi possano arrivare nel nostro Paese attraverso i nuovi tunnel svizzeri: non potranno far fronte che in minima parte agli aumenti di traffico previsti tra Italia e Francia. Inoltre l’Europa si estenderà a Est e la Francia non può permettersi di restare isolata all’Ovest. Per restare centrale deve collegarsi in modo efficiente con Spagna e Italia. Infine, non è in gioco nemmeno uno spiazzamento delle merci italiane sui mercati dell’Europa orientale, perché il collegamento con l’Est noi italiani lo faremo in ogni caso. Certo, i parigini sentono il progetto meno dei francesi del Sud. Ma questo non significa che la Francia abbandoni il piano.

Come risolvere i problemi finanziari?

In primo luogo durante il semestre di presidenza italiana contiamo di ottenere un aumento del contributo europeo dal 10 al 20 per cento, in accordo con la politica comunitaria dei trasporti sempre più orientata a potenziare il trasporto su rotaia a favore del rispetto dell’ambiente. Il governo italiano, attraverso il ministro Tremonti, ha proposto di far scendere in campo la Bei, la Banca europea degli investimenti. Per finanziare le grandi opere europee verrebbero lanciati bond a tassi contenuti e che non peserebbero sui vincoli di bilancio previsti negli accordi di Maastricht. Nella realizzazione delle opere civili, Italia e Francia possono sfruttare questo meccanismo. I servizi e il completamento dell’opera verranno finanziati con un partenariato pubblico-privato. Il progetto è da tempo allo studio della Commissione che presiedo. Conto di completarlo in modo che i due governi possano, nel vertice già previsto per il 2004, confermare gli impegni per studi e lavori fino al 2006, oggetto dell’Accordo del 2001, e si accordino su un piano preciso di lavori e finanziamenti e sulla data di completamento dell’opera.

Ma quando sarà finita l’opera?

Noi abbiamo indicato come volontà politica il 2012. I tecnici il 2015 e il 2017. Credo che a questo punto il 2015 sia l’obiettivo da raggiungere, sul quale dobbiamo concentrare il nostro impegno. E il tunnel non sarà importante solo per i trasporti: potrà anche consentire il passaggio di linee di trasmissione dell’energia elettrica. Un altro tema decisivo per l’Italia, come testimonia l’esperienza di queste ultime settimane.

13 ANNI DI ACCORDI

Giugno 1990 La storia della Torino-Lione comincia al summit europeo di Nizza. Quello stesso anno, a dicembre, la Cee approva una risoluzione sulla ferrovia ad alta velocità in Europa. Ottobre 1991 A Viterbo i governi italiano e francese decidono di studiare il collegamento Torino-Lione. Novembre 1993 In un vertice italo-francese a Roma si firmano gli accordi per uno studio di fattibilità. Settembre 1994 La Legge finanziaria prevede uno stanziamento per i progetti. A dicembre la Torino-Lione rientra nei 14 progetti generali finanziabili dalla Bei. Gennaio 1996 Nasce la commissione intergovernativa per la Torino-Lione. Luglio 2000 La commissione presenta uno studio definitivo. Gennaio 2001 Italia e Francia sottoscrivono un accordo. Luglio 2003 La commissione lavora al progetto definitivo.

Le donne Sì Tav in piazza: «Noi madamin e la rivoluzione gentile»

https://torino.corriere.it/politica/18_novembre_05/donne-si-tav-piazza-noi-madamin-rivoluzione-gentile-9a79fd92-e0d1-11e8-b7b1-47f8050d055b.shtml?fbclid=IwAR3JXHF3pdxzv8e67l6OgGsYmDPXEAlH3ZdDQeNoDmiDOzmnkRFnVdAtWiY

L’ideatrice della protesta Giovanna Giordano Peretti: «M5S ha paura di noi»

Le donne Sì Tav in piazza: «Noi madamin e la rivoluzione gentile»Giovanna Giordano Peretti
 

Giovanna Giordano Peretti, è lei che sta organizzando la mobilitazione del «Sì»? «Non faccio altro da giorni, sto davanti al computer a moderare il nostro gruppo su Facebook. Ormai siamo oltre le 30 mila adesioni. Senza contare quelle raccolte da Mino Giachino: altre 40 mila».

È faticoso? 
«Mi sono presa un bel badò, va. Ma sono contenta». 

È pronta a dare battaglia? 
«Sono nata così: battagliera. Ma lo dico a bassa voce, altrimenti mio fratello mi guarda scuotendo la testa». 

Quindi è abituata alle manifestazioni? Quante ne ha organizzate sinora? 
«Mai una in vita mia». 

E ci è mai andata? 
«Ci sono andata qualche volta ai tempi del ginnasio. Già al liceo ho smesso. L’ultima volta avrò avuto 15 anni. Ora ne ho 61, faccia un po’ lei…». 

Lei si sente promotrice di un «clima di odio e violenza» e di una «marcia politica dai significati sinistri»? Ride. Poi si fa seria: «No». Eppure di tutto questo la ha accusata la capogruppo del M5S, Valentina Sganga. 
«Non mi sento una pericolosa rivoluzionaria». 

E che cosa? 
«Una madamin tre volte nonna che lavora da 40 anni». 

