Come la Nato ha circondato la Russia

Più di qualche analista politico era pronto a scommettere che la fine del regime sovietico avrebbe rappresentato la fine della Nato. Ormai i Paesi europei, protetti dalla potenza americana, non avevano più niente da temere. Il socialismo reale era crollato e aveva portato con sé le paure che per lunghi decenni avevano turbato il sonno del Vecchio continente. Lo scudo dell’Alleanza perdeva quindi il suo scopo principale, quello di difendere i suoi membri da Mosca. Mai valutazione fu più sbagliata.Nato basi russia
Al momento del crollo del Muro i Paesi sotto l’ala protettiva della Nato erano 16 e comprendevano gran parte dell’Europa occidentale. Ma nel giro di un decennio il loro numero è salito prima a 19 poi a 26 nel 2004. In poco meno di vent’anni l’Alleanza atlantica ha di fatto raccolto quasi tutta l’Europa allargandosi verso Est. Ultimi arrivati alcuni Stati della dissolta Yugoslavia come Slovenia e Croazia, insieme all’Albania.
L’anno cruciale per capire come la Nato ha ridefinito i rapporti dell’Europa con la Russia post sovietica è il 2004. Esattamente dieci anni prima della guerra civile in Ucraina. In quell’anno entrarono nel gruppo atlantista una manciata di Stati che fino a 15 anni prima erano stati nel blocco sovietico. In particolare le tre repubbliche sovietiche, Estonia, Lituania e Lettonia e la Polonia. Questo di fatto ha permesso alla Nato di restringere ancora di più la sfera di influenza della Russia.
Potenzialmente le basi dei vari Paesi alleati si possono considerare come basi Nato, anche se alcune strutture sono state adibite esclusivamente per l’Alleanza. In questo senso sono emblematici tre casi. In Italia sette strutture militari possono essere considerate strutture Nato. Tre in Veneto e Friuli, tra Aviano, Vicenza e Verona. Un’altra di stanza a La Maddalena, in Sardegna, una a Napoli, dove sono alla fonda i sottomarini alleati del Mediterraneo e una in Puglia. Senza dimenticare la sede di Roma che rappresenta il comando centrale Nato per l’area Mediterranea.

Altro esempio di questa progressiva diffusione delle strutture nato sono le tre repubbliche baltiche. Lettonia, Estonia e Lituania, che sono sprovviste dell’aviazione, hanno chiesto fin dalla loro adesione un supporto all’Alleanza mettendo a disposizione circa 8 strutture destinate a usi diversi, come depositi, centri di addestramento e basi vere e proprie.

Ultimo caso quello della Grecia. Falcidiata dalla crisi economica è uno dei pochi stati dell’Unione ad aver mantenuto alte le spese per la Difesa. Attualmente a disposizione della Nato ci sono ben tre strutture, una a Perveza, una a Larissa e una nel nord del Paese a Thessaloniki.

