Torino-Lione Nuovi fondi dalla UE?

Comunicato Stampa

PresidioEuropa

Movimento No TAV

22 novembre 2018

www.presidioeuropa.net/blog/?p=17740

Torino-Lione

Nuovi fondi dalla UE?

Ma intanto parte dei fondi europei messi a disposizione del progetto saranno persi a causa dei ritardi di TELT

 Avviso al Governo italiano: Perché l’Italia deve pagare gran parte del tunnel di base al posto della Francia?

L’ANSA riporta che la nuova Coordinatrice del Corridoio Mediterraneo Iveta Radicova si è recata ieri sul cantiere francese di Saint-Martin-La-Porte e ha tentato di introdurre un cavallo di Troia nel tunnel geognostico.

Iveta Radicova avrebbe infatti esclamato con autorevolezza ai presenti: “La Torino-Lione è un’opera molto costosa che porterà benefici molto alti, il finanziamento europeo per la tratta internazionale salirà dal 40%, finora previsto, al 50%”.

Se questa decisione sarà approvata dal prossimo Parlamento europeo, l’Italia vedrebbe diminuire il suo contribuito di circa € 432 milioni.

Ricordiamo che l’Italia è obbligata a pagare €3,50 miliardi, ossia la maggior parte del costo del tunnel di base, avendo accettato di finanziare il 58,1% di tutti i costi.

La ripartizione asimmetrica dei costi del tunnel genera un costo al km per l’Italia di €287 milioni, 4,8 volte più caro del chilometro francese di €60 milioni e alleggerisce il peso del finanziamento francese di circa € 2,19 miliardi.

La Francia sarà felice di questa ulteriore diminuzione della sua fattura.

Invitiamo i media a porre al più presto alla Coordinatrice questa domanda: “Quando la Ue potrà confermare questa nuova percentuale del 50%?”

Siamo in presenza di un ennesimo atto di distrazione di massa, i decisori politici europei e nazionali dovrebbero sognare altri sogni per il futuro del nostro Paese e non ingannare i cittadini con un costo inferiore per un’opera inutile.

Ricordiamo che l’attuale cofinanziamento del 40% dell’’UE per lo scavo del tunnel di base di 57,5 km è previsto all’Art. 10 del Regolamento del Meccanismo per Collegare l’Europa n. 1316/2013. Si tratta di un importo di € 3,44 calcolato sul costo certificato di € 8,61 miliardi.

Il costo stimato dal CIPE del tunnel è di € 9,6 miliardi: l’Italia dovrebbe pagare € 3,50 miliardi per 12 km di tunnel e la Francia € 2,69 miliardi per 45 km.

Iveta Radicova afferma che l’Europa aumenterà dal 40 al 50% il cofinanziamento ma non ricorda che la procedura per modificare un Regolamento richiede tempi molto lunghi.

Inoltra ogni modifica dello stanziamento dei fondi europei richiede necessariamente l’approvazione del Bilancio Pluriennale 2021-2027, iter che sarà concluso prevedibilmente nel 2020.

Per quanto riguarda il presente, la Commissione Europea insiste a dire che è necessario arrivare rapidamente a bandire le gare per lo scavo del tunnel per consentire di rispettare i tempi per l’erogazione dei fondi europei.

Questa affermazione non ha senso perché la UE ha già confermato che assicura i finanziamenti richiesti da Italia e Francia nel 2015 per lavori che dovranno essere conclusi entro il 31 dicembre 2019.

Dopo questa data i fondi non utilizzati saranno persi applicando la regola UE use it or lose it.

Ad oggi la previsione è che TELT farà perdere all’Italia e alla Francia non meno del 40% dei fondi concessi per sua incapacità a realizzare i lavori nei tempi previsti dal Grant Agreement.

Questo grave inadempienza era già successa nel 2013, questo Rapporto spiega come LTF (ora TELT) era riuscita a fare perdere all’Italia e alla Francia ben 276,5 milioni di euro.

È tuttavia interessante l’affermazione di Iveta Radicova “Siamo preparati a discutere e negoziare” perché realistica, dato che lo scavo del tunnel di base è proibito ai sensi dell’Art. 16 dell’Accordo 2012 fino a quando non sarà disponibile l’intero finanziamento da parte di Italia e Francia.

Ad oggi né l’Italia né la Francia hanno stanziato tutti i fondi necessari per la realizzazione del tunnel di base.

Per quanto riguarda l’invito di Iveta Radicova a riflettere anche sugli effetti “orribili” per l’ambiente di un eventuale stop della Torino-Lione, la novella coordinatrice dovrebbe andare a leggersi il giudizio di Luca Mercalli sulla Torino-Lione: Il bilancio energetico del Tav è già in rosso.

A DUBLINO IL PRIMO CONVEGNO DELLA CAMPAGNA GLOBALE CONTRO LE BASI USA/NATO—- CONFERENZA COL BUCO

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2018/11/a-dublino-il-primo-convegno-della.html

MONDOCANE

VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2018

https://www.youtube.com/watch?v=XF4TXgsRYb8&fbclid=IwAR1SJQ8GrHY3pvUN5Vhk-iQmyS3orEBsdCJTnXqff7N5bTtftoipPqwNYo0 (link allo streaming della prima giornata di lavori della Conferenza internazionale di Dublino. Il mio intervento, che indico solo perché me ne è stato chiesto verbale che non ho, va da 1.39’05 a 1.52’13)

Questo non un “report”, come quelli smart chiamano una relazione, un rendiconto, un rapporto, un ragguaglio. Questo cerca di essere un racconto, oggi si direbbe una narrazione, un po’ impressionistico, di quanto si è svolto a Dublino, nei giorni 15-18 novembre, alla “Conferenza internazionale contro le basi militari USA/NATO”. Per motivo di voli prenotati, mi sono perso la seconda metà dell’ultimo giorno, quando hanno parlato altri delegati italiani. Ne lascio in calce il riassunto che ci ha trasmesso Marinella Correggia.