E allora perché chi è al governo della città agita spettri del passato: addirittura gli Anni di Piombo? 
«Beh, lo fanno perché hanno molto paura. Quando con le mie amiche madamin abbiamo creato su Facebook il gruppo “Sì, Torino va avanti”, io sono rimasta senza parole». 

Dal seguito ottenuto in meno di una settimana? 
«No, non tanto dal numero di adesioni, ma dal livello degli interventi». 

Violenti? 
«Ma no. Basta leggerli, hanno tutti toni pacati. I violenti li abbiamo bannati. Ci sono le signore che dicono: mi raccomando, portiamo in piazza le buste della spazzatura per lasciare tutto più pulito di come l’abbiamo trovato».

Tutto qui? 
«Uno studente mi ha scritto se si potrebbe posticipare il sit-in al pomeriggio: non sarebbe bello manifestare per il “sì” marinando la scuola». 

Nessun livore? 
«La parte del livore è minoritaria. Quanto al terrore: non lo vedo proprio, se non in chi cerca di gettarcelo addosso».

E cosa anima la protesta? 
«L’orgoglio dei bogianen, quello di chi si sente come i soldati sull’Assietta e dice: vogliamo tornare a essere i più bravi, quelli che hanno fatto le Olimpiadi di Torino 2006». 

E quindi? 
«E quindi abbiamo bisogno di una guida della città che sia all’altezza, non di una sindaca che dice “no” a tutto. Infatti noi lo facciamo nel nome del “sì”: alla Tav, certo, ma anche al futuro. Con voce ferma e garbata, per una rivoluzione gentile». Dalla giunta Appendino è arrivato l’invito a «mettere da parte le critiche».

Voi andrete avanti? 
«Ma certo».

Quindi tutto confermato? 
«Per dire “sì” al rilancio di Torino: appuntamento sabato mattina in piazza Castello».

CODICI IDENTIFICATIVI SUBITO

Chiediamo di prevedere misure di identificazione per gli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico

Kasia Smutniak: “Da straniera vi dico che in Italia non c’è odio razziale”

http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/kasia-smutniak-straniera-vi-dico-che-italia-non-c-odio-1598997.html?fbclid=IwAR3jY_t3FybGhZLPS0T3kPYVsTtS0_2fnj_Pa_KDpMlSZ3HyYp413vSgaYw

Intervistata dal settimanale Grazia, l’attrice mette con le spalle al muro i soliti buonisti

“Io sono straniera. E rivendico con orgoglio le mie origini. Gli amici mi chiamano ‘la polacca’ perché sono disciplinata, puntuale, un po’ rigida mentalmente.

Qui vivo ancora da straniera, ma quando torno a trovare i miei, mi sento a tutti gli effetti italiana. Ho vissuto in tanti Paesi, mi considero un po’ zingara, ma di un fatto sono certa: in Italia non c’è odio razziale, anche se qualcuno vorrebbe convincerci del contrario. I problemi semmai sono altri. Qui sono stata accolta a braccia aperte quando la Polonia non faceva ancora parte dell’Unione europea e io, per rinnovare il permesso di soggiorno, dovevo mettermi in fila alle cinque del mattino”.

Queste sono le parole di Kasia Smutniak sul settimanale Grazia. Parole che forse non hanno bisogno neanche di troppo commento. Dopo settimane o forse mesi di polemiche contro il ministro dell’Interno Salvini e il popolo italiano, infatti, l’attrice racconta la sua esperienza da straniera, una straniera che ormai si sente italiana. E con le sue parole zittisce la solita sinistra buonista e i soliti uccelli del malaugurio.

Ricordate quando l’Onu ci dava dei razzisti e annunciava di mandarci gli ispettori? O quando la sinistra accusava Salvini di essere “un portatore d’odio” nei confronti degli stranieri? Ecco, ora l’attrice mette tutti questi buonisti con le spalle al muro. Con un breve intervento ha messo tutti al proprio posto.

In piazza l’8 dicembre a Torino! Comunicato No Tav

post 8 novembre 2018 at 16:26

Il Movimento No Tav da quasi 30 anni promuove le ragioni dell’opposizione alla Torino-Lione, con manifestazioni, azioni di lotta, studi e documentazioni, libri e conferenze pubbliche.
Dal principio si è chiesto un confronto tecnico che, privo di pregiudizi ed interessi di sorta, potesse confrontarsi sui dati e prevedere tra i diversi esiti quello dell’”opzione zero”. Tutto questo non è mai stato permesso dai vari governi che negli ultimi trent’anni si sono susseguiti nel nostro paese, senza alcuna distinzione di bandiera od orientamento. Per contro, laddove le ragioni non venivano ascoltate, si è deciso di imporre l’opera con la forza, sulla testa di decine di migliaia di valsusini.
 
