Mogherini sicura, la guerra in Siria non finirà con la presa di Aleppo

La conquista delle forze governative dei territori occupati dai ribelli ad Aleppo non significherà la fine della guerra in Siria, ritiene il capo della diplomazia europea Federica Mogherini. “Sono sicura che la caduta di Aleppo non metterà fine alla guerra”, — la Reuters riporta le parole della Mogherini. In questi mesi la situazione ad Aleppo è estremamente peggiorata e in città e nelle sue vicinanze divampano pesanti combattimenti. I gruppi terroristici guidati da Al-Nusra tengono in ostaggio migliaia di civili ed impediscono i tentativi di lasciare le zone di combattimento tramite i corridoi umanitari garantiti dall’esercito. Secondo il Centro russo per la riconciliazione delle parti in conflitto in Siria, al 28 novembre le forze governative hanno liberato più del 40% di Aleppo est. In precedenza i militari siriani avevano ripreso il controllo dei quartieri Heydari e Al Suhoor, mentre giovedì hanno riconquistato il distretto di el-Shabab.
03.12.2016(aggiornato 16:19 03.12.2016)
https://it.sputniknews.com/politica/201612033727302-UE-Assad-opposizione-terrorismo-Al-Nusra/

La fine del premier sbruffone

deprofundis

Un risultato così netto era inimmaginabile e questa volta i sondaggi hanno sbagliato per eccesso di prudenza. Il NO non soltanto vince, trionfa con margini di distacco che, secondo gli exit pol, sono abissali.

Ed è estremamente significativo che la partecipazione alle urne sia stata molto alta. Questo è stato autenticamente, un voto popolare, che non lascia spazio ad interpretazioni e ad ambiguità.

Gli italiani hanno bocciato una riforma costituzionale che, se fosse stata approvata, avrebbe incrinato alcuni dei principi fondanti della democrazia e della Repubblica. E  contestualmente hanno bocciato irrevocabilmente un premier, Matteo Renzi, che poco meno di tre anni fa si era presentato come uno straordinario innovatore ed era considerato da molti come l’unica vera speranza per l’Italia, che però con il trascorrere del tempo ha mostrato il suo vero volto, quello di un premier sbruffone, voltagabbana, convinto di poter ingannare e illudere tutti con la sua straordinaria ma illusoria parlantina. Un “bomba”, come lo chiamavano i suoi compagni di classe.

Per un po’ gli italiani gli hanno dato ascolto, persino fiducia ma quando le promesse, gli annunci roboanti sull’Italia che riparte, sulla disoccupazione che scende, sui “rosiconi” che perdono, non trovano riscontri nella vita di ogni giorno, quella fiducia si è trasformata dapprima in perplessità, poi in diffidenza e nei casi estremi in vero e proprio odio.

La prospettiva di dare a un premier di questa risma poteri che non hanno paragoni nelle democrazie occidentali  è risultata intollerabile alla stragrande maggioranza degli elettori. E il fatto che Renzi si sia impegnato in prima persona con la foga di un gladiatore e facendo ampio ricorso a una propaganda che è risultata sovrastante e martellante rende ancor più cocente e significativa la sua sconfitta.

E’ un no alla riforma, è un no alla persona. Matteo Renzi, politicamente, è finito.

Gli italiani, invece, si associano al messaggio già formulato con forza dai britannici scegliendo la Brexit e dagli americani eleggendo Donald Trump. E non solo perché ancora una volta le intimidazioni e lo spin attraverso i media tradizionali è risultato inefficiente. Le vecchie regole della propaganda e della manipolazione per influenzare e intimidire i popoli, non sono più efficienti come un tempo.

Gli italiani hanno detto no all’establishment e alle élite transnazionali ed europee che hanno governato la globalizzazione, l’Europa e di fatto anche l’Italia, limitandone la sovranità e la possibilità di cambiare.

Gli italiani, come gli americani e come i britannici, vogliono un vero cambiamento, vogliono tornare padroni del proprio destino. Questa sì è una rivoluzione.

di Marcello Foa. – 05/12/2016

Fonte: Marcello Foa

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Il popolo e le élite della dittatura mascherata

L’utopismo, secondo Popper, conduce alla tirannia e al totalitarismo in quanto il piano di governo della società (educazione del cittadino, ecc.) conduce ad un’identificazione della società con lo Stato e l’esigenza di condurre a “buon fine” l’esperimento induce a tacitare dissensi e critiche, comprese le critiche ragionevoli e quindi al controllo delle menti.