Mezzo secolo di passi

Per tre giorni mi sono aggirato nelle sale della prima conferenza della Campagna Globale contro le basi Usa/Nato e, negli intervalli, tra i palazzi neoclassici irlandesi che hanno visto la gloriosa insurrezione di Pasqua del 1916, prodromo alla liberazione dal colonialismo britannico, con appesa al collo la targhetta-passi che diceva “International Conference against US/NATO military bases”. A casa, poi, l’ho appesa al braccio di una lampada, a fianco di un’altra dozzina di targhette simili che riportano a eventi non dissimili, alcuni lontanissimi nel tempo: Congresso del Popolo a Sabha, Libia, Convegno in Difesa dell’Umanità a Caracas, L’Avana tante volte contro l’imperialismo, Belgrado, Hanoi, Kyoto, Gerusalemme, Khartum, Asmara, Baghdad, Algeri per uno dei famosi Incontri Mondiali della Gioventù e degli Studenti… Se rifletti su cosa ne è venuto allora, su come si stava a fianco dei vari paesi in lotta, Vietnam, Iraq, Venezuela, Cuba, Palestina, Serbia, qualunque ne fosse il governo, e a come siamo finiti oggi, meticolosamente attenti a non comprometterci con chi risulterebbe non politicamente, democraticamente, corretto, ti viene il magone. Ha vinto il né-né nato tra Sarajevo e Porto Alegre, i celebrati Forum Sociali che schizzavano Hugo Chavez. E dato che passi ha il significato sia di lasciapassare che di passo al plurale, ecco che il passi di questa conferenza potrebbe anche alludere ai passi fatti in questi anni. Tanti, perlopiù sul posto.

Irlanda, una storia contro

Non so, nell’Europa di Bruxelles (sede UE e, dunque, Nato), quale altro paese avrebbe ospitato, con concorso di parlamentari, ministri e autorità dell’intelletto, un incontro come questo, vigorosamente contro le potenze dell’imperialismo, compresa quella accanto all’Isola di Smeraldo, contro la loro dependance militare (non solo) UE, contro l’enorme menzognificio con il quale queste forze della guerra e del dominio intossicano l’universo mondo. Trecento delegati di oltre 35 paesi, dai più diversi angoli del mondo, e abbiamo battezzato l’impresa proprio nel segno della rivoluzione irlandese (ahinoi non compiuta, con il Nord tuttora ostaggio del colonialismo), in presidio davanti al General Post Office, dove il patriota Tom Wolfe e il marxista James Connolly, nel 1916, accesero la miccia della liberazione. Oggi davanti a questo monumento della libertà, al posto della statua dell’ammiraglio Nelson, eretta dai britannici e fatta saltare dall’IRA, si erge e penetra nel cielo un’infinita cuspide d’acciaio, una specie di balzo della volontà  verso l’impossibile…

Sussurri e grida

Al netto degli inevitabili, sempre generosissimi, tipi un po’ particolari, logorati dall’impegno di decenni per la Causa, vano ma irriducibile, degli immancabili lanciatori di slogan desueti e di rabbiosissima foga retorica, a spese di dati e contenuti, la conferenza ha registrato interessanti contributi, inedita informazione, promettenti punti tematici da sviluppare tutti insieme. Molteplici le partecipazioni di peso, individuali e di organizzazioni. Ne cito quelle che mi sono sembrate le più significative: Consiglio Mondiale della Pace, Alleanza per la pace e la neutralità (Irlanda), Coalizione contro le basi militari Usa all’estero (USA), Codepink (USA), Congresso Canadese per la Pace, International Action Center (USA), Okinawa Peace Action Center (Giappone), Veterani per la Pace (USA), Comitato per la Pace (Turchia), Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza (Palestina), WILFT, Lega Internazionale delle Donne per la Pace e la Libertà, oltre a decine di altre realtà. Dell’impegnativa ed eccellente organizzazione va dato merito a Bahman Azad, iraniano, rappresentante del Consiglio Mondiale della Pace presso l’ONU, sobbarcatosi con esili forze in una’impresa che, con tutti i chiaroscuri, resterà incisa nella storia dei movimenti contro la guerra.

Della trentina di interventi programmati, trascurando quelli, spesso anche più stimolanti, dalla platea nelle sessioni plenarie per domande e risposte, cerco di trarre i contenuti più significativi e condivisi. I nostri ospiti, parlamentari e militanti irlandesi come Roger Cole, coordinatore dell’Alleanza per la Pace e la Neutralità, e la giovanissima deputata Clare Daly, esponenti di un popolo che ha alle spalle una resistenza di 300 anni, ancora non vittoriosa per sei delle sue contee, con una misura di sofferenze e atrocità delle peggiori inflitte al mondo dal colonialismo-imperialismo anglosassone, hanno saputo trasmettere un’idea e un sentimento di lotta che non cede al tempo e alle sconfitte. L’apertura degli interventi è stata di Aleida Guevara. La figlia del Che ha riproposto un messaggio antimperialista e internazionalista di una Cuba che a molti, oggi, sembra più iconica che attuale. Gli irlandesi hanno insistito sull’occupazione colonialista del Nord e su quella imperialista di Shannon, fuoco delle loro lotte, aeroporto diventato negli anni un’enorme base di transito Usa, dalla quale passano le migliaia di soldati e i rifornimenti per le truppe di stanza in Europa.

Mi sono parsi di particolare significato gli interventi del greco Tsavaridis, impegnato sul meccanismo della UE quale strumento economico-giuridico di promozione della Nato che oggi, in una Grecia resa inoffensiva dalla Troika, vanta più basi Nato e israeliane in rapporto agli abitanti di qualunque altro paese; quelli dei vari relatori latinoamericani, tutti concordi nel denunciare la controffensiva continentale delle presidenze Obama e Trump all’avanzata dei movimenti e Stati emancipatori. Controffensiva reazionaria attuata tramite strangolamenti economici, colpi di Stato, minacce d’invasione e la massiccia penetrazione delle Chiese evangeliche, missionari del colonialismo come lo furono quelli cattolici nei secoli passati. Non poteva essere trascurata Guantanamo, da 115 anni base Usa e carcere della tortura per presunti terroristi nel corpo vivo di Cuba. Da lì, come dalla Colombia delle 7 basi Usa nei confronti del Venezuela, molti temono possa presto partire un’invasione.

Mal d’Africa

A partire da un rappresentante del Congo, gli africani hanno illustrato il ruolo di AFRICOM, il nuovo comando Usa che vanta sue presenze militari in ben 52 paesi sui 53 del continente. Rivelatrice l’informazione dataci sul genocidio del Ruanda negli anni ‘90, passatoci come eliminazione dell’aristocrazia Tutsi per mano degli Hutu, quando la verità dell’operazione, istigata dagli Usa, ci dice il contrario. I Tutsi hanno poi invaso il Congo dando vita a una delle più lunghe e spaventose guerre “civili” del continente, mirate a tenere il paese in ginocchio a vantaggio delle multinazionali dei minerali, in ispecie del Coltan, grazie al quale l’industria elettronica statunitense si è garantita ricchezze e dominio senza precedenti.