In queste ultime settimane, partiti, sindacati e lobby industriali e di categoria con l’appoggio sfrontato e interessato di tutti i maggiori media, hanno deciso di attaccare il movimento No Tav, a livello ideologico, negando quelle ragioni documentabili per anni diffuse e pensando di strumentalizzare una vicenda tanto delicata quanto fondamentale per il futuro del nostro territorio e delle nostre vite.
C’è chi cerca di nascondere le proprie responsabilità sul saccheggio e la devastazione dei nostri territori, su una politica dei governi che non ha investito sulla messa in sicurezza e sulla tutela dell’ambiente, sullo sperpero di risorse pubbliche a favore di grandi opere inutili togliendo risorse a sanità, emergenza abitativa, welfare, scuola, ricerca e lavoro.
 
Mentre in Italia si continua a morire per il maltempo e intere aree del paese vengono messe in ginocchio, c’è ancora chi nega quale siano le vere priorità della collettività, provando a mettere avanti a tutto gli interessi delle grandi aziende e dei profitti di pochi.
 
Non ci siamo mai fatti ingannare e continueremo a lottare per la nostra terra e per un modello di sviluppo sostenibile per tutti.
 
Pertanto comunichiamo che l’8 dicembre 2018, data storica per il nostro movimento, scenderemo nuovamente in piazza a Torino per una grande manifestazione No Tav. 
In contemporanea a noi, poiché l’8 dicembre dal 2010 è la Giornata Internazionale contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e in difesa del pianeta, molti altri movimenti sul territorio italiano si mobiliteranno per la tutela dei territori e contro lo spreco di risorse pubbliche. 
 
C ERAVAMO, CI SIAMO E CI SAREMO SEMPRE.
 
Movimento NO TAV

La Repubblica attacca con falsità nascondendo la fonte e usa il condizionale per difendersi di fare giornalismo spazzatura

https://torino.repubblica.it/cronaca/2018/11/07/news/bruxelles_se_rinuncia_alla_tav_torino-lione_l_italia_deve_restituire_alla_ue_500_milioni-211033796/

Bruxelles: se rinuncia alla Tav Torino-Lione l’Italia deve restituire alla Ue 500 milioni

E ne perderebbe altri 700 già disponibili nel bilancio comunitario

07 novembre 2018 

Nel caso in cui il governo decidesse di abbandonare il progetto ferroviario della TAV tra Torino e Lione, l’Italia sarebbe costretta a rimborsare all’Unione Europea circa 500 milioni già percepiti dal bilancio comunitario e perderebbe circa 700 milioni ancora disponibili per il periodo di bilancio 2014-2020. E’ quanto apprende l’Agi da fonti qualificate a Bruxelles. Per il periodo di bilancio 2007-2013, l’Ue ha effettuato esborsi pari a 370 milioni di euro per la TAV, a cui si aggiungono 120 milioni già pagati per il 2014-2020.

Questi finanziamenti dovrebbero essere restituiti dall’Italia, secondo le fonti. Le risorse ancora disponibili per la TAV nell’attuale periodo di bilancio, e a cui l’Italia dovrebbe rinunciare, ammontano a 694 milioni. Infine – sottolineano le fonti – la cancellazione della Tav non sarebbe conveniente per l’Italia perchè, nel prossimo periodo di bilancio 2021-2027, la quota di cofinanziamento a carico dell’Ue dovrebbe passare dal 40% al 50%.

Anche per questo a Torino e in Piemonte imprenditori e semplici cittadini si stanno mobilitando sui social e organizzeranno un manifestazione Si Tav sabato

TORINO-LIONE – CONFERENZA STAMPA 7 NOVEMBRE 2018, ORE 11.30 – DOSSIER PER I MEDIA

TORINO-LIONE – CONFERENZA STAMPA 7 NOVEMBRE 2018, ORE 11.30 – DOSSIER PER I MEDIA

Le Nove Schede di Presentazione

Scheda n. 1: Analisi costi benefici (ACB)

Scheda n.2: Andamento del traffico mercantile nel tempo (tonnellate)

Scheda n. 3: Argomentazioni “ambientali”

Scheda n. 4: Penali e accordi internazionali

Scheda n. 5: Delibere CIPE

Scheda n. 6: Appalti relativi al tunnel transfrontaliero

Scheda n. 7: Penali e accordi internazionali

Scheda n. 8: Dati Alpinfo 2017

Scheda n. 9: Sintesi della Presentazione

Le Sette Schede #Perché No

I Due Documenti Introvabili

1 – Asimmetria dei costi tra Italia e Francia: Il Memorandum del 5 maggio 2004, i risultati disastrosi di un accordo ben nascosto

2 – Domanda di finanziamento alla UE di Italia e Francia del 25 febbraio 2015: perchè il MIT lo nasconde ?

Il progetto Torino-Lione visto dalla Francia

La Francia ha messo in Pausa il progetto Lyon Turin nel luglio 2017: La Francia: “Facciamo una pausa sulla Torino-Lione”  e ha messo in cantiere una lunga riflessione sul futuro dei trasporti (passeggeri e merci). La pausa continua tuttora.

