Maria Elena Boschi quasi due ore con i pm

Lunedì, 4 aprile 2016 – 14:00:00

Tensioni per le domande sul compagno della Guidi

boschi giacca red

Ascoltare il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi “era necessario“. Lo afferma il procuratore della Repubblica di Potenza, Luigi Gay, subito dopo l’incontro con la Boschi sull’inchiesta sulle attività petrolifere in Basilicata. La ministra è stata ascoltata come persona informata sui fatti. Al centro dell’audizione, l’emendamento approvato in Legge di Stabilità che sbloccava interventi strutturali legati alle estrazioni petrolifere in Val d’Agri, nel Potentino. All’incontro, erano presenti anche i pm Basentini e Triaffi, titolari dell’inchiesta. Il faccia a faccia è durato quasi due ore. Assaltato dai cronisti, Gay ha evitato le domande lasciandosi sfuggire solo quel “era necessario” circa l’opportunità dell’incontro.

Fonti del Pd spiegano ad Affaritaliani.it che la ministra delle Riforme ha risposto a tutte le domande dei pm. Il clima del faccia a faccia è stato cordiale anche se non sono mancati momenti di leggera tensione specialmente quando i pubblici ministeri hanno insistito con le domande sul compagno dell’ex ministro Federica Guidi, Gianluca Gemelli. Comunque, al termine dell’audizione la Boschi è apparsa serena.

Tempa Rossa, il giro di email tra compagnie petrolifere e Boschi – Settimana decisiva per la procura di Potenza. Partono gli interrogatori di garanzia agli indagati del primo filone di indagine, quello sul petrolio che ipotizza il disastro ambientale. Nelle prossime ore il procuratore Luigi Gay, l’aggiunto Francesco Basentini e la pm Laura Triassi concorderanno con le segreterie del ministro Maria Elena Boschi e dell’ex titolare dello Sviluppo economico Federica Guidi la data in cui ascoltarle.

Nel frattempo emergono delle email che potrebbero mettere nei guai il ministro Boschi e che proverebbero che la norma Tempa Rossa fu dettata dai colossi petroliferi. Dalle carte dell’inchiesta, riporta il Fatto Quotidiano, emergono molte email con l’ufficio del ministero della Boschi a proposito della legge. Stando a quanto riporta il quotidiano da dicembre 2014 inizia un grande giro di email tra le compagnie petrolifere e il ministero della Boschi.

In particolare, il capo di gabinetto Roberto Cerreto chiede ai dirigenti delle compagnie di limitare gli incontri e di sentirsi in via scritta. Al centro degli scambi epistolari c’è la questione dell’emendamento sul petrolio. Le compagnie vogliono esportare e non vogliono rischiare una nuova bocciatura dopo quella dello Sblocca Italia del 2014.

Per questo cercano una sponda politica importante. E scelgono la Boschi, individuandola nella figura centrale per far passare l’emendamento. Non è un caso che la Guidi nell’intercettazione col compagno faccia riferimento al necessario via libera della Boschi. Comincia dunque quello che il Fatto definisce “un vorticoso giro di email” che porterà poi all’approvazione dell’emendamento, che di fatto aggira le autorità locali e daà al governo il potere di consentire alle compagnie petrolifere di raggiungere i loro obiettivi.

Così vanno avanti le intimidazioni ai No Tav

post — 3 aprile 2016 at 12:43

non_si-arrestadi Livio Pepino (Il Manifesto) – Ci sono fatti, pur all’apparenza minori, che consentono di cogliere in modo plastico il senso di alcune vicende giudiziarie. Sono accaduti di nuovo, nei giorni scorsi, in Val Susa (sempre più cartina di tornasole delle peggiori derive istituzionali). Non si è trattato, questa volta, di contestazioni, tanto drammatiche quanto fantasiose, di terrorismo e neppure del tentativo di ridurre al silenzio voci fuori dal coro. Si è trattato «soltanto» di una, a dir poco anomala, applicazione di arresti domiciliari e di obblighi di presentazione a otto attivisti No Tav imputati di resistenza a pubblico ufficiale per un episodio non dissimile, quanto a rilevanza penale, da un banale diverbio stradale. Nei giorni scorsi il Tribunale del riesame, revocando tutti gli arresti domiciliari e alcuni obblighi di firma, ha, ancora una volta, ridimensionato l’impostazione della procura torinese (che avrebbe voluto addirittura gli imputati in carcere) ma ciò non toglie, anzi sottolinea ulteriormente, la gravità e il segno dell’operazione.