Curiosamente il sudafricano Matlhako, apprezzando come positiva la riconciliazione tra Etiopia, paese infestato da basi Usa e israeliane, ed Eritrea, fino a ieri unico paese del continente senza presidi militari stranieri, ha trascurato la recente installazione ad Assab, città portuale eritrea, di una grande base degli Emirati Arabi dalla quale parte l’aggressione allo Yemen, rendendo un paese, già avamposto dell’antimperialismo, complice del genocidio yemenita di Usa-UK-Francia-Arabia Saudita-UAE. 

Del resto, uno si sarebbe aspettato qualcosa di più anche sull’incandescente focolaio di tensioni e appetiti che è l’intera regione del Corno d’Africa, con al centro, sullo stretto di Bab el Mandeb, dal quale passano 25mila navi all’anno e il 40% del petrolio mondiale, le basi militari di sette paesi, compresa l’Italia, addensate nel minuscolo Gibuti. La Somalia in rivolta dei Shabaab contro il regime fantoccio di Formajo, malamente garantito dalle forze mercenarie dell’Unisom e dai bombardamenti, essenzialmente sui civili, degli Usa; l’operazione Ocean Shields che, col pretesto della lotta ai pirati, assicura alla Nato il controllo delle coste africane e dell’Oceano Indiano, con relativi diritti di pesca ai danni dei locali; e la drammatica questione delle acque del Nilo, disputate tra Etiopia, che ne detiene il rubinetto grazie alle dighe dell’Impregilo, Sudan ed Egitto.

E’ il Corno, dopo la Siria e l’Afghanistan devastati dalle guerre imperiali, l’area che fornisce il maggior numero di migranti diretti in Europa. Fenomeno naturale o gigantesca operazione imperialista, con il concorso delle Ong, mirata a privare il continente più ricco di risorse delle generazioni che dovrebbero costruirlo e garantirne l’autodeterminazione, per far posto alle predazioni multinazionali neoliberiste? Argomento nemmeno sfiorato.

La Libia? Roba passata

Al delegato africano, Marinella Correggia di NO War e del sito “sibialiria”, ha posto la questione, assurdamente trascurata, della guerra e della distruzione della Libia. Nella risposta è stato perlomeno riconosciuto come le menzogne con cui si è giustificata l’aggressione oscuravano la necessità, per i colonialisti, di impedire la valuta unica, fuori dal dollaro e dal CFA francese, programmata da Gheddafi per l’Africa, nonché una guerra condotta tramite mercenari reclutati dal terrorismo jihadista. Pochi accenni. Comunque, alla Libia e a Marinella è andata meglio che alla Siria e a me, come vedremo.

L’armata della Diarchia Merkel-Macron

Visto che la spesa di 6 trilioni di dollari con la quale gli Usa, con i serventi al pezzo Nato, hanno alimentato le guerre bushiane, obamiane e trumpiane, grazie al pretesto dell’11 settembre 2001, e hanno sostenuto un’economia fondata sul complesso militar-industriale, non offre sufficienti margini di profitto agli europei, ecco che l’euro-biarchia Merkel-Macron ha lanciato la proposta di una forza armata tutta europea, separata dalla Nato, ma, dati i rapporti di forza per i prossimi decenni, a essa inevitabilmente subordinata. Il tema è stato affrontato da molti relatori, al punto da diventare centrale per le mobilitazioni programmate, in particolare quella di Ramstein, la più grande base Usa in Germania, per il 2019. Nello stesso anno, il 4 aprile, 70 anni dalla fondazione della Nato, si conta di allestire una grande manifestazione internazionale a Washington, auspicabilmente con ricadute anche nei singoli paesi e al quartiere generale Nato di Bruxelles.

E’ stato notato come si debba con urgenza aprire un altro fronte, quello contro l’abbandono da parte di Washington del trattato INF. Accordo sul bando dei missili nucleari a medio raggio contro i quali a suo tempo ci facemmo rompere le teste dalla polizia quando li cacciammo da Comiso e che Trump vorrebbe installare nuovamente in Europa, come sempre “contro la minaccia russa”, ma anche per ribadire, di fronte alle tentazioni autonomiste di Merkel e Macron, che il dito sul grilletto resta quello a stelle e strisce.

Ho avuto due occasioni per intervenire. L’una, programmata, dal palco, la seconda dalla platea dopo gli interventi sulla Palestina, la terza negata dalla moderatrice afroamericana che non aveva gradito la mia precedente contestazione ai dimentichini relatori sulla Palestina. Avrebbe dovuto occuparsi dell’Africa, della Libia taciuta. Ci ha pensato Marinella.

E l’Italia…Itachè?

Ho titolato questo pezzo “conferenza col buco”. Un buco e alcune voragini, per la verità. Il buco era, nella giusta attenzione al riarmo e all’avanzata del militarismo in Europa, Africa, America Latina, la totale disattenzione al Mediterraneo dove un’Italia, dal ruolo strategico incredibilmente sottovalutato, ospita, per ragioni di colossale portata strategica, un decimo delle circa mille basi Usa sparse sul globo. Il mio tentativo di rimediare, in circa 13 minuti, a questa svista condivisa da tutti, in tutti ha infatti suscitato stupore e interesse all’approfondimento. Nulla sapevano delle quasi 100 basi Usa/Nato, alcune segrete perfino al parlamento, tra Aviano e Sigonella, passando per Ghedi, le 60-90 bombe atomiche B61, Vicenza Dal Molin, Camp Darby, i comandi Usa e alleati di Napoli, la 6. Flotta a Gaeta, la Sardegna martoriata dai poligoni utilizzati per esercitazioni a fuoco e esperimenti  delle industrie di esplosivi di tutti i paesi Nato e Israele. Nulla parevano ricordare di come queste basi fossero state decisive per lo smantellamento della Jugoslavia, la distruzione della Serbia, i bombardamenti di Libia e Siria, la proiezione militare da Sigonella con droni e forze speciali in Africa e Medioriente. Nulla sapevano del MUOS a Niscemi che, con altre tre stazioni satellitari, controlla, coordina e muove la forze Usa in tutto il mondo. E neanche sapevano delle straordinarie lotte condotte, nell’isolamento nazionale quasi totale, dai siciliani, dai sardi e dai vicentini, contro questa manomissione dei loro territori e l’uso che se ne fa per obiettivi di devastazione e morte.

