I potentati finanziari designano Gentiloni per proseguire l’opera di spoliazione ed invasione dell’Italia

Nonostante il chiaro ed inequivocabile pronunciamento della grande maggioranza dei cittadini italiani a favore del NO, nel referendum sulla riforma costituzionale voluta dal Governo Renzi/Boschi/Gentiloni, il Presidente Mattarella ha dato incarico ad una controfigura di Renzi, del fronte del SI, per formare un nuovo governo che prosegua le stesse politiche di spoliazione ed invasione dell’Italia.

Un governo senza scadenza, dichiarano, indifferenti a qualsiasi problema di consenso e rappresentanza sostanziale da parte dei cittadini.Gentiloni con la Clinton
Un gioco molto pericoloso quello della classe politica al Governo che ancora una volta, nonostante sia priva di qualsiasi legittimità democratica, si ostina ad operare alle spalle degli interessi e delle necessità dei cittadini chiudendosi a riccio rispetto alle legittime richieste di andare al voto, agitando i soliti pretesti della emergenza finanziaria, dei mercati e degli impegni internazionali.

Facile prevedere che il regime cercherà di creare nuove “emergenze” per giustificare una prosecuzione a tutti i costi dell’attività del governo ed evitare una consultazione popolare da cui il PD, il partito che rappresenta gli interessi del Grande Capitale,  uscirebbe sicuramente sconfitto.

Mentre Renzi ha da poco portato via i suoi scatoloni dagli uffici che occupava come primo ministro, a stretto giro arriva il nuovo sostituto, grazie alla veloce designazione fatta del Presidente Mattarella.
In realtà, come si può capire, il nome di Gentiloni è stato suggerito dai potentati finanziari, da Bruxelles e da Washington come persona di provata fedeltà alle centrali di potere sovranazionale che dirigono il sistema Italia.

Non per nulla il “conte” Gentiloni (il personaggio ha delle ascendenze nobiliari) aveva manifestato la sua subalternità a queste centrali dimostrandosi un fervente sostenitore della NATO, di Washington, un grande entusiasta della subalternità alla oligarchia europea di Bruxelles tanto da dichiarare la “necessità di consegnare ogni sovranità dello Stato Italiano a beneficio dell’Unione Europea”.

Quando nel 2011 avvenne il primo colpo di mano, un vero e proprio golpe, con la destituzione dell’ultimo premier eletto, Silvio Berlusconi, ad opera della Troika, grazie alla complicità di Napolitano, quello che oggi è il nuovo premier nominato , il conte Gentiloni, conversando con Carlo Cattaneo, plaudeva al colpo di mano e scriveva su Twitter: “Esatto, dobbiamo cedere sovranità a un’Europa unita e democratica”. (vedi Libero.it)

Per quanto riguarda le sue posizioni manifestate come Ministro degli esteri, Gentiloni è noto per essere un fedele esecutore delle politiche dettate da Washington, tanto da ripetere a pappagallo tutti i dispacci inviati dal Dipartimento di Stato USA, senza mai discostarsi di un millimetro dalla linea di Washington: questo accadeva ad esempio sulla questione delle sanzioni alla Russia e sulle politiche di provocazione della NATO con le concentrazioni di truppe ed esercitazioni alle frontiere russe. Fu lo stesso Gentiloni a dichiararsi a favore dell’invio di militari italiani in Lettonia a seguito dei reparti NATO.

Allo stesso modo è nota la sua posizione anti Assad sulla Siria che gli aveva fatto manifestare “grande preoccupazione” quando nel Settembre del 2015 la Russia schierò le sue forze in Siria in aiuto ed a sostegno del governo di Damasco. ““Complicato se la Russia pensa di risolvere a mano armata la situazione”, disse Gentiloni in quell’occasione.

“Spero che le notizie sulla presenza russa siano meno gravi di quanto appaiono”: se Mosca “avesse l’illusione di risolvere mano armata la situazione sarebbe una complicazione del quadro, uno sviluppo negativo”. Così dichiarava il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a Sky Tg24 sulla presenza russa in Siria nel 2015.

Le previsioni di Gentiloni si è visto quanto erano adeguate, considerando che la Russia, con il suo decisivo appoggio, è riuscita a risolvere il conflitto annientando la presenza dei terroristi ad Aleppo ed in tutte le città siriane. D’altra parte Gentiloni ha dimostrato di essere apertamente schierato dalla parte dei gruppi terroristi di ispirazione salafita/saudita.

A questo proposito, noi di controinformazione, scrivevamo nel 2015: “……Ancora più grave è il fatto che l’Italia, oltre a fare affari con i paesi che sostengono il terrorismo, in ossequio alle direttive del Dipartimento di Stato USA, partecipa alle sanzioni contro la Siria, negando anche la fornitura di medicinali e generi di necessità alla popolazione siriana stremata da quasi 5 anni di conflitto. Lo stesso governo italiano partecipa all’embargo contro lo Yemen, per consentire alle forze degli “amici” sauditi di massacrare meglio la popolazione locale”.

“Questa è la politica estera dell’Italia dei Renzi e Gentiloni, quelli che si riempiono poi la bocca del rispetto dei “diritti umani” (nei paesi non conformi agli interessi USA) e fanno affari ed alleanze con i peggiori ceffi del Medio Oriente, con le mani in pasta nel terrorismo e delle persecuzioni contro la propria popolazione”. Vedi: Il Governo italiano di Renzi/Gentiloni a fianco dei paesi che sostengono il terrorismo

Adesso Paolo Gentiloni ex ministro degli esteri, i quarto premier non eletto dal popolo, nominato da Mattarella è un personaggio che risulta ancora più servile di Renzi, ancora più spregiudicato nel richiedere l’annullamento di ogni sovranità dello Stato Italiano a beneficio dell’Oligarchia di Bruxelles rispetto al suo predecessore.