La riflessione è ora diventata un progetto di legge (LOM – Legge per l’Orientamento della Mobilità) che inizierà verso la fine di novembre 2018 il cammino legislativo. L’approvazione è prevista a primavera del 2019 e fino ad allora la decisione della Francia per la Lyon Turin sarà sospesa. Tuttavia la LOM è una “quasi” legge dato che non contiene obblighi nè sanzioni. La Francia appare incapace di andare oltre un racconto di futuribili modalità di trasporto. Nel testo nessun progetto è citato per nome, appare quindi chiaro che il principale ostacolo per la Francia  è oggi l’insufficienza dei fondi  a disposizione per rendere efficaci le decisioni politiche. Il progetto Torino-Lione, nonostante il contributo italiano di oltre due milardi di € alla Francia, appare in filigrana come l’ultimo degli interessi trasportistici francesi.

La Pausa della Francia continua … Il Dossier completo – Commenti sul futuro della Torino – Lione

NOTA

Per dare inizio ai lavori definitivi della Torino-Lione le parti (Italia, Francia e Unione Europa) devono rendere disponibili tutti fondi per realizzare l’intero tunnel, come precisato all’ Art. 16 dell’Accordo di Roma del 30.1.2012:

“La disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori delle varie fasi della parte comune italo-francese della sezione internazionale. Le Parti si rivolgeranno all’Unione europea per ottenere una sovvenzione pari al tasso massimo possibile per questo tipo di opera”

TELT, Una Società di Diritto Francese

Telt è  una società di diritto francese, definita “entità aggiudicatrice”, alla quale sono stati dati poteri eccezionali ai sensi dell’art. 6.2 dell’Accordo del 2012 e della Direttiva europea 2004/17/CEE’ l’unico responsabile nei confronti di Italia, Francia e UE per la direzione strategica e operativa, la conclusione, il seguito dell’esecuzione, la realizzazione, lo sfruttamento della sezione transfrontaliera del progetto e ha la qualità di gestore della sezione transfrontaliera e potrà delegare completamente o in parte le missioni che deve assicurare, concludendo accordi con altri gestori di infrastrutture italiani o francesiDato che TELT ha la proprietà delle opere della sezione transfrontaliera da St-Jean-de-Maurienne a Bussoleno fino al dissolvimento della società (Art.11 dell’Accordo del 2012), siamo di fronte ad una vera e propria privatizzazione della nuova linea tra Bussoleno/Susa e Saint-Jean-de-Maurienne, e di quella storica del Fréjus.

Il decreto Salvini e il reato di blocco stradale

http://www.notav.info/post/il-decreto-salvini-e-il-reato-di-blocco-stradale/?fbclid=IwAR3e9ZcSmKvoDU7-AkruONlrhf0F4eIbPU8UPr5mkVswXPMeiywcxoKkPT0#.W-GTF29Zjj1.facebook

post — 6 novembre 2018 at 09:34

Il 5 ottobre scorso, il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, è entrato in vigore il decreto legge 113/2018, il cosiddetto decreto Salvini sulla sicurezza, che, in particolare sul tema dell’immigrazione, rappresenta una ulteriore pesante regressione rispetto ai diritti dei migranti e ai principi fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione.

Nonostante la pluralità e la eterogeneità delle norme contenute nel decreto, è possibile appezzare una sua coerenza interna, del tutto in sintonia con la scelta governativa di orientare e direzionare il disagio sociale, indotto dalla crisi e dai tagli alla spesa sociale, verso specifiche categorie di soggetti, i migranti, gli occupanti di case, chi protesta per le strade.

Nelle pieghe del decreto, infatti, recuperando lo spirito di un paio di proposte di legge presentate da alcuni parlamentari del centro-destra nella scorsa legislatura, vi sono anche delle norme che si occupano del blocco della circolazione su strade e autostrade.

Viene reintrodotto il reato di blocco stradale (che era stato depenalizzato nel 1999), sanzionato, se il fatto è commesso da più persone, con la pena della reclusione da 2 a 12 anni.

Si stanno celebrando in queste settimane alcuni processi per i blocchi effettuati sull’autostrada Torino – Bardonecchia nel febbraio-marzo 2012, dopo la caduta di Luca Abbà da un traliccio dell’alta tensione, e nell’agosto 2013.

Si è trattato di vicende a cui hanno partecipato centinaia di persone, nell’ambito di manifestazioni che esprimevano, le une, la rabbia per quanto accaduto a Luca e per la militarizzazione crescente della Val di Susa, le altre, la volontà di impedire l’arrivo di alcuni componenti della talpa che doveva effettuare i lavori nel tunnel geognostico di Chiomonte.

Bene, se quelle manifestazioni venissero fatte oggi, i partecipanti rischierebbero pene elevatissime e, con ogni probabilità, l’applicazione di misure cautelari, visto i criteri guida utilizzati negli ultimi anni dagli uffici giudiziari torinesi. Tutto ciò in perfetta armonia con le roboanti dichiarazioni, ahimè quasi giornaliere, del ministro dell’interno, che sembra avere in odio qualsiasi forma di protesta o di conflitto sociale.

Non è il caso di gridare allo scandalo.

Soprattutto se si confronta tale riforma con le ripetute prese di posizione di un governo che spara ad alzo zero sulle occupazioni di case, che si contrappone con ferocia all’esodo dei migranti, che trasforma in crimine umanitario il salvataggio di disperati in fuga dalle proprie case, che ogni giorno ci permette di constatare come l’umanità, il senso di solidarietà e di giustizia continuino pericolosamente ad arretrare nella coscienza degli italiani.

