Gli inganni della Francia che ha intanto deciso di non finanziare la Torino-Lione nel 2019

Comunicato Stampa

PresidioEuropa

Movimento No TAV

15 novembre 2018

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Torino-Lione

Gli inganni della Francia e le interferenze della Commissione Europea

 La Francia ha intanto deciso di non finanziare la Torino-Lione nel 2019

Parte dei fondi UE messi a disposizione del progetto saranno

persi a causa dei ritardi di TELT

Avviso al Governo italiano: Perché l’Italia deve pagare

gran parte del tunnel di base ?  

Il 12 novembre a Bruxelles i Ministri Danilo Toninelli ed Elisabeth Borne hanno esaminato lo stato dell’avanzamento del progetto Torino-Lione, che nel rispetto dell’art. 3 dell’Accordo di Roma del 30 gennaio 2012 stabilisce il “controllo paritetico del progetto della nuova linea ferroviaria Torino-Lione”.

UNA PRIMA VALUTAZIONE

Il primo risultato positivo dell’incontro è il riconoscimento francese del diritto dell’Italia di fare la pausa della Torino-Lione, che la Francia aveva dichiarato nel luglio 2017.

Un altro dato positivo è stata l’accettazione della Francia di bloccare la pubblicazione da parte di TELT dei bandi di gara per la realizzazione del tunnel di base fino al termine dell’analisi costi-benefici sulla Torino-Lione.

C’era infatti il rischio, denunciato dal Movimento No TAV, e recepito dal ministro Toninelli, che TELT, non potendo attingere agli inesistenti fondi francesi, potesse avviare lavori definitivi per lo scavo del tunnel in Francia sulla base di fondi italiani decisi dal CIPE.

COSA PREVEDONO GLI ACCORDI CON LA FRANCIA

Ricordiamo che l’art. 16 dell’Accordo di Roma del 2012 prescrive che la disponibilità dell’intero finanziamento da parte di Italia e Francia è una condizione preliminare per l’avvio dei lavori del tunnel di base.  Ad oggi né l’Italia né la Francia hanno stanziato tutti i fondi necessari per la realizzazione del tunnel di base.

Questa “saggia” clausola impedisce che TELT lanci delle gare d’appalto senza disporre dei finanziamenti o che si possano interrompere dei lavori strada facendo per mancanza di fondi.

I LAVORI IN CORSO

I lavori in corso in Francia e in Italia, sono finanziati al 50% dall’Unione Europea dato che riguardano solo studi geologici e preparatori. Queste “azioni” sono in grave ritardo per l’inadeguatezza operativa della società TELT ad usare i fondi a sua disposizione erogati da Italia, Francia e UE.

A questo proposito ricordiamo che gli scavi in corso nel cantiere francese sono in ogni caso illegali, richiamiamo l’attenzione su questo documento Undici ragioni giuridiche per fermare il cantiere di Saint-Martin-de-la-Porte che spiega perché.

Come già accaduto nel 2013, TELT dimostra ancora una volta la sua incapacità di rispettare il cronoprogramma previsto dal Contratto di Finanziamento del 25 novembre 2015. Siamo convinti che sia impossibile che questa società riesca a terminare i lavori finanziati dalla UE entro il 31 dicembre 2019. TELT contribuisce così al ritiro dei fondi dell’Unione europea che applica la clausola “use it or lose it” (usali o perdili). I ritardi di TELT non dipendono dalla pausa in corso che riguarda unicamente i futuri lavori di scavo del tunnel di base.

A CHE PUNTO SONO I FINANZIAMENTI EUROPEI

Per quanto riguarda i prossimi finanziamenti, la ministra Borne e la Commissione Europea insistono a dire che è necessario arrivare rapidamente ad una decisione per consentire di rispettare i tempi per l’erogazione dei fondi europei.

Questa affermazione non ha senso perché la UE ha già confermato che assicura i finanziamenti richiesti da Italia e Francia nel 2015 per lavori da concludere entro il 31 dicembre 2019.