Risulta fra l’altro che Gentiloni è un fervente sostenitore di Israele, l’anno scorso aveva partecipato al meeting della Trilateral Commission, quell’organismo dell’elite che lavora per un “Governo Mondiale”
Lo stesso ex ministro ha partecipato ad un Workshop dove erano presenti i noti criminali come Kissinger e Soros e supermassoni come Draghi, Monti, Amato e Letta. Inoltre il “conte” è solito partecipare ed essere invitato ai convegni dell’Aspen Insitute e della lobby mondialista dei Rockefeller, lui stesso risulta avere stretti collegamenti di parentela con noti massoni.

Nel corso delle elezioni presidenziali statunitensi Gentiloni non ha esitato a coprirsi di ridicolo implorando un incontro a tu per tu con la candidata democratica Hillary Clinton, dichiarandosi un suo fervente sostenitore, si è recato personalmente a New York per per tifare per la Clinton e farsi fotografare con lei.

Naturalmente adesso il “conte” si trova a disagio dovendosi confrontare con Donald Trump, come nuovo padrone, il personaggio che aveva aspramente criticato. Non ci sono dubbi che sarà pronto ad “adeguarsi” come sempre ha fatto nella sua carriera.

Dic 13, 2016 di  Luciano Lago

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Quartieri di Parigi sull’orlo della guerra civile in Francia per causa dell’immigrazione incontrollata

 Quartieri islamici di Parigi
 

“Ormai non è la legge francese quella che si applica, non quella della Repubblica, siamo in presenza della costituzione avvenuta di “mini califfati” dove vige la legge islamica, la Sharia che si applica tutti i giorni”,questa la denuncia di una deputata del FN. Un video chiarificatore mostra la realtà che vivono molti francesi nel loro stesso paese.

La CBN riferiva di recente la realtà che si vive in alcune zone della Francia conosciute come “no-go zones” (zone di non passaggio).
In quelle zone, riferiscono gli addetti alla cronaca, si verificano “attacchi di immigrati mussulmani contro i nativi francesi”.

Un dura realtà davanti a cui la sinistra dell’Esecutivo di Hollande sembra indifferente. Si veda: Youtube.com/watch

Questa è la situazione che denuncia anche un gruppo di donne francesi che, sotto il nome di La Brigade des Mères”, ha iniziato una campagna per lottare al fine di recuperare i diritti che le sono stati strappati nel loro stesso paese. La loro lotta si basa sulla riconquista delle aree del paese trasformate in zone proibite e che sono state sottratte da uomini mussulmani, come si mostra in forma chiara, anche in questo caso, da una inchiesta realizzata nel paese che, tale e come anticipato qualche giorno fa, mette allo scoperto lo stato di segregazione sociale causato dall’immigrazione di massa.

Nota: Una situazione molto simile a quella che inizia già a verificarsi in Italia dove il fenomeno della immigrazione di massa ha assunto sempre di più le caratteristiche di una invasione programmata.
Le ‘Brigade des Mères’ stanno cercando di restaurare l’ordine sociale francese in questi quartieri in cui, come assicurano, molte giovani donne rifiutano di uscire in strada per paura. Un reportage impressionante filmato dal Canal France 2, mostra come le donne non possono neanche entrare in determinati Bar Cafè e devono affrontare commenti e atteggiamenti ostili da parte di uomini arabi.

Il Governo francese si è pronunciato sulle immagini e la ministra dei Diritti della Donna, Pascale Boistard, ha riconosciuto che ” ci sono zone nel nostro paese dove le donne già non possono entrare”. Sono stati i socialisti (quelli del partito di Hollande), quelli che sono al potere nei governi e nelle giunte, coloro che hanno per molto tempo negato l’esistenza di queste aree proibite e che adesso sono protagonisti di queste dichiarazioni allarmanti.

Nota: Sono i “cugini” degli esponenti politici del PD italiano che allo stesso modo hanno consentito ed incentivato l’immigrazione di massa anche in Italia ed adesso, alcuni di loro, iniziano a riconoscere che la situazione sta diventando fuori controllo.

La situazione in Francia è molto sintomatica ed offre un esempio all’Italia di quale sia la prospettiva sociale che si apre nelle città con più forte immigrazione.
Il cambio di atteggiamento di esponenti politici francesi non è casuale, visto che nel mese di Marzo si svolgeranno le elezioni politiche presidenziali, nelle quali la Marine Le Pen dispone di ampio margine di vantaggio e la questione migratoria sarà centrale nella campagna elettorale.

Marion Maréchal-Le Pen, nipote della leader del Front National, è stata una delle prime a reagire al reportage della rete TV francese. La deputata ha chiarito che il reportage non fa altro che spiegare che “il secolarismo (laicismo) ferocemente protetto dal Governo della Repubblica sta venendo soppiantato dalla saharia”.

Vedi: Youtube.com/watch

“Già non è più in queste zone la legge della Repubblica quella che si applica ma si stanno instaurando dei “minicaliffati” dove è la legge islamica quella che si applica tutti i giorni“, ha dichiarato la giovane esponente politica francese.

“Non camminiamo per le stesse strade, non abbiamo gli stessi antenati, non abbiamo la stessa storia, la stessa cultura, la stessa legge, lo stesso stile di vita”, ha sottolineato. Inoltra ha commentato che il problema dell’Islam radicale oggi coincide in tutta evidenza con il problema dell’immigrazione e della divisione delle comunità”.

Il reportage ha messo in evidenza che questa situazione esiste in alcuni quartieri di Parigi e alcune donne del movimento, la ‘Brigada de las Madres’, Nadia Remand y Aliza Sayah, si sono addentrate per le strade di Sevran, un quartiere parigino a maggioranza mussulmana ed hanno potuto constatare di prima mano l’ostilità macista che vige nella zona. Nelle immagini filmate si può constatare come le due donne vengano accolte con ostilità dai presenti e gli venga anche negato l’accesso negli spazi pubblici in quanto non consentiti per le donne.