Siamo di fronte all’ennesimo giro di vite che produrrà un po’ di carcere in più per gli appartenenti ai movimenti sociali, che dovranno fare i conti con una repressione resa più intensa ed efficace da norme come questa.

Ciò nonostante, vale la pena di segnalare come siano evidenti i profili di incostituzionalità della nuova disposizione legislativa, non solo perché fanno difetto i requisiti di necessità urgenza connaturati all’emanazione di un decreto legge, non tanto per lo scarso nesso funzionale tra la norma in questione e i contenuti e le finalità dello stesso decreto, quanto, soprattutto, per l’adozione di minimi e di massimi edittali assolutamente spropositati, in rapporto alla finalità rieducativa della pena, prevista dal terzo comma dell’art. 27 della Carta costituzionale.

In diverse pronunce la Corte Costituzionale si è espressa in passato nel senso che tale finalità costituisca “una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue”, il che richiede una costante proporzione tra quantità e qualità della sanzione e offesa del bene giuridico tutelato.

In particolare, secondo La Corte “la palese sproporzione del sacrificio della libertà personale” provocata dalla previsione di una sanzione penale manifestamente eccessiva rispetto al disvalore dell’illecito “produce … una vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall’art. 27, comma 3°, Cost., che di quella libertà costituisce una garanzia istituzionale in relazione allo stato di detenzione”.

Nel caso del nuovo di reato di blocco stradale è prevista la possibilità di irrogare delle pene detentive, come detto da 2 a 12 anni, ben più alte di quelle previste per reati che, secondo la coscienza collettiva, appaiono sicuramente più gravi.

Basti pensare, saltando di fiore in fiore, che per i partecipanti ad un’associazione per delinquere il nostro codice penale prevede sanzioni da 1 a 5 anni di reclusione, per i capi e promotori da 3 a 7, per un attentato ad impianti di pubblica utilità da 1 a 4, per l’adulterazione di cose in danno della pubblica salute da 1 a 5.

Il massimo edittale di 12 anni, indicato nel nuovo reato di blocco stradale è uguale a quello di chi recluta o induce alla prostituzione dei minorenni o di chi commette violenza sessuale contro un minore di 14 anni o di chi compie violenza sessuale di gruppo. E’ più alto di quello del reato di sequestro di persona, della rapina semplice, della violenza sessuale su un adulto.

Inoltre, per il reato di blocco stradale non sarà possibile far ricorso a quegli istituti, non facilissimi da collocare sul piano sistematico ma di sicura natura deflattiva e spesso assai vantaggiosi sul piano difensivo, quali la messa alla prova e l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Ciò a causa dei limiti edittali, particolarmente elevati, previsti nella nuova fattispecie, con il paradosso che, ad esempio, per reati come la resistenza aggravata contro le forze dell’ordine (come il lancio di sassi nel corso di una manifestazione) il secondo istituto sarebbe astrattamente applicabile, pur essendo il fatto, in tutta evidenza, più grave di un semplice blocco stradale.

Il conformismo, lo scarso coraggio interpretativo che allignano di questi tempi nella magistratura italiana non consentono di sperare che si giunga in tempi brevi ad una dichiarazione di incostituzionalità della norma.

Inutile dire, poi, che, con ogni probabilità, la lettura che di essa daranno le Questure, prima, e le Procure, successivamente, potrebbe estendere ulteriormente il suo ambito di applicazione, soprattutto in relazione alle manifestazioni che si tengo nei centri urbani.

Non resta che sperare in un sussulto di dignità di quei parlamentari che dovranno votare nei prossimi mesi per la conversione del decreto in legge.

Ma anche questa, visti i maneggi, le retromarce, i compromessi governativi di questi giorni, appare una pia illusione.

Sui siti No Tav si è detto in più occasioni che non esistono governi amici.

Un governo che approva norme di questo tipo, che coltiva con pervicacia una prospettiva di incremento della repressione verso i movimenti appare un governo che, nei fatti, si muove in una logica di ostilità nei confronti delle lotte e del conflitto sociale. Con buona pace di tutti coloro che, approdati in sedi istituzionali, continuano a sostenerlo, pur avendo condiviso e/o apprezzato in questi anni le ragioni delle mobilitazioni No Tav.

Avv.Claudio Novaro

IN MARGINE AI TRAVAGLI DI TRAVAGLIO, DI MAIO, DRAGHI… DRAGO BUONO, SAN GIORGIO NO BUONO

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2018/11/in-margine-ai-travagli-di-travaglio-di.html

MONDOCANE

MARTEDÌ 6 NOVEMBRE 2018

Ampia fiducia, massimo rispetto… ma decchè?