Dopo questa data i fondi non utilizzati saranno persi applicando la regola UE use it or lose it. Ad oggi la previsione è che TELT farà perdere all’Italia e alla Francia non meno del 40% dei fondi concessi per sua incapacità a realizzare i lavori nei tempi previsti dal Grant Agreement. Questo grave inadempienza era già successa nel 2013, questo Rapporto spiega come LTF (ora TELT) era riuscita a fare perdere all’Italia e alla Francia ben 276,5 milioni di euro di finanziamenti europei.

La Ministra Borne, ma soprattutto la Commissione europea dovrebbero ben sapere che i prossimi finanziamenti UE per realizzare il tunnel di base potrebbero essere erogati se e quando la Commissione europea lancerà i bandi gara per il periodo 2021–2027, dunque solo dopo le prossime elezioni europee e sulla base degli stanziamenti inserirti nel Bilancio pluriennale UE 2021-2027 che sarà approvato dal Parlamento nel 2020.

AVVISO AL GOVERNO ITALIANO: PERCHE’ L’ITALIA DEVE PAGARE GRAN PARTE DEL TUNNEL DI BASE?

La Francia era riuscita nel 2004 a convincere il Governo Berlusconi ad assumersi la gran parte dei costi dello scavo del tunnel di base che aveva accettato di far pagare all’Italia il 63% dei costi di tutto il tunnel di base, Nel 2012 Monti, firmando l’Accordo di Roma, aveva modificato la percentuale al 58,1%.

La ripartizione asimmetrica dei costi genera un costo al km per l’Italia di €287 milioni al km, 4,8 volte più caro del chilometro francese di €60 milioni al km.

E alleggerisce il peso del finanziamento francese di circa € 2,2 miliardi.

L’Italia (governo Gentiloni), nonostante la grave asimmetria dei costi a danno dell’Italia, ha deciso nell’agosto del 2017 di finanziare il progetto, ma ha messo a disposizione solo parzialmente i fondi per la realizzazione del tunnel di base.

La Francia, mentre continua a dichiarare “a parole” di voler rispettare gli accordi con l’Italia, non ha mai aperto il rubinetto dei finanziamenti per il tunnel di base, nonostante debba mobilitare un piccolo investimento per la Torino-Lione (€2,68 Mld. per 45 km di tunnel) di fronte a quello dell’Italia che sarebbe ben più oneroso (€ 3,50 Mld. per soli 12,2 km).

UN’ALTRA ANALISI COSTI BENEFICI

La decisione, non sappiamo se scelta o subita dal Ministro Toninelli, di sottoporre il risultato dell’ACB in corso ad una verifica europea può essere considerata un’interferenza della Commissione europea che anche in questo caso interviene in un passaggio decisionale non di sua competenza e ferisce le libere scelte di due Stati membri che hanno il diritto di rinunciare ad un progetto ancorché finanziato dalla Ue.

Ma questo passaggio farà certo piacere alla Francia perché rinvia la decisione di avviare i lavori definitivi alle calende greche.

RIEPILOGO DELLE POSIZIONI DI ITALIA E FRANCIA SUL PROGETTO

È noto che per diverse ragioni Italia e Francia sono contrari a portare avanti il progetto.,

Per l’Italia l’opposizione al progetto deriva dalla storica convinzione del partito/movimento di maggioranza relativa (M5S) che, nel contesto del “contratto di governo” firmato con il suo alleato (Lega), ha scelto di sottoporre questo progetto ad un’analisi di costi e benefici per assistere il Governo nella sua decisione politica.

Anche per la Francia vi è una storica convinzione contro questo progetto da parte delle alte amministrazioni pubbliche, mascherata tuttavia da roboanti dichiarazioni di interesse espresse da lobby regionali come la Transalpina, mentre i governi che si sono succeduti, compreso l’attuale, non esprimono nei fatti una forte e risolutiva volontà di fare.