Questo fenomeno non avviene soltanto a Parigi ma si verifica anche a Lyone, seconda città della Francia, dove è stata condotta una inchiesta similare che ha riportato le stesse esperienze di Parigi, con molte donne francesi intervistate che hanno dichiarato di avere molto timore ad uscire ed a attraversare certi quartieri per timore di essere aggredite.

Nota: Questo accade a Parigi, nella civilissima Francia e sarà presto la norma anche a Roma, Milano, Bologna, Torino e Genova, grazie alle politiche migratorie dei Governi asserviti alle direttive della UE.  La Francia come sempre accaduto nella Storia anticipa i fenomeni che poi diventano comuni anche in Italia ed in altri paesi d’Europa.

Fonte: La Gaceta.es Traduzione e note: Luciano Lago, Dic 14, 2016

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Il referendum che nessuno fa mai

Quando giustamente si chiede che i cittadini abbiano voce nella politica interna, non si può ignorare che essi non hanno alcuna voce nella politica estera, che continua ad essere orientata verso la guerra. Mentre era in corso la campagna referendaria, è passato sotto quasi totale silenzio l’annuncio fatto agli inizi di novembre dall’ammiraglio Backer della U.S. Navy: «La stazione terrestre del Muos a Niscemi, che copre gran parte dell’Europa e dell’Africa, è operativa».

La maggioranza degli italiani, sfidando i poteri forti schierati con Renzi, ha sventato il suousa piano di riforma anticostituzionale. Ma perché ciò possa aprire una nuova via al paese, occorre un altro fondamentale No: quello alla «riforma» bellicista che ha scardinato l’Articolo 11, uno dei pilastri basilari della nostra Costituzione. Le scelte economiche e politiche interne, tipo quelle del governo Renzi bocciate dalla maggioranza degli italiani, sono infatti indissolubilmente legate a quelle di politica estera e militare. Le une sono funzionali alle altre. Quando giustamente ci si propone di aumentare la spesa sociale, non si può ignorare che l’Italia brucia nella spesa militare 55 milioni di euro al giorno (cifra fornita dalla Nato, in realtà più alta). Quando giustamente si chiede che i cittadini abbiano voce nella politica interna, non si può ignorare che essi non hanno alcuna voce nella politica estera, che continua ad essere orientata verso la guerra. Mentre era in corso la campagna referendaria, è passato sotto quasi totale silenzio l’annuncio fatto agli inizi di novembre dall’ammiraglio Backer della U.S. Navy:

«La stazione terrestre del Muos a Niscemi, che copre gran parte dell’Europa e dell’Africa, è operativa».

Realizzata dalla General Dymanics – gigante Usa dell’industria bellica, con fatturato annuo di 30 miliardi di dollari – quella di Niscemi è una delle quattro stazioni terrestri Muos (le altre sono in Virginia, nelle Hawaii e in Australia). Tramite i satelliti della Lockheed Martin – altro gigante Usa dell’industria bellica con 45 miliardi di fatturato – il Muos collega alla rete di comando del Pentagono sottomarini e navi da guerra, cacciabombardieri e droni, veicoli militari e reparti terrestri in movimento, in qualsiasi parte del mondo si trovino. L’entrata in operatività della stazione Muos di Niscemi potenzia la funzione dell’Italia quale trampolino di lancio delle operazioni militari Usa/Nato verso Sud e verso Est, nel momento in cui gli Usa si preparano a installare sul nostro territorio le nuove bombe nucleari B61-12. Passato sotto quasi totale silenzio, durante la campagna referendaria, anche il «piano per la difesa europea» presentato da Federica Mogherini: esso prevede l’impiego di gruppi di battaglia, dispiegabili entro dieci giorni fino a 6 mila km dall’Europa.

Il maggiore, di cui l’Italia è «nazione guida», ha effettuato, nella seconda metà di novembre, l’esercitazione «European Wind 2016» in provincia di Udine. Vi hanno partecipato 1500 soldati di Italia, Austria, Croazia, Slovenia e Ungheria, con un centinaio di mezzi blindati e molti elicotteri. Il gruppo di battaglia a guida italiana, di cui è stata certificata la piena capacità operativa, è pronto ad essere dispiegato già da gennaio in «aree di crisi» soprattutto nell’Europa orientale. A scanso di equivoci con Washington, la Mogherini ha precisato che ciò «non significa creare un esercito europeo, ma avere più cooperazione per una difesa più efficace in piena complementarietà con la Nato», in altre parole che la Ue vuole accrescere la sua forza militare restando sotto comando Usa nella Nato (di cui sono membri 22 dei 28 paesi dell’Unione). Intanto, il segretario generale della Nato Stoltenberg ringrazia il neo-eletto presidente Trump per «aver sollevato la questione della spesa per la difesa», precisando che «nonostante i progressi compiuti nella ripartizione del carico, c’è ancora molto da fare». In altre parole, i paesi europei della Nato dovranno addossarsi una spesa militare molto maggiore. I 55 milioni di euro, che paghiamo ogni giorno per il militare, presto aumenteranno. Ma su questo non c’è referendum.

di Manlio Dinucci – 06/12/2016 Fonte: Il Manifesto

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=57860

 

Riforme, Meli vs Centinaio (Lega): “Con voi e M5s si prepara una nuova era fascista”

con voi servi dei poteri forti, della democratica BCE, del solidale FMI, della magnanima UE ci potrà essere solo ed ancora miseria e povertà
 
Riforme, Meli vs Centinaio (Lega): “Con voi e M5s si prepara una nuova era fascista”
Polemica pepata a L’Aria che Tira (La7) tra il senatore della Lega, Gian Marco Centinaio, e la giornalista del Corriere della Sera, Maria Teresa Meli. Quest’ultima commenta le annunciate dimissioni di Matteo Renzi: “Credo che si dimetterà anche da segretario del Pd. Lo farà, perché lo ha promesso. Gli ha fatto male l’odio della minoranza dem. E questo grazie a un signore (Massimo D’Alema, ndr) che nel tempo è riuscito a cacciare Occhetto, Prodi, Veltroni, ora anche Renzi. Quel signore di mestiere fa l’”azzoppatore”, ma non di Berlusconi, né di Grillo.
 
