Codice appalti, resta il massimo ribasso. E sul 95% delle gare l’Anac non potrà metter becco

22 aprile 2016 FQ :

Renzi aveva parlato di una riforma “che chiude le strade alla corruzione”, ma per tutti i lavori che valgono meno di 1 milioni nulla cambierà.

In più gli esperti dell’Autorità entreranno nelle commissioni incaricate di scegliere l’offerta più vantaggiosa solo nel 5% dei casi. In tutti gli altri i commissari saranno scelti dalla stessa stazione appaltante.

Cicconi, direttore dell’Istituto per la trasparenza degli appalti: “Scoperta tutta la gestione esecutiva, dove si annida la corruzione”

di Stefano De Agostini 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/22/codice-appalti-resta-il-massimo-ribasso-e-sul-95-delle-gare-lanac-non-potra-metter-becco/2662819/

Cambiare tutto per non cambiare niente. Il nuovo Codice appalti è stato presentato dallo stesso premier Matteo Renzi durante la conferenza stampa del 15 aprile come una riforma “che chiude le strade alla corruzione“. L’asso nella manica del capo governo doveva essere, anche questa volta, l’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone. Ma l’Anac, nella battaglia per garantire la trasparenza negli affidamenti di lavori pubblici, avrà le armi spuntate: i suoi esperti vigileranno solo su una piccola parte degli appalti, appena il 5%come fa notare Sergio Rizzo sul Corriere della Sera. Una nuova falla nella legge, dunque, dopo quelle segnalate nei giorni scorsi dai sindacati: nel testo definitivo sono saltate le norme sulla tutela del posto di lavoro nel cambio di impresa appaltatrice e sulla trasparenza nelle gare.

A questo quadro si aggiunge la sostanziale sopravvivenza delle gare al massimo ribasso, che negli annunci del governo dovevano andare in soffitta con il nuovo codice. “Basta gare al massimo ribasso”, aveva dichiarato il ministro dei Trasporti Graziano Delrio il 3 marzo dopo il Consiglio dei ministri che aveva approvato il testo in via preliminare. Eppure, l’articolo 95 delinea uno scenario diverso. Il testo prevede che si possa ancora usare il criterio del minor prezzo per i lavori di importo fino a un milione di euro, ancora una la volta la maggioranza dei casi: circa 8 su 10.

Ma la vera norma-beffa relativa ai poteri dell’Anac si trova all’articolo 77 della nuova legge. Nelle procedure di appalto con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione sulla proposta migliore è affidata a una commissione giudicatrice composta da esperti del settore. Per garantire la massima trasparenza in questo processo, i commissari saranno estratti a sorte da un apposito elenco preparato dall’Anac. Ma questa regola vale solo per le gare con importi che superano le soglie comunitarie, vale a dire i 5,2 milioni di euro. Se non si supera questa cifra, o se gli appalti “non presentano particolare complessità“, liberi tutti: “La stazione appaltante può nominare componenti interni alla stazione appaltante, nel rispetto del principio di rotazione“. Insomma, i commissari saranno scelti dallo stesso ente che assegna l’appalto.

Tutto in famiglia. Risultato: il 95 per cento degli appalti verrà assegnato esattamente come prima.

Non a caso, lo stesso Raffaele Cantone in audizione in parlamento aveva avvertito sui rischi insiti nella norma: “Tale previsione sembra non essere del tutto rispettosa del criterio di delega che, nell’obiettivo della garanzia della massima trasparenza nelle nomine dei commissari non distingue, per la nomina dei commissari, tra appalti di valore superiore ed inferiore alle soglie. Inoltre il riferimento troppo generico agli appalti di “non particolare complessità” sembra consentire una ulteriore troppo ampia possibilità di derogare al principio”.

E i problemi sorgono non solo in fase di affidamento dell’appalto, ma soprattutto nella gestione esecutiva dei lavori.

“La corruzione e le infiltrazioni mafiose si annidano non tanto nell’affidamento degli appalti, ma nella gestione esecutiva del contratto – spiega ailfattoquotidiano.it Ivan Cicconi, direttore di Itaca, Istituto per l’innovazione e trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale – E in questo senso il codice lascia scoperto questo buco enorme”.

Ma Cicconi sottolinea anche un ulteriore aspetto delicato del nuovo testo legislativo. “Il buco di questo codice è che attribuisce un ruolo straordinario all’Anac, ma non c’è una riga su durata, composizione, modalità di nomina dell’autorità. Oggi il presidente è Raffaele Cantone, una persona per bene, ma se domani cambia il governo, il nuovo presidente del Consiglio potrà nominare un nuovo presidente senza alcun vincolo. Domani potrebbe essere nominato un delinquente alla guida dell’Anac”.

Codice appalti, saltano norme su tutela del lavoro e trasparenza. “Il governo ignora i dipendenti”

21 aprile 2016 FQ :

Nel testo definitivo è saltata l’obbligatorietà della clausola sociale, che impegna l’impresa subentrante a mantenere gli addetti al loro posto.