La Francia era riuscita nel 2004 a convincere i governi italiani ad assumersi la gran parte dei costi dello scavo del tunnel di base, Berlusconi aveva accettato di far pagare all’Italia il 63% dei costi di tutto il tunnel di base, mentre nel 2012 Monti, firmando l’Accordo di Roma, aveva modificato la percentuale al 58,1%.

LA FRANCIA CONTINUA LA PAUSA IN ATTESA CHE L’ITALIA BOCCI IL PROGETTO: ALCUNI PASSI DA FARE PER ANNULLARE GLI ACCORDI

Nel luglio 2017 fu la ministra Borne a dichiarare “Si fa una pausa sulla Torino-Lione”,  quasi un anno prima dell’avvento del nuovo governo italiano.

Oggi la Francia, valutando incerta la posizione italiana, ha deciso che dovrà essere l’Italia a bocciare il progetto affinché la Francia possa mantenere “buone relazioni con lUnione europea”.

L’Italia non ha alcuna difficoltà ad uscire dalla Torino-Lione: basterebbe che denunciasse la ripartizione capestro dei costi inserita nell’Art. 18 dell’Accordo del 2012 (voluta dai Governi Berlusconi e Monti) che la obbligano a pagare la maggior parte dei costi.

In caso di ripartizione equa sulla base della proprietà dei chilometri tra i due Stati, la Francia vedrebbe la sua fattura passare da € 2,68 a €4,87 miliardi, un importo che convincerebbe il nostro vicino ad abbandonare il progetto.

Inoltre, tale accordo è stato di fatto già violato dalla Francia e dall’Italia che hanno dichiarato di non volere realizzare due tratte ferroviarie previste all’Art. 4 – Parte comune italo-francese dell’Accordo del 2012: la sezione francese di 33 km con i tunnel di Belledonne e Glandon e la sezione italiana con un tunnel di 19,5 km tra Susa e Chiusa San Michele.

I RECENTI PASSI DELLA FRANCIA CONFERMANO IL DESIDERIO DELLA FRANCIA DI USCIRE DALLA LYON TURIN

In due recenti occasioni la ministra Borne ha voluto fare credere che esista una forte volontà della Francia, ma un’attenta lettura delle sue comunicazioni rivela il disimpegno del Governo francese alla Lyon-Turin.

Il 5 novembre scorso l’Assemblea Nazionale ha respinto con l’approvazione della Ministra Borne, nel corso dell’esame del Bilancio 2019, un emendamento che avrebbe imposto al Governo di presentare al Parlamento una relazione per illustrare l’impegno della Francia nel quadro degli accordi internazionali per il completamento dei lavori definitivi della relazione transfrontaliera Lione-Torino, qui i Verbali.

Si constata così che la Francia ha deciso di non finanziare la Torino-Lione nel 2019, l’emendamento è stato respinto per la sua eccessiva chiarezza che avrebbe imbarazzato il governo.

Il 13 novembre alla Commissione del Senato pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile la ministra Borne ha affermato senza convinzione che “il progetto Lyon-Turin farà parte della programmazione ma non ha fornito alcuna prova di questa volontà  perché non ha comunicato alcun dettaglio circa l’orizzonte temporale della realizzazione e non ha preso impegni visibili per il suo finanziamento. Questa è l’ulteriore conferma che la Francia non intende inserire il progetto Lyon-Turin nel Budget 2019.

Le “fate ignoranti” di Torino

https://volerelaluna.it/commenti/2018/11/15/le-fate-ignoranti-di-torino/?fbclid=IwAR2Au_FHpUVUrkPiA9WWpwuQJpfbO4qyLJbqgcq9Q69qtQcAaVDhDLYjMG8

15/11/2018 – 

Giuro che non volevo credere ai miei orecchi lunedì sera quando ho sentito  a Otto e mezzo, una delle magnifiche sette madamine torinesi “organizzatrici” della manifestazione in Piazza Castello, Patrizia Ghiazza, dichiarare bellamente di ignorare tutto delle problematiche tecniche e ambientali relative alla discussa linea del TAV Torino Lione. Ha detto proprio così: “posso assolutamente dire che non siamo, né io né le altre organizzatrici, competenti per poter entrare nel merito degli aspetti tecnici e ambientali dell’opera”.

