Arabia Saudita responsabile degli attacchi dell’11 settembre, Obama si oppone alla legge

Meno male che il premio nobel per la pace, il democratico Obama protegge i cari sauditi, tanto rispettosi dei diritti umani, mica come il “dittatore” Assad
 
20 aprile 2016
 
torrigem
Un disegno di legge osteggiato dall’amministrazione del presidente Barack Obama, che porrebbe l’Arabia Saudita di fronte alle proprie responsabilità negli attentati dell’11 settembre 2001, è più vicino all’approvazione. Il senatore repubblicano del South Carolina, Lindsey Graham, si è detto pronto a ritirare la propria opposizione al provvedimento, che gode di un sostegno bipartisan da parte dei parlamentari democratici e repubblicani.
 
Il provvedimento, battezzato “Justice Against Sponsors of Terrorism Act”, consentirebbe ai familiari delle vittime di portare avanti azioni legali contro paesi sospettati di aver sostenuto gli attacchi. Graham era stato uno dei primi sostenitori del disegno di legge, ma poi aveva sposato la linea contraria della Casa Bianca, secondo cui il provvedimento esporrebbe gli Usa ad azioni legali analoghe da parte dei paesi stranieri privati della loro “immunità legale” negli Usa.
 
A preoccupare Obama è soprattutto la reazione dell’Arabia Saudita, sospettata, ma mai direttamente accusata da Washington, di un ruolo di primo piano nei gravissimi attentati che hanno colpito gli Usa l’11 settembre 2001. Per decenni, l’Arabia Saudita è stata il pilastro della politica estera Usa in Medio Oriente. Oggi, però “(i sauditi, ndr) non ci tengono più prigionieri in una camicia di forza energetica”, come apertamente dichiarato dal senatore democratico del Connecticut Richard Blummenthal.
 
Secondo Blummenthal, “oggi gli Stati Uniti hanno un quadro più chiaro dello storico finanziamento dei gruppi estremistici da parte dell’Arabia Saudita”, e i cittadini statunitensi “sono sempre più preoccupati per le violazioni dei diritti umani” da parte della Monarchia del Golfo. Obama, che da oggi i trova in visita ufficiale a Riad, si trova in una posizione assai scomoda: il presidente, scrivono il “New York Times” e la “Washington Post”, teme l’imprevedibilità delle reazioni del sovrano saudita Salman.
 
A Washington, però, anche il tradizionale sostegno del Partito repubblicano allo storico alleato saudita sta venendo meno. “Certamente (i sauditi) sono stati partner a lungo e sotto diversi punti di vista”, ha dichiarato ad esempio il repubblicano del Tennessee Bob Corker, presidente della commissione Affari esteri del Senato. “D’altra parte, siamo consapevoli che il radicalismo wahabita ha avuto origine da quel paese, e questo è un problema”.

Così la Gran Bretagna finanzia la guerra dell’Arabia Saudita nello Yemen

Arabia Saudita, campionessa nel rispetto dei diritti umani eh? Silenzio da parte della “società civile”, tanto libera da condizionamenti…
Cameron è cattivo solo quando vuole che i cittadini britannici si esprimano sulla permanenza o meno nella Ue, ma è tanto bravo e santo quando finanzia le guerre
20 aprile 2016. — Medio Oriente
 
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Il governo del Regno Unito, riferiscono i quotidiani britannici The Guardian e The Independent sulla base dei dati raccolti dalla Campaign Against Arms Trade (Caat), ha autorizzato licenze di esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita per sette milioni di sterline nell’ultimo trimestre dell’anno scorso; il totale ha raggiunto, così, 2,8 miliardi di sterline (122 licenze) dall’inizio dell’intervento di Riad nella guerra civile nello Yemen; le transazioni dal 2010 ammontano, invece, a 6,7 miliardi di sterline, e fanno di Riad di gran lunga il principale acquirente estero di sistemi d’arma britannici.
 
La commissione per lo Sviluppo internazionale della Camera dei comuni britannica ha chiesto l’imposizione di un bando alla vendita di armi a Riad, date anche le migliaia di vittime civili della campagna di bombardamenti in Yemen. Il governo britannico, però, ha continuato a sostenere la Monarchia saudita. Stando ai dati forniti dal Caat, circa 1,1 miliardi di sterline sul totale dei 2,8 miliardi di licenze concessive hanno riguardato l’esportazione di granate, missili e bombe impiegati almeno in parte nei raid aerei sullo Yemen

La Russia condanna duramente l’oscuramento del sito di Sputnik in Turchia.

come non dimenticare quando i diritto umanisti per conto delle lobbies dei banchieri targati Ue si scatenarono contro Orban per aver, a detta loro, oscurato una radio “dissidente”… com’è che qui è diverso?
 
Scritto il aprile 16, 2016
 
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Il ministero degli Esteri russo ritiene un abuso l’oscuramento del sito dell’agenzia stampa russa Sputnik in Turchia.
 
“Consideriamo questa azione un abuso e la reputiamo una flagrante violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ovvero della libertà di parola e del diritto di accesso all’informazione”,  hanno evidenziato i diplomatici russi.
 
L’edizione locale del sito era stata bloccata dall’Authority per le telecomunicazioni turche, in una mossa confermata anche dal caporedattore Tural Kerimov.
 
Secondo un rappresentante del Dipartimento delle telecomunicazioni turco, non sono obbligati ad avvertire quando chiudono un sito“, ha spiegato Kerimov
 
Intanto se si cerca di accedere al sito dalla Turchia, la home page recita soltanto: “Dopo analisi tecniche e considerazioni legali basate sulla legge n. 5651, sono state prese misure amministrative per questo sito“.
 