Tanto meno avevano cognizione della filiazione Nato “Stay Behind”, da noi “Gladio”, garante del ruolo sussidiario dell’Italia anche nel suo ruolo di laboratorio del terrorismo e delle relative stragi ogni qual volta la rotta della “portaerei” ancorata nel Mediterraneo minacciava di deviare dal corso assegnato, sia per instabilità interne, sia per sbilanciamenti di governo (vedi Aldo Moro).

Le voragini cognitive, appresso a quelle che hanno inghiottito Russia e Cina, nazioni che pure dovrebbero essere oggettivi e inevitabili referenti della campagna, che si vuole globale,nel contrasto ai guerrafondai e alle basi che questi paesi accerchiano, riguardano la cronica e apparentemente insuperabile questione dei diritti umani e della democrazia nella formulazione con la quale ce li vendono coloro che ne sono i massimi violatori e che è tragicamente condivisa da una sinistra pacifista tale solo nelle intenzioni. Immaginiamo una cittadella medievale. In alto la fortezza cui spetta ospitare i difensori della comunità, tutt’intorno le case dei cittadini. Arriva l’esercito nemico e attacca la fortezza che custodisce le ricchezze della comunità. I difensori si affannano a creare ostacoli all’avanzata nemica, trincee e fossi davanti alle mura, spingarde e olio bollente sugli spalti, ponti levatoi sollevati, porte rinforzate. Chiedono agli abitanti delle case di accorrere in aiuto, per propria difesa e per rafforzare la resistenza. Ma questi indugiano, restano alle loro finestre, da dove lanciano rimproveri, riprovazioni, deplorazioni, reprimende, fin anatemi contro l’esercito attaccante. Cui non gliene cale per nulla. E le porte della fortezza stanno per cedere.

Siria, non aprite quella porta

Sessione sul Medioriente che finisce con l’essere sessione sulla sola Palestina. Dopo una serie di lunghi interventi sulla tragedia palestinese, iniziati con il “focolare ebreo” di Balfour in Palestina e arrivati agli accordi  fasulli di Oslo e stragi e sevizie odierne, tema ormai del tutto sdoganato in tutti i settori e, dunque, per quanto da sostenere sempre, universalmente condiviso, se si prescinde dallo “Stato degli ebrei” e relativa lobby, ho potuto chiedere ai relatori, un irlandese, Medea Benjamin di Codepink, una parlamentare del Knesset e un emigrato palestinese, cosa ci potessero dire della guerra alla Siria, all’Iraq, delle minacce di guerra all’Iran. Alla domanda è seguito uno sparuto applauso. La risposta si è dipanata tra espressioni di pietra, attimi di sospensione e imbarazzo, con i due palestinesi che si guardavano tra loro con aria interrogativa , la già effervescente Medea della fervida solidarietà agli oppressi palestinesi (ma anche reduce da cantonate su Aleppo ed Elmetti Bianchi) come rintanata in se stessa. Finalmente l’irlandese acciuffa il silenzio per la coda e prorompe in un inno ai diritti umani, alla democrazia, alla società civile, con sonoro sottinteso che di tali valori non è certamente portatore il presidente siriano Assad e, per la proprietà transitiva, neanche Milosevic, Chavez, Saddam e Gheddafi: “Noi stiamo con i movimenti di massa, non con leader autoritari”…conclude a petto in fuori, trascurando che alle ultime elezioni, accreditate corrette dagli osservatori Onu, l’80% dei siriani aveva votato per Bashar el Assad. Inezie.

Ormai privato del microfono, gli grido “Gli israeliani, di cui denunciavi le atrocità su Gaza, bombardano pure la Siria un giorno sì e l’altro pure e Nato/Usa ne occupano un terzo! Perché non ne parli? Non è Medioriente? Non è guerra imperialista?”. L’espressione dell’irlandese è implicita nel colorito carminio e nello sguardo a dardi: “Sciò, via, come ti permetti?”. Ma sul palco già si parla d’altro, mentre nell’aria aleggia il ricordo di una vecchia sciagura: “Ne con la Nato, né con Milosevic”. E s’è visto come è andata.

Egemonia e paralisi

Più tardi l’iraniano del Consiglio Mondiale della Pace, l’ottimo Bahman,  e il greco Hiraklis mi offrono comprensione e sofferte attenuanti: “Se si apre quella porta, succede il finimondo e l’unità va in pezzi”. L’egemonia ce l’hanno ancora i né-né e il rischio di mandare tutto, quel poco che c’è,  in frantumi la rafforza. Una combattente di antica data contro le guerre, Gina Nellatempo, ha lamentato in un suo scritto la dissoluzione di ogni vera, forte, mobilitazione contro la guerra. Tra le cause  che ha dimenticato di elencare credo sia prominente la nostra incapacità di sostituire, a quella del né-né, l’egemonia dello schieramento, chiara e inequivocabile, dalla parte dell’aggredito, chiunque esso sia, non pretendendo, una po’ razzisticamente, di imporre moduli di società da noi pretesi superiori. Il carnefice essendo sempre quello. Il peggiore di tutti. Aleida Guevara ha avuto l’astuta improntitudine di chiedere alla platea chi avesse meno di trent’anni. Si levarono quattro mani. I detentori di quelle mani vennero da Marinella e me, nell’intervallo, a dirci che su Siria e Libia stavano con noi e che sorvolare su Siria, Libia e altri paesi, prima ancora che di opportunismo, di ottusità eurocentrica e perciò inconsapevolmente colonialista, è segno di nebbia morale.

Il comunicato finale della Conferenza dice tra l’altro: “Consideriamo che le circa 1000 basi USA/NATO dislocate nel mondo e che costituiscono i pilastri del dominio imperialista globale di Usa, Nato e UE e la principale minaccia alla pace e all’umanità, debbano essere tutte chiuse. Le basi Nato sono l’espressione militare degli interventi nelle vite di paesi sovrani, al servizio degli interessi finanziari, politici ed economici dominanti e in chiara violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite”.

E’ stata una buona conferenza, a dispetto di certi “buchi”. La voce contro la macchina di distruzione e morte è stata levata forte e chiarissima. Le scadenze future dovrebbero vederci crescere. Ed è stato per molti di noi un vero e proprio sollievo, dopo tanto agitar di femminismo, populismo, razzismo, xenofobia, LGBTQ, patriarcato, violenza maschile, diritti umani, matrimoni e adozioni gay e altri depistaggi, muoverci in un vento che portava parole antiche e giovani come non mai: imperialismo, basi, Nato, militarismo, resistenza, lotta, crimini di guerra, multinazionali, capitalismo, sovranità, internazionalismo, popoli, élites, plutocrazia, ricchi e poveri, dominanti e dominati. Perfino rivoluzione.