I fatti, dunque, come descritti nell’ordinanza cautelare. Il 17 settembre 2015 un’autopattuglia del carabinieri di Susa ferma un furgone con a bordo due attivisti No Tav che rientrano da una «estemporanea iniziativa di contestazione svoltasi al cantiere di Chiomonte». Il conducente del furgone, pur noto ai carabinieri operanti, esibisce carta di identità e documenti di circolazione del mezzo mentre il passeggero rifiuta di declinare le generalità. Durante il controllo sopraggiunge un’auto con quattro attivisti che ingaggiano un’accesa discussione con i carabinieri nel corso della quale uno dei presenti afferra per un braccio e strattona il maresciallo dell’autopattuglia. Nulla di più e nulla di meno. Sei mesi dopo, le misure cautelari. Eseguite in modo spettacolare e con il corredo di perquisizioni domiciliari e personali a raffica. Si legge in uno dei decreti autorizzativi che le perquisizioni, finalizzate alla ricerca di «materiali e documentazione anche su supporto informatico inerenti i fatti per cui si procede», non devono riguardare solo gli imputati ma «qualunque altro soggetto anche solo temporaneamente presente nei luoghi perquisendi» e possono avvenire anche in ora notturna («stanti le ragioni di urgenza dovute al pericolo che si disperdano ovvero deteriorino in tutto o in parte le prove e tracce relative ai reati contestati»).

C’è da non crederci. La discussione tra attivisti e carabinieri era incontestata e descritta da subito sui siti del movimento, il fatto era di evidente modestia, i partecipanti erano tutti valligiani conosciuti dai carabinieri e da essi identificati (come precisato nell’annotazione di polizia giudiziaria), cinque di loro erano incensurati. C’erano dunque, a tutto concedere, le condizioni per un ordinario processo a piede libero in cui discutere di molte cose: delle reali modalità del fatto, delle responsabilità dei singoli (posto che alcuni degli imputati non risultano neppure essere intervenuti nella discussione), di eventuali reazioni ad atti arbitrari dei pubblici ufficiali (alcuni dei quali usi rimpiangere i metodi del fascismo) e via elencando. Perché, dunque, le misure cautelari? E perché le perquisizioni, all’evidenza inutili ai fini dichiarati (per la natura del fatto contestato e per il tempo da esso trascorso)? E ancora: perché perquisire le persone temporaneamente (e magari casualmente) presenti nei luoghi in cui si trovavano gli imputati? Perché costringere a denudarsi, con l’accompagnamento di commenti volgari e umilianti, tutte le donne presenti? Quali materiali inerenti un episodio di resistenza potevano trovarsi nei computer o nei telefoni sequestrati a persone non gravate da alcun indizio di partecipazione al reato? Perché sequestrare (come puntualmente accaduto) oggetti del tutto privi di significato con riferimento alla resistenza? Quali ragioni di urgenza imponevano, sei mesi dopo i fatti, di procedere in tempo di notte?

La risposta è tanto semplice quanto preoccupante. Per anni magistrati autorevoli e meno autorevoli – supportati da schiere di giornalisti e commentatori – hanno gridato ai quattro venti che gli interventi repressivi disposti non riguardavano il movimento No Tav ma solo reati specifici commessi da frange estremiste e violente, per lo più estranee alla Val Susa. Così cercando di dividere e di isolare. Ora anche la maschera è caduta. I destinatari delle misure cautelari sono stati vecchi e giovani valligiani imputati per fatti che in ogni altra parte d’Italia avrebbero meritato, al massimo, un dibattimento di routine al di fuori da ogni «corsia preferenziale». E le perquisizioni effettuate, nella loro inutilità e improprietà, evocano un intento persecutorio e intimidatorio e una prassi di indagine senza limiti alla ricerca di non si sa che cosa. Bersaglio dell’intervento repressivo è sempre più chiaramente, in altri termini, il movimento no Tav in quanto tale (e, dunque, l’attività di opposizione da esso svolta). A conferma – se ce ne fosse bisogno – di quanto accertato dal Tribunale permanente dei popoli nella sentenza 8 novembre 2015 nella quale si segnalano, in Val Susa, «risposte istituzionali che spesso hanno superato la soglia fisiologica del mantenimento dell’ordine democratico e dell’equilibrato perseguimento dei reati, inducendo – per le loro modalità, distorsioni o eccessi – significative violazioni di diritti costituzionalmente garantiti». È un segnale da non sottovalutare, non solo per la Val Susa.

Notav.info è su Telegram

mediapost — 3 aprile 2016 at 12:22

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Forze in divisa festeggiano Pasqua

Riceviamo foto dalla Clarea.

di Valsusa Report

Sono da poco passate le vacanze di Pasqua, dopo i giorni dell’attacco al cantiere, la zona proibita alla circolazione diventa nuovamente percorribile ai cittadini, No Tav, turisti o forestieri. La rimozione dei jersey messi a sbarramento dei sentieri di montagna rivelano diversi accampamenti, di qua quelli No Tav di la quelli delle forze in divisa a guardia del cantiere geognostico della futura linea merci ad alta velocità Torino-Lione. Riceviamo così alcune foto dei risultati, “dell’occupazione manu militari” come dicono gli oppositori, dei boschi della  lato Giaglione[Qui] anche un articolo sul sito di riferimento dei No Tav.