Il ministro degli Esteri Russo, contrariato sottolinea
 
“Riteniamo abbastanza inefficace il comunicato dell’authority turca, secondo cui “le misure amministrative nei riguardi della risorsa Internet specificata sono state adottate in relazione al collocamento sul proprio sito web di informazioni contrarie alla legge, su cui si pronuncerà un tribunale per emettere il verdetto definitivo”.
 
In un Paese come la Turchia, dove la stampa non allineata con il presidente Erdogan è da tempo nel mirino, stupisce solo fino a un certo punto che sia finito nel mirino anche Sputnik.
 
Fonte originale della notizia: Sputnik Italia.

Trilaterale a Roma

le lobbies tanto care alle sinistre che tacciono e non protestano mai. E’ roba da complottisti, noi viviamo nella migliore democrazia, che va difesa dai cattivi “euroscettici xenofobi”
 
aprile 18, 2016
 
Alesandro Lattanzio, 18/4/2016
 
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Il Rome plenary meeting 2016 (programma) della Commissione Trilaterale, organizzazione fondata nel 1973 da David Rockefeller, che si svolgeva a Roma dal 15 al 17 aprile, presso l’albergo Cavalieri Waldorf Astoria di Monte Mario, vedeva tra i 200 partecipanti l’ex-AD di Luxottica Andrea Guerra, il deputato del PD e commissario alla ‘spending review’ del governo Renzi Yoram Gutgeld, la ministra delle Riforme Maria Elena Boschi, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni Silverj, la presidentessa della RAI Monica Maggioni, l’ex-viceministro degli Esteri e vicepresidente dell’ENI Lapo Pistelli, Lia Quartapelle e Vincenzo Amendola del PD, l’ex-rettore della Bocconi Carlo Secchi (presidente del gruppo italiano), l’AD di Fincantieri Giuseppe Bono, l’ex-AD di Banca Intesa Enrico Cucchiani, il presidente della FCA John Elkann, il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo Carlo Messina, l’AD di Pirelli Spa Marco Tronchetti Provera, il presidente di Unicredit Giuseppe Vita, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, ex-ministro della Difesa del governo Monti, la direttrice di Aspenia Marta Dassù ed Enrico Letta, oltre alle guest star straniere David Rockefeller, Jean Claude Trichet (presidente della Trilaterale), Madeleine K. Albright, Michael Bloomberg e Susan E. Rice.
Gli argomenti affrontati dalla Commissione Trilaterale a Roma, erano i seguenti:
Shaping the Future of Italy in Europe
Where is the European Project Heading?
Allocuzione al Quirinale con il Presidente della Repubblica Mattarella
The Middle East in Turmoil
Where is Russia Heading?
The North Korean Nuclear & Missile Threats
Where is China Heading?
The United States Presidential Elections
International Migration & Refugee Flows
Coping with Digital Disruption
Conclusioni del presidente della Trilaterale
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Maria Elena Boschi, parlando in inglese davanti la platea cosmopolita, senza l’intermediazione di traduttori, affermava che “Il referendum (‘sulle trivelle’) non cambierà per nulla la politica energetica italiana, che andrà avanti indipendentemente dal risultato, avendo un effetto minimo sulla nostra legislazione, toccandone solo un piccolo aspetto. Forse potrebbe avere un risultato sull’approccio politico. Il governo è impegnato nella ricerca di energie alternative, impieghiamo molte risorse”. L’economista indiano Nand Kishore Singh chiedeva a Boschi della riforma della Costituzione e del relativo referendum. “Ecco quel referendum avrà un impatto più profondo sulla nostra politica energetica, perché ora dobbiamo dividere le decisioni con venti regioni, con venti legislazioni, ma dopo la riforma avremo una strategia e una legislazione per tutta l’Italia. Così, sono certa, avremo anche più peso in Europa”. E la Costituzione? “Non penso che il numero di senatori possa avere un impatto su pesi e contrappesi della Costituzione. Penso che pesi e contrappesi siano garantiti dalla separazione dei poteri, dall’indipendenza della magistratura e dalle regole della Corte costituzionale. Anche il presidente della Repubblica è un garante, per esempio può rifiutare di firmare una legge approvata dal Parlamento se non rispetta la nostra Costituzione”.
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David Rockefeller voleva includere il Giappone nelle discussioni sulla cooperazione internazionale. Alla conferenza del Bilderberg in Belgio, nel 1972, Rockefeller ne discusse con il professore di Studi Russi della Columbia University Zbigniew Brzezinski, vicino al comitato direttivo del Bilderberg. Nel luglio 1972 si ebbe la prima riunione operativa volta a costituire la Commissione, a cui parteciparono l’economista Fred Bergsten, il politologo della Brookings Institution Henry Owen, il presidente della Ford Foundation Mc George Bundy, il parlamentare tedesco Karl Carstens, il politico francese René Foch, l’ambasciatore ed ex-commissario della CEE Guido Colonna di Paliano, il politologo dell’Università del Sussex François Duchène, il direttore dell’Istituto di Studi Europei della CEE Max Kohnstamm, il deputato ed ex-ministro degli Esteri giapponese Kiichi Miyazawa, il professore di relazioni Internazionali Kinhide Mushakoji, il presidente dell’Overseas Economic Cooperation Fund Saburo Okita e il presidente del Japan Center for International Exchange