 Il fatto è che la manifestazione di cui figuravano come promotrici Patrizia Ghiazza e le altre chiamava in causa – forse a loro insaputa, ma indiscutibilmente  – proprio il merito delle ragioni tecniche e ambientali dell’opera, per dire che era giusta e buona, e che la si sarebbe dovuta assolutamente fare pena la rovina della città e della Regione. E ora sappiamo che quell’”entrata nel merito” con quella perentoria conclusione, era avvenuta nella più completa ignoranza dei dati fondamentali, dei più elementari fattori di valutazione, per un atto di fede, diciamo così, nei confronti dei governi precedenti e nel valore metafisico dell’opera. Esattamente all’opposto del movimento contro cui tutte quelle  persone sono state chiamate in piazza, il movimento No-tav, che ha sempre fatto, fin dalla sua origine, per più di vent’anni, puntigliosamente, quasi ossessivamente, dei dati tecnici dell’opera (flussi di traffico, impatto ambientale, dimensione dei costi e dettagliate voci di spesa, alternative operative), e dell’informazione su di essi, il principale argomento della sua opposizione .

Se un aspetto ha colpito coloro che si sono occupati, anche in chiave scientifica – politologica, sociologica, antropologica -, di quel movimento, è stato la costante abbondanza di documentazione e di informazione tecnica presente nei loro siti, al contrario degli opposti siti “Si-Tav” (a cominciare da quello di Telt), generici e reticenti. E a me personalmente ha fatto sempre molta impressione, fin dal 2005, dai tempi di Venaus quando incominciai a osservare la Valle, la competenza non solo degli “attivisti” e dei promotori dei Comitati e delle manifestazioni, ma dei manifestanti stessi. Irsuti montanari e madri di famiglia o nonne, ragazzotti delle superiori o artigiani di valle,  pensionati, operai, commercianti, sapevano di logistica e trasportistica,  del “Corridoio V” e delle “rotture di carico” con il loro aggravio di costo, di flussi di traffico su gomma e su ferro e di sistemi idrogeologici, dell’impatto degli scavi sulla qualità e quantità delle acque e sulle polveri sottili. Nessuno di loro si è mai sottratto al confronto sui contenuti dicendo di esserne all’oscuro! Ora, che nella rappresentazione da parte dei “giornaloni”, quegli uomini e quelle donne vengano dipinti come rozzi cultori del “nimby“, sorta di nuovi barbari pre-illuministici in conflitto con la modernità, mentre la folla di Piazza Castello viene promossa a esempio di buona cittadinanza, fa parte del mondo alla rovescia prodotto da una sfera mediatica intossicata da interessi predatori e per questo generatrice di sfiducia su scala allargata.