Il caso ellenico apre anche la questione della partecipazione al bilancio. Guardando i documenti della stessa organizzazione si scopre che solo cinque di tutti i Paesi che la compongono investono nella Difesa più del 2% del loro Pil. Soglia indicata dagli stessi vertici e ribadita più volte dall’amministrazione Obama.
Su questo punto il neo eletto presidente Donald Trump ha ribadito l’intenzione di profonde modifiche nell’atteggiamento di Washington. Minacciando di non correre in aiuto dei Paesi che investano meno del dovuto.
Nonostante le spese ricadano per oltre il 70% sugli americani la Nato si configura come la più grande potenza militare del globo. Sulla carta dispone di una forza di 3,48 milioni di uomini a fronte dei 771 mila in forza alla Russia. Una potenza confermata anche nei mezzi. Quasi dieci mila carri armati contro i 2.600 di Mosca, 3.800 aerei da guerra a 1.200 e una flotta di navi con 13 portaerei a 1. Sulla carta un dominio incontrastabile. Ma solo sulla carta.
Se è vero che potenzialmente la forza d’urto è la più grande del globo, non è detto che possa essere rapida. Secondo uno studio del think tank americano RAND in caso di un attacco della federazione russa su un ipotetico fronte orientale le truppe Nato verrebbero spazzate via da quelle di Mosca. In particolare la Russia sarebbe in grado di conquistare le città baltiche di Tallinn e Riga in poco meno di 60 ore.
Questo perché le forze armate locali e quelle Nato non sarebbero sufficienti a bloccare l’iniziativa. Nemmeno le unità rapide. L’Alleanza dispone di due unità speciali le Nrf e il Vjtf. La prima è costituita da un corpo di 40 mila uomini che sarebbe pronto a intervenire in ogni parte del mondo in poco più di un mese mentre il secondo, creato nel 2014, è costituito da un battaglione di 5 mila uomini pronto in 48 ore. Entrambi, per tempo o dimensioni, sarebbero comunque insufficienti per bloccare un attacco su vasta scala. Insufficiente anche la decisione rilanciata dal segretario generale Stoltenberg di allargare i contingenti presenti nel Baltico a partire dal biennio 2017-18, in particolare stanziando 4 mila uomini tra Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania.
Nato raffronto basi militari
Nonostante le spese per la Difesa non decollino, la Nato ha continuato a operare in diversi scenari. Seguendo tendenzialmente una sorta di volontà americano centrica. Attualmente sono impegnati in sei diversi scenari. Dall’Afghanistan, dove la missione Rs ha sostituito la Isaf, al Corno d’Africa passando dal Mediterraneo al Kosovo. Ma il più delicato resta quello del Baltico. Fin dal 2004, anno del loro ingresso, i tre Paesi hanno chiesto alla Nato una copertura aerea. E da allora per oltre 10 anni l’alleanza ha fornito un appoggio continuo. In pratica, a rotazione, gli Stati che hanno aderito all’iniziativa si occupano di preservare e controllare lo spazio aereo da possibili ‘sconfinamenti’ russi.
A partire dal 2014 e dalla crisi in Ucraina l’operazione, che prende il nome di Baltic Air Policing, è stata rinforzata con un secondo paese che affianca nelle operazioni di ricognizione il primo. Attualmente sui cieli delle tre repubbliche volano gli aerei dell’aviazione francese coadiuvati da quelli tedeschi che hanno rilevato la coppia Gran Bretagna-Portogallo all’inizio di settembre. Ovviamente questo affollamento ha causato non pochi problemi con la Russia che ha accusato l’Alleanza di voler alzare il livello dello scontro.
Per vedere i dettagli sulle missioni :
L’escalation nell’area ha causato diverse problematiche. Sia pratiche che geo politiche. Sul piano della normale attività quotidiana ha fatto aumentare in modo vertiginoso gli incidenti. Tra il 2014 e lo scorso anno ci sono stati quasi una settantina di episodi che potevano sfociare in uno scontro nei cieli dell’Europa orientale. In particolare il lembo di mare che divide le tre repubbliche baltiche con Finlandia e Svezia è diventato il teatro di incontri ravvicinati che non si sono trasformati in conflitti a fuoco per pura fortuna. L’indice di questa situazione viene ben rappresentato anche dall’esponenziale aumento di contatti di routine una volta quasi assenti e ora presenti nella media di uno ogni 5-6 giorni.
Ma ad aumentare la tensioni sono anche le esercitazioni che l’alleanza ha condotto in tutta l’area, come nel caso dell’operazione ‘Anaconda 16’. Il 6 giugno scorso, per 10 giorni, le forze Nato hanno svolto una serie di esercitazioni in Polonia alle quali hanno partecipato oltre 30 mila uomini di 24 Paesi diversi. Con l’occasione persino i carri armati tedeschi sono tornati sul suolo polacco per la prima volta dopo il secondo conflitto mondiale. Un dispiegamento di forze che ha coinvolto anche altri Stati come Svezia, Finlandia, Macedonia, Kosovo, Georgia e soprattuto Ucraina. Un’operazione a trazione anteriore americana con 13 mila uomini dell’esercito a stelle e strisce, 12 mila polacchi e 800 tedeschi.
Una dimostrazione di forza come non si vedeva da tempo in tutta l’area.
Il messaggio lanciato con ‘Anaconda 16′ aveva almeno tre scopi. Il primo, forse il più banale, era quello di testare le capacità degli eserciti alleati nell’Europa centro orientale. Il secondo mirava a tranquillizzare la Polonia e gli Stati limitrofi dopo i fatti ucraini, mentre il terzo è infondo un messaggio per Mosca. Con la sua operazione la Nato ha cercato di mostrare i muscoli, come se spiegasse alla Russia che altre situazioni simili a quelle successe nell’est dell’Ucraina non verranno tollerate.
Il crollo dei regimi comunisti in Europa ha avuto il paradossale effetto di fare allargare a dismisura l’architettura atlantica. Che da un lato ha accerchiato la Russia con nuovi alleati sempre più vicini ai suoi confini e dall’altro ha militarizzato la zona con esercitazioni e nuovi contingenti. Mosca ha invano provato a cercare una mediazione sul piano diplomatico spingendo alla creazione di una zona cuscinetto, ma questi appelli sono caduti nel vuoto costringendo la stessa Russia a spostare truppe e munizioni nell’area, in particolare coi sistemi missilistici Iskander piazzati nell’enclave di Kaliningrad, finendo col ritornare a una sorta di punto di partenza. Con una nuova cortina di ferro che in venticinque anni anziché sparire si è spostata solo un po’ più a est.
di Alberto Bellotto  – Nov 17, 2016
Fonte : Gli Occhi della Guerra

Il Governo inglese vuole spiare la cronologia web dei suoi cittadini

Conosciuta come Snooper’s Charter (licenza alle intrusioni), questa legge obbliga le imprese a coadiuvare i servizi di sicurezza a vigilare sull’attività web dei cittadini
Il Parlamento britannico ha approvato il progetto di legge conosciuto come snowdenSnooper’s Charter (licenza alle intrusioni), che permetterà alle autorità inglesi di ottenere la cronologia web dei suoi cittadini.
Assordante il silenzio della cosiddetta stampa libera, quella che si indigna a comando inventando fantomatici pericoli alla libertà di espressione provenienti da strutture segrete in grado di governare il web. Mentre lascia passare leggi liberticide in un clima di sostanziale indifferenza. Avremmo pagine colme di articoli di indignazione servizi televisivi se solo questa legge fosse stata concepita ad altra latitudine.
L’intervento legislativo, che adesso attende solo l’approvazione da parte della Regina, costringerà l aziende a prestare soccorso al Governo per ottenere la cronologia web dei cittadini, accedere in tempo reale agli account e registrare per un anno intero tutte le informazioni.
Insomma, un vero e proprio programma di spionaggio di massa.
Molti osservatori critici hanno definito la Snooper’s Charter come una legge «terribile» e «pericolosa». Anche perché concede la facoltà ai servizi segreti di hackerare computer e dispositivi mobili dei cittadini.
Il programma di spionaggio fu già cercato d’introdurre da David Cameron nel 2012, ma bocciato dal Partito Liberal-Democratico con cui i Tories governavano in coalizione. Riproposto dal nuovo Primo Ministro, Theresa May, è stato già approvato da entrambe le camere del Parlamento inglese.
Leggeremo sulla nostra stampa che si auto-definisce libera, articoli di denuncia? La risposta già la conosciamo.
Fonte: teleSUR
Notizia del: 18/11/2016