Da Marinella Correggia

1) intervento di Fulvio sulle basi militari, 

2) la delegazione del Comitato No guerra No Nato ha proiettato il video sempre sulle basi militari e sul ruolo vergognoso dell’Italia a codazzo Usa, ed è intervenuta in plenaria

3) la Wilfp con Giovanna Pagani ha insistito nella riunione fra gli europei sulla necessità di coinvolgere gli ambientalisti stabilendo il netto ecopax (e sono d’accordissimo dal…1991, soprattutto quanto alla faccenda clima e guerre) 

4) Presente in rappresentanza del Comitato contro la guerra di Milano, Giampiero Tartabini  ha lanciato a titolo personale l’idea che, come a Okinawa, la presenza delle basi sia sottoposta a referendum

5) Giovanna Vitrano che ora vive a Dublino ma ha lavorato con i No Muos ha parlato appunto della lotta in Sicilia e anche dei vari arresti e vessazioni che ha subito

6) la sottoscritta ha ricordato brevemente (fingendo di fare una domanda… era il momento delle questions&answers, non ce n’erano altri!) il punto di svolta della guerra Nato alla Libia, e durante i sette mesi di  bombe il silenzio del movimento per la pace (compresi credo la grande maggioranza dei 300 presenti, salvo negli Usa) e il ruolo egregio dei paesi dell’Alba, un vero riferimento. 

Questo solo sulla presenza italiana

Ovviamente chi era presente potrà dire meglio di me

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 00:19

SFORATO, L’EUROPA VUOLE PUNIRE SALVINI”

https://www.lastampa.it/2018/11/22/economia/marine-le-pen-per-anni-parigi-ha-sforato-leuropa-vuole-punire-salvini-ET29rykgvMz8qO6jZAN6qJ/premium.html?fbclid=IwAR2zLV-D9HxcpshvGedb1xMApOxQjMv6lZr7oAnAyr6lPjOdt1mVkQ_Z4mo

Leonardo Martinelli

PARIGI
| 22 Novembre 2018
  
La presidente di Raggruppamento nazionale difende il progetto giallo-verde: “Se rilanceranno l’economia cancellando le politiche di austerity, sarà la sconfitta di Bruxelles”
 

INTERVISTA

Marine Le Pen non ci sta. La bocciatura del budget italiano da parte di Bruxelles, un affronto al suo amico Matteo Salvini, non le va giù. «Non è una decisione di tipo economico ma solo politica: per questo mi fa ancora più rabbia». Parla a ruota libera nel suo ufficio dell’Assemblea nazionale.    Perché politica? L’Italia non rispetta i parametri di Maastricht, tutto qui…   «La Francia per anni ha superato per il deficit pubblico il 3% del Pil, mentre l’Italia restava sotto. Il nostro debito..continua

Manovra, la procedura di infrazione Ue nasce dall’eccesso di debito lasciato in eredità da Padoan

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/22/manovra-dietro-la-procedura-di-infrazione-ce-leccesso-di-debito-lasciato-in-eredita-da-padoan/4783299/?fbclid=IwAR3BPLWjsMGl6O9x8FjsbXCDrlR5WF3Iuu_8oXlTPwfvRPk8VfaSEN5-yIQ

Manovra, la procedura di infrazione Ue nasce dall’eccesso di debito lasciato in eredità da Padoan

La “grave inosservanza” della legge di Bilancio per quanto riguarda il deficit ha fatto sì che Bruxelles riaprisse il giudizio sul 2017, sospeso lo scorso 23 maggio. Quando la Commissione aveva avvertito della necessità di una correzione di oltre 5 miliardi già nel 2018 e di più di 10 per il 2019. Ora non sono più ritenute valide le scusanti riconosciute al governo Gentiloni

La procedura di infrazione a cui l’Italia va incontro nei prossimi mesi scatterà perché la manovra per il 2019 firmata da Giovanni Tria viola in modo “particolarmente grave” le raccomandazioni europee sulla riduzione del disavanzo strutturale. Cioè la differenza tra le spese e le entrate dello Stato al netto dei fattori eccezionali. Ma, a ben guardare, questa inosservanza è solo il presupposto in base al quale Bruxelles ha alzato il cartellino giallo per una violazione del passato: il mancato rispetto del criterio del debito nel 2017. Nel mirino c’è dunque l’eredità del precedente titolare del Tesoro, Pier Carlo Padoan, che andandosene da via XX Settembre ha lasciato un debito/pil al 131,2% e un “conto” da oltre 10 miliardi. La Commissione all’epoca aveva deciso di soprassedere: Roma stava portando avanti riforme in grado di migliorare la sostenibilità dei conti e aveva ottenuto flessibilità per eventi eccezionali, dal terremoto alla crisi dei rifugiati. Ora però, davanti alla scelta del governo gialloverde di presentare una finanziaria dichiaratamente non in linea con il Patto di stabilità, il giudizio è stato riaperto e il verdetto dei commissari (l’ultima parola spetta all’Ecofin) è stato di condanna. 

A fine maggio la promozione con riserva – E’ lo stesso esecutivo comunitario a ricostruire tutte le tappe in maniera dettagliata nel rapporto pubblicato mercoledì. La premessa è che dopo l’uscita dalla precedente procedura per disavanzi eccessivi, nel 2013, l’Italia è stata graziata per tre anni dal rispetto del criterio del debito che impone, al netto di sconti legati a un ciclo economico negativo, di ridurre di un ventesimo all’anno la quota eccedente il 60% del pil. Il parametro è diventato applicabile nel 2016 e già quell’anno (governo Renzi) è stato registrato uno scostamento pari al 5,2% del pil. Che nel 2017 (Gentiloni) è salito al 6,6 per cento.
Il 23 maggio 2018, presentando il “pacchetto di primavera”, la Commissione ha rilevato che a prima vista l’Italia risultava “non conforme con il parametro per la riduzione del debito nel 2016 e nel 2017″. Quel giorno, una settimana prima dell’insediamento del governo Conte, Bruxelles spiegò che la relazione preparata ad hoc portava a concludere che il criterio dovesse “considerarsi soddisfatto tenuto conto di “tutti i fattori significativi e, in particolare, il rispetto da parte dell’Italia del braccio preventivo del patto”.