Il suo mestiere è sempre stato quello di fregare i leader di centrosinistra di turno. Però, poveraccio, non avrà nessun vantaggio, perché i frutti di tutto questo li prenderanno Grillo e il M5S“. Meli ribadisce più volte questo assunto. “E va bene” – commenta Centinaio – “dammi anche i numeri del Superenalotto, visto che sai sempre tutto”. Il parlamentare del Carroccio, poi, esclude qualsiasi alleanza Lega-M5S per le politiche: “Siamo ben diversi e abbiamo idee totalmente differenti. Possiamo anche andare da soli”. “Quindi, vi alleate più in là con il M5S? Noi stiamo aspettando questo sorgere della nuova era fascista“, commenta Meli. “Ma basta, mamma mia”, replica Centinaio
 
di Gisella Ruccia | 5 dicembre 2016

Crisi di sistema e populismo

È noto che per un sistema sociale complesso come quello liberal-capitalista attuale è essenziale tener sotto controllo tutti quegli eventi che potrebbero determinare una crisi di tipo strutturale. Vale a dire che le alternative in base alle quali si articola il conflitto politico devono essere compatibili con il “normale” funzionamento del sistema medesimo[1]. Praticamente, le alternative non selezionate dal sistema non devono essere conosciute o esplicitamente tematizzate dalla stragrande maggioranza dei cittadini. nwoLa scelta deve avvenire tra alternative che il sistema ha già selezionato, ossia tali da non danneggiare gli interessi politici ed economici del gruppi dominanti. Pertanto, l’ordine istituzionale si fonda non tanto sul consenso effettivamente esistente quanto piuttosto sulla sopravvalutazione del consenso effettivo e soprattutto sul fatto che tale sopravvalutazione riesca ad avere successo. In altri termini, il meccanismo mediante il quale si “pro-duce” il consenso in una moderna “democrazia” liberale è una finzione istituzionale, non la ricerca di un effettivo consenso, ma una formula rituale di giustificazione ideologica della politica, benché essenziale per il funzionamento del sistema sociale.
 
In sostanza, questo significa che la tecnologia sociale e la manipolazione del consenso devono far sì che non vengano mai messi seriamente in discussione quei procedimenti che permettono di prendere decisioni collettivamente vincolanti, “assorbendo” incertezza ed eliminando alternative pericolose per il sistema. Attraverso tali meccanismi si può allora avere la ragionevole certezza che prevalga ciò che il sistema seleziona, accrescendone la capacità di autoregolazione e sottraendo l’esperienza al rischio di una problematizzazione consapevole. Tuttavia, è palese che il sistema liberal-capitalistico non si sviluppa automaticamente, sia perché genera delle “aspettative” (crescenti) che deve necessariamente soddisfare – alimentando di conseguenza un conflitto che non può essere sempre risolto grazie ai meccanismi che regolano il sistema –sia perché la stessa formazione sociale liberal-capitalistica egemone (che di fatto è il “gendarme” che deve garantire il “normale” funzionamento del sistema liberal-capitalistico) deve “competere” con altre formazioni sociali. Il sistema sociale liberal-capitalistico si configura dunque come un sistema relativamente aperto sia sotto il profilo endogeno che sotto il profilo esogeno, ovverosia deve far fronte a due tipi di sfide, quelle che provengono dall’interno e quelle che provengono dall’esterno.
Logico allora che gli strateghi del polo atlantico dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica abbiano agito su due piani contemporaneamente per consolidare l’egemonia degli Stati Uniti: sul piano economico e finanziario promuovendo la gigantesca espansione del capitalismo finanziario (in particolare con l’abolizione della legge bancaria del 1933, nota come Glass-Steagall Act, durante l’amministrazione Clinton) che avrebbe portato alla crisi finanziaria del 2007-08; sul piano geopolitico intervenendo militarmente in Afghanistan e in Iraq, e ristrutturando la Nato al fine di saldare all’Atlantico il continente europeo e soprattutto la Germania ora nuovamente unita.
 