Li conoscete, questi mantra, vero? Che uno si senta inquisito a torto o a ragione, non c’è verso che non dichiari urbi et orbi “Ampia fiducia nella magistratura”. Che è, un po’, unacaptatio benevolentiae di chi dovrà processarlo e, molto, tentativo di accreditarsi all’opinione pubblica illibato al 100%. Dai sodali del dichiarante ciò provocherà plauso commosso, dai suoi avversari ghignante spernacchiamento. Personalmente, per quanto avrei ben donde di dichiararmi fiducioso nella magistratura, visto che l’ho scampata indenne da ben 150 procedimenti per reati di stampa (diffamazioni, apologia di reato e simili) quando ero direttore di Lotta Continua, come da più recenti querele giudicate infondate o temerarie, mi morderei la lingua prima di pronunciare quella formuletta che riconosce ai magistrati un’assoluta purezza di intenti e atti. Per un Borelli e un Davigo abbiamo avuto un Carnevale (“l’ammazzasentenze”), per un Di Matteo, un De Magistris, un Robledo e un Woodcock, abbiamo avuto il famigerato “porto delle nebbie romano” e magistrati perseguitati fino al CSM. E che CSM! Dunque, c’è poco da giurare sulla perfezione di chicchessia, né del primo potere dello Stato, né del secondo e neppure del terzo. E pur sempre lo Stato capitalista della borghesia.

Carta vince, carta perde

E se Marco Travaglio viene condannato a 95mila euro per aver diffamato il padre dell’ex-premier, uno che entra ed esce da inchieste giudiziarie come fossero il bar sotto casa e a Virginia Raggi tocca vivere sotto un gragnuola di denunce e procedimenti, fino ad ora tutti a vuoto; e se i responsabili di grandi avvelenamenti collettivi, di stragi da amianto o da uranio, di bombardamenti su civili serbi, la fanno franca; e se nelle nostre carceri i colletti bianchi sono meno che in qualsiasi altro Stato europeo, a dispetto dei nostri primati in mafia, corruzione, evasione… Se tutto questo c’è, dare ampia fiducia a priori e a scatola chiusa, mi pare il regalo dato a chi ti ha suonato alla porta e non sai ancora se è un vucomprà, un gabelliere, un rapinatore, o la fidanzata. Visto che la classe dirigente tende a mettere a capo dei giudici che devono giudicare  giudici, personaggi considerati affidabili, spesso provenienti dalle proprie espressioni politico-partitiche (è il caso di oggi), sempre meno spesso sarà la fidanzata l’ignoto che ha pigiato il campanello. Dice Davigo: “Buona parte della magistratura è stata genuflessa dal potere politico, come nei suoi anni più bui”. E se lo dice Davigo…

Ogni solidarietà a un giornalista scomodo come Travaglio che becca una mazzata da 95mila euro, somma che può (dovrebbe?) mettere in crisi un giornale abbastanza fuori dal coro, mentre a Tiziano papà sono toccate solo i 13mila di spese legali, nonostante gli siano state respinte 4 su 6 querele presentate. La Federazione della Stampa, che di solito è un drago sputafuoco quando si tratta di incenerire chi s’è permesso di sbertucciare qualcuno  dei nostri noti combattenti contro abusi, storture e tentativi di condizionamenti dei noti poteri, si è limitata a borbottare qualcosa sulla sproporzione tra le due condanne pecuniarie e sul rischio che le querele servano a scopi di intimidazione. Ma che, davvero? Ed è morta lì. Un fascista che scriveva balle sulla Libia mi querelò perché ho detto che era un fascista (si candidò alle elezioni per una formazione fascista) che scriveva balle sulla Libia.Querela rispedita al mittente.. Ma intanto avevo dovuto frequentare per giorni aule di tribunali, viaggiare, pagare l’avvocato, scomodare testimoni, rompermi alla grande le palle e gli impegni di lavoro.

Il figliol prodigo che non si ravvede

La stagione del nostro scontento ci offre una moltitudine di castrazioni chimiche, altro che Salvini. Facebook e l’intera confraternita di Silicon Valley, che ci fanno parlare soltanto se diciamo  cose in linea; leggi che ostracizzano e puniscono  quanti dai più munifici e disinvolti produttori di fake news della storia del giornalismo vengono accusati di fake news; storici bastonati, segati, incarcerati perché fanno il loro mestiere di perenne rivisitazione della Storia; scienziati di minoranza coperti d’onta dagli scienziati di maggioranza e, ora, l’arma fine-libertà-d’espressione, la querela tappa bocca. Siamo ben oltre Orwell. Segui i soldi e troverai il mafioso, sosteneva Falcone. Qui, portagli via i soldi (che perlopiù non ha), o minaccia di portarglieli via, e beccherai il giornalista che rompe. Sono stati bravi a indicare la pecora nera Travaglio: un’élite di firme illustri che gira in tondo nella giostra rutilante dei talk show, tanti Napoleone di David a cavallo, tanti Settimi Cavalleggeri  contro le nere montagne  del regno di Mordor dove si nasconde chi osa un tantino soppesarle, le parole sovranismo, populismo, antieuropeismo, prima di spararle alzo zero al primo che marca visita in caserma.