L’eredità di Padoan: buco da 5 miliardi nel 2018 e 10 miliardi nel 2019 – Tuttavia sottolineò anche che lo sforzo sui conti pubblici previsto dall’ultima manovra di Gentiloni e Padoan era “inadeguato”, che già nel 2018 era necessario “uno sforzo strutturale di bilancio pari almeno allo 0,3% del pil” e per il 2019 era richiesta una correzione pari allo 0,6% del pil, oltre 10 miliardi. Il giudizio definitivo fu rinviato. “In Italia è in corso il processo di formazione del governo, parleremo con il nuovo governo al momento giusto”, spiegò il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici.

“Marcia indietro sulle riforme e aumento del disavanzo: riapriamo il giudizio” – Da maggio a oggi, però, il quadro è cambiato: “L’inosservanza particolarmente grave rilevata dalla Commissione della raccomandazione indirizzata all’Italia dal Consiglio il 13 luglio 2018”, riassume il rapporto, “rappresenta una modifica sostanziale dei fattori significativianalizzati il 23 maggio 2018, che impone un riesame del giudizio della Commissione”. Tra i fattori significativi di cui Bruxelles tiene conto nel preparare le sue pagelle ci sono infatti l’impegno a raggiungere “l’obiettivo di medio termine” (cioè a ridurre il deficit strutturale), le sempreverdi “riforme strutturali” che aumentano la sostenibilità del debito e le eventuali “condizioni macroeconomiche sfavorevoli”, in particolare la bassa inflazione, che possono ostacolare la riduzione del debito/pil e rendere particolarmente difficile il rispetto del patto di stabilità. Su tutti e tre i fronti l’Italia, agli occhi di Bruxelles, non ha scuse. Le condizioni macroeconomiche, vista la “crescita del pil nominale superiore al 2% dal 2016″, non sono più una attenuante. La legge di Bilancio “fa marcia indietro rispetto alle riforme strutturali attuate in passato, rischia di scoraggiare il rispetto degli obblighi fiscaliaumenta la pressione fiscale sulle imprese a livello aggregato e potrebbe ridurre l’offerta di credito a causa di condizioni di finanziamento più sfavorevoli per le banche dovute ai maggiori rendimenti del debito sovrano”.

Infine, per quanto riguarda il 2018 l’aggiustamento di bilancio risulta “non adeguato” visto che il nuovo governo non ha fatto la manovra correttiva dello 0,3% ritenuta necessaria sei mesi fa per rimediare al buco lasciato da Padoan. E per il 2019 come è noto è stata rilevata una “inosservanza particolarmente grave” visto che la manovra, oltre a non contenere misure “efficaci per affrontare né la fiacca crescita potenziale dell’Italia, né la persistente stagnazione della produttività, “prevede un deterioramento del saldo strutturale (ricalcolato) dell’Italia pari allo 0,9 % del pil”. Conclusione che resterebbe invariata anche se “si sottraesse l’incidenza sul bilancio (circa 0,2% del pil) del programma di manutenzione straordinaria della rete viaria e di collegamenti successivo al crollo del ponte Morandi di Genova e di un piano di prevenzione volto a limitare i rischi idrogeologici a seguito di condizioni meteorologiche avverse”.

La procedura per la violazione sul 2017 e gli altri rischi – Per tutti questi motivi il giudizio finale sul rispetto del criterio del debito nel 2017 viene rivisto e la Commissione ora raccomanda una procedura per disavanzo eccessivo. Aggiungendo peraltro che si tratta solo del primo passo perché “sulla base sia dei piani del governo che delle previsioni d’autunno 2018, è da prevedere che l’Italia non riuscirà a rispettare il parametro di riferimento per la riduzione del debito né nel 2018 (scostamento rispettivamente del 3,7% del pil) né nel 2019 (scostamento rispettivamente del 3,6% del pil)”.

TALK SHOW DE LUC MICHEL AVEC MANU DIBANGO ET ROLAND LUMUMBA: CULTURE ET NEOPANAFRICANISME

 

* Voir sur AFRIQUE MEDIA WEBTV/

TALK SHOW DE LUC MICHEL AVEC MANU DIBANGO ET ROLAND LUMUMBA: CULTURE ET NEOPANAFRICANISME

Sur https://vimeo.com/302127454

WAMTV - Talk-show lm+di bango+lumumba (2018 11 21) FR

Tourné à Malabo II-Sipopo (Guinée Equatoriale) le 21 août 2018, à l’occasion de la remise du Prix 2017 du « MERITE PANAFRICAIN DES PREMIERES DAMES » au Palais des Congrès de Sipopo :

Le grand Manu Dibango, artiste et musicien, star internationale et panafricaniste, et Roland Lumumba, fils du martyr congolais, architecte et panafricaniste lui aussi, discutent à bâtons rompus avec Luc MICHEL : culture, médias, panafricanisme … _______________

# WebTV AFRIQUE MEDIA

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(Plus de 125.000 membres ! Administré par les COMITES AFRIQUE MEDIA et Luc Michel) sur https://www.facebook.com/groups/afrique.media.groupe.officiel/

PS :

la video libre de droits (copyright Luc Michel) est téléchargeable en HD sur https://vimeo.com/302127454 pour rediffusion

L’EXTREME-DROITE FRANCAISE AMERICANISEE SALUE L’EXTREME-DROITE BRÉSILIENNE MADE IN USA !

EW - Fn bolsonaro (2018 11 22) FR

Les puissants lobbies néo-conservateurs américains, dont la famille milliardaire des Mercer (les financiers de Breitbart ou de Cambridge Analitics), tentent une OPA sur les extrême !droites européennes et latino-américaines. On dit que le spindoctor Bannon a fait élire le brésilien Bolsonaro. On les retrouve derrière le Brexit (Farrage leader de l’UKIP est aussi un employé de la TV neocon ‘Fox News’, la télévision préférée de Trump). Après la prestation de Bannon au Congrès du FN (devenu RN, on change le nom, l’odeur reste la même), c’est Marion Maréchal qui est devenue le choix de ces réseaux neocons.

L’extrême-droite française se dit « patriote » ou « nationaliste », mais son modèle est précisément ces néo-conservateurs yankee qui veulent « faire du XXIe siècle un nouveau siècle américain ». Ils sont, comme en 1940-44, le parti de l’étranger, de l’occupant … Et dire que des africains, en France, soutiennent cette imposture !