Nondimeno, già negli anni Ottanta del secolo scorso era chiaro, nonostante che fossero evidenti i segni della crisi irreversibile del sistema sovietico, che la base produttiva degli Stati Uniti non era in grado di “sostenere” un progetto di egemonia globale[2]. Del resto, lo storico francese Fernand Braudel vedeva nella prevalenza del capitalismo finanziario sull’economia “reale” il tipico “segnale dell’autunno” per il potere dello Stato capitalistico egemone[3]. Infatti, allorquando la crescita della produzione e dello scambio di merci, che contraddistingue un ciclo di accumulazione del capitale, si imbatte nei propri limiti, si è in presenza non solo di una crisi economica ma anche di una crisi della potenza capitalistica egemone, a cui i gruppi dominanti cercano di rimediare con una forte espansione del capitale finanziario. Ma la prevalenza del capitalismo finanziario è soltanto un rimedio temporaneo che non può evitare il “terremoto geopolitico” che si origina dal declino relativo della potenza egemone.
Un declino accentuato dal “contraccolpo” derivante dall’avere scatenato gli “spiriti animali” del capitalismo a livello mondiale e che ha visto nel giro di qualche lustro la Cina diventare la prima potenza industriale, favorita proprio da quella globalizzazione che doveva invece “suggellare” il dominio del sistema liberal-capitalistico imperniato sull’egemonia degli Stati Uniti.
Non sorprende allora che il cosiddetto “unipolarismo statunitense” sia durato solo qualche lustro e che gli Usa da un lato, abbiano dovuto concedere sempre più spazio a pericolosi e “irresponsabili” (per usare un eufemismo) attori geopolitici “subdominanti” come le petromonarchie del Golfo, al fine di ridisegnare la cartina geopolitica del Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale in funzione degli interessi del polo atlantico; dall’altro, abbiano cercato di rafforzare la loro posizione in Europa per contrastare la rinascita della potenza russa sotto Putin, favorendo un’espansione della Nato ai confini occidentali della Russia e innescando così una crisi internazionale che se non ci fossero le armi nucleari probabilmente sarebbe già sfociata in un’altra guerra mondiale.
Com’era prevedibile questa “strategia del caos” ha creato le condizioni perché il terrorismo islamista si diffondesse a “macchia d’olio” non solo in Medio Oriente e in Africa ma anche nel Vecchio Continente, e al tempo stesso si generasse un’immigrazione massiva e incontrollata (che alcuni analisti considerano come una sorta di arma di distruzione di massa) verso l’Europa, stretta nella morsa di una crisi sociale ed economica che l’introduzione dell’euro e le politiche liberiste adottate dall’oligarchia euroatlantista hanno solo contribuito a rendere sempre più grave.
In definitiva, la crisi dell’attuale sistema liberal-capitalistico e in particolare dell’Unione Europea si configura ormai come una vera e propria crisi di sistema, dato che gli effetti “perversi” della crisi dell’egemonia statunitense si sommano a quelli di una crisi non solo economica ma politico-sociale del sistema liberal-capitalistico che non solo non riesce più a soddisfare “aspettative” che esso stesso (inevitabilmente) genera, ma nemmeno è più in grado di eliminare o di “rimuovere” alternative che non sono “in linea” con gli interessi dell’oligarchia euroatlantista.
Il cosiddetto “populismo”, che sta mettendo radici ovunque in Occidente, è perciò la reazione comprensibile all’incapacità del sistema liberal-capitalistico di “autoregolarsi”. La vittoria di Oki in Grecia (benché poi, in un certo senso, “tradita” dalle classe politica greca), la politica del governo ungherese, la Brexit, la crescita di movimenti populisti in diversi Paesi europei, lo stesso successo di Trump e last but not least la vittoria del No in Italia (che ha bocciato un riforma “pasticciata” della costituzione che prevedeva perfino che i parlamentari non fossero più i rappresentanti della Nazione e di fatto cedeva ulteriore sovranità nazionale agli eurocrati) sono tutti segnali che un nuovo “vento politico” sta facendo traballare le istituzioni politiche occidentali.
 
Si badi però che il paragone, caro a molti analisti neoliberali, con gli anni Trenta, è del tutto privo di fondamento. Difatti, il nazionalismo aggressivo negli anni Trenta aveva di mira la ridefinizione degli equilibri mondiali attraverso un “regolamento bellico dei conti”, ritenuto peraltro inevitabile sia dalle potenze revisioniste (le cosiddette “have nots”) che dalla stessa Unione Sovietica. Viceversa, l’esigenza di difendere la sovranità nazionale (sia pure riconoscendo la necessità di incastonare i singoli Stati in “grandi spazi” geopolitici e geoeconomici) non è altro che l’esigenza di rimediare ai “guasti” e ai disastri causati dalle politiche liberiste e aggressive del polo atlantico e in specie dell’oligarchia euroatlantista, allo scopo di difendere i diritti sociali ed economici dei popoli europei (e non solo europei) contro lo “strapotere” e l’arroganza dei “mercati”.
 
È in questa prospettiva geopolitica quindi che è necessario interpretare la carenza di cultura politica e perfino le “contraddizioni” (alcune delle quali certamente preoccupanti) che caratterizzano i diversi movimenti politici che i media mainstream definiscono sprezzantemente populisti. D’altronde, è lecito ritenere che il populismo, benché in quanto tale non sia di per sé un’alternativa “credibile” al sistema liberal-capitalista, sia il necessario “brodo di cultura” perché una tale alternativa possa davvero prendere forma, sebbene si possa essere sicuri che le élites occidentali vi si opporrebbero con ogni mezzo. Invero, nella presente fase storica, anziché sognare utopie anticapitalistiche, si dovrebbe considerare già un grande successo riuscire a favorire la cooperazione tra i popoli e mettere di nuovo il mercato “al servizio” del Politico, ovvero della giustizia sociale e dei bisogni “reali” degli individui. Comunque sia, non sarà la demonizzazione del populismo che potrà risolvere la crisi del sistema liberal-capitalistico, anche se non si può affatto escludere che quest’ultimo, pur di difendere gli interessi di un’oligarchia plutocratica e di una middle class (sedicente) cosmopolita, continui a generare conflitti e squilibri d’ogni sorta.
di Fabio Falchi – 06/12/2016
Fonte: Eurasia

[1] Fondamentale sotto questo aspetto è l’opera di Niklas Luhmann, Potere e complessità sociale, Il Saggiatore, Milano 1979.
[2] A tale proposito si veda Paul Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti, Milano, 1989.
[3] Ha approfondito questo tema (benché in un’ottica decisamente economicistica) Giovanni Arrighi nel saggio Il lungo XX secolo, Il Saggiatore, Milano, 2014.