“Ma questo tentativo di esercitare il potere sulle menti – scrive Popper – inevitabilmente distrugge l’ultima possibilità di scoprire che cosa pensi veramente la gente, ed è evidentemente incompatibile con il pensiero critico. In ultima analisi tale tentativo deve per forza distruggere la conoscenza; e quanto più aumenterà il potere, tanto maggiore sarà pure la perdita di conoscenza”. [i]

E’ quanto è accaduto alle élite autoreferenziali del mondialismo, le quali, non comprendendo più il popolo, lo sfiduciano.

napolitano-renzi

Che Popper avesse ragione lo testimonia il commento di Giorgio Napolitano all’elezione di Trump: “Siamo innanzi ad uno degli eventi più sconvolgenti della storia della democrazia europea e americana, direi uno degli eventi più sconvolgenti della storia del suffragio universale, che non è sempre stata una storia lineare di avanzamento, da tanti punti di vista, della nostra società e dei nostri Stati. Qualche volta l’esito di votazioni a suffragio universale è stato anche foriero di gravissime conseguenze negative per il mondo”.

Tradotto in chiaro, il pensiero di colui che è stato, purtroppo per noi, il presidente della Repubblica italiana, è che se il popolo fa quello che piace alle élite, meglio: a certe élite, allora il popolo è ottimo; se il popolo vota male, non secondo quanto vorrebbero certe élite, allora è pessimo, non è più popolo, ma massa amorfa, che esprime populismo, il cascame della democrazia.

Eppure, parrebbe che demo-crazia significhi proprio il potere del demos, ossia del popolo.

Il commento dell’élite autoreferenziale degli illuminati intellettuali mondialisti, meglio alter-mondialisti, come direbbe Agnoletto, che ha eletto a suo leader papa Francesco, autore della nuova religione terzomondista che ha sostituito il cirstianesimo, è che “il voto di Trump è un voto di gente non laureata”.

Alla faccia. Ma questi signori della cosiddetta sinistra, un tempo non lontano non erano i difensori della working class (classe operaia) e dei rurals (i contadini)?

Absit iniuria verbis. Contadini? Operai? Ignoranti non laureati. Noi l’élite dei laureati vi diciamo che se non seguite le nostre illuminanti indicazioni siete un branco di ignoranti populisti. Soprattutto non volete capire che il nostro stare con la grade finanza e con il kombinat di potere dell’industria bellica e delle multinazionali è per fare il vostro bene. Incolti, volgari (ossia vulgus), convertitevi. Seguiteci. Dateci ascolto e sarete di nuovo popolo mondialista, buonista e politicamente corretto.

Politicamente corretto? Ah! si: il linguaggio di chi non vuol dire pane al pane e vino al vino. Quelli che seguendo papa Francesco si dimenticano che nel Vangelo c’è scritto. “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”. Matteo 5,37.

Il politicamente corretto è l’apoteosi dell’eufemismo, ossia del non dire per non avere conseguenze; è il linguaggio dei salotti radical chic, dove ogni presa di posizione è poco elegante. Meglio non dire, essere sfuggenti, sfumati, ossia inconsistenti.

Inconsistenti? No. Dietro il bon ton si nasconde la dittatura del politicamente corretto, che è la censura per chi non condivide le idee dominanti dell’élite intellettual radical mondialista: oggi diversamente mondialista, ossia il predominio della finanza, delle grandi multinazionali, in primo luogo di quelle delle armi.

Vi ricordate Fedro? “Ad rivum eundem lupus et agnus venerant, siti compulsi.
Superior stabat lupus, longeque inferior agnus”.

« Un lupo e un agnello, spinti dalla sete, erano venuti allo stesso ruscello.
Il lupo stava più in alto e, un po’ più lontano, in basso, l’agnello.
Allora il malvagio, incitato dalla gola insaziabile, cercò una causa di litigio.
“Perché – disse – mi hai fatto diventare torbida l’acqua che sto bevendo?
E l’agnello, tremando:
“Come posso – chiedo – fare quello di cui ti sei lamentato, o lupo? L’acqua scorre da te alle mie sorsate!”
Quello, respinto dalla forza della verità:
“Sei mesi fa – aggiunse – hai parlato male di me!”
Rispose l’agnello:
“Ma veramente… non ero ancora nato!”
“Per Ercole! Tuo padre – disse il lupo – ha parlato male di me!”
E così, afferratolo, lo uccide dandogli una morte ingiusta.
Questa favola è scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con falsi pretesti. ».

