Come catturare la CO2 in atmosfera per produrre benzina, il caso di un impianto in Canada

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Posted on ottobre 31, 2018

Come catturare la CO2 in atmosfera per produrre benzina

Dì Dario Zerbi per Lifegate

In uno stabilimento canadese si sta cercando di produrre su scala globale una benzina che non emette nuova CO2: aspira quella già presente in atmosfera. Ma resta qualche dubbio su un processo che al momento è altamente energivoro.

Un combustibile fossile che non produce nuove emissioni di gas serra perché utilizza i gas che sono stati già emessi, per poi immetterle nuovamente in atmosfera. E riciclarle di nuovo, in un ciclo che potenzialmente potrebbe durare all’infinito. Già da circa quindici anni, in diverse parti del mondo, si studia il modo di “aspirare” la CO2 dall’atmosfera per produrre combustibile attraverso particolari impianti; come fossero aspirapolvere in grado di ripulire l’aria dall’anidride carbonica in eccesso e utilizzarla per produrre un carburante a emissioni zero.

Una tecnologia più economica del previsto

Lo scoglio principale, finora, è stato di tipo economico: tutti gli studi sulla tecnologia Dac (Direct air capture, ovvero a cattura diretta dell’aria) stimavano che sarebbero occorsi ben 600 dollari (circa 519 euro) per ogni tonnellata di CO2 aspirata; un prezzo insostenibile per uno sviluppo su larga scala. Ora, però, uno studio condotto dalla Carbon engineering e pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Joule ribalta completamente le prospettive: l’impianto canadese della società riesce a estrarre una tonnellata di CO2 dall’atmosfera a un costo medio di 100 dollari a tonnellata (circa 86 euro). Lo stabilimento trasforma poi l’anidride carbonica catturata in vari tipi di combustibili liquidi, al costo di produzione di un dollaro al litro: leggermente superiore a quello dei combustibili attuali, ma certamente non proibitivo.

Tutto prese il via nel 2015 a Squamish, nella provincia canadese della British Columbia, su iniziativa di David Keith, professore di fisica applicata all’università di Harvard; un investimento di 30 milioni di dollari, alcuni finanziatori di peso (uno fra tutti, il fondatore di Microsoft Bill Gates) e un orizzonte temporale di tre anni per comprendere le reali potenzialità di questa tecnologia.

I risultati sono stati migliori del previsto, al punto che l’impianto sperimentale potrebbe presto trasformarsi in uno stabilimento a tutti gli effetti, in grado di catturare un milione di tonnellate di CO2 l’anno – il doppio delle emissioni dell’Italia – e di produrre 200 barili di combustibile “riciclato” al giorno. Se tutto procederà per il meglio, entro la fine del 2021 gli automobilisti americani – a partire da quelli che vivono in stati come la California, che attraverso un mercato regolato incentivano l’utilizzo di prodotti sostenibili – potranno scegliere tra un carburante tradizionale o uno che non ha emesso gas serra nella fase di produzione, marchiato Carbon engineering.

Come viene prodotta la “benzina a emissioni zero”

La tecnologia Dac utilizza grandi batterie di ventole aspiranti per risucchiare aria: dei passaggi successivi permettono di separare la CO2 catturata e di stabilizzarla con una soluzione alcalina. Il liquido può essere pressurizzato e iniettato nel sottosuolo, dove viene stoccato e quindi trasformato in un combustibile attraverso una serie di processi chimici: il risultato è un carburante fossile sintetico che, una volta utilizzato nei motori, non produce nuova CO2 perché emette in atmosfera quelle aspirate. Si tratta di un processo decisamente energivoro che, in questa fase iniziale, la società ha arginato usando l’elettricità prodotta da alcune dighe del territorio; per un impianto su larga scala, invece, si dovranno per forza trovare soluzioni alternative: permane insomma qualche dubbio sulla reale sostenibilità di questa tecnologia dal punto di vista del bilancio energetico.