Il tramonto della classe politicante globalista

 personaggi politici al vertice dei governi occidentali, per lungo tempo avevano esercitato il potere nei loro paesi dando le spalle alla cittadinanza ed occupandosi prevalentemente degli interessi dei grandi gruppi finanziari e della stabilità dei mercati.
Al momento di presentarsi alla verifica del loro consenso, sono stati sfiduciati dalle loro opinioni pubbliche e ne hanno pagato il prezzo. Cameron, Obama, Hollande e Renzi non ripeteranno mai le fotografie di rito tutti assieme. Rimane ancora la Mekel come l’unica eccezione, in apparenza, perchè la sua popolarità è ormai in caduta libera presso la sua opinione pubblica.
Se si voleva avere la conferma della distanza creatasi fra le elite ed i propri cittadini, questa è stata dimostrata in modo inoppugnabile in questo 2016 e si è potuto comprovare che i cittadini (in grande maggioranza) si sono stancati delle decisioni prese dalle elites mondiali e sulla base delle loro impostazioni neoliberiste.
E’ accaduto in primis nel Regno Unito con la consumazione del Brexit, poi negli Stati Uniti con la vittoria di Trump e, più di recente, in Italia con le dimissioni di Matteo Renzi, dopo che questi è risultato sonoramente bocciato nel referendum sulla riforma della Costituzione.
Le decisioni prese da Bruxelles hanno prodotto un disastro sociale nei paesi europei con la scomparsa dei diritti e delle tutele sociali mentre la crisi dei rifugiati ha creato una situazione di destabilizzazione sociale e di allarme che ha prodotto un diffuso malcontento nelle opinioni pubbliche dei paesi europei, tanto che vari leaders europei (nell’Est Europa) hanno voltato le spalle a Bruxelles ed alla Merkel e hanno rifiutato le politiche della Commissione Europea in nome del recupero della sovranità.
La distanza della oligarchia di Bruxelles dai cittadini è apparsa enorme in particolare su questioni come quella dell’accoglienza dei migranti e profughi, sulle problematiche realtive alle sanzioni alla Russia e sulla bellicosa politica attuata dalla NATO che ha fatto tornare l’Europa in un pericoloso clima di “Guerra Fredda”.
 
Le inchieste ed i sondaggi di opinione hanno fallito le loro rilevazioni ed i risultati sono apparsi per loro una “sgradevole sorpresa”.
I sondaggi d’opinione avevano fallito già nel Regno Unito e questo è parso evidente al momento del Brexit. I britannici hanno votato a favore dell’uscita della UE, dopo che David Cameron aveva convocato un referendum per difendere la permanenza nella UE (remain).
 
Il premier britannico è stato sostituito dall’esponente conservatrice Theresa May che è stata incaricata di negoziare con Bruxelles l’uscita dalla UE.
Obama o Clinton: arriva  Trump
Ancora peggio negli USA dove, in occasione delle presidenziali. il candidato indicato da Obama e da tutto l’establishment, Hillary Clinton veniva indicto come “vincente”, mentre il suo rivale, Donad Trump, veniva fatto oggetto di una campagna denigratoria da parte dei media.
 
Il nuovo presidente, eletto negli USA per assumere la il cambiamento nel paese, è stato Trump, cosa che non è stata apparentemente gradita dalle elites mondiali che si sono subito organizzate per neutralizzare i possibili effetti negativi della sua nomina.
Hollande ed il Front National in Francia
I livelli di popolarità raggiunti dal presidente della Repubblica francese Hollande sono caduti nel punto più basso della Storia costituendo un record di impopolarità. Hollande, pressato dai suoi, è stato costretto a scendere dal suo piedistallo di vanagloria ed ha dovuto rassegnarsi a rinunciare ad una sua candidatura. Fatto enorme nella storia politica francese.
 
In un paese in forte declino economico e con problematiche di sicurezza e di minacce terroristiche, grazie alla sconsiderata politica di Hollande, emerge il partito nazionalista ed identitario della Marine Le Pen, la leader del Front National che sconfessa le politiche globaliste e di subordinazione a Washington ed a Bruxelles tenute da Hollande.
La Le Pen raccoglie un mare di consensi fra le classi popolari e fra i ceti operai e dei piccoli produttori, infuriati cone la UE e con il governo pseudo socialista. A contrastare la Le Pen l’establishment francese ha predisposto la candidatura di una figura della destra conservatrice e globalista mascherata: Francois Fillon.
Matteo Renzi è l’ultimo caso
Un leader non eletto ma nominato dall’alto che si era presentato come” rottamatore” ma che in realtà era eterodiretto per fare le riforme che gli venivano richieste dai potentati finanziari transnazionali. La sinistra globalista non voleva ammettere un fatto che pure era sotto gli occhi di tutti: Renzi era stato un personaggio cooptato dall’alto in posizione di capo dell’esecutivo ed era restìo a osservare le regole, quelle dei post comunisti e dei post democristiani. Lui si sentiva forte e voleva esercitare un potere quasi assoluto, nel governo e nel partito.
Per ottenere quel potere e non dover rispondere a vari contrappesi, ha avuto la trovata che era sembrata geniale: riformare la Costituzione. In realtà anche quella era una decisione venuta dall’alto. Lui si è immedesimato ed è partito a testa bassa a fare promozione e propaganda per la sua riforma delle riforme.
Quello che una buona parte dei cittadini italiani hanno compreso è che la riforma costituzionale targata Renzi/Boschi era in realtà un marchingegno che, con il pretesto dell’efficientismo e della riduzione dei costi della politica, aveva la sua essenziale finalità nel togliere ogni residua sovranità al popolo e inserire la clausola della supremazia delle norme europee in Costituzione.
Una buona parte dei cittadini italiani hanno poi percepito l’insicurezza, l’invasione di migranti travestiti da profughi ed alloggiati in comodi alberghi, la miseria sempre più diffusa, l’affossamento del ceto medio, l’emigrazione dei giovani per mancanza di lavoro, l’eliminazione dei diritti e la folle politica di sudditanza dell’Italia alle direttive USA e della Comunità Europea (dominata dagli interessi della Germania), tutte conseguenze prodotte dai governi globalisti al servizio delle centrali di potere sovranazionali.
All’elenco dei trombati manca adesso solltanto la Merkel, la sola rimasta al suo posto ma arriverà anche il suo turno. Il malcontento nell’opinione pubblica tedesca cresce di settimana in settimana. Solo questione di tempo.
Le foto di gruppo della classe politica  globalista, gli Obama.gli Hollande, i Cameron, la Merkel ed i Matteo Renzi, rimarranno soltanto come un  ricordo sbiadito di una fase storica da dimenticare. Il tempo delle autocelebrazioni è ormai finito.
Dic 07, 2016
di  Luciano Lago