Troppo debole, secondo le sigle sindacali, anche la stretta sui subappalti, che pure è stata fortemente caldeggiata da Raffaele Cantone

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/21/codice-appalti-saltano-norme-su-tutela-del-lavoro-e-trasparenza-il-governo-ignora-i-dipendenti/2655937/

“Da parte del governo nessuna attenzione nei confronti dei lavoratori”. Addetti alle pulizie, operatori di call center, dipendenti delle mense: i sindacati sono sul piede di guerra dopo la pubblicazione del Codice appalti in gazzetta ufficiale. Nel testo definitivo è saltata l’obbligatorietà della clausola sociale, cioè la tutela del posto di lavoro dei dipendenti nel passaggio dell’appalto da un’impresa all’altra. Troppo debole, secondo le sigle sindacali, anche la stretta sui subappaltiche pure è stata fortemente caldeggiata da Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. Al quadro si aggiunge un altro ritocco in zona Cesarini con la marcia indietro del governo sul tema della trasparenza: resta la procedura negoziata senza bando nelle gare con importi al di sotto di un milione di euro, mentre nella bozza precedente si voleva abbassare la soglia a 500mila euro.

“Una vera sorpresa in negativo – commenta Luigi Sbarra, segretario confederale Cisl – che dimostra purtroppo come questo esecutivo non abbia alcuna attenzione per i lavoratori”. L’inserimento di clausole sociali nei bandi di gara, dunque, sarà solo facoltativo. Nella bozza di Codice appalti entrata in Consiglio dei ministri la scorsa settimana, invece, si stabiliva che per “gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto (…) i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali”. 

Nella versione definitiva del testo, il verbo “inseriscono” ha fatto posto a un più blando “possono inserire“. La clausola sociale dovrebbe garantire che, al cambio di titolare dell’appalto, i lavoratori dell’impresa uscente siano assorbiti dalla subentrante.

Secondo la Uil, questa norma “riaprirà la strada alle gare al massimo ribasso“. Soprattutto nel settore dei call center, che conta 80mila addetti in Italia, sindacati e imprese lamentano da tempo come chi vinca queste gare sono società che offrono importi al di sotto del costo del lavoro, con ricadute anche sulla qualità del servizio offerto.

Sulla questione è intervenuto anche Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera, che aveva approvato il testo prevedendo la clausola sociale obbligatoria.

Il giorno prima della pubblicazione, quando circolavano le voci sulla modifica della norma, il deputato Pd parlava già di un “fatto grave”: “Scrivere che si “possono inserire” non dà alcuna garanzia per il lavoro, la sua tutela e la sua qualità, e crea situazioni di concorrenza sleale tra imprese. Il parlamento ha delegato il governo a definire i decreti legislativi sulla base di precisi criteri: dovrebbe essere superfluo ricordare che il ruolo delle commissioni parlamentari non è quello di semplici passacarte“, conclude.

L’altro punto caldo riguarda la trasparenza. Nel testo, fa notareFranco Martini, segretario confederale Cgil, “si prevede l’obbligatorietà dell’indicazione in sede di offerta della terna dei subappaltatori solo per gli appalti sopra soglia comunitaria, quando è noto a tutti che l’80% dei contratti riguarda appalti al di sotto del milione di euro”. E questa circostanza, come sottolinea Tiziana Bocchi, segretaria confederale Uil, “lascia ampia discrezionalità incontrollata degli affidamenti”.

Non a caso, anche Raffaele Cantone aveva sottolineato l’importanza di una stretta sui subappalti, pur non entrando nel merito delle soglie. Ascoltato in audizione dalla commissione Ambiente, il magistrato aveva puntato il dito contro “il sistema del subappalto, un altro degli strumenti che viene utilizzato nella contrattazione corruttiva per assicurare qualcosa”.

E in merito all’obbligo di indicare la terna di subappaltatori, aveva spiegato: “Può essere un limite ma può avere una funzione di moralizzazione. Una terna per imprese di grosse dimensioni non credo rappresenti una impossibilità, imprese che operano sistematicamente in certe zone sanno chi sono gli imprenditori di riferimento e forse indicarli prima può forse evitare il rischio di accordi collusivi dopo, e anche il rischio di imporre all’impresa l’accordo collusivo”.

Infine, c’è stato un altro dietrofront dell’ultimo minuto sul piano della trasparenza. L’obbligo di procedura ordinaria scatterà a un milione di euro e non a 500mila euro, come si leggeva nella bozza entrata in Consiglio dei ministri venerdì scorso. E così, il governo dice addio alla stretta prevista in un primo momento: per gli importi fino a un milione di euro, la stazione appaltante può affidare l’intervento con una procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando.

Nel dettaglio, per gli affidamenti tra i 40mila e sotto i 150mila euro con procedura negoziata, bisognerà consultare almeno cinque operatori economici. Per gli importi tra 150mila e sotto il milione (e non 500mila euro) la consultazione dovrà interessare almeno 10 operatori.