Cari sinistresi, diversamente terzomodialisti, amanti del comunismo papista e della dittatura feudale del lupo finanziario, accade che il popolo non faccia sempre come l’agnello di Fedro, ma prenda in mano la rude zappa dei rurals, la chiave inglese dei workers e mandi a quel paese le vostre illuminanti idee.

Voi, del politicamente corretto, dovreste avere il coraggio e l’onestà di dire che il popolo vi fa schifo e che preferite il governo delle élite, meglio ancora le dittature mascherate da democrazia. Ne avrebbe vantaggio l’onestà di pensiero. Ma l’onestà di pensiero è politicamente corretta? Ops. Che ineleganza!.

di Silvano Danesi – 26/11/2016

Fonte: controinformazione

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Duemila veterani corrono in aiuto degli indiani sioux per bloccare la costruzione di un oleodotto

Una siouxvspipevolta, gli indiani avevano paura dei soldati americani. Le lunghe sanguinose lotte fra le varie tribù e il governo federale segnarono una frattura rimasta poi nel dna delle nazioni indigene. Ma oggi sono proprio i soldati a correre in aiuto delle tribù, per difenderle invece dalla polizia e dalle sue tattiche “militari”. Un esercito di 2000 veterani, completamente disarmati, sta arrivando nelle fredde lande del Dakota del nord, alla Standing Rock Reservation, dove la confederazione delle sette tribù Sioux cerca di bloccare la costruzione di un oleodotto che dovrebbe passare sotto il lago Oahe, da cui la riserva trae l’acqua potabile.

La protesta dei sioux va avanti da mesi e già due volte i proprietari dell’oleodotto, i texani “Energy Transfer Partners”, hanno fermato i lavori. Ma col passare del tempo, la protesta invece che diminuire è andata crescendo. Oramai l’accampamento dei dimostranti è arrivato a contare 7 mila partecipanti, in rappresentanza di 200 diverse tribù dell’America del nord. Si sono soprannominati “i difensori dell’acqua”, e hanno ricevuto il supporto di Greenpeace, di numerosi attori, e varie organizzazioni dei diritti civili. Per loro non si tratta più solo di fermare un oleodotto che può inquinare l’acqua e stravolgere terreni sacri dove sono sepolti i loro avi, si tratta di una lotta molto più vasta, anche in vista dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.

La resistenza contro l’oleodotto che dovrebbe portare il greggio dal North Dakota fino all’Illinois è diventata il simbolo della lotta per i diritti delle nazioni indiane. Dave Archambault, presidente dei Sioux di Standing Rock ha ricordato come i cow boy bianchi suprematisti che un anno fa avevano occupato il parco nazionale di Malheur nell’Oregon sono stati tutti assolti in tribunale, mentre – protesta – “noi siamo stati accusati di ribellione, pur mentre manifestavamo pacificamente. Siamo stati assaliti dalla polizia con le armi, i cani, i carri armati e gli elicotteri, i nostri anziani sono stati trascinati via mentre pregavano, le nostre nonne buttate per terra, le nostre donne perquisite. Quattrocento di noi sono stati arrestati. C’è un sistema di giustizia per i bianchi e un’altra per gli indiani”.

La situazione è in bilico. Barack Obama ha dato ordine che i lavori venissero temporaneamente interrotti e che l’azienda dell’oleodotto negoziasse con la tribù, per vedere se non sia possibile tracciare un percorso alternativo. La società texana in verità ha varie volte, nella costruzione dei quasi 2 mila chilomettri di struttura, alterato il tragitto in altri luoghi, proprio per proteggere le falde acquifere da ipotetici perdite. Ma intanto il governatore del North Dakota ha dato ordine agli indiani di disperdersi entro lunedì 5 dicembre, sostenendo che l’arrivo del grande freddo rappresenta un rischio per i manifestanti. Gli indiani hanno risposto ironicamente: “Il governatore non vive qui da tanto tempo, se crede che noi che ci viviamo da millenni possiamo temere il freddo”.