Il capitalismo terminale dà lavori di merda in alto come in basso

In Francia esiste, dal 2012,  la “Rete dei Lustrascarpe”. Les Cireurs.  Associa i lustrascarpe in franchising:   coloro che aderiscono hanno diritto di usare  il logo  e l’insegna.  Non hanno salario – sono “auto-imprenditori” – ma una paga oraria (su cui pagano in prelievo fiscale del 23%).  Pagano di tasca loro materiale e abbigliamento (un grembiule di cuoio, essenzialmente); se non hanno soldi  per cominciare a lanciarsi nell’auto- imprenditoria, possono chiedere un prestito  alla Rete Les Cireurs,  che pratica interessi fra il  6 e l’%. In compenso,  la struttura di franchising si occupa di contattare i grandi centri commerciali perché consentano ai loro “artigiani” di lavorare in un angolino.  Propone alle aziende  abbonamenti: “Lustrascarpe in ufficio! Date ai vostri collaboratori un momento di distensione utile. Uno dei nostri mastri lustrascarpe verrà nei vostri uffici con la frequenza che desiderate per darvi il suo servizio!”.    Altro servizio, il lustrascarpe a domicilio, che viene a ritirare le scarpe infangate e ve le riporta lucide, e dentro un sacchetto  di carta  col logo.

http://www.lescireurs.fr/les-cireurs-en-action

smartwork-1

La domanda dev’essere alta, perché, leggo sul sito di Les Cireurs, “la nostra società cerca attivamente collaboratori. Unitevi a noi in un’avventura  in cui ogni talento è  valorizzato, dove l’esperienza non ha limiti dove potete realizzarvi senza limiti, un lavoro a misura delle vostre ambizioni e della vostra creatività!” (non scherzo, il tono è questo).

I  fondatori, “Eric e Olivier”, due diplomati dell’istituto de Commercio (una specie di Bocconi),  hanno escogitato questa nicchia ancora non sfruttata del “mercato pauperistico del lavoro” – come Uber:   hai comprato  un’auto che non ti puoi permettere? Paga le rate diventando  tassista a noleggio, a prezzi inferiori! –  e sperano probabilmente di emulare le fortune del fondatore di Uber, Travis Kavanick –   è l’inventore della app (il software) che rende possibile il  servizio –  indicato da Forbes  come uno dei 400 più ricchi del mondo, con patrimonio stimato  a  6 miliardi di dollari. Il che dimostra nel modo più lineare che “mercato pauperistico del lavoro” è sinonimo,  anzi identico a “sfruttamento”.

Tra l’altro la scorsa settimana, almeno in Francia, Uber ha  aumentato i suoi prezzi del 10  e 15%  sui mezzi grandi (UberX e van),  “dando ascolto ai suoi partner”, dice la pubblicità (così chiama quelli che fa  lavorare: partners), ma  ha anche aumentato le proprie commissioni da 20 a 25%:  in chiaro, se l’aumento è del 10%, l’autista (“partner”) prenderà il 2,5% in più,ma Uber il 37,5% in più.   Su un rincaro del 15%, l’autista prende 6,5% e Uber il 43,75 in più.

“Eric e Olivier”, gli speranzosi Uber dei  lustrascarpe, per avviare la loro geniale attività hanno ottenuto dallo stato una sovvenzione a  fondo perduto di 55 mila euro: a titolo di “sostegno all’economia sociale e solidale”.  E’ stata la “sinistra plurale” (presidente Lionel Jospin) a instaurare la sovvenzione dei mestierucci attraverso crediti d’imposta, con l’etichetta “economia solidale”. E’ tutta la socialità che la sinistra riesce ad esprimere in tutto l’Occidente –  dimostrando che essa non è l’utile idiota del supercapitalismo, ma la sua costola essenziale e volontaria: basti vedere  come si erge contro ogni “populismo”; ogni “nazionalismo sovranista”; ogni critica alla globalizzazione.

In cambio,   la sinistra del progressismo edonista e dei costumi, tutto quel che concepisce come “politica economica”,  non ha da offrire che   la sovvenzione  pubblica dei mestierucci e  minijobs –   le mansioni residuali   dell’ipercapitalismo globale:  portatori notturni di  pizze a domicilio, passeggiatori di cani, badanti,  distributori di  stampati pubblicitari,  cameriere, e tutti precarizzati.  Tra il 1995 e il 2010,   in Occidente, il numero delle domestiche è cresciuto del 62 per cento.  La crescita dei lavori marginali di servizio ,  e superflui, è  l’esito paradossale (ma non troppo) del capitalismo terminale  che ha perseguito “la massima efficienza” del capitale (ossia la massimizzazione del suo lucro a spese della minimizzazione dei salari),  magari delocalizzando i lavori utili   (produttivi, necessari)  all’altro capo del mondo.  “Si torna ad una economia di tipo feudale,  un’economia della domesticità”,  scrivono Julien Brygo e Olivier Cyran, autori del saggio di successo Boulots de Merde (serve traduzione?).  Hanno  indagato sugli effetti della “riforma del lavoro” imposta dai socialisti Hollande e  Valls. “I  media ci ripetono che il salario minimo garantito vigente in Francia è il grande nemico dell’impiego. Ma chi lo prende più?”.   Il salario minimo garantito, in Francia, sarebbe  al netto di 7,50 euro l’ora.  “Tutti i lavoratori che abbiamo ascoltato prendono il 30% in meno di quel che è indicato  nel loro contratto.  Nella ristorazione, turismo,  grande distribuzione, “i salariati sono pagati per 24 ore, e ne fanno 60. Almeno 2 milioni di lavori sono pagati dal 25 al’80 percento dello Smic”.