Esemplare, d’altra parte, l’atteggiamento nei loro confronti esibito, senza reticenze, da un’altra delle “fatine” torinesi, Giovanna Giordano, che a proposito della resistenza dei valligiani ha detto, testualmente, ad Agorà: “Se ci credono veramente e amano la decrescita felice, qui intorno in Piemonte ci sono tante meravigliose valli dove possono comprarsi una mucca e una pecora e decrescere felicemente. Ma che lascino vivere noi.”. Giovanna Giordano detta “Nana” dagli amici, nominata sul campo da Repubblica  “madamina di ferro, informatica e nonna” , nell’enfasi del suo speach, dimentica che “loro” – i valsusini refrattari – stanno nella loro Valle, dove vorrebbero che li si “lascino vivere” senza avere il proprio territorio devastato dal treno degli altri, mentre “noi” – il NOI di Giovanna, intendiamoci – abitiamo in città ignorando del tutto, come si è visto, l’impatto su “quel” mondo che evidentemente non ci riguarda. Le ha già risposto, in modo esemplare, in questo stesso sito, il sindaco di Susa Sandro  Plano. Qualcun altro ha ricordato la Maria Antonietta del “mangino brioches”. Ma si potrebbe anche  evocare il Marchese del Grillo, quello del “Io sono io e voi…”. In quel “Che lascino vivere noi!” (abbandonando le case “loro“) c’è tutto un programma, o meglio un profilo: da razza padrona. Da ceto medio-alto predatorio, che non vede l’altro perché ripiegato su di sé, sulle proprie credenze infondate ma indiscutibili, la propria rete di pari elevata a mondo, i propri piccoli interessi promossi a Nomos.  Il salotto di nonna Speranza con le sue “piccole cose di pessimo gusto” proposto come modello estetico assoluto.

Certo, si potrebbe non farla troppo grossa. E considerare quell’esternazione un “refuso retorico”, una sorta di incidente comunicativo – insomma, una voce dal sen fuggita -, ma sarebbe in qualche modo riduttivo. Perché in realtà c’era in quelle due righe, sintetizzato, un po’ tutto il mood di buona parte del management torinese: il sentimento sotteso alla parte più determinata di quella piazza – il suo nocciolo duro – costituito da quel mondo delle imprese e delle professioni cittadine che eleva se stesso a misura dell’universo avendo perduto però le proprie capacità propulsive. Declinante, ma determinato tuttavia a non mollare la presa sul proprio contesto, considerando ogni bene comune “disponibile”. Ogni dimensione pubblica privatizzabile. E ogni alterità – quali che ne siano le ragioni – irrilevante.  Altro che Cittadini con il senso del dovere di cui vaneggia Vladimiro Zagrebetsky (Vladimiro, si badi! non Gustavo) su “La Stampa”. Un esempio per tutti: il Presidente della Camera di Commercio, tal Vincenzo Ilotte, che dichiara senza un attimo di resipiscenza che “La Città si è formalmente espressa sulla Tav, non credo ci sia molto da discutere”. Sì, proprio così: non crede che ci sia più “molto da discutere” perché – in piazza, evidentemente – la Città si è “formalmente espressa”. Formalmente! Che, se le parole hanno ancora un qualche senso dovrebbe voler dire seguendo una qualche procedura di legittimazione. E dimentica che l’unica espressione “formale” è stata la deliberazione del Consiglio comunale  (che la si giudichi opportuna o meno) con cui si è dichiarata “formalmente” Torino Città No-Tav. E che i 20 o 25 o 30mila di Piazza Castello sono pressoché un decimo dei torinesi che due anni fa hanno eletto a maggioranza quel Consiglio e quella Giunta. Questo sarebbe un esempio di coscienza civica? O anche solo di cultura democratica? Personalmente mi sembra un perfetto esempio di quel “populismo” contro cui si dice al contrario di volersi opporre.