Una stampa una e trina

Cavalcano in formazione verso il comune nemico, ma anche molto distinti per modi e bardature. Se uno si dice “quotidiano comunista”, l’altro è fiero di essere il giornale della democrazia liberale e l’altro ancora se la tira da organo del regno di dio. Poi tutti quanti, quando pregano, si voltano verso Washington e mostrano le terga a Putin e Assad. Che ne sarebbe, sennò, del pluralismo connaturato a una libera stampa? Così ci si distingue radicalmente  tra chi il governo gialloverde lo vuole morto, solo ferito a morte, o appena con i ceppi ai piedi e la testa nella gogna. La topografia del nostro giornalismo si completa più in là, nell’ombra, dove  vagano gli spettri di  coloro a cui è concesso di godersi gratis l’aria di redazione grazie a qualche anno di stage, o che riescono a farsi chiamare collega, col tu di categoria, per via di quei  cinque euro a pezzo lungo, due a trafiletto. A volte perfino orgogliosamente al cellulare con il capocronista, seppure avventizi a vita e solo finchè  subiscono e fanno.E la FNSI che fa? Scende in piazza per Regeni e Medici Senza Frontiere.

Gioca con i fanti e lascia stare i santi

In attesa che una legge  del cambiamento spunti, oltreché la prescrizione,  l’arma della querela silenziatrice che si è testè abbattuta su Travaglio, sicuramente anche in considerazione del suo ruolo di fustigatore delle conventicole politiche che hanno malmenato questo popolo durante gli ultimi lustri e dei colleghi che interpretano il mestiere in termini di servo encomio e codardo oltraggio, al direttore del Fatto Quotidiano vorremmo indirizzare un’ultima querela. Per carità, non giudiziaria e senza alcuna richiesta di risarcimenti milionari. Querela alla latina, querimonia, doglianza, protesta (querela, da queri, lagnarsi). Rettifiche, sì, le vorremmo pretendere sugli abominii e le cazzate delle pagine estere, ma aspettarsele da un giornale che ci rappresenta la Russia come la Caina dantesca, dove si vive conficcati nel ghiaccio, e Israele come l’unica democrazia del Medioriente, significa aggirarsi nel mondo platonico delle idee. Questa nostra querela è per falso e diffamazione e riguarda ogni singola riga delle sue pagine di politica estera.. Finchè si tratta di beghe di cortile, tra pollastri domestici, transeat, non disturbi l’ordine generale delle cose. Ma prova a mettere il naso fuori dalla finestra e rilevare cattivi odori afferenti alla geopolitica, ai grandi giochi, al patto atlantico…

Qui, una scadente fattura degli scritti, in stridente contrasto con penne d’eccellenza degli altri comparti, esalta la strabiliante funzione antigiornalistica e propagandistica dei contenuti. Un fanatismo atlantista oltre il limite del grottesco, il Russiagate raccattato oltreoceano, a dispregio del definitivo discredito per assoluta mancanza di prove, la grossolana ripetizione degli stereotipi alla base della demonizzazione di chi è inviso al rullo compressore neoliberista, l’affannoso rilancio di grossolane trovatine atte a rinfocolare le guerre d’aggressione di un capitalismo occidentale in affanno di accumulazione e che si affida alla produzione bellica come estremo puntello a economie devastate dall’ingordigia e dall’inettitudine del finanzcapitalismo. Campagne che rivelano una strumentalità rozza, quasi infantile, per come partono in simultanea, sul minuto secondo, con altri organi che rispondono agli ordini di servizio delle stesse trasparentissime centrali.

QF: un giornale accettabile, discutibile, inqualificabile

Marco Travaglio, se per la tua redazione esteri adoperassi lo stesso rigore deontologico sotto cui fai egregiamente cadere le teste di una categoria che da noi sguazza in piena debauche  professionale, morale e culturale, quella redazione sarebbe adibita a rivolgere scuse alle migliaia che ha ingannato, cui ha mentito o occultato, ma ancor di più  ai milioni cui la propaganda, alla quale il FQ ha contribuito, sono costate devastazione e vita. Se, per un esempio su mille, sostieni la fetida bugia dell’attacco chimico di Assad e convinci qualche migliaio di tuoi ingenui lettori, hai dato un contributo fattivo al silenzio-assenso dell’opinione pubblica al più grave crimine di guerra e contro l’umanità in atto.

Qualsiasi cosa i perfettibili Grillo e Di Maio, ma anche l’imperfettibile Trump, abbiano detto in critica, spernacchio, condanna a certi giornali e giornalisti, è inadeguato, insufficiente, riduttivo, minimalista, rispetto alla dimensione assunta dai cosiddetti “cani da guardia” del potere. In effetti mai esistiti come tali, se non per eccezioni come quelle meteore che colpiscano la Terra ogni qualche estinzione dinosaurica.

Tra Draghi e Di Maio… casca l’asino

Travaglio ha dedicato un lungo editoriale a rampognare Luigi Di Maio per avere il capo 5 Stelle accusato Mario Draghi di avvelenare il clima attorno alla legge di bilancio. Insomma, per lui hanno ragione Draghi e tutti i sauri consimili e torto i vari San Giorgio. Il Sacro Graal stavolta sono i draghi che lo custodiscono. E qui s’è avventurato fuori dalle mura domestiche e, inevitabilmente, ha toppato alla grande. Nulla da dire sul ghigno con cui ha accolto l’invito di Di Maio a Draghi di ricordarsi di essere italiano e di non tifare contro il suo paese. Manco fosse Enrico Toti, o Guglielmo Oberdan. O, al limite, Bearzot. I personaggi alla Draghi, caro Luigi che, come me, ragioni in termini di patria e sovranità, di patrie, se ne hanno una di nascita, ne hanno un’altra, nettamente prioritaria, di elezione. E i suoi confini non stanno al Brennero, o al Danubio, ma sul perimetro della Banca. Se tifano, tifano dollaro. E, in sottordine, euro.