Un Paese di minotauri

In parte ubriacati dalle vicende elettorali americane e limitati da una ormai implosa ominotauro implodente Unione Europea, – la Brexit è già dimenticata? -, il triste quadro della politica italiana è lo specchio di una società al tramonto, spossessata del proprio potere “democratico” di sovranità e in mano a vere e proprie bande di affaristi senza scrupoli, spesso “internazionali”, in cui ogni regola è saltata: il mancato stato di diritto, l’anarchia tout-cort che regna sovrana è palpabile ogni giorno nella dura vita degli scoraggiati cittadini.
Lo schema “Roma”
E’ una situazione in apparenza senza speranza che trova il suo naturale sfogo, elettoralmente parlando, in un movimento sostanzialmente anarchico, spesso anche di dilettanti allo sbaraglio, come il M5 Stelle, ma inquadrabile come estrema ratio e cicuta per affossare il sistema malato: primo “partito” d’Italia, vincente e al governo a Roma capitale e nell’orfana – della Fiat – Torino, oltre che in Sicilia e tante realtà locali: l’onda lunga grillina non è assolutamente esaurita, tutt’altro disponendo di un bacino elettorale illimitato, corrispondente alla metà dei cittadini che ormai non vanno a votare e agli elettori del centrodestra, senza rifermenti certi, dipendenti dalla salute e dagli umori di un’ottantenne appassionato di inciuci e “nazareni”. Lo schema Roma è lì a dimostrarlo, per quelli non l’hanno ancora capito, e sarà la chiave dominante delle lotte politiche dei prossimi anni.
Popolo contro “Minotauri” e poteri globali
 Lo scollamento e l’ormai scontro, tra i due mondi così diversi è visibilissimo, da una parte lo stato “burocratico” dei politici voltagabbana e riguardanti tutto l’arco costituzionale, (Es. Verdini, Alfano, Montiani, ma anche il M5s) finanzieri senza scrupoli e banche fallite (Mps, Vicenza e Veneto Banca), e il moloch statale in vecchio stile Unione Sovietica, con il morente mondo sindacale al seguito, tutti legati ai loro consolidati privilegi: il tutto ben amalgamato da mamma Rai – ora con canone garantito – e i mezzi di comunicazione “addomesticati”; dall’altra la massa del popolo vessata in ogni ambito della sua vita, dalla giustizia, alla tassazione, all’informazione manipolata. La grande economia, Fiat su tutti è già fuggita, rimane per ora l’eroica media e piccola impresa, gli unici in realtà, che pagano le tasse sulla “ricchezza reale” prodotta, essendo l’atro mondo: il terziario finanziarizzato e l’ ente “stato”, ormai snaturato nei propri scopi ed essenze sociali dalle nuove regole del mercato globale, legate appunto alla borsa, alla rateizzazione coatta e manipolata, al prestito “forzato” bancario in realtà offerto a condizioni capestro.
Miti da sfatare
 
In questa società moderna di cittadini schedati e digitalizzati, a cui viene negato di fatto “il risparmio e la prima casa”, oltre al sacro lavoro, le regole democratiche “costituzionali” non esistono più: i partiti (in realtà quelli veri sono solo una manciata), la par condicio, la “discriminatoria” raccolta firme e quant’altro è saltato tutto. Lo scopo finale è il governo “tecnico”, capace di intervenire extra-legis a soddisfare le esigenze delle lobbies, dei poteri internazionali a cui anche il nostro Paese è soggetto. Sta svanendo anche quel minimo di parvenza di ossequio alle regole democratiche, con il ruolo centrale del Presidente della Repubblica, eletto oggi da un Presidente del Consiglio tecnico non eletto, e ancor prima da due camere esautorate da una “silenziata”, quanto storica sentenza della Corte Costituzionale. Esemplificative le dichiarazioni del presidente emerito al riguardo del suffragio universale, considerato ormai superato, come de facto la democrazia stessa.
In questo clima si voterà il 4 dicembre per un Referendum che in altri anni avrebbe messo automaticamente, in stato d’accusa i suoi proponenti: per attentato allo Stato e alla Costituzione. La reale maturità e consapevolezza del momento storico è il vero punto di domanda a cui gli italiani, da soli dovranno rispondere, in gioco è il vecchio e considerato obsoleto: ”Dio, Patria e Famiglia”, l’alternativa: il suo esatto contrario, a breve la storica sentenza.
di Andrea Cometti – 14/11/2016
Fonte: Andrea Cometti

Sempre più Finti i Bilanci delle Aziende Quotate allo S&P 500

Se leggete RC sapete già cosa si intende per utili secondo i principi contabili GAAP e secondo principi non-GAAP.
 La prima misura (GAAP) indica l’utile di periodo secondo i principi contabili standard, ovvero contando tutti i costi, tutti i ricavi e ammortamenti e dalla differenza si ricava l’Utile o la Perdita.
 non gaap
La misurazione Non-Gaap invece è lasciata alla fantasia dei manager che per solito escludono i costi non ricorsivi, di ristrutturazione, straordinari per ottenere un utile maggiore di quello contabile.
Ora… se questa pratica fosse effettivamente usata in maniera straordinaria e solo durante ristrutturazioni aziendali essa sarebbe anche legittima per avare una migliore lettura dell’utile in condizioni operative standard.
Invece indovinate un pochino?
 La pratica di inventarsi costi non ricorsivi e straordinari è diventata lo standard. Tanto che:
 L’utile per azione medio sullo S&P 500 oggi è circa 95 punti quindi siamo ad un P/E di oltre 22!!!! ma se usiamo misure inventate dai manager abbiamo un più confortevole intorno di 18. Sempre altissimo ma meno pauroso.
Ora.. il punto è che Wall Street nel fare i conti usa gli utili NON-Gaap, il che è una autentica e ennesima follia per giustificare la più grande bolla finanziaria nella storia dell’umanità.
E vabbeh.
Di FunnyKing , il 20 novembre 2016