Navi americane intorno alla Russia: provocazione russa!

di Enrico Galoppini – 18/04/2016
Fonte: Il Discrimine
 
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Una nave da guerra americana transita in acque europee, nel Mar Baltico, a 70 miglia nautiche dall’enclave russa di Kaliningrad, e siccome la sorvolano dei caccia russi – per sincerarsi delle intenzioni di quella nave, o anche solo per far capire “l’antifona” – la solita “stampa libera” occidentale titola: “Caccia russi a volo radente su nave Usa nel Baltico”, instillando automaticamente nel suddito euro-atlantico l’idea che è la Russia a “provocare” l’America, e non il contrario.
L’occhiello della “notizia” rincara la dose: “Pentagono: ‘profilo di un attacco simulato’”.
Che cosa ci faccia invece una nave da guerra degli Stati Uniti nei paraggi della Russia non costituisce mai argomento di riflessione, né per l’Ansa né per tutto il resto della cosiddetta “informazione”, tanto si dà per scontato che l’America possa far scorazzare le sue armate – di terra, del mare e dell’aria! – ovunque, senza chiedere il permesso a nessuno, ed anzi gridando allo scandalo se chi scorge alle porte gente non propriamente benintenzionata si attiva per evitare il peggio e per ribadire che non sta lì a farsi prendere per i fondelli.
Invece no, è la “guerrafondaia” Russia (mentre l’America, dalla sua fondazione, ha scatenato centinaia di guerre…) a cercare il casus belli, a minacciare la “pace mondiale” e via mistificando.
Ribaltare in questo modo la frittata è tipico di certa “propaganda” vituperata e ridicolizzata per decenni, ma quando a questo vecchio trucco ricorre il Comando delle Forze Aeree Usa in Europa, a parte il fatto che nessuno si chiede seriamente perché esista un simile “comando” a casa nostra, tutti questi manovali dell’imbonimento collettivo scattano sull’attenti e danno voce a chi – colmo della faccia tosta – invoca il rispetto di “norme professionali” quando è arcinoto che è il primo a non rispettare niente e nessuno (I’m the Law: “Io sono la Legge”).
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Di questo passo, se non interverrà un salutare risveglio nelle coscienze di questi ‘pifferai’ realizzando che mentire sistematicamente non fa bene, finirà che il semplice starsene dove ci si trova, e cioè sulla propria terra, e non permettere l’andirivieni di mezzi militari, spie e provocatori stranieri di ogni sorta, sarà equiparato ad un “atto ostile”, con la conseguenza che una guerra d’immani proporzioni sarà scatenata per il fatto che la Russia non ha inteso calarsi le braghe e sventolare bandiera bianca così come l’America vorrebbe.
In tutta questa situazione sinceramente assurda, penosa e disgustosa, l’unico elemento ottimistico, oltre alla suddetta indisponibilità russa a farsi mettere sotto, sembra essere rappresentato da una crescente opinione pubblica europea favorevole a Mosca. Una corrente d’opinione che non si beve più le frottole americane e che vede nella Russia, più che la “minaccia” tanto sbandierata, una “possibilità” e finanche un alleato contro i peggiori disastri in atto e quelli ancor più temibili che si profilano all’orizzonte.

Povertà: Eurostat, l’Italia è il Paese Ue con più poveri

l’importante sia garantito vitto e alloggio a profughi e stranieri, gli italiani possono anche morire di stenti, chi se ne frega, questo è il vero antirazzismo.
I pensionati italiani se la spassano, sono ricchi. I disoccupati non esistono e quei pochi hanno tanti privilegi, questo secondo la società civile a servizio di MAFIA CAPITALE
 
Quasi 7 milioni, il doppio della Germania e tre volte la Francia
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Redazione ANSA
BRUXELLES
15 aprile 2016
L’Italia è il Paese europeo con il numero più elevato di persone che vivono in “gravi privazioni materiali”, ovvero la definizione istituzionale di ‘poveri’. E’ quanto emerge dai dati Eurostat relativi al 2015, che segnalano una discesa sensibile del numero di poveri in Europa, ma solo marginale in Italia. Nel 2015 in Europa il tasso di povertà è sceso a 8,2% sul totale dei cittadini europei, dal 9% del 2014.
 
In totale, sono 41,092 milioni i poveri in Europa. L’Italia, invece, è passata dall’11,6% all’11,5%, ovvero un totale di 6,982 milioni di persone che vivono in conclamate condizioni di povertà. Per Eurostat, si tratta di persone che non possono affrontare una spesa inaspettata, permettersi un pasto a base di carne ogni due giorni, mantenere una casa. Il numero è molto più basso in Germania (3,974 milioni), dove il tasso è appena del 5%, e anche in Francia (2,824 milioni), con un tasso del 4,5%, entrambi Paesi più popolosi dell’Italia. In generale sono poveri soprattutto i genitori ‘single’ (17,3% del totale Ue) e gli adulti senza compagno (11%).
 