In questa situazione estremamente tesa, due giovani veterani, Wes Clark Junior e  Michael Wood, hanno deciso di mobilitarsi e chiamare a raccolta altri giovani ex militari per correre in difesa degli indiani. Hanno fondato un’associazione, “Veteran Stand for Standing Rock” e lanciato un appello, che ha avuto un’immediata eco nella comunità. Circa duemila veterani sono attesi nel fine settimana nelle riserva, dove si propongono di fare da scudo umano ai sioux e alle altre tribù: “Quando ci siamo arruolati abbiamo giurato di proteggere i cittadini del nostro Paese – spiega Clark, un ex ufficiale dell’esercito, figlio del famoso generale che è stato a capo della Nato -. Metteremo i nostri corpi in difesa di una causa giusta, per mostrare a tutto il Paese dove si sta compiendo il male”.

Clark e Wood, che è un ex ufficiale dei Marines, hanno lanciato una raccolta nel sito GoFundMe, superando i due milionii di dollari. I soldi serviranno a organizzare un intervento militare “completamente non violento”. Dopo la prima ondata di questo week-end, i veterani intendono mantenere un turno di protezione, in modo che gli indiani non restino mai senza l’assistenza di “professionisti” che sappiano “resistere agli attacchi del nemico”. L’intera operazione, spiega Wood, è organizzata sulla falsariga di una missione dei Marines, con un’unica differenza: i volontari sono disarmati.

di Anna Guaita – 04/12/2016

 Fonte: Il Messaggero

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Guerra al contante: arriva in Grecia la tassa sui prelievi al bancomat

si sà il contante è brutto, losco, sporco e cattivo. Lascia tutto in mano agli onesti bites dei pc gestiti dalle banche, loro sanno cosa è meglio per te. Non chiamatelo controllo eh, è solo una battaglia per la legalità, cosa di cui le banche sono maestre ed esempio.

Guerra al contante: arriva in Grecia la tassa sui prelievi al bancomat

Atene, 30 nov – In Grecia assistiamo in questi giorni all’ultimo capitolo della guerra al contante. Stando a quanto riportato dal sito Keep Talking Greece, i banchieri ellenici hanno proposto una tassa sulle operazioni di prelievo del denaro dal bancomat. Secondo i promotori di quest’iniziativa: “Tassare i prelievi al bancomat ridurrebbe drasticamente le operazioni in contanti e di conseguenza infliggerebbe un duro colpo all’economia sommersa”. La tesi non è nuova: i contanti possono essere trasferiti nell’economia in nero troppo facilmente e in grandi somme. I banchieri greci vorrebbero che le carte di credito e i bancomat venissero utilizzate per l’acquisto di beni di tutti i giorni, come un biglietto dell’autobus o un giornale all’edicola. Il pagamento elettronico viene spacciato come l’unica arma contro l’evasione fiscale. Molte sono state le critiche a questi disinteressati suggerimenti. Intanto una misura come questa in Grecia è assolutamente fuori luogo. In primis perché colpirebbe un paese dove il 30% della popolazione è a rischio di finire sotto la soglia della povertà. Inoltre la Repubblica Ellenica potrebbe anche rivedere La fiscalità del settore armatoriale. Gli armatori quindi è bene che mettano mano al loro portafoglio, visto che contribuiscono all’erario in maniera risibile.

La proposta dei banchieri greci però trova un ampio seguito nella comunità finanziaria internazionale. È una tesi che mette  d’accordo liberisti e comunisti. Nella guerra al contante troviamo dalla stessa parte della barricata il Fondo Monetario Internazionale e Milena Gabanelli. La cosa non stupisce visto che provvedimenti come questo sono mirati a colpire i risparmiatori e dunque a proletarizzare la classe media. La tracciabilità delle operazioni bancarie non colpisce chi evade veramente le tasse. Infatti, le multinazionali finanziarie e produttive – nonché la grande organizzazione del crimine – hanno sufficienti mezzi “legali” per farlo: è sufficiente, senza andare chissà dove, spulciare i tesori delle banche e delle loro fondazioni tra il Lussemburgo, la Svizzera e il Liechtenstein. Ad esempio, gli Agnelli-Elkann ottennero uno “sconticino” come quello già ottenuto di fronte ad un’accertata evasione fiscale di ben novantotto miliardi. Hanno sanato il tutto con 2,5 miliardi di euro. Eppure la lotta al denaro contante è un chiodo fisso per i banchieri, e per i loro camerieri al governo.  L’obiettivo, però, come dicevamo, è un altro: scoraggiare la propensione al consumo della classe media.