Cercasi esperta di beni culturali. Trovata: la moglie di Franceschini

Nuovo lavoro e bel salto di carriera per Michela Di Biase, capogruppo del Pd nel consiglio comunale di Roma. Dopo più di un lustro all’azienda regionale dei trasporti, la Cotral, dove era sfranceschini mogliepecialista tecnico-amministrativo, la Di Biase è stata “catturata” dalla Fondazione Sorgente Group, dove è stata inquadrata alle relazioni esterne “con particolare riferimento alla promozione di eventi e mostre organizzate dalla Fondazione stessa”.
Il Sorgente Group è uno dei principali gruppi immobiliari italiani, con un patrimonio gestito di circa 5 miliardi di euro di valore frazionato fra più di 30 fondi immobiliari specifici. Parte di quel patrimonio è negli Stati Uniti, dove fece clamore l’acquisto del Flatiron Building, l’antico grattacielo di New York così chiamato per la sua caratteristica forma da ferro da stiro.
In Italia ha acquisito numerosi palazzi storici, e a Roma ha la proprietà fra l’altro della Galleria Alberto Sordi in piazza Colonna e del palazzo in via del Tritone dove ha sede il gruppo. La Fondazione è presieduta dallo stesso titolare del gruppo immobiliare, Valter Mainetti, e si occupa di arte e cultura, vantando una propria collezione artistica e archeologica costituita negli anni e oggi di notevole valore.
Per sua natura lavora molto con il ministero dei Beni culturali, che associa in numerose iniziative nel settore (mostre, conferenze, pubblicazioni), e come altre fondazioni private gode delle agevolazioni fiscali sui finanziamenti ricevuti da privati. Il sistema Sorgente group-Fondazione è per altro circolare, perché tutte le entrate per il mecenatismo nell’arte derivano da lì. I vantaggi fiscali sono però stabiliti da legge dello Stato come aiuto alla promozione della cultura e ne beneficiano fondazioni pubbliche (come quella del Teatro alla Scala di Milano) che private (come appunto la Fondazione Sorgente o quella di Brunello Cucinelli). Per questo quei contributi privati sono determinati ed elencati ogni anno in una circolare del ministero dei Beni culturali. E i finanziamenti privati in agevolazione fiscale alla Fondazione Sorgente ammontano negli ultimi documenti ministeriali a circa 2 milioni di euro all’anno.
La collaborazione dunque fra la Fondazione Sorgente Group e il ministero dei Beni culturali è molteplice e ha radici negli anni. Ottimi i rapporti con l’attuale ministro reggente, Dario Franceschini. Destinati ora a diventare ancora migliori grazie all’assunzione della Di Biase, che di Franceschini è la seconda ed attuale moglie.
Forse per questa origine familiare non è stato facilissimo avere conferma del nuovo rapporto di lavoro della Di Biase.  Alla fondazione prima abbiamo telefonato chiedendo della nuova assunta alle relazioni esterne, e ci è stato risposto che “non lavorava in quella sede”, ma che lasciando numero di telefono e motivo della chiamata ci avrebbero fatto ricontattare. Poi a domanda ufficiale ci è stato riposto dalla Fondazione che effettivamente c’erano “rapporti” con la Di Biase, e infine ci è stato precisato l’inquadramento nelle relazioni esterne, con particolare attenzione alla promozione di eventi e mostre.
Qui potrebbe esserci un conflitto di interessi con il ruolo istituzionale del ministro e pure una sorta di concorrenza familiare, visto che il ministero non ha a disposizione grandi fondi mentre oggi le fondazioni private possono avere più risorse da investire nella cultura. La Di Biase fino ad oggi aveva dichiarato e regolarmente depositato presso il comune di Roma secondo i termini di legge 37.800 euro nel 2015 e 55.577 euro nel 2016. Nel suo curriculum spiega di essere laureata in Lettere e filosofia, corso di laurea in storia e conservazione del patrimonio artistico. Che ha più attinenza con la sua nuova attività professionale rispetto all’impiego in precedenza avuto dalla azienda regionale di trasporto pubblico.
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Il Ministero di Franceschini: “da noi nemmeno un euro”
“Si precisa che il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo non ha alcun rapporto né collaborazione in essere con la Fondazione Sorgente group. Quest’ultima risulta semplicemente beneficiaria di erogazioni liberali da parte di Sorgente group Spa, uno dei soggetti privati presenti nella circolare pubblicata ogni anno dal Mibact per monitorare l’applicazione del testo unico delle imposte sui redditi. Si sottolinea che la circolare del Mibact non ha alcun valore di ‘determinazione’ ma di semplice ricognizione, ai sensi delle norme vigenti, delle erogazioni effettuate da privati”.
 Ufficio stampa Mibact
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La Fondazione: fatta una selezione, lei  la migliore
Precisiamo che la Fondazione Sorgente Group, Istituzione per l’Arte e la Cultura, è una fondazione privata ed autonoma, finanziata interamente da Sorgente SGR Spa, e che opera nell’ambito e nel rispetto delle normative fiscali previste dalla legge. La Fondazione è – dal punto di vista economico – interamente autonoma e non riceve nessun contributo dal Ministero dei Beni Culturali. Infine, la Dottoressa Michela Di Biase è stata selezionata dalla Fondazione Sorgente Group per il suo curriculum, la sua professionalità ed esperienza in ambito istituzionale al fine di promuovere le attività culturali della Fondazione stessa.
Fondazione Sorgente Group
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Che brava Michela a superare l’ostacolo del marito!
Il contenuto della circolare dei Beni culturali è riportata nell’articolo negli esatti termini scritti sia dal ministero che dalla Fondazione Sorgente Group, quindi non comprendo cosa si precisi. Sulle collaborazioni fra ministero dei beni culturali e Fondazione Sorgente group, basta andare alle notizie e comunicati sia del ministero che della fondazione per trovarne ampia traccia storica. Quanto alla dottoressa Michela De Biase, come lei stessa ha tenuto a fare sapere in un messaggio da me tradivamente letto, è certamente laureata in storia dell’arte, con 108/110 nel 2010 (fuori corso, avendo conseguito la maturità classica nel 2009) e tesi sulla “vita di Pio VI nelle tempere della Galleria Clementina in Vaticano”. Credo che questo sia un requisito in possesso di qualche migliaio di laureati italiani, essendoci 35 corsi di laurea sulla materia tutti senza numero chiuso. Senza dubbio la De Biase sarà stata scelta per il curriculum professionale. Da cui risulta un anno come collaboratore di ufficio presso Cotral spa, azienda dei trasporti della Regione Lazio e sei anni da “specialista tecnico-amministrativo” presso la stessa Cotral, dove nell’area risorse umane- ufficio disciplina risulta che si occupasse della “istruttoria relativa alla predisposizione di contestazioni disciplinari e relativi provvedimenti”. Con un curriculum così adatto alla promozione delle attività culturali della Fondazione, non deve essersi rivelato ostacolo insormontabile essere pure la consorte del ministro dei Beni culturali.
Pubblicato su 17 novembre 2016 da infosannio
(Franco Bechis – limbeccata.it)

Il liberismo ha cancellato le parole “sfruttamento” e “ingiustizia” dal nostro vocabolario

di Diego Fusaro

Con l’avvento della neolingua neoliberale si sono eclissati dal vocabolario lemmi come “sfruttamento” e “ingiustizia”, che fino a non molti anni fa erano all’ordine del giorno. Sono stati sostituiti dalla nuova figura semantica manidel “disagio”.