Copyright ANSA

Trivelle a Buttigliera e Rivalta

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VALSUSA NOTIZIE

Voci indipendenti dalla Val Susa

Comunicato Stampa del Sindaco di Rivalta

Inserito il 22 aprile 2016
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Da alcuni giorni, senza alcun preavviso né esposizione di cartelli, hanno iniziato a trivellare le aree della tratta nazionale del TAV: ieri – 21 aprile 2016 – si sono dati da fare nelle aree lungo la strada del Dojrone sul territorio di Rivalta di Torino, nei giorni scorsi hanno trivellato e effettuato carotaggi nell’area tra Buttigliera e Ferriera.

E’ pur vero che non sono tenuti per legge a una comunicazione preliminare, ma visto che i proponenti l’opera sbandierano un inesistente corretto rapporto con le Amministrazioni interessate ci saremmo aspettati di ricevere con congruo anticipo un’informazione esauriente.

La ditta che sta effettuando gli interventi è la stessa che ha operato in bassa val di Susa: a fronte di richiesta di chiarimenti, da parte di cittadini che stavano passeggiando sui sentieri della Collina Morenica di Buttigliera, ha millantato risposte false e tendenziose (“stiamo lavorando per conto Smat per cercare acqua”: è forse la risposta più fantasiosa che si potesse pensare, per altro subito smentita da Smat stessa che è stata prontamente interpellata dal Sindaco di Rivalta Mauro Marinari informato dai cittadini stessi).

Dunque si vogliono stringere i tempi sulla tratta nazionale dell’opera più inutile e dannosa che si possa concepire mentre il servizio ferroviario che serve quotidianamente ai pendolari versa in condizioni sempre più deplorevoli; intanto l’architetto Virano gongola all’arrivo di un treno da Pechino (magari carico di inutili merci) smerciando versioni fantasiose sull’interconnessione tra tale linea e l’alta velocità in Val Susa: le merci  hanno viaggiato per giorni e giorni sulle linee esistenti e non sull’alta velocità che, in ogni caso, andrebbe riservata ai passeggeri.

L’Amministrazione di Rivalta denuncia la reiterata mancanza di informazione agli Enti Locali e in particolare ai Sindaci che rispondono in prima linea e in prima persona della gestione del territorio da loro amministrato. 

Mauro Marinari, sindaco di Rivalta di Torino

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Acqua: la Camera approva la privatizzazione

per fortuna che la società civile va in piazza per difendere questo governo dai partiti “fascisti” xenofobi euroscettici che minacciano QUESTA democrazia.
 
Il ddl sull’acqua bene comune è stato stravolto dal Partito democratico, che ieri ha approvato un testo che va in direzione contraria
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(Rinnovabili.it) – Il Pd è uno dei partiti che appoggiarono il referendum sull’acqua bene comune, l’ultimo a raggiungere il quorum nel 2011. Ieri, però, proprio per iniziativa dei democratici, la gestione del servizio idrico ha fatto un altro passo verso la privatizzazione. La Camera dei deputati ha infatti licenziato la proposta di legge sulla tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque con 243 voti a favore, 129 contrari e 2 astenuti. Ora il testo passa al Senato, dove il governo dispone di una ampia maggioranza.
Dopo il voto è stata bagarre in aula, con le opposizioni che hanno messo in atto una protesta e dispiegato le bandiere con la scritta “2 Sì per l’acqua bene comune”. La seduta è stata sospesa dal presidente di turno, Roberto Giachetti.
Il conflitto tra maggioranza e opposizione, tra Pd schierato per la privatizzazione – pur senza ammetterlo – e M5S, Sel e SI sull’altro fronte, si combatte intorno all’articolo 6.
È questo il cuore del ddl di iniziativa popolare presentato ormai nel 2007 con 400 mila firme: prescrive l’affidamento del servizio idrico solo a enti di diritto pubblico pienamente controllati dallo Stato, garantendo un anno agli enti per l’adeguamento. Ma prima in Commissione Ambiente, poi ieri in aula, il Pd ha stravolto il senso del disegno di legge originario, aprendo al mercato la gestione dell’acqua pubblica.
 