 [IMMONDIZIA A PASQUA]

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Come spende i soldi pubblici Telt? In avvocati!

 Spinta dal Bass

 lunedì, aprile 4, 2016
Come spende i soldi pubblici Telt? In avvocati!

Da inizio 2015 a oggi Ltf/Telt ha fatto contratti con avvocati e studi legali per oltre ottocentomila euro.816.844€ in 15 mesi, per la precisione. E stiamo considerando solo i contratti fatti in Italia, non quelli francesi. Queste informazioni sono presenti nel data base dell’Autorità Nazionale Anticorruzione. Una cifra di tutto rispetto, tenendo conto poi che sono tutti soldi pubblici. Telt non ha ancora avviato i lavori per il tunnel ma con il foro pare andare d’accordo. Ecco il dettaglio dei contratti:

Studio Legale Zappata – 80.000€

Associazione professionale Avv. Riccardo Ludogroff, Avv. Vilma Aliberti, Avv. Maria Teresa Fanzini, Avv. Mario Sandretto – 100.000€

Studio legale Strata 132.000€

Studio legale Dalla Vedova – 4.844€

Bin Avvocati Associati – 40.000€

Studio legale Alessandra Rossi – 160.000€

Studio legale associato Prof. Avv. Andrea Comba, Prof. Avv. Mario Eugenio Comba – 40.000€

Studio Legale Strata – 144.000€

Avv. Castaldi – 156.000€

Quest’ultimo contratto ci permette di aprire una parentesi. L’oggetto della gara riporta “pagamento della difesa da parte dell’Avv.to Castaldi nel giudizio arbitrale promosso dalla società Sitaf (il lodo è stato emesso ad aprile scorso)”. Nell’arbitrato tra Sitaf e Ltf ha una parte di rilievo anche un altro personaggio a noi noto, il prof. Agostino Cappelli, ordinario di ingegneria dei trasporti all’Università IUAV di Venezia. Cappelli ha una lunga frequentazione con la Torino-Lione e con Ltf. Nel suo curriculum ricorda l’esperienza da consulente scientifico ed esperto indipendente negli “studi sui flussi di traffico merci di attraversamento dell’arco alpino, ai fini delle valutazioni del progetto di nuovo attraversamento ferroviario Torino-Lione”, avvenuta fra il 2002 e il 2003. In una presentazione del 2006 pronosticava la saturazione della linea storica al 2020 o addirittura al 2012, e vaticinava che era “venuto il momento di affrontare la realizzazione di una nuova grande opera ferroviaria, che avremo il merito di lasciare in eredità alle generazioni future”. Ha partecipato ad alcune riunioni dell’Osservatorio Virano in veste di esperto ed è stato assistente tecnico-scientifico alla struttura di missione per la Torino-Lione fra 2007 e 2009. Ma torniamo all’arbitrato Ltf-Sitaf, perché proprio qui ritroviamo il prof. Cappelli, come consulente tecnico di parte Ltf/Telt, un incarico che va dal 1 marzo 2013 al 1 marzo 2015 pagato 89.729,54€.

Questa lunga parentesi perché ci sembra significativo che chi oggi legittimamente prende novantamila euro per una consulenza a Ltf/Telt ieri era l’esperto indipendente nello studio sui flussi di traffico, le cui previsioni sono state decisamente smentite dalla realtà.

Ma torniamo ai contratti di Ltf/Telt. Non ci sono solo gli studi legali. Due milioni e quattrocentomila euroalla Dierre Spa per i terreni di San Didero, ottantamila euro per l’arredamento della sede di Torino [1 e 2], sessantaduemila euro a Sitaf per la “concessione di nulla osta all’utilizzo di alcune particelle utili alla creazione di un punto di atterraggio per elicotteri”. Di quest’ultima pista di atterraggio, dopo una iniziale colata di cemento vicino a via dell’Avanà e la sua successiva demolizione abbiamo perso le tracce. E ancora: duecentosessantasettemila euro alla Martina Service per l’affitto di un fabbricato a Susa, centotrentamila euro al Politecnico di Torino per studiare la valorizzazione delle risorse geotermiche del tunnel di base, un milione e mezzo di euro per l’assistenza alle procedure di esproprio e cinquantamila euro per la traduzione italiano-francese. E via così, decine e decine di contratti. Sono briciole rispetto all’affare della Torino-Lione ma rendono bene l’idea del potere che può dare stringere le corde di una borsa così capiente come quella del Tav.