Fonte: www.ilprimatonazionale.it

http://www.informarexresistere.fr/2016/11/30/guerra-al-contante-arriva-in-grecia-la-tassa-sui-prelievi-al-bancomat/

Batosta meritata: 46 anni di carcere confermati per 9 grandi banche islandesi

incarcerare i banchieri, roba da populisti. I banchieri si nominano premier, così fece ad esempio la civile Italia.

Batosta meritata: 46 anni di carcere confermati per 9 grandi banche islandesi

Nessun media racconta quello che è successo in Islanda, queste informazioni sono state pubblicate dal sito YourNewsWire.com. Una punizione meritata che dovrebbe essere imposta ai nostri truffatori, non solo i banchieri, sopratutto i nostri cari truffaldini politicanti.

L’Islanda ha agito in modo diverso dal resto dell’Europa e degli Stati Uniti, consentendo che i banchieri fossero perseguiti come criminali piuttosto che trattarli come una specie protetta.

L’Islanda ha riconosciuto nove banchieri (banche principali) colpevoli e li ha condannati a decenni di carcere per reati legati alla crisi economica del 2008.

Giovedi, 6 ottobre la Corte Suprema islandese ha reso un verdetto di colpevolezza per i nove imputati per manipolazione del mercato Kaupthing, dopo un lungo processo che ha avuto inizio nel mese di aprile dello scorso anno.

Kaupthing è una banca leader a livello internazionale con sede a Reykjavik, in Islanda. Si è sviluppata a livello internazionale per anni, ma è crollata nel 2008 sotto il peso di enormi debiti, paralizzando l’economia della piccola nazione.

Chiedendo alla giustizia che i banchieri fossero soggetti alle stesse leggi come il resto della società, l’Islanda ha adottato una strategia del tutto diversa da quella dell’Europa o degli Stati Uniti, dove le banche hanno ricevuto multe simboliche, ma dove direttori e mecenati non hanno avuto alcuna pena.

Mentre i governi americani/europei  salvano le loro grandi banche con i soldi dei contribuenti, e dunque inducono i banchieri nei loro comportamenti malvagi – l’Islanda ha adottato un approccio diverso, dicendo che avrebbe lasciato fallire le  banche, eliminando e punendo i criminali che hanno portato queste banche al lastrico. Soprattutto l’Islanda ha scelto di proteggere i risparmi dei cittadini.

L’ex direttore della banca Kaupthing Már Sigurðsson Hreiðar, che è stato condannato e imprigionato lo scorso anno, ha visto la sua prigionia prolungata di sei mesi Giovedi.

Secondo l’Islanda Monitor, i nove banchieri sono riconosciuti colpevoli di reati legati alla finanza di acquisti abusivi di azioni – la banca ha prestato denaro per l’acquisto di azioni durante l’utilizzo di azioni proprie come garanzia per i prestiti.

Essi sono anche colpevoli di aver venduto con l’inganno azioni truffa ai suoi clienti, proprio come è successo in Italia con Banca Etruria giusto per fare un esempio.

L’approccio islandese

Queste convinzioni sono solo l’ultimo giro di vite senza precedenti da parte dell’Islanda in quanto al crollo economico. Le autorità hanno condannato i padroni delle banche, amministratori delegati e funzionari governativi per reati che vanno dall’insider trading alla frode, riciclaggio di denaro e violazioni dei diritti da parte di funzionari.

Nel frattempo, l’economia, che 2008 è crollata oggi è ripartita alla grande dopo aver lasciato le sue banche fallire, imponendo controlli sui capitali e proteggendo i propri cittadini, piuttosto che l’elite societario delle banche responsabili di questo pasticcio.