Il provvedimento approvato alla Camera, infatti, non reca più la formula che garantiva l’affidamento «in via prioritaria» a società interamente pubbliche. Da un lato l’acqua resta un servizio pubblico locale di interesse economico generale, e viene garantito anche il diritto a un quantitativo minimo vitale di acqua procapite (massimo 50 litri giornalieri, anche in caso di morosità). Dall’altro, per l’affidamento del servizio idrico integrato non è più prioritario rivolgersi a società pubbliche. Il che è una grossa apertura ai privati.
«Oggi è caduta anche l’ultima foglia di fico dietro la quale il Pd aveva provato a nascondersi – si legge nella nota del Forum italiano dei movimenti per l’acqua – Infatti, la Commissione Bilancio ha cancellato la via prioritaria assegnata all’affidamento diretto in favore di società interamente pubbliche. Un disconoscimento palese e spudorato che ha ribaltato il senso di quella legge sottoscritta da 400 mila cittadini e aggiornata alla luce dei risultati del referendum popolare del 2011».
Del resto, questa modifica va di pari passo con il Testo Unico sui servizi pubblici locali, decreto attuativo della Legge Madia n. 124/2015. Qui si trova l’altra metà del disegno renziano: l’obbligo di gestione dei servizi pubblici locali attraverso società per azioni e il ripristino della «adeguatezza della remunerazione del capitale investito» nella composizione della tariffa. La stessa riga che 27 milioni di cittadini avevano abrogato nel 2011.

Arriva il treno Pechino-Lione: la nuova via della seta su rotaie Al momento l’Italia è tagliata fuori, ma con la Tav sarà collegata niccolò zancan

21/04/2016 La Stampa 
AFP

Il treno partito dalla Cina arriva stamattina alle 8 a Saint-Priest (Lione)

Come una nuova via della seta, ma su rotaie. Questa mattina alle 8, alla stazione logistica di Saint-Priest, vicino a Lione, è in arrivo un treno molto speciale. Ci saranno politici, consoli e fotoreporter ad attenderlo. È il primo treno carico di merci partito dalla Cina: raggiunge la sua destinazione dopo 11.300 chilometri di viaggio percorsi attraverso Kazakistan, Russia, Bielorussia, Polonia e Germania, uno scalo per scaricare alcuni container a Duisburg. Ci sono voluti quindici giorni. Sono stati superati non pochi problemi tecnici. In Russia, per esempio, i binari hanno lo scartamento più largo, servono soste obbligate e cambi in corsa. Ma resta comunque un viaggio corto la metà rispetto a quello per mare. E ormai il treno è qui, sta arrivando nel cuore dell’Europa.  
 
L’OBIETTIVO  
La notizia è che presto questo viaggio straordinario diventerà normale. La compagnia «Wuhan Asia Europe Logistics», la prima ad aver inaugurato la rotta, ha già annunciato l’intenzione di aprire un ufficio permanente a Lione. Per poi organizzare un servizio di tre convogli al mese: andata e ritorno. Con alcune razionalizzazioni lungo il percorso, l’obiettivo è riuscire a coprire la tratta da Wuhan a Lione in una settimana. Sette giorni per questo viaggio intercontinentale di terra. Così oggi, il primo arrivo viene celebrato come una grande possibilità di sviluppo.  
 
L’Italia per adesso è tagliata fuori, ma non lo sarà in futuro. Con l’inaugurazione del tunnel del Gottardo, e poi con la Torino-Lione. Ecco perché proprio Mario Virano, il direttore generale di Telt, la società italiana che gestisce i lavori per la costruzione del tunnel per l’alta velocità fra Italia e Francia, è stato invitato alla cerimonia. «Sono molto felice di partecipare a ad un momento così altamente simbolico – dice Virano – il corridoio Est-Ovest, tanto vituperato da alcuni, che lo ritenevano solo un’illusione, sta diventando realtà. La Svizzera già collega treni dalla Spagna alla Cina. Il governo russo e quello cinese hanno realizzato un accordo per costruire l’alta velocità: un’opera da sei miliardi di dollari. Insomma: il mercato si annuncia in fortissima crescita. C’è un oggettivo grande interesse nel potenziare questa rotta. Per le merci e per i passeggeri».  
 
E l’Italia? «Il percorso naturale sarebbe proprio il Corridoio Mediterraneo, quello che attraversa la Pianura Padana. Ma oggi non è praticabile perché sconta la penalizzazione dell’attraversamento alpino a 1300 metri di quota nel vecchio tunnel del 1871, qualcosa di incompatibile con le nuove tipologie di treni. Però è evidente: la via della seta non era una congettura poetica. Ora è il mercato stesso a segnalare la necessità di infrastrutture che connettano in modo più veloce, sicuro e pulito il nuovo mondo globalizzato. Quello che sta succedendo mette in luce ancora di più i nostri ritardi, ma è anche uno stimolo per accelerare».  
 
LA TORINO-LIONE  
Il piano di lavoro per la linea ad alta velocità Torino-Lione, almeno sulla carta, è questo: completare la prima parte entro il 2019, due miliardi di investimenti di cui 813 milioni finanziati dalla commissione europea. Dal 2020 al 2027 verrà completato lo scavo. Quindi serviranno altri due anni di opere tecniche per attrezzare la galleria. Totale: tredici anni per entrare a far parte della nuova via della seta.  
 
È proprio con questa visione che lo scorso novembre molti sindaci delle principali città interessate dal progetto hanno firmato la «Carta di Torino». Mosca, Tirana, Norimberga, Barcellona, Siviglia, Lione e Budapest. Un impegno per aggregare gli interessi dei territori, mettere in condivisone le energie e rendere il sogno sempre più concreto.