A differenza dello sfruttamento e dell’ingiustizia, che alludono a una relazione conflittuale nella quale vi è un polo che sfrutta e l’altro che è sfruttato, una parte che commette l’ingiustizia e l’altra che la subisce, il disagio riguarda sempre e solo l’io individuale nel suo rapporto con sé e con il mondo, in uno scenario falsamente raffigurato come privo di legami sociali e di conflittualità immanenti.

Sentimento di angoscia e di inadeguatezza scaturente dall’incapacità del soggetto di adattarsi alla situazione, il disagio è forma espressiva coerente dei processi di deresponsabilizzazione tipici della mondializzazione mercatistica: nella quale le colpe sono sempre di quelle entità “sensibilmente sovrasensibili” (Marx) che sono i mercati.

In forza di tali processi, i fallimenti e le ingiustizie non vengono mai fatti dipendere da ciò da cui realmente dipendono, ossia dai rapporti di forza reali e dalle prosaiche logiche del capitale, bensì sempre e solo dall’incapacità degli io individuali di fare fronte al mondo oggettivo, di adeguarsi alle situazioni, di modellare adattivamente la propria soggettività in coerenza con le condizioni date.

Le contraddizioni reali di un paesaggio intessuto di violenza economica e di sfruttamento, di alienazione e di miseria, cessano di essere anche solo nominate. In loro luogo, subentrano i “disagi” soggettivi di chi non sa adattarsi.

La prospettiva della rivoluzione come via corale per superare le contraddizioni oggettive cede, allora, il passo alle figure dello psicologo e del counselor come unici possibili guaritori dei disagi dell’individuo, senza che l’oggettività dei rapporti della produzione sia anche solo scalfita o nominata.
Da parte integrante della realtà oggettiva, la contraddizione è stata trasfigurata in parte dell’individuo non adattato; con la conseguenza per cui si è indotti, con la sintassi di Ulrich Beck, a cercare “soluzioni biografiche” a “contraddizioni sistemiche”, cambiando se stessi più che l’oggettività contraddittoria dei rapporti sociali. È, una volta di più, il capolavoro della ragione tecnocapitalistica.

Fonte: fanpage – 13/11/2016

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=57663

La sinistra mondialista si è persa il popolo ma ottiene i favori del grande capitale

Non è difficile comprendere che il rapido sucedersi degli avvenimenti in questo scorcio dell’anno 2016 avrà degli effetti duraturi su tutto il percorso storico di questo inizio di secolo, tanto che molti analisti iniziano a parlare di un punto di inflessione, ovvero un possibile cambiamento di tendenza della fase storica del Mondo Occidentale che non mancherà di avere i suoi riflessi sul resto dei continenti.precari

Si era partiti nell’inizio di questo secolo con il vento in poppa della Globalizzazione come fenomeno che sembrava inarrestabile e duraturo. Veniva descritta questa come una trasformazione positiva per il popoli, apportatrice di progresso e di benessere per tutti, con l’abbattimento prossimo dei confini, delle barriere e con il superamento della logica degli Stati Nazionali.

Molta gente credeva ingenuamente che tutto questo fosse un fenomeno spontaneo ed ineluttabile, come lo descrivevano i media, gli opinionisti e gli intellettuali del “progresso permanente”, dai Saviano ai Severgnini.

La sinistra ex marxista era balzata lesta sul carro del globalismo come una necessità ed aveva fatto di questa la sua bandiera, tacciando di “retrogradi” e “populisti” tutti coloro che osavano metterne in dubbio gli aspetti positivi e decantati del fenomeno. “Guai ad un ritorno ai vecchi nazionalismi! Bisogna abbattere gli steccati, i muri e costruire ponti”. Lo dicevano in Italia l’ex presidente Napolitano, lo affermava la Boldrini, lo scriveva Scalfari e lo affermava persino il Papa Francesco. Come si poteva non credergli?

In pochi anni il mondo globalizzato aveva prodotto le sue conseguenze nefaste nei paesi occidentali, tra gli altri effetti con le importazioni massicce dalla Cina e dai paesi a basso costo, con la perdita dei posti di lavoro, con l’affossamento della classe media, con il ridimensionamento delle garanzie sociali, con le delocalizzazioni di aziende, con l’immigrazione incontrollata, con l’abbassamento dei salari,con l’importazione di fenomeni delinquenziali e con il degrado delle grandi aree urbane.
I politici della sinistra mondialista continuavano a predicare che questo non era importante ma che fosse importante accogliere tutti, integrare ed abbattere le differenze, esaltando i mercati aperti e la nuova cultura che metteva al primo posto i diritti dei “diversi”: i gay, i transessuali, gli immigrati, prima dei nativi e dei cittadini.

Di fatto pochi critici isolati avevano lanciato l’allarme ed avevano dato una interpretazione diversa del fenomeno: si voleva avvertire che nella realtà, la tanto decantata Globalizzazione era l’abile travestimento operato dall‘elite finanziaria anglo/USA, nell’ imporre l’apertura illimitata dei mercati per avere il controllo dei circuiti finanziarilo sfruttamento a proprio vantaggio delle risorse naturali, della forza di lavoro a basso costo ed il dominio dei mercati dove collocare in modo redditizio e sicuro, i propri capitali speculativi.

Si voleva avvertire che la globalizzazione economica avrebbe portato ad un nuovo Ordine mondiale caratterizzato dall’aumento delle disuguaglianze con l’arricchimento di una ristretta elite e l’impoverimento di molti, oltre allo sfruttamento selvaggio della mano d’opera nei paesi emergenti dove anche i bambini vengono impiegati per produrre e confezionare i beni di consumo destinati ai mercati.