La volontà dell’Islanda è in netto contrasto con quanto praticato nel Regno Unito, nel resto d’Europa e negli Stati Uniti. Ci sono state molte ammende inflitte alle venti maggiori banche per le trasgressioni, come la manipolazione del mercato, il riciclaggio di denaro e la vendita di mutui. I banchieri colpevoli, grazie ai salvataggi governativi, hanno continuato a fare profitti fenomenali e intascano  bonus osceni come se nulla fosse accaduto.

L’anno scorso, il Fondo monetario internazionale ha riconosciuto che l’Islanda era tornata per la ripresa economica “senza compromettere il suo modello di welfare”, soprattutto senza punire i suoi cittadini per reati commessi dai suoi banchieri.

di S.M. per La Verità di Ninco Nanco novembre 30, 2016

http://www.informarexresistere.fr/2016/11/30/batosta-meritata-46-anni-di-carcere-confermati-per-9-grandi-banche-islandesi/

JUNCKER SUPPLICA I LEADER UE DI NON TENERE REFERENDUM SULL’EXIT: IL POPOLO POTREBBE SCEGLIERE DI ABBANDONARE L’UE

Risulta sempre interessante ascoltare i leader meno accorti della Ue: spesso si lasciano sfuggire scomode verità. Come riporta il Daily Mail, in questa intervista J.C. Juncker ammette apertamente il terrore degli eurocrati nei confronti dei referendum sull’appartenenza alla Ue.  Essi sperano quindi che ai cittadini non venga data la possibilità di esprimersi.  La colpa della disaffezione degli europei verso la Ue, naturalmente, non viene attribuita alle disastrose decisioni che vengono da Bruxelles: è invece colpa di ciascun popolo, che non “ama” abbastanza i cittadini degli altri paesi membri e non si interessa dei loro problemi.  Per tenere insieme un’unione oligarchica, risulta sempre più indispensabile e urgente limitare il ricorso alla democrazia.

 di John Stevens, 28 novembre 2016

Jean-Claude Juncker ha esortato i leader della Ue a non indire referendum sull’appartenenza del loro Paese all’Unione europea, perché teme che anche i loro elettori sceglierebbero di uscire.

Il Presidente della Commissione europea ha detto che dare alle persone la possibilità di votare sarebbe ‘stolto’,  dato che potrebbero cercare di ripetere la Brexit.

Le sue osservazioni giungono nel momento in cui uno dei candidati a presidente dell’Austria ha minacciato di indire un referendum se la Ue si dovesse muovere verso una maggiore integrazione.

Norbert Hofer, che se domenica venisse eletto diventerebbe il primo capo di stato di estrema destra dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ha promesso un referendum se la Ue dovesse accentrare ancor più il potere in seguito alla Brexit.

A una domanda sulla promessa fatta dal candidato del Partito della Libertà, Juncker ha risposto a Euronews: “Non possiamo negare o abolire il diritto dei cittadini europei di esprimere le loro opinioni. Per quanto riguarda i referendum sull’appartenenza alla Ue, penso che non sia saggio organizzare questo tipo di dibattiti, non solo perché sarei preoccupato del risultato finale,  ma anche perché si aggiungerebbero altre controversie a quelle già così largamente  presenti in seno alla Ue.  Peraltro, non penso che il presidente dell’Austria, chiunque sarà, si lancerà in un’avventura di questo tipo.  Ho imparato a distinguere tra le promesse elettorali e le politiche concrete.

Juncker, a cui è stata addossata la responsabilità del voto sulla Brexit, ha insistito che “l’esistenza della Ue non è in dubbio”. Ha sostenuto che la debolezza della Ue sia una “mancanza d’amore”,  anziché la conseguenza delle decisioni di Bruxelles.
Non ci conosciamo un granché bene – ha dichiarato – che cosa sanno della Sicilia i cittadini della Lapponia ? Che cosa sanno gli italiani meridionali sulle questioni polacche? Niente. Dobbiamo interessarci di più l’uno dell’altro”.

Juncker ha minimizzato le probabilità di Marine Le Pen di diventare Presidente francese, dicendo che “Questa è un’ipotesi a cui non voglio nemmeno pensare. È una domanda che non dovremmo nemmeno porci”.