Certo è che potremmo essere di fronte a una rivoluzione: il settore dei trasporti incide per circa il 20 per cento sulle emissioni globali di gas serra, e un maggiore sviluppo della tecnologia Dac comporterebbe un doppio vantaggio. Da un lato, si potrebbe rimuovere in modo permanente l’anidride carbonica dall’atmosfera: l’impianto immaginato dalla Carbon engineering eliminerebbe da solo un quarantesimo della CO2 prodotta in un anno a livello mondiale. Dall’altro lato, prenderebbe il via la produzione di un carburante compatibile con i motori odierni, senza dover convertire all’elettrico l’intero parco auto circolante.

Il bilancio di carbonio Un altro buon motivo per il No: il tunnel danneggerà il clima

di Luca Mercalli

da Il Fatto Quotidiano del 18-11-20178

La nuova linea ferroviaria Torino-Lione viene giustificata con motivi ambientali: la cura del ferro fa bene, spostare traffico da gomma a rotaia riduce le emissioni. Il che è vero se si usano ferrovie esistenti, come l’attuale linea Torino-Modane, lo è meno quando si devono costruire nuove, meno ancora quando sono perl unga tratta in tunnel. Lo sostengono i ricercatori Jonas Westin e Per Kågeson del Royal Institute of Technology di Stoccolma nell’analisi Can high speed rail offset its embedded emissions?: affinché il bilancio di carbonio sia favorevole al clima le linee ferroviarie ad Alta velocità “non possono contemplare l’estensivo uso di tunnel”. Se il bilancio monetario costi-benefici della Torino-Lione già vacilla, del bilancio di carbonio non si parla mai. Il tunnel bisogna costruirlo, per oltre dieci anni le talpe succhieranno megawatt, il cemento assorbirà energia e produrrà emissioni, l’armamento e i dispositivi di sicurezza richiederanno tonnellate di acciaio e di cavi di rame, i camion e le ruspe per spostare migliaia dimetri cubi di roccia andranno a gasolio. Poi c’è l’impianto di raffreddamento che a opera conclusa funzionerà in permanenza, poiché all’interno del tunnel la temperatura sarà attorno a 50°C, ostile alla vita. Quando il primo treno passerà su quella linea non si vedrà alcun vantaggio ambientale, in quanto per parecchi anni, ammesso che venga effettivamente usata a pieno carico come da previsioni per ora sulla carta, il risparmio delle emissioni dovrà ripagare il debito di quelle rilasciate in fase di cantiere e di esercizio. Ammesso dunque che sia possibile, una prima riduzione netta delle emissioni potrebbe avvenire non prima del 2040. Il clima però è già in estrema crisi adesso e l’ultimo rapporto IPCC dice chiaramente che le emissioni vanno ridotte subito, altrimenti nel 2040 avremo già superato la soglia di sicurezza del riscaldamento globale di1,5°C. La cura del ferro della Torino-Lione è quindi strana, prima richiede un’intossicazione sicura del malato, poi promette di disintossicarlo quando sarà già moribondo. Non è meglio cambiare cura? Usare i miliardi di euro ad essa destinati per una riduzione delle emissioni con effetti certi e immediati, come collocare più pannelli solari sui tetti degli italiani, cambiare gli infissi alle case colabrodo, aumentare la coibentazione, installare pompe di calore, tutte azioni che danno lavoro a decine di migliaia di artigiani e non ci fanno attendere vent’anni per ottenere effetti positivi sull’ambiente.