Qualcuno aveva anche anticipato quale grande trappola fosse rappresentata da questa globalizzazione che, anche in Europa ed in tutto l’Occidente , nella costruzione di questo nuovo ordine, già in fase avanzata, si andava verso la creazione di un sistema iper capitalistico elitario, delinquenziale, precipuamente speculativo, che ricerca non soltanto i profitti netti e rapidi per evitare gli investimenti di lungo periodo, come quelli industriali, ma anche per amministrare la crisi di sovraproduzione per trasformarla in crisi finanziaria. In altre parole per saccheggiare la popolazione.

Un sistema dominato dalla finanza e dalle grandi entità bancarie che viene basato sulla creazione artificale del denaro, con tassi di interesse molto bassi in modo da consentire l’apertura di crediti a larga scala con molte facilitazioni: si promuove la vendita di beni durevoli, in specie di immobili, svalorizzati dal tasso di inflazione; si sospingono i debitori in situazioni di insolvenza, si rifinanziano i debiti in modo poi di appropriarsi degli immobili resi impagabili.


Poi è arrivato d’un tratto la presa di coscienza in alcuni paesi della grande trappola e delle conseguenze negative: il fattore detonante è stato senza alcun dubbio l’immigrazione incontrollata, con tutte le sue conseguenze.

Sono arrivati poi il Brexit nel Regno Unito, prima ancora l’insorgenza di Partiti e movimenti nazionalisti e populisti nella Veccha Europa, dalla Francia alla Germania, all’Austria, ai paesi dell’Est.

A dare la svolta è arrivata l’elezione di Trump, il rude, il razzista, quello che vuole costruire il muro con il Messico, che vuole chiudere tutti i trattati commerciali e ritornare al vecchi sistema degli Stati nazionali e difesa delle proprie economie. Trump che si può definire l’antiglobalista, una bestemmia per i sostenitori del “Pensiero Unico” mondialista. Trump ha trovato nell’America profonda, quella dei lavoratori, della classe media, dei produttori, allevatori e agricoltori, coloro che lo hanno ascoltato ed hanno recepito il suo messaggio.

Un brusco risveglio nel paese leader dell’Occidente e proprio in quello che è stato il principale artefice della Globalizzazione. Un risveglio da cui i “profeti della globalizzazione”ancora non si sono ripresi tanto da manifestare reazioni “isteriche”.
Quello che sembra evidente è che la sinistra mondialista, quella dei circoli politici, dei media e degli intellettuali, aveva dimenticato del tutto chi fosse il popolo, quale fosse la classe lavoratrice: se la era persa per strada.

Il popolo, quello autentico  della vecchia generazione  di coloro che attuarono il grande miracolo della trasformazione socioeconomica in tutta  l’Europa, tra il 1950 e gli anni ’70, che non furono attivisti della LGBT e neppure promotori del meticciato e del multiculturalismo, ma piuttosto furono europei di ceppo antico, di faccia bianca, eterosessuali con figli, in maggioranza cristiani (se pur con tutte le loro contraddizioni), con una idea molto materiale, per nulla ideologica, della libertà e della prosperità.

Furono queste generazioni che riuscirono a ridurre al minimo la breccia sociale; furono loro la base sociale su cui si eseguirono le grandi politiche di ricostruzione in Europa, lo stesso fenomeno avvenne nella Germania social democratica come nell’Italia democristiana e nella Francia Gollista e poi socialista, nella Spagna franchista e poi post franchista. Furono loro che edificarono l’Europa moderna del benessere e dello Stato sociale che oggi la Globalizzazione tende a smantellare.
Loro furono il “popolo” quello che i marxisti chiamavano una volta “le grandi masse popolari” che emigravano all’interno dei paesi in Europa in cerca di lavoro da sud verso nord ma mantenevano le proprie connotazioni di europei, cristiani, orgogliosi della loro cultura italiana, portoghese, irlandese, greca o spagnola che fosse.

Loro da un certo punto di vista sono stati gli eroi della seconda metà del XX secolo, quelli che hanno edificato il benessere e lo stato sociale. Tutto oggi messo in discussione dalla visione multiculturale e cosmopolita che i profeti della globalizzazione vogliono imporre per cancellare culture ed identità.
Questo popolo autentico costituito dai lavoratori e dai figli di quelli che hanno edificato le società attuali, da molti anni ha ricevuto colpi di ogni genere ad opera della Globalizzazione voluta dall’elite economica ed appoggiata dalla sinistra mondialista. I figli di quei lavoratori, pur essendo più aculturati dei loro padri, sono arretrati come salari, come potere di acquisto, hanno perso sicurezze, stabilità e diritti e sono insidiati dalla concorrenza degli ultimi arrivati.

La mano d’opera dei migranti è stata un buon affare per gli imprenditori globalizzati e per le cooperative che godono dei sussidi ma, obiettivamente rappresenta una catastrofe per i lavoratori che nel mezzo secolo precedente avevano ottenuto di ridurre la breccia sociale. I governi della sinistra mondialista danno il benvenuto a tutti predicano l’integrazione, la regolarizzazione e la solidarietà ma non possono occultare il fatto che le masse di migranti provocano un costo sociale, una disarticolazione delle comunità e un abbassamento dei salari. Questo viene visto come un discorso razzista e retrogrado dall’intellettuale di sinistra ed è applaudito anche dal capitalista che sfrutta la mano d’opera e ne fa utili.

Il lavoratore autoctono (e gli stranieri residenti da anni) si trova messo all’angolo e spesso sacrificato dalle politiche di acoglienza a favore dei migranti che rendono più difficile l’accesso ai servizi sociali, più problematica la convivenza con culture profondamente diverse, visto che le risorse sono limitate e non sono disponibili per tutti.
Le conseguenze sono l’ascesa del Front National in Francia, dell’FPO in Austria, della AfP in Germania, della Lega in Italia, con forte scollamento del popolo dal ceto politico.
In particolare questo popolo autoctono ha perso la sua rappresentanza e non si sente minimamente rappresentato dai politici e sindacalisti, al contrario si sente tradito da questi.