* Voir aussi sur PCN-TV/

BRICS : BOLSONARO ELU AU BRESIL, BRICS PARALYSE EN AFRIQUE ? (PRESSTV)

Sur https://vimeo.com/299179326

LM

* Marine Le Pen salue Bolsonaro, président brésilien élu avec le soutien discret de Trump et de Netanyahu :

caricature d’Aurel dans ‘Politis’ (Paris) …

* Venez liker la page officielle du Réseau Europäischer Widerstand https://www.facebook.com/europaischer.widerstand/

EUROPÄISCHER WIDERSTAND

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Website-Archives 1997-2007

http://resistanceeuropeenne.online.fr/

11e SOMMET EXTRAORDINAIRE DE L’UA À ADDIS-ABEBA (II). L’ECHEC PROGRAMME DE KAGAME ET DES LIBERAUX

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Flash Vidéo Géopolitique/ Geopolitical Flash Video/

2018 11 20/
vignette LMaddis II

Le Flash Vidéo du jour …

Le géopoliticien Luc MICHEL dans le ZOOM AFRIQUE de ce 19 novembre 2018

sur PRESS TV (Iran)

J’ai analysé l’important (parce qu’il va engager l’avenir de l’UA) 11e Sommet extraordinaire de l’Union Africaine à Addis-Abeba ces 17-18 novembre 2018, dans deux analyses de fond. Dans cette seconde analyse, réalisée après la clôture  du Sommet, ce 19 novembre, j’explique le dessous des cartes réels et les implications véritables, à court et long terme, des décisions adoptées au Sommet.

Sources :

* La Video sur

PANAFRICOM-TV/ LUC MICHEL:

11e SOMMET EXTRAORDINAIRE DE L’UA À ADDIS-ABEBA (II).

L’ECHEC PROGRAMME DU PRESIDENT KAGAME ET DES LIBERAUX. OU EST LE PROJET DE KADHAFI ?

(ZOOM AFRIQUE DE PRESS TV CE 19 NOVEMBRE)

sur https://vimeo.com/301713113

* Que reste-t-il du projet panafricain de Kadhafi, qui présidait à la fondation de l’Union Africaine à Syrte le 9 septembre 1999 ?

Le géopoliticien Luc MICHEL, interrogé par la Télévision d’Etat iranienne francophone PRESS TV, analyse les résultats de ce Sommet d’Addis-Abeba. Et annonce et explique l’échec programmé du plan de réforme du président de l’UA Kagamé à quelques semaines de la fin de son mandat (un projet décalqué des institution de l’Union Européenne, en profonde crise) …

* Analyse suivie de celle de la rédaction de PRESS TV (dans le ZOOM AFRIQUE du 18 nov) : « Union africaine : Kagamé a-t-il raté son coup ? »

ALLER PLUS LOIN :

« UN PROCESSUS LANCÉ, DONT IL N’EST PAS SÛR QUE LE PROCHAIN PRÉSIDENT DE L’UA, À PARTIR DE FÉVRIER, L’ÉGYPTIEN AL-SISSI AIT TRÈS ENVIE DE LUI FACILITER LA ROUTE » (RFI)

« Nous avons un régime de sanctions qui n’a pas marché. Les contributions sont seulement à 50% … »

– Moussa Faki Mahamat, le président de la Commission.

Les dirigeants du continent se sont mis d’accord dimanche à Addis-Abeba pour réformer l’Union africaine. Ils étaient réunis depuis samedi dans la capitale éthiopienne. Vingt-deux chefs d’État et de gouvernement avaient fait le déplacement en personne. Cette refonte est censée rendre l’institution plus efficace, par exemple en se partageant mieux le travail entre l’UA, les organisations régionales et les États. L’exécutif va aussi être revu : la Commission de l’UA va passer de 10 à 8 membres. Elle a vocation à devenir plus indépendante.

Le but de la réforme est de lui donner plus de poids politique face aux États. Notamment pour faire appliquer les décisions que les dirigeants eux-mêmes adoptent. Une source de l’UA avance le chiffre de seulement 10% de décisions mises en oeuvre.

Les candidats au poste suprême de l’exécutif UA passeront par un processus digne du secteur privé : CV en ligne, profession de foi, débat télévisé et grand oral face aux dirigeants. L’idée est de sélectionner des politiques et techniciens compétents davantage que de simples politiques bénéficiant d’arrangement entre États.

D’ici le sommet de juin prochain à Niamey, au Niger, l’actuelle équipe autour de Moussa Faki Mahamat doit plancher sur une nouvelle organisation interne : qui fait quoi et combien cela coûte aussi. Car l’institution continentale cherche également à moins et mieux dépenser. Le nombre de commissaires va passer de 10 à 8. Parmi les autres points adoptés, le renforcement des sanctions contre les États mauvais payeurs. Elles pourront désormais aller de l’interdiction de parole à l’exclusion complète du pays des instances de l’Union africaine. La réforme doit s’appliquer de manière progressive. Les sanctions financières sont en vigueur dès maintenant. La réforme de la Commission concernera la prochaine équipe qui sera élue en janvier 2021.

 « C’est la première fois qu’un sommet de chefs d’État se réunit pour parler des réformes. » C’est ce qu’affirme le Camerounais Pierre Moukoko Mbonjo, le « Monsieur réformes » de l’UA. Mais des questions ont été laissées de côté : le nouveau barème des contributions justement. Repoussé à février.

Le président de l’Union en 2018, Kagamé, a fait face, selon lui, aux blocages de certains pays d’Afrique Australe et d’Afrique du Nord. « C’est un processus », répond Pierre Moukoko Mbonjo. Un processus lancé, dont il n’est pas sûr que le prochain président de l’UA, à partir de février, l’Égyptien Al-Sissi ait très envie de lui faciliter la route.

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

(Flash Vidéo Géopolitique/

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11e SOMMET EXTRAORDINAIRE DE L’UA À ADDIS-ABEBA (I). LES ENJEUX DU SOMMET ET L’AVENIR DU PANAFRICANISME

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Flash Vidéo Géopolitique/ Geopolitical Flash Video/

2018 11 19/
vignette LMaddis I

Le Flash Vidéo du jour …

Le géopoliticien Luc MICHEL dans LE MERITE PANAFRICAIN de ce 17 novembre 2018

sur AFRIQUE MEDIA :

J’ai analysé l’important (parce qu’il va engager l’avenir de l’UA) 11e Sommet extraordinaire de l’Union Africaine à Addis-Abeba ces 17-18 novembre 2018, dans deux analyses de fond. Dans cette première analyse, réalisée en direct du Sommet de 17 novembre au soir, j’envisage de façon critique les projets des dirigeants pro-occidentaux actuels de l’UA – le rwandais Kagamé et les libéraux, botamment ceux du NEPAD -, inspirés de l’UE de Bruxelles …

Sources :

* La Video sur

PANAFRICOM-TV/ LUC MICHEL:

11e SOMMET EXTRAORDINAIRE DE L’UA À ADDIS-ABEBA (I).