La cura del ferro Torino-Lione potrebbe essere peggiore del male che vorrebbe curare. Per fare valide previsioni e stabilire se la pubblicità verde della grande opera sia ingannevole o meno, occorre un bilancio di carbonio certificato da un ente terzo, come l’Istituto Superiore di Protezione e Ricerca Ambientale che mantiene il catasto nazionale delle emissioni climalteranti e potrebbe verificare se nell’ambito dell’Accordo di Parigi siglato anche dall’Italia il super tunnel Torino-Lione sia coerente o perdente. C’è poi quell’ora di viaggio sul Tgv Milano-Parigi che si potrebbe recuperare subito grazie a un accordo tra ferrovie francesi e italiane.Per ragioni di incompatibilità tra dispositivi di sicurezza, il treno francese, una volta arrivato a Torino via tunnel del Frejus, invece di instradarsi sulla linea ad Alta velocità per Milano continua da anni a transitare sulla vecchia linea regionale via Vercelli e Novara. Se i francesi sostituissero il loro vecchio Tgv con un treno più moderno la tratta Parigi-Milano si abbrevierebbe subito di quasi un’ora. Come mai la gente non scende in piazza per questo significativo risultato che non incide sulle casse dello stato e non deve attendere decenni per entrare in servizio? E infine,dopo le iniezioni di retorica a buon mercato inneggianti a progresso, crescita, investimenti, lavoro che passeranno tutti e solo da questo buco sotto il massiccio dell’Ambin, proviamo a fare un passo più analitico verso gli scenari futuri. Che piaccia o no, le risorse naturali planetarie diminuiscono e i rifiuti aumentano, così l’Unione Europea ha saggiamente scelto la strategia dell’economia circolare, per minimizzare l’uso di materie prime, costruire oggetti più durevoli e riparabili, contrastare l’usa-e-getta, riciclare i materiali a fine vita. In un tale contesto, l’idea di una continua espansione del trasporto merci invocata dai promotori della Torino-Lione e da un’altra parte della burocrazia europea appare in aperto conflitto con i limiti fisici planetari. Occorre uscire dal tunnel per aprire lo sguardo alla realtà, molto più complessa, problematica e inedita, e le cui soluzioni sono immensamente più articolate di un buco nella roccia, ostinatamente perseguito per ragioni che non appaiono razionalmente difendibili.

Tav, tutte le inesattezze nei numeri del commissario

di Virginia Della Sala e Andrea Giambartolomei

da Il Fatto Quotidiano del 15-11-2018 |

Un dossier per il governo sul Tav, in attesa dell’analisi costi-benefici: Paolo Foietta, commissario straordinario alla Torino-Lione (che in passato ha scritto un libro di propaganda Sì-Tav col pasdaran dell’alta velocità Stefano Esposito, ex senatore Pd) ha inviato martedì il Quaderno 11, che contiene osservazioni tecniche sull’opera, realizzato dall’Osservatorio sulla Torino-Lione. E ieri lo ha presentato a Torino. Il tassametro. Prima dichiarazione: “Se a dicembre non partiranno le gare di appalto per la Torino-Lione, si perdono 75 milioni di euro al mese e si configura un problema di danno erariale”. Foietta non chiarisce quale sia l’origine di questo calcolo. Probabilmente, il riferimento è agli 813 milioni di finanziamento europeo che non arriverebbero. Non una spesa, dunque. Per il resto, va considerato che: gli accordi bilaterali non prevedono clausole che compensino le spese per lavori fatti dalla Francia; nei trattati non sono previste penali; se la Francia dovesse chiederle per un eventuale blocco, dovrebbe farlo per un’opera giudicata inutile; andare avanti costerebbe all’Italia almeno cinque miliardi. Gli esperti. Foietta ha poi detto che gli esperti del ministero che stanno lavorando all’analisi costi-benefici non sono stati nominati ufficialmente. In verità il gruppo ha firmato ad agosto un contratto che attualmente è all’analisi della Corte dei Conti. Non sono quindi degli abusivi. Intermodalità. Ad Avvenire Foietta ieri ha poi detto che “il rapporto costi-benefici cambia in relazione ai presupposti politici. Se decido che l’intermodalità è una scelta strategica, perché toglie traffico dalle autostrade, dovrò valutare i benefici in un certo modo. Se non le assegno valore, l’analisi avrà un risultato diverso”. In realtà esiste uno studio della Commissione Europea (Handbook on External Costs of Transport) che fissa i parametri per stimare i costi esterni del trasporto sia a livello Ue che nazionale. E che è un riferimento numerico pensato per i decisori politici. Servizi. Nonostante il trasporto passeggeri sia sempre stato accennato, la linea Torino-Lione nasce per il trasporto merci (tant’è che interessa di più agli industriali e che si parla di treno ad “alta capacità” per questo). Ai passeggeri, però, è dedicato un intero capitolo dello studio, in cui si legge anche che “negli ultimi 20 anni il trasporto ferroviario ha perso il 70% dei volumi di merce trasportata” salvo poi attribuire il problema alla qualità della linea, definita “obsoleta, insicura e inadeguata”. Si tira in ballo una osservazione di Rfi, secondo cui il tunnel storico “non è in grado di soddisfare gli standard delle gallerie attuali”. Che la pendenza implichi l’utilizzo di treni corti e pesanti è vero, così come che da qualche anno è stato imposto – per motivi di sicurezza – il passaggio di un treno alla volta nel tunnel del Fréjus. Ma anche in questo caso, bisogna valutare il rapporto tri i costi e i benefici nel complesso, non il singolo dato. Inoltre, in base all’obiettivo riferito da Foietta (di raggiungere 20-25 milioni di tonnellate di merci ogni anno) dovrebbero partire in ciascuna direzione una settantina di treni da 60 vagoni al giorno, uno ogni venti minuti, e in mezzo aggiungersi almeno 25 coppie di treni passeggeri. Impossibile se si considera che un treno merci viaggia a meno della metà della velocità di uno passeggeri.