Alla domanda se l’Inghilterra sarebbe stata punita in modo esemplare  per scoraggiare gli altri paesi desiderosi di lasciare la Ue, Juncker ha detto: “Non si tratta di questo. Non cerco vendetta nei confronti del Regno Unito. Gli inglesi si sono espressi tramite il suffragio universale. Spero che gli altri non lo facciano. Ma, riguardo al Regno Unito, non dobbiamo arrivare a uno spirito di vendetta. Dobbiamo risolvere i problemi che questa situazione ha causato al Regno Unito e agli europei. Ci assicureremo che le relazioni tra le isole inglesi e il continente rimangano armoniose, pur sapendo che gli inglesi non possono avere gli stessi diritti e vantaggi dei cittadini dell’Unione europea”.

I sondaggi in Austria mostrano che il risultato è in bilico. L’elezione è una ripetizione del voto tenuto a maggio, nel quale il Signor Hofer era stato sconfitto soltanto per 30.000 voti dal rivale indipendente Alexander Van der Bellen, un 72 enne professore di economia in pensione, risolutamente pro-Ue.

Il risultato è stato annullato a luglio a causa di irregolarità nel modo in cui sono stati conteggiati i voti postali (che risultavano in larga maggioranza a favore del candidato pro-Ue e avevano ribaltato il voto espresso fisicamente NdVdE) ed è stata decisa una seconda votazione.

Fonte: Voci Dall’Estero  novembre 30, 2016

http://www.informarexresistere.fr/2016/11/30/juncker-supplica-i-leader-ue-di-non-tenere-referendum-sullexit-il-popolo-potrebbe-scegliere-di-abbandonare-lue/

DONALD TRUMP OTTIENE CHE LE GRANDI FABBRICHE NON SCAPPINO DAGLI USA: SALVATI 1.400 POSTI (E SIAMO SOLO ALL’INIZIO)

STATI UNITI – Il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, visitera’ Indianapolis in Indiana nella giornata di domani, e annuncera’ pubblicamente di aver raggiunto un accordo con il produttore di sistemi di condizionamento dell’aria Carrier, che evitera’ la chiusura di uno stabilimento e il licenziamento di mille lavoratori in quella citta’.

L’azienda aveva avviato i preparativi per il licenziamento di 1.400 persone quasi un anno fa, quando negli Usa si stavano disputando le primarie dei Partiti democratico e repubblicano. Lo scorso febbraio un dirigente aziendale aveva informato i dipendenti dello stabilimento che avrebbero perso il loro impiego.

Donald Trump si era interessato da subito alla questione, citandola a modello della grave emorragia di lavoratori scontata dal settore manifatturiero Usa. “Ecco cosa accadra’”, aveva detto il Repubblicano a Indianapolis lo scorso aprile, quando la sua vittoria alle elezioni presidenziali ancora appariva impossibile. “Ricevero’ una chiamata alla Casa Bianca dal capo di Carrier, che mi dira’: ‘Signor presidente, abbiamo deciso di rimanere negli Stati Uniti”. Andra’ cosi’ al 100 per cento”.

E in effeti, è quanto è accaduto, alla faccia dei “democratici” che dovevano “difendere” gli interessi delle classi lavoratrici e invece hanno rappresentato gli interessi dei banchieri di Wall Street.

Non e’ usuale, sottolinea oggi la stampa Usa, che un presidente – meno che meno un candidato alla presidenza – conduca trattative con singole aziende statunitensi, materia di cui dovrebbero occuparsi semmai le agenzie federali o i governi dei singoli Stati dell’Unione. Cio’ non toglie, pero’, che a meno di un mese dalle elezioni dell’8 novembre, e quando ancora non si e’ insediato alla Casa Bianca, Trump possa gia’ appuntarsi al petto una prima vittoria politica di alto profilo.

“Siamo lieti di aver raggiunto un accordo con il presidente eletto Trump e il vicepresidente eletto Pence per mantenere circa mille lavoratori in Indiana”, ha infatti annunciato l’azienda su Twitter. Stando a fonti vicine al presidente eletto citate dal settimanale  “Time”, Trump intende adottare lo stesso approccio con una serie di altre grandi aziende intenzionate a delocalizzare la produzione e trasferire posti di lavoro al di fuori del paese.

Il Washington Post definisce quella di Trump la sua piu’ grande vittoria sino ad oggi, ma avverte che in Indiana, per ogni stabilimento salvato, ce ne sono altri che si ridimensionano o chiudono i battenti: la campagna di Trump per rilanciare la manifattura statunitense e’ appena cominciata, e si preannuncia però già con un importante successo.