 

3 agosto 2015 Repubblica :

Zoe, il nome della bimba per la nave container più grande del mondo del mondo

http://www.repubblica.it/economia/2015/08/03/foto/zoe_il_nome_della_bimba_per_la_nave_container_piu_grande_del_mondo_del_mondo-120358573/1/#1

Un colosso con il nome da bimba: la nave porta container più grande del mondo si chiama Zoe, proprio come la piccola di quattro anni che le ha fatto da madrina nella cerimonia del battesimo del mare, avvenuta oggi ad Amburgo.

Una festa per la compagnia navale Msc, che saluta la nuova ammiraglia della Olympic Serie di cui fanno parte anche le navi Oscar e Oliver, varate di recente: imbarcazioni capaci di caricare 19.224 teu (l’unità di misura dei container) che corrispondono a circa 769mila metri cubi.

E una festa per la famiglia del patron e fondatore del gruppo Msc, Gianluigi Aponte: la bimba Zoe è infatti sua nipote e figlia di Pierfrancesco Vago, top manager del gruppo navale 

La scomparsa degli Archivi di Stato, così l’Italia distrugge la sua storia

 Il 94 per cento dei dirigenti archivisti ha più di cinquant’anni, il 66 per cento ha superato i sessanta. Tra poco andranno in pensione. E senza archivi gli storici non possono lavorare
 
19 Aprile 2016
L’Italia è un Paese che rischia di perdere la memoria. Un passato collettivo scritto nero su bianco e conservato negli oltre cento Archivi di Stato. Fascicoli su fascicoli, milioni di documenti, custoditi da funzionari che tra pochi anni andranno quasi tutti in pensione. Nelle 101 strutture preposte sono conservati 1.600 chilometri di scaffalature. A gestire l’enorme memoria pubblica sono 621 dirigenti archivisti del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo. Un gruppo di esperti in via di estinzione. Come denuncia la deputata del gruppo Per l’Italia Milena Santerini, il 94,6 per cento di loro ha più di cinquant’anni. Il 66,3 per cento supera i sessanta. Nel giro di pochi anni si saranno tutti ritirati dal lavoro. «La stragrande maggioranza – si legge in una interrogazione presentata pochi giorni fa a Montecitorio – guadagneranno il riposo lasciando a gestire uno dei patrimoni archivistici più preziosi al mondo i 29 funzionari che oggi hanno meno di cinquant’anni e i 4 che hanno meno di quarant’anni».
 
In ballo c’è il passato di un Paese. «Noi pensiamo ai musei e all’archeologia – racconta la parlamentare – ma la nostra storia è conservata in queste carte». Agli archivisti il compito di organizzare, custodire e catalogare il materiale. Un impegno indispensabile, spiega il documento parlamentare, «dopo un’alluvione o un terremoto per coloro che vogliono recuperare una planimetria, ma anche per ricostruire i precedenti di una causa penale o una storia familiare». Un’attività essenziale, che troppo spesso avviene in condizioni difficili. Basti pensare al solo Archivio centrale dello Stato, a Roma. Qui sono conservati documenti che occupano almeno 120 chilometri di scaffalature. E altri 40 chilometri sono stati trasferiti in un deposito a Pomezia. «I depositi sono gonfi all’inverosimile – si legge – e nei soffitti di quelli sotterranei sono incassati cubetti di vetrocemento che a stento reggono l’acqua, che si infiltra nelle pareti dove sono addossati scaffali alti sette metri».
 
A custodire e catalogare la nostra memoria storica sono 621 dirigenti archivisti. Il 94 per cento ha più di cinquant’anni. Il 66,3 supera i sessanta. Nel giro di poco tempo saranno tutti in pensione
Intanto gli archivisti continuano il loro prezioso lavoro. Veri e propri archeologi della memoria collettiva, sono impegnati a «studiare e scoprire piccoli e grandi tesori seppelliti nelle carte». Nel frattempo catalogano, custodiscono, ricevono gli interessati e rispondono alle richieste per corrispondenza. E sono sempre di meno. Mentre i più si avvicinano alla pensione, l’organico non viene integrato. L’ultimo concorso per archivista è stato bandito dal ministero nel 2009. Sette anni fa.
Per la manutenzione e la sicurezza degli Archivi di Stato sono stati investiti 25 milioni di euro per il triennio 2016-2018. E ogni anno gli affitti degli immobili superano i 17 milioni
 
È una situazione difficile, per stessa ammissione del ministro dei Beni e attività culturali Dario Franceschini. Pochi giorni fa è intervenuto a Montecitorio per approfondire l’argomento. E ha ammesso che la situazione rischia persino di aggravarsi. Come prevede il decreto Enti locali dello scorso anno, infatti, le province in fase di scioglimento potranno versare i propri archivi presso gli Archivi di Stato. «E questo – spiega il ministro – aumenterà ovviamente le esigenze di spazi e personale». C’è anche un problema di costi. Non ci sono solo i 25 milioni di euro investiti nel triennio 2016-2018 per la manutenzione e la sicurezza degli Archivi. Attualmente gli istituti archivistici sono ospitati in 238 immobili. «Di cui 137 – dice l’esponente del governo – sono purtroppo in locazione passiva». In attesa di individuare nuovi immobili pubblici dove trasferire i documenti, ogni anno lo Stato deve far fronte a oltre 17 milioni di euro solo per i canoni di locazione.
 