Merci.Tra Francia e Italia passano poi circa 42 milioni di tonnellate di merci ogni anno, solo 3,4 via treno. Le previsioni di Sì Tav, quindi, sono irrealistiche. Il solo modo per ottenere un aumento importante – come auspicava l’accordo italofrancese del 2012 – è aumentare i pedaggi sull’autostrada del Fréjus. Oppure dirottare di 200 chilometri il traffico di Ventimiglia, da dove passa il grosso del traffico merci su strada. Ma per farlo, dovrebbero salire i costi del trasporto su gomma. Si sostiene poi che già entro il 2030 si toglierebbero dalla strada, sui percorsi di attraversamento delle Alpi Occidentali, 856 mila veicoli pesanti l’anno. Circa 2 mila al giorno. Se si considera che ogni giorno sulla sola tangenziale di Torino circolano almeno 80 mila camion e poco più di 300 mila auto, la percezione del beneficio ambientale si riduce sensibilmente. L’opera. Repubblica.it ieri (oltre a precisare che Tav, acronimo di Treno Alta velocità, sia ‘femminile’ perché è una “linea”) scriveva: “Il tunnel di base della Torino-Lione esiste. Sono già stati scavati 5,5 chilometri del primo lotto di 9”. A smentire è lo stesso sito di Telt: si tratta di uno scavo geognostico “in asse” e non è ancora il tunnel di base. La ministra. Foietta dichiara poi che “la ministra dei trasporti francese Elisabeth Borne ha smentito in modo chiaro e netto, rispondendo a un’interrogazione in Senato, il comunicato stampa fatto dal ministero italiano dei Trasporti”. In realtà, riportano i media francesi, Borne ha parlato di “rispetto per il processo decisionale dei nostri vicini italiani” e ha solo ribadito la necessità “di non perdere i finanziamenti europei”. D’altronde anche in Francia vogliono fare attenzione ai costi. A inizio anno, il Consiglio di orientamento sulle infrastrutture nel rapporto Duron ha suggerito di rimandare l’onerosa costruzione della linea ferroviaria che da Lione conduce al tunnel alpino dando precedenza a interventi sulle linee esistenti.

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IN 300 ALLA RIUNIONE IN VAL SUSA

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