Redazione Milano –mercoledì 30 novembre 2016

http://www.ilnord.it/c-5112_DONALD_TRUMP_OTTIENE_CHE_LE_GRANDI_FABBRICHE_NON_SCAPPINO_DAGLI_USA_SALVATI_1400_POSTI_E_SIAMO_SOLO_ALLINIZIO

Integrazione

Cagliari: clandestini appena sbarcati scippano due donne

CRONACANEWSlunedì, 5, dicembre, 2016 

CAGLIARI, 5 DIC – Erano appena usciti dalla Questura di Cagliari, con in mano il documento che li respingeva dal territorio italiano, ma sono andati in centro e hanno scippato due donne. Due algerini, Adil Amiri, di 25 anni, e Hamza Sekouf, di 28, arrivati sabato scorso sulle coste meridionali della Sardegna con lo sbarco dei 153 migranti, sono stati arrestati dai carabinieri.

Usciti dalla Questura, infatti, hanno raggiunto il centro cittadino. In piazzetta San Sepolcro hanno aggredito una 29enne e le hanno scippato il telefono cellulare. Poco dopo in via Barcellona hanno avvicinato una ragazzina di 16 anni riservandole lo stesso trattamento. Sul posto sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di Cagliari che nel giro di poco tempo sono riusciti a rintracciare i due algerini, arrestandoli. Le due vittime sono rimaste lievemente ferite. ansa

Camici bianchi in fuga all’estero, esodo biblico. Incremento del 600 per cento

anche loro sono choosy? In 5 anni andata una classe medica. E’ un modo anche questo per togliere la sanità?

sanità

Camici bianchi in fuga all’estero, esodo biblico. Incremento del 600 per cento

Emigranti in camice bianco e stetoscopio. In 5 anni sono aumentati di quasi il 600% i medici italiani che hanno scelto di praticare in altri Paesi europei: Francia, Germania, Svezia, Danimarca, Regno Unito e Svizzera in particolare, oltre che Stati Uniti. Secondo dati Istat, i professionisti che hanno chiesto al ministero della Salute la documentazione per esercitare all’estero sono passati da 396 nel 2009 a 2.363 nel 2014 (+ 596%). E nel 2015 per i soli laureati in Medicina e chirurgia, il dicastero di Lungotevere Ripa ha rilasciato 1.112 attestati di conformità e 1.724 attestati di good standing.

 Così non stupisce che solo nel Regno Unito, secondo i dati del General Medical Council, i medici italiani in servizio fossero più di 3.000 nel 2014. E tra il 2014 e il 2015 sono aumentati di circa 200 unità.

Oramai siamo a circa 1000 laureati o specialisti che emigrano ogni anno”, rileva uno studio di Anaao Assomed, che sottolinea come per l’Italia il costo della formazione per singolo medico si aggira intorno a 150.000 euro. “E’ come se regalassimo mille Ferrari all’anno agli altri paesi”. Un danno non solo economico. E chi resta in Italia? “Nel 2017, se non cambiano le politiche sull’assunzione in servizio, l’età media dei medici ospedalieri sarà superiore a 55 anni, la più alta nel panorama europeo e la seconda al mondo dopo Israele”.

 Lo scenario che si prospetta nei prossimi 10 anni nel Ssn “è drammatico. Da un lato l’uscita dal sistema per pensionamento di circa 47.300 medici specialisti del Ssn, a cui aggiungere circa 8.200 tra medici universitari e specialisti ambulatoriali, e dall’altro circa 14.300 precari tra tempi determinati e contrattisti alla ricerca di una stabilizzazione definitiva del loro rapporto di lavoro”.

 Un esodo “biblico” se aggiungiamo anche i circa 30.000 medici di medicina generale che raggiungeranno i criteri di quiescenza nei prossimi 10 anni (Dati Enpam 2016). “Lo sblocco del turnover e la stabilizzazione di tutto il precariato diventano due necessità ineludibili per garantire le caratteristiche di equità e universalità su cui si fonda il nostro Ssn, nonché la qualità dei servizi”, conclude Anaao.

30 novembre 2016

http://www.siciliainformazioni.com/redazione/475539/camici-bianchi-fuga-allestero-esodo-biblico-incremento-del-600-cento