LA REFORME DE L’UNION AFRICAINE. LES ENJEUX DU SOMMET ET L’AVENIR DU PANAFRICANISME

(LE MERITE PANAFRICAIN, SUR AFRIQUE MEDIA CE 17 NOVEMBRE)

sur https://vimeo.com/301709697

* Ou va le Panafricanisme ?

Interrogé par le journaliste camerounais Guy Nfondop pour AFRIQUE MEDIA, en direct du Sommet d’Addis-Abeba, j’analyse les enjeux de celui-ci. Et notamment la réforme de l’Union Africaine …

# ALLER PLUS LOIN :

« SOMMET DE L’UA À ADDIS-ABEBA: DES RÉFORMES, SANS RÉVOLUTION ATTENDUE » (AFP)

Le 11e sommet extraordinaire des chefs d’Etat et de gouvernement de l’Union africaine se termine ce dimanche à Addis-Abeba, sans grand changement attendu. Selon nos informations, les dirigeants du continent ont bien adopté certaines des propositions de l’équipe constituée depuis deux ans et demi autour du président rwandais Paul Kagame et de celui de la Commission de l’UA, le Tchadien Moussa Faki Mahamat. Des propositions qui visent notamment à rendre la Commission plus efficace et indépendante. En contrepartie, elle sera davantage contrôlée par les États membres. C’est l’inverse des projets de Kagamé. Selon l’UA, 22 dirigeants ont fait le déplacement dans la capitale éthiopienne, soit moins de la moitié des pays membres. Un certain nombre d’États pivots ne sont pas représentés au plus haut niveau, comme l’Égypte et le Nigeria. Une autre source au sein de l’UA le regrette.

Car, si les chefs d’État présents ont validé les propositions, quid de leur application effective ? « Ils ne disent jamais “non” mais après ils ne mettent pas en oeuvre », critique ce cadre.

« Non », pourtant il semble bien que certains représentants aient donné cette réponse à plusieurs pistes du duo Faki/Kagame. Le président de la Commission ne choisira pas ses commissaires ; la non-application des décisions de l’UA ne sera pas sanctionnable. Le président en exercice de l’institution a été confronté à une « hostilité sourde » disent en choeur deux sources bien informées. L’Afrique Australe veut garder la Commission sous contrôle et l’Afrique du Nord est réticente à voir sa souveraineté diluée dans une nouvelle répartition du travail entre UA, organisations régionales et États

Au moment où l’Union africaine tente tant bien que mal de se réformer, l’organisation continentale a fait un pas en avant sur son financement propre. Le fonds de la paix existe depuis 1993 mais n’avait jamais été abondé par les Etats membres. Depuis un an le mouvement est lancé, sous l’impulsion notamment du Dr Donald Kaberuka, ancien président de la Banque africaine de développement. Le fonds compte désormais 60 millions de dollars. Ce qui est très peu par rapport aux besoins de l’UA …

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

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LA COORDINATRICE UE CON LE MADAMIN AL CANTIERE DELLA TAV: “PRONTI AD ALZARE IL CONTRIBUTO”

  
Pubblicato il 21/11/2018
MAURIZIO TROPEANO
INVIATO A SAINT MARTIN LA PORTE
 La nuova coordinatrice Ue del Corridoio Mediterraneo Iveta Radicova scopre per la prima volta il cantiere della Torino-Lione che si sta scavando in Francia. Con lei ci sono anche le sette madamin che hanno portato in piazza a Torino almeno 40 mila persone. Camminano insieme nella galleria dove verranno posato i binari della Tav e la Radicova lancia due messaggi. 

Il primo è che un eventuale stop all’opera avrebbe un «costo significativo». Il secondo: l’Ue è pronta a portare dal 40 al 50 per cento il contributo per la costruzione dei cinque tunnel alpini internazionali. Per Italia e Francia si tratterebbe di uno «sconto» di mezzo miliardo di euro. Certo Bruxelles, che ha dato tempo al governo gialloverde, adesso prova a stringere Roma e Radicova spiega che le scelte sul Tav devono essere fatte «insieme da Italia, Francia e Ue» e che la tempistica è chiara: i bandi di casa degli appalti devono essere lanciato entro dicembre. 

Ad oggi non sono stati ancora definiti i costi di un eventuale stop dell’opera ma dal punto di vista della coordinatrice si devono tenere in considerazione anche le spese per ripristinare i buchi della montagna. Per le sette Madamin la visita del cantiere – sono state invitate da Telt – rafforza la loro determinazione «ad andare avanti perché un pezzo della linea è già stato scavato e sarebbe folle buttare al vento questa opportunità oltre a rappresentare uno spreco». 

Interessante questo commenti di Corrado di Torino sul sito della  Stampa

Ci sono tantissime persone torinesi e non (non solo 5 Stelle !!!) che considerano la tav in Valle Susa (non tutte le tav …questa tav  !!!) un’opera pubblica obsoleta, costosissima (Chi paga i miliardi del tratto italiano ??? Noi !!!) ,devastante a livello ambientale ed oltretutto ormai sostanzialmente inutile perche’ concepita in base ad analisi costi-benefici  sulle dinamiche del trasporto merci fatte nel secolo scorso ed ormai completamente superate …

In ogni caso ,si tratta di qualcosa che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere disponibilie non prima di  una ventina d’anni, mentre Torino ha bisogno da subito di investimenti sul trasporto ferroviario locale da e per la nostra Citta’ e della realizzazione di una seconda linea della metropolitana, oltre che di una maggiore attenzione alle esigenze concrete dei singoli quartieri, in particolare di quelli periferici per cui i soldi sembrano non esserci mai …

Meno barattoli della marmellata in cui i politici possano attingere a piene mani e piu’ attenzione ai bisogni reali della Gente !!!

L’italia sta letteralmente cadendo a pezzi, ed incredibilmente i nostalgici del Si Tav ancora tentano di riproporre quello che appare ormai come un autentico Dinosauro, cercando di riportate indietro le lancette della Storia con l’ennesimo spreco di denaro pubblico …

Sveglia , ragazzi, non facciamoci piu’ incantare da questi addomesticatori di serpenti !!!

l’8 dicembre, tutti in Piazza contro la Tav !!!