Si è scomposto il tessuto sociale ed è stata attaccata la famiglia in nome di un nuovo individualismo, quello del consumo compulsivo e dettato dalle mode. La sinistra ha collaborato a questo processo di smantellamento di diritti e garanzie in nome de multiculturalismo, non si è resa però conto di aver perso nel tempo la sua vecchia base sociale, la sinistra è rimasta senza il popolo e la vecchia destra ha perso la nazione. Il popolo ha seguito altre strade e la sinistra macina voti in ogni paese nella alta borghesia quella dei quartieri bene, degli uffici finanziari, del grande capitale  e dei grandi media, ma nelle periferie degradate e nelle campagne il popolo oggi ascolta i discorsi di chi prospetta la rivincita delle comunità e la difesa delle identità

di Luciano Lago – 16/11/2016

Fonte: controinformazione

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=57696

NOOOOOOOOO !

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/11/nooooooo.html

MONDOCANE

LUNEDÌ 28 NOVEMBRE 2016

 
“L’essenza del regime oligarchico non è l’ereditarietà da padre a figlio, ma la persistenza di una certa visione del mondo e di un certo modo di vivere… Un gruppo dirigente è un gruppo dirigente nella misura in cui può nominare i suoi successori… Non conta chi detiene il potere purchè la struttura gerarchica resti sempre la stessa”. (George Orwell “1984”)
 
Riproduco qui sotto uno spiritoso, ma anche sagace, commento, divertentemente drammatico, arrivato sul mio blog www.fulviogrimaldicontroblog.info da Marco V. E’ uno dei più convincenti, al di là delle indispensabili analisi del documento di controriforma renzista e della facile demolizione delle scempiaggini sloganiste diffuse dal clan Renzi-Boschi-Verdini, inviti a votare NO il 4 dicembre. Non va sottovalutato come l’operazione di questo grumo massonico-mafioso di servizio alla sua Cupola si inserisca nel disegno globalista dell’élite militar-finanziaria occidentale, con a capo gli Usa delle consorterie di potere che comprendono le grandi famiglie bancarie, le multinazionali di information technology, energia, alimentazione, armamenti-sicurezza,  servizi segreti, compresi quelli addetti al terrorismo, e i burattini che, via via, queste consorterie installano nella Casa Bianca.
 
L’Obama agonizzante viene spedito prima in Grecia, sia a contemplare l’effetto che fa rilanciare in faccia agli europei la riuscita distruzione di una nazione irrequieta ad opera dei tentacoli della piovra, FMI, BM e BCE, sia a tagliare al subalterno di Atene le dita che stavano allungandosi  a stringere mani in Russia. Poi si precipita a Berlino a rassicurare il valvassore della marca imperiale d’Europa sull’appoggio, Trump o non Trump, del potere occidentale al primato germanico. Primato garantito a condizione che si prosegua e potenzi la bellicosità anti-russa, e si sostengano i burogerarchi di Bruxelles in una verticalizzazione del potere che consenta la decimazione della popolazione lavoratrice, o ex-lavoratrice, e i conseguenti ulteriori trasferimenti di ricchezza dal basso al vertice.
 
Nato, TTIP, CESA  sono i pilastri sui quali, al di là di ubbìe isolazioniste come le prospetterebbe Trump, si fonda e si estende il dominio mondialista che non accetta arretramenti perché ne va della sua sopravvivenza. E anche per questo Obama ha sollecitato e ottenuto garanzie prospettando, in vista di eventuali incertezze collegate alle estemporaneità del nuovo presidente, un asse tra l’Eurogermania e coloro che negli Usa contano davvero. A sua volta, la tanto pompata “ultima” cena di Renzi da Obama a Washington doveva ribadire il ruolo dell’Italia di caporale di giornata nel Mediterraneo, tra i paesi del Sud cui è inflitta la scelta tra necrosi nazionale galoppante, vedi Grecia, e mercenariato coloniale da impiegarsi per il controllo delle regioni vicine. 
 
Una funzione che esige la disponibilità di un potere fuori discussione e opposizione. Soubrette, comici e giullari renziani  lo chiamano “cambiamento”, come se tale concetto avesse un valore a prescindere, e ce lo vendono impacchettato da “governabilità” e “stabilità”. Mosse e definizioni copiate pari pari dal 1922 italiano e dal 1933 tedesco. Come l’Italicum è la coppia in peggio della Legge Acerbo che assegnò al Partito Fascista una maggioranza imbattibile. Ma con effetti di più perversa e profonda durata. Sul tipo del Patriot Act e successiva militarizzazione  della società americana, partoriti dall’autoattentato dell’11 settembre insieme alla fenomenale invenzione della guerra al terrorismo.
 
La posta in gioco con questo referendum, del cui esito non c’è da fidarsi dato che è sottoposto al “controllo” di uno come Angelino Alfano, è enorme per noi e per molti che per molto tempo verranno dopo di noi.  Anche perché non è alle viste l’ipotesi che, passando il Peggio-Del-Fascismo insito nella riforma e nella strategia del coacervo delinquenziale,  domestico e internazionale, che ha espresso Renzi, si produca dalla coscienza e forza delle masse una risposta capace di invertire la direzione e assumerne una inedita, antagonista.
 
Per chi è nato prima o dopo e non ha potuto far sentire la sua voce nell’ultimo sussulto eversivo di questo trasognato paese, dal 1968 al 1977, questa è l’occasione per rovesciare una secchiata di sabbia nell’ingranaggio della macchina che si sta mangiando la libertà. La prima, forse l’ultima nell’arco vitale concesso.
 
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Renzi avverte:
“Se al referendum vince il ‘NO’ torniamo indietro di 30 anni” Magari!  La Vespa,
la minigonna, 
15 chili in meno, l’agilità, 
fisico mozzafiato, denti perfetti.
Dove cazzo devo firmare?
Quando è sto’ cacchio di referendum? 
Renzi ha detto che se vince il NO si torna indietro di 30 anni. 
…Splendido!
Nel 1986…
– non esistevano i contratti cococo, progetto, jobsact, da dipendente a partita iva, voucher, …
– si andava in pensione ad una età decorosa
– c’era l’articolo 18 e le tutele per il lavoratore
– la benzina costava £1.258 tradotto in €0,65 al litro
– non c’erano suv tra le palle
– c’erano tanti concorsi per i posti pubblici
– la rai mandava in onda film in prima visione e trasmissioni senza interruzioni di pubblicità
– non c’era il ticket nella sanità pubblica
– a 25 anni ci si poteva permettere di metter su famiglia. 
– i bambini giocavano per la strada.
– Berlusconi non era in politica e Renzi era il più preso per il culo dai suoi compagni alle elementari.
-non c’era la “buona scuola”, ma la scuola era buona davvero. 
Allora che aspettate a votare NO!!!
Pubblicato da alle ore 18:43