Resta la questione degli archivisti che andranno in pensione. La legge di Stabilità ha previsto una norma in deroga ai criteri generali del turnover nella pubblica amministrazione. Come spiega il ministro Franceschini, il provvedimento autorizza l’assunzione a tempo indeterminato per il ministero di 500 funzionari «inquadrati nella terza area del personale non dirigenziale». Una parte rilevante, assicura, servirà a coprire i posti vacanti degli archivisti. È una novità positiva. Un intervento necessario, ma non ancora sufficiente. Già nei prossimi anni molti archivisti attualmente in attività, data l’età media avanzata, andranno in pensione e dovranno essere sostituiti. Ecco perché nella prossima legge di stabilità saranno obbligatori altri interventi. Il primo ad esserne consapevole è Franceschini. «Non possiamo lasciare gli Archivi senza il personale specializzato».

M.O., Mogherini: Ue non riconosce occupazione Golan di Israele

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BRUXELLES (PARS TODAY ITALIAN) – L’Unione Europea ha ricordato che non riconosce l’occupazione da parte di Israele delle Alture del Golan, malgrado le dichiarazioni del primo ministro Benjamin Netanyahu secondo cui la parte annessa del Golan siriano restera “per sempre sotto la sovranità israeliana”.
 
“L’Unione Europea riconosce Israele nelle sue frontiere prima del 1967, qualunque siano le dichiarazioni del governo di Israele sulle altre regioni fino a quando un accordo finale sarà raggiunto”, ha affermato il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini. “Si tratta di una posizione comune riaffermata dall’Unione Europea e dai suoi stati membri”, ha aggiunto Mogherini prima di una riunione di donatori internazionali a sostegno dell’economia palestinese a Bruxelles. Israele occupa dalla Guerra del giugno 1967 1.200 chilometri quadrati delle Alture del Golan, a nordest di Israele, la cui annessione nel 1981 non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale, mentre i circa 510 chilometri quadrati restanti sono sotto il controllo siriano.

“Caso Regeni” e sovranità italiana

di Enrico Galoppini – 18/04/2016
Fonte: Il Discrimine
 
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Toh chi si rivede: Manconi!
 
Purtroppo bisogna sempre ripetere le stesse cose, perché effettivamente accadono sempre le stesse cose.
 
Prendiamo il “caso Regeni”.
 
Tutti, e sottolineiamo tutti i cosiddetti “media nazionali”, oggidì 18 aprile, hanno seguitato a dare spago a chi – Inghilterra in testa – pretende di sapere “la verità”. Nobile faccenda, “la verità”, mai onorata in decenni di stragi e “segreti di Stato” sempre utili per coprire qualche potente Intoccabile. E se a ciò aggiungiamo che di prezzolati e “idealisti” disposti a vendersi e ad esaltarsi per le “campagne” di Amnesty International, in Italia se ne trovano quanti se ne vuole, il resto viene da sé.
 
Per cui non sorprende affatto che i notiziari italiani abbiano fatto vedere il presidente francese Hollande in visita al Cairo “preoccupatissimo” per i “diritti umani” all’ombra delle piramidi, e lo stesso abbiano fatto con la delegazione d’affari tedesca guidata dal vice-cancelliere ed in visita nel paese del Nilo insieme ad una nutrita delegazione di imprenditori.
 
Non una parola una sui motivi di queste visite ufficiali, al centro delle quali i “nostri” giornalisti vorrebbero farci credere esservi il “caso Regeni” e lo stato dei cosiddetti “diritti dell’uomo” nell’Egitto governato dal generale al-Sisi defenestratore dei Fratelli Musulmani. Roba da stracciarsi le vesti, tanta è l’incompetenza, se non la vera e propria malafede, di questo cancro incistato nella nostra nazione che sono questi pappagalli ammaestrati a ripetere solo e sempre le veline del Badrone (occhio alla “B”, perché questi scattano sull’attenti come lo Zio Tom).
 
regeni_sisi
“Repubblica” ne è certa: il mandante è al-Sisi!
 
Lo capisce infatti anche il mio gatto – il quale, intendiamoci, è assai più perspicace del giornalista medio italiano – che Francia e Germania, dopo la stessa Inghilterra delle “borse di studio” ai “ricercatori” che svolgono per essa un utile lavoro, sono andate in Egitto a colmare il vuoto creatosi con la fuga precipitosa della delegazione italiana d’imprese guidata – ma guarda un po’ – da quello stesso ministro Guidi costretto alle dimissioni in fretta e furia alle viste del referendum sulle trivelle.
 