“Il padronato ha una vera fascinazione per il lavoro gratuito, e i politici si premurano di dar loro  gli strumenti giuridici per legalizzare la gratuità”.  Oltre che coi contratti di entrata (per  un giovane al primo impiego, il   grande distributore paga un decimo dello SMIC, il resto lo mette lo Stato), le  più importanti “riforme”  socialiste mirano non riconoscere più il lavoro come subordinato, con i relativi obblighi e  oneri per il datore di lavoro. Tipicamente, i consegnatori di pizze a domicilio  in bici,  non sono subordinati: se cadono  ovviamente non hanno indennità e  nemmeno la paga, che non è più  un salario ma un compenso per  ogni corsa,  è  “l’auto-imprenditoria” che fa tanto creatività  e giovanilismo. Di fatto, “per avere un introito decente, devi pedalare 60 ore a settimana”, dice uno degli intervistati. In bici  – ovviamente deve procurasela lui –  perché  per contratto è vietato usare uno scooter:  la bicicletta  serve per l’immagine ecologista dell’impresa. Anche questa è sinistra: eco e  bio.  E giovane, dinamica, cool.

I due sociologhi hanno scoperto non solo la rinascita dei lavori  “feudali” come lustrascarpe e portatore di pizze,   ma che anche molti lavori utili –  insegnante, infermiera,   poliziotto, portalettere – sono anch’essi diventati “di merda”, tanto le condizioni si sono degradate. Per gli ospedalieri, il colpevole è il “lean management”, la “gestione snella”,   messa a punto dalla Toyota  negli anni ’60, ed oggi applicata sempre più nelle istituzioni pubbliche sanitarie. Consiste essenzialmente nella riduzione del personale e nell’imporre a quello  rimasto di fare più con meno.  Vengono studiati i “tempi morti” le pause giudicate superflue,  i minuti “non produttivi”  che i dipendenti devono  tagliare. Se ciò  può funzionare più o meno alla Toyota,  per gli infermieri,  pochi rispetto alla necessità, a contatto con  il dolore umano,  la malattia e la morte  – e la responsabilità che viene da una flebo malfatta  per la fretta, da una prescrizione errata  – la  pressione a far presto è criminale “Si riduce il tempo per la relazione, che è essenziale, specie per i ricoverati anziani che non ricevono visite”, dice una infermiere di Tolosa. “Ho  l’impressione di ‘fare cose’ invece che curare la gente”.  I tassi di esaurimento psico-fisico fra le  giovani ammontano al 40% all’ospedale di Tolosa,  sono avvenuti quattro suicidi.  I suicidi fra agenti dell’ordine sono stati  70 nel 2015.

E’ il costo del capitalismo alla sua massima efficienza? I due sociologi francesi ammettono di essersi ispirati ad un saggio americano  del 2013,  dell’antropologo David Graeber, che ha un titolo simile al loro: “The  Phenomenon of Bullshit Jobs.  Graeber ha scoperto che in America,   i lavori di merda” o più precisamente “del caz” non sono solo quelli  che riconosciamo tutti come tali,   il lavatore di cani, il portatore notturno di pizza a domicilio, ossia servili, sottopagati in quanto “feudalmente” superflui;  lo sono anche lavori –  anzi professioni – prestigiose e ben pagate:  avvocato d’affari, lobbista, amministratore di università,  addetto alle risorse umane ,  direttore generale  di “private equities”, addetto alle pubbliche relazioni.

Come si fa – come si osa –   definire queste professioni inutili? Il  fatto è che sono quelli stessi che le esercitano a  confessare che è  così. Interrogati su   in cosa consista il loro mestiere, “dopo un paio di bicchieri” si lanciano in tirate su come siano stupidi e senza senso i loro lavori. Lo sanno bene. Sanno che se sparissero infermiere,  netturbini, scaricatori di porto,  meccanici, la società entrerebbe in crisi immediata;   la scomparsa di lobbisti, capi del personale (alle “risorse umane”) ed esperte di PR, non danneggerebbe in alcun modo la società. Anzi forse la migliorerebbe: e  sono i professionisti  di questi mestieri ad ammetterlo.

E’ una intima consapevolezza, ha scoperto l’antropologo, che esercita in questi professionisti un senso di intima colpa, “una violenza psicologica profonda. Come  si può parlare di dignità del lavoro quando uno  sa, nell’intimo, che il proprio lavoro non dovrebbe esistere”? Molti di questi hanno sacrificato vocazioni superiori e creative per “i soldi”, e  ne hanno una profonda rabbia subconscia.

“Mentre le multinazionali  riducono ferocemente il personale, delocalizzando per risparmiare salari, accelerano i tempi, e applicano la ‘massima efficienza’ sulle classi che fabbricano, trasportano, aggiustano e mantengono cose, non  si limitano affatto nel  pagare e moltiplicare queste professioni ‘superflue’ per ammissione di chi le fa”. E’ una strana falla nella logica del capitalismo terminale, che mira appunto alla “massima retribuzione del capitale”  tramite essenzialmente la “minima retribuzione del lavoro”?  E’ una contraddizione dell’ideologia liberista?

Niente di strano, risponde Graeber: “Quando l’1 per cento della popolazione  è padrona di quasi tutta la ricchezza disponibile, la ‘domanda di mercato’ del lavoro riflette  quello loro (l’1%) ritiene importante ed utile”.

Sull’autostrada Guerrero-Acapulco, durante un controllo,   dei militari hano fermato un camion bianco: al suo interno diversi cadaveri di bambini, privi di organi. L’autista,  tale Javier Guzman Torres, arrestato, ha detto  che non era stato lui ad uccidere e predare quei bambini, ma ne trasportava i corpi per conto dei trafficanti, per una forte somma.  Sono stati operati alcuni arresti tra i trafficanti di organi, che servono il mercato statunitense insieme alla droga.    Forse, il Messico  degli orrori  già prefigura il futuro: un’umanità  superflua, utile a soddisfare la domanda di parti  all’1 per cento che   si può permettere, di comprare ciò che ritiene utile per sé, creando la relativa “domanda”.  .

di Maurizio Blondet – 07/12/2016

Fonte: Maurizio Blondet

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=57881