Referendum: un “NO” grande quanto una casa

Diciamolo chiaramente: la “riforma” che porta il nome della fatina dagli occhi turchini è una truffa a ventiquattro carati.
Altri l’hanno smontata pezzo per pezzo, compresi i richiamini per i gonzi (tipo:no4dic riduzione dei costi della politica). Non starò quindi a ripetere cose che sono note e arcinote.
D’altro canto, è il concetto stesso di “riforma” ad essere una truffa. Perché? Perché “riforma” significa soltanto “cambiamento”, mentre Renzi e soci (e prima di lui Amato, Prodi, Monti e onorata compagnia) le hanno attribuito un significato diverso, quello di “cambiamento in meglio”. La verità è che le riforme che ci sono state imposte, i cambiamenti – almeno dal 1990 ad oggi – sono stati tutti rigorosamente “in peggio”. Sfido chiunque a dimostrare il contrario.
Abbiamo avuto riforme su riforme, in tutti i settori e in tutti i campi, dalle pensioni alla scuola, dal fisco al lavoro, e tutte rigorosamente peggiorative. Alzi la mano il pensionato che oggi stia meglio di ieri. Alzi la mano lo studente che abbia tratto un minimo vantaggio dalle ricorrenti “innovazioni”. Alzi la mano il contribuente meno tartassato. Alzi la mano il lavoratore meno precario.
Ebbene, questa riforma si inscrive a pieno titolo nell’alveo di tutte le riforme in peius che hanno distrutto la nostra società e massacrato la nostra qualità di vita, dalla caduta del muro di Berlino e dalla nascita dell’Unione Europea in poi, da quando siamo stati espropriati dei nostri beni comuni con le privatizzazioni, da quando siamo stati invasi da una ondata migratoria eterodiretta. D’altro canto, la prova provata che questa riforma va contro i nostri interessi è data dal “tifo” sfegatato con cui ne invocano l’approvazione tutti i nostri nemici.
Nov 18, 2016 di Michele Rallo

Jobs Act: il 75% dei lavoratori è precario

Sul Jobs Act una cosa vera Renzi l’ha detta: «La ritengo la legge che ha inciso di più sulla realtà». L’uso dei fondi pubblici destinati alle imprese che stanno beneficiando degli sgravi contributivi triennali per i neo-assunti ha rafforzato la realtà del lavoro precario, drogando le statistiche sull’occupazione e permettendo al governo di celebrare un presunto successo su questo fronte nel giorno delle «mille balle blu», i mille giorni passati a Palazzo Chigi.

Vediamola la jobsactrealtà «cambiata» dal Jobs Act. I dati dell’Inps rielaborati dalla fondazione Di Vittorio della Cgil confermano gli effetti della riforma del mercato del lavoro che ha abolito l’articolo 18 e introdotto un nuovo pseudo-contratto per i neo-assunti: quello a «tutele crescenti», dove a crescere sono le tutele dei datori di lavoro che licenziano quando termina l’effetto degli sgravi.

Le assunzioni a tempo determinato e quelle stagionali rappresentano quasi il 75% dei nuovi rapporti di lavoro prodotti nei primi mille giorni renziani. Queste tipologie riguardano rapporti di lavoro spesso di durata molto breve che fanno capo ad uno stesso individuo. Nel rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie 2016 del ministero del Lavoro si sostiene che nel 2015, nel settore privato, il 35,4% dei contratti a tempo determinato aveva una fine prevista entro un mese, ed un altro 23,7% da 1 a 3 mesi. Nei primi nove mesi del 2016 si è verificata una consistente espansione del lavoro a termine, che – insieme al lavoro stagionale- presenta una variazione netta di +462 mila unità, contro meno di 180 mila del corrispondente periodo del 2015. Escludendo i rapporti di lavoro stagionali, il saldo è di +395 mila unità, a fronte di valori nettamente inferiori nel triennio precedente. Dunque, più precari e sempre più a scadenza. Questa è la struttura del mercato del lavoro italiano rafforzata dalla «legge che ha inciso di più sulla realtà».


Il problema di Renzi è il taglio degli sgravi da 8.040 euro a 3.250 per assunto tranne al Sud dove, per una decisione propagandistica pro «Sì» al referendum, gli sgravi saranno totali anche nel 2017.

Con il decrescere dei fondi, diminuiscono i tempi indeterminati. Lo dimostrano i dati rilanciati dalla Fondazione Di Vittorio: nei primi 9 mesi di quest’anno le assunzioni a tempo indeterminato (926 mila) sono inferiori non solo a quelle dei primi 9 mesi del 2015 (con una differenza di -443 mila, pari a -32,3%), ma anche a quelle dei corrispondenti periodi del 2014 (-65 mila, pari al -6,5%) e del 2013 (-85 mila, pari al -8,4%). Aumentano invece i 2,7 milioni le assunzioni a termine, con una variazione rispetto al 2015 di +91 mila unità, di +154 mila rispetto al 2014 ed una ancora più cospicua rispetto al 2013 (+325 mila).

Non solo il Jobs Act non produce occupazione «fissa», ma ne produce molto di meno rispetto al periodo in cui non c’era (2014).


L’analisi sulle attivazione e le cessazioni dei contratti condotta dall’Inps permette di fornire un’immagine più realistica del mercato del lavoro. Il saldo è positivo grazie alle minori cessazioni nel 2016 (-90 mila rispetto al 2015) e le trasformazioni dei vecchi contratti in tempi indeterminati. Senza questi fattori il bilancio sarebbe negativo. Nel resto della campagna elettorale, ci si può scommettere, Renzi non parlerà mai di voucher: nel 2016 sono aumentati del 34%, 109 milioni. Sarebbero almeno 86 mila impiegati a termine in più al mese.

di Roberto Ciccarelli – 20/11/2016

Fonte: Il Manifesto

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=57728