Il problema però non sono le singole persone. Il problema, inquietante, per certi aspetti disperante, è che quello “stile” ha animato tutta la preparazione della mobilitazione di sabato 10 novembre. L’asfissiante campagna mediatica, guidata dai giornali cittadini Stampa e Repubblica, appartenenti ora il medesimo gruppo finanziario assai interessato all’Opera. Nei dieci giorni di bombardamento mediatico non una voce fuori dal coro, non un dato (*), una documentazione, una valutazione indipendente. Niente pensiero, niente ragionamento, niente argomentazione razionale. Molti, troppi slogan. Spacciati a piene mani come verità sacrali (di quelle che non hanno bisogno di conferme fattuali perché sarebbero auto-evidenti). Nessuno ha detto ai cittadini chiamati al giudizio di dio della piazza, che quel treno è fatto per le merci e non per i passeggeri. Che tra Torino e Lyon (e Parigi) c’è già un treno veloce – un Tgv – cinque volte al giorno, sulla linea storica, che attualmente è utilizzata a meno di un quinto della sua capacità. Che i flussi di traffico tra Italia e Francia sulla direttrice alpina sono in calo da anni, sia su rotaia che su autostrada. Che supposto che si facesse il “tunnel di base” di 57,5 km, la linea si fermerebbe a St.Jean de Morienne, tra i pascoli, sul versante francese (perché la Francia non ha deliberato le infrastrutture di raccordo e non ne ha per ora intenzione) e a Susa sul versante italiano. E, a proposito di tunnel di base (il cui impatto sul sistema idrogeologico della Valle ma anche di Torino sarebbe pesantissimo), che nonostante viaggi per quasi l’80% in territorio francese sarebbe pagato per circa il 60% da noi!). Che del mitico “Corridoio V” (il quale secondo le allucinazioni dei nostri politici regionali dovrebbe collegare Lisbona con Kiev, anzi, secondo le ultime esternazioni, l’Alantico e il Pacifico) non c’è traccia, non esiste più perché Portogallo e Spagna si sono chiamati fuori e dalla Slovenia in là nessuno ci pensa, per cui le tante decantate merci dovrebbero proseguire verso est sui famigerati camion o arrivare in camion per andare verso ovest (dove? mah?)…

E’ assai probabile che una parte almeno del successo di pubblico di quella manifestazione  sia dovuta – oltre alla mobilitazione dei “media” e delle corporazioni cittadine – alla pessima prova offerta in questi due anni dalla giunta Appendino: dal suo pressapochismo, dalle troppe assenze dai luoghi dolenti del tessuto cittadino, dalla promesse non mantenute, dall’isolamento sociale in cui si è confinata. C’era, in quella piazza, anche tanto giustificato disagio. Ma il giudizio sulla promozione dell’”evento” e sulla sua gestione non cambia. Resta imbarazzante – francamente imbarazzante – che l’imprenditoria di una città che è stata, per buona parte del Novecento, un esempio di livello mondiale di “company town” – un modello di capacità industriale potentissimo – si riduca oggi ad affidare il proprio futuro a un’idea vuota – a impiccarsi a un totem fradicio, abbiamo scritto -, cioè a un simbolo quale il Tav fallito in partenza, immaginato in un tempo e in un mondo finiti, destinato allo spreco massiccio di risorse che – con un uso più assennato – potrebbero rivelarsi importanti.  Fa male vedere che gli operatori economici di una città un tempo abitata da produttori orgogliosi di sé si riducano a pietire eventi e opere quali che siano purché alimentino flussi di denaro octroyé, concesso da Roma o dall’Europa, anziché contare sulla propria capacità innovativa e sulla creatività del sistema urbano. E’, in qualche modo, il “sistema Torino” – la configurazione di interessi economici, politici e bancari che ha gestito il declino di Torino nel trentennio trascorso e che si è mossa in piazza per riperpetuarsi, con gli stessi volti, le stesse sigle (il Pd buttato fuori dalla porta alle amministrative e rientrato dalla finestra in piazza) allargate ora alla destra, Forza Italia in primis, ma anche Fratelli d’Italia e soprattutto la Lega. La Lega di Salvini, aggiuntasi all’ultimo momento perché sa che, in casi come questi, gli ultimi saranno i primi e, con molta probabilità, sarà lei l’utilizzatore finale di tutto ciò.

Come dire che le fatine turchine di Torino hanno lavorato, in fondo, per il Re di Prussia.

(*) Alla fine, post festum – a metà della week after – l’ineffabile Paolo Foietta (Commissario di Governo al Tav, che di Tav vive e vorrebbe sopravvivere) ha emesso un’ampia gittata di dati – un “Dossier” lo chiamano -, su cui interverremo nel dettaglio nei prossimi giorni, ma di cui si può già dire che, come il ruolo del loro comunicatore, appaiono assai improbabili.