A noi qui non interessa stabilire se questo o quello siano dei maneggioni e dei profittatori, ché anche di questa genìa l’Italia è strapiena, bensì cogliere il nesso di causa-effetto – evidente, come dicevamo, anche al gatto – tra la rovina degli affari italiani in Egitto (sotto il pretesto del “rispetto dei diritti umani”) e la concomitante presa al balzo della classica palla, piena di miliardi, da parte delle imprese, statali e private, d’Inghilterra, Francia e Germania.
 
Lo stesso ‘cinema’ andato in scena in Libia, dove alla débacle delle nostre posizioni è corrisposta l’immediata impennata di quelle dei medesimi soggetti che avevano voluto la fine della Jamahiriyya e che, in questo caso, non digerendo la piega presa in Egitto ed i rapporti privilegiati tra Roma e Il Cairo, hanno individuato nel “caso Regeni” – sia che l’abbiano creato appositamente, sia che l’abbiano strumentalizzato – un’occasione imperdibile per farci le scarpe definitivamente nel Nord Africa.
 
gentiloni_cnn
“Ministro degli Esteri”…
 
Un Nord Africa dove per il momento “tiene” la sola Algeria, nel mirino dei noti paladini della “libertà” alleati col “fondamentalismo islamico”, mentre anche in Tunisia i nostri “alleati” sono riusciti ad assicurarsi, per “combattere il terrorismo” (da essi sponsorizzato anche grazie all’intermediazione di noti campioni dei “diritti umani” come i sauditi), posizioni strategiche impensabili ai tempi della presidenza di Ben ‘Ali (altro personaggio di non specchiata moralità, ma che almeno stava dalla nostra parte).
 
In tutto questo gioco al massacro è evidente che mentre c’è qualcuno, negli apparati dello Stato italiano, che cerca di resistere (per esempio tergiversando ‘all’italiana’ su un coinvolgimento militare in Libia), c’è anche chi – e si tratta di un’accozzaglia composita di quelle che un famoso “megadirettore” avrebbe definito “merdacce” – rema sistematicamente contro, inventandosi di continuo, dietro imbeccata di questa o quella ambasciata “alleata” o di certa “autorevole stampa internazionale”, motivi per far girare a vuoto l’Italia ed impantanarla in qualche “problema”.
 
Come se l’Italia non fosse la loro Patria, e nemmeno il cosiddetto loro “Paese”, a tanto è giunta la loro immedesimazione con gl’interessi stranieri delle pretese “grandi democrazie” che tanto potere hanno nel cooptare, con denari e propaganda, certi “italiani” con tanto di virgolette.
 
Perché ammesso e non concesso che nella fine del “ricercatore” italiano ci sia una responsabilità di qualche apparato o individuo riconducibile allo Stato egiziano, non si capisce come mai la stessa canea non viene sollevata ogni volta che un connazionale viene ammazzato in circostanze assai strane in qualsiasi parte del mondo, oppure messo in galera, senza alcun rispetto per i “diritti umani”, sulla base di fantasiosi ed indimostrabili teoremi. In America, per esempio, è accaduto un sacco di volte, da Sacco e Vanzetti in poi.
 
Vittorio_Arrigoni
Perché Arrigoni non “vale” quanto Regeni?
 
E per citare solo uno tra i molti “casi” che potrebbero alimentare illazioni ed incidenti diplomatici con sviluppi “pericolosi”, come mai per Vittorio Arrigoni non è stato messo su tutto questo casino da parte della Farnesina?
 
Non vogliamo entrare poi nella questione dei marò, perché quella è una vicenda nella quale l’India accusa i due fucilieri di Marina di aver assassinato dei pescatori indiani (“scambiati” per pirati, affermano da parte italiana), tuttavia non ci risulta che l’Italia abbia mandato a ramengo le relazioni con Nuova Delhi così come sembra intenzionata a fare con l’Egitto.
 
Stendiamo infine un velo pietoso sul Cermis o sul “caso Calipari”, ché sarebbe solo un’inutile e penosa autoflagellazione. E non osiamo addentrarci nei meandri della sequela interminabile di giovani soldati italiani morti atrocemente a causa dello spargimento di sostanze altamente tossiche nella ex Jugoslavia da parte della Nato: il problema praticamente non sussiste! Perché a prenderlo di petto ci sarebbe invece da capire quali sono i vantaggi per l’Italia nello stare sotto l’ombrello (“protettivo”!) della Nato.
 
Sono tutti “misteri”, questi, che non possono avere soluzione, in attesa di capirci qualcosa se e quando l’Italia gusterà di nuovo, un giorno, il sapore della libertà, della sovranità e  dell’indipendenza.
 
Ma sì, prendiamocela con l’Egitto, tanto altro non si può fare.