Abbasso San Giorgio, evviva il drago

Ma questo è secondario. Principale è la difesa che Travaglio fa del direttore della Banca Centrale Europea e sono i rimbrotti che indirizza al sarcasmo del pentastellato. Rimbrotti poi rinforzati dal vice di Travaglio, Stefano Feltri ( e questo non sorprende), per il quale Draghi non è che si preoccupa del deficit italiano, ma moltissimo delle correnti anti-euro del governo. E già, non sono gli spiccioli che preoccupano il nostro banchiere centrale. E’ la cassaforte. La cassaforte nella quale, da qualche lustro in qua, sono confluiti i beni e gli averi della stragrande maggioranza degli europei e, in particolare, quelli degli europei meridionali, a partire dalla Grecia. Non ce la ricordiamo la Troika? Tra UE, FMI e BCE,  chi c’era a  manovrare il tritacarne del fiscal compact, del pareggio di bilancio, de bail out per banche e mai per cittadini. Chi è che strangolava la Grecia con il cappio di un debito ben organizzato negli anni, mentre teneva a galla con il Quantitative Easing  quelli con le pezze al culo, la cui obbedienza meritava però qualche indulgenza. QE ovviamente terminato alle viste di populisti arrembanti e di un governo a Roma che profuma di anti-euro.

Quando Draghi e Soros navigavano sottocosta

Travaglio è uno di cui si ammirano stupefatti la memoria e l’archivio. Quelli per i quali ai politici sbatte sul muso la cosa detta ieri che risulta il contrario di quella detta oggi. Sarà mai possibile che questo direttore, più documentato della Biblioteca Nazionale, non si ricordi della letterina che nel 2011, a cavallo del passaggio di consegne, Draghi e Trichet indirizzarono a Berlusconi, ma in essenza  al popolo, allo Stato e al governo d’Italia?  Che diceva la letterina di raccomandazioni o mangi ‘sta ministra o ti buttiamo dalla finestra, scritta a inaugurazione e marchio del regno Draghi? Incrementare il ridimensionamento dei diritti dei lavoratori, incrementare le liberalizzazioni-privatizzazioni a scopo di incremento della concorrenza, sostenere le imprese, una complessiva, radicale e credibile strategia di liberalizzazione dei servizi pubblici e servizi professionali, privatizzazione su larga scala dei servizi locali, accordi a livello di impresa piuttosto che contrattazione nazionale, salari e condizioni di lavoro ritagliati sulle esigenze specifiche delle aziende, accordi privati con aziende piuttosto che altri livelli di negoziazione. Insomma una torta turboliberista con il fiocco della dittatura dell’economia (dei ricchi) sulla politica.

Britannia

E tutti a obbedire, governo dopo governo, quasi fossero i comandamenti dettati a Mosè dal Signore. E prima, quasi vent’anni prima, da direttore del Tesoro, che ci faceva Mario Draghi sul panfilo prestato dalla Regina d’Inghilterra a un gruppetto di suoi fidati amici, tipo George Soros, Beniamino Andreatta (ministro del Bilancio, ma anche della Difesa, ma anche ideatore dell’Ulivo) e superbanchieri assortiti? Faceva un tale tifo per l’Italia che Ciampi, per contenere l’operazione strozzinaggio del noto Soros, fu costretto a bruciare 40mila miliardi di lire in difesa della nostra valuta (ancora nazionale, benedetta!), di cui però non seppe (non volle) impedire la svalutazione del 30%. E allora, venghino signori, il mercatino è allestito, tutti ottimi articoli sulle bancarelle, a prezzo di saldo, di costo, di svendita. E, operatori i Dini, Amato, Prodi, Bersani, D’Alema, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, la manovra riuscì a tal punto che l’Italia si trovò di punto in bianco alleggerita del 75% del suo apparato produttivo. Ci restavano Rimini e le città d’arte, peraltro svuotate dai loro abitanti e riempite di McDonald’s e B&B.

E ora che sta per lasciare a un tedesco, ancora più tifoso dell’Italia, cosa ereditiamo dell’era iniziata navigando sul Britannia, compatriota Draghi? La fine di quel Quantitative Easing con cui avevi salvato le banche riempitesi di titoli di Stato a sostegno dei governi amici  di quel trentennio glorioso per le fortune della patria e che solo per il rotto della cuffia (o delle palle dei cittadini) non fu coronato dalla riforma Boschi. Con un governo di barbari neofascisti come questo, eletto dai depolorables nostrani, il trucco non serve più. Che vadano un po’ in sofferenza le bancuzze italiane, purchè trascinino nel dissesto tutto il resto. Come in Grecia. Gli italiani hanno voluto giocare?  Scendiamo in campo. L’arbitro lo conosciamo.

Vai Travaglio, portagli il cappuccino a Draghi. Dove lo trovi ora? Ma da Goldman Sachs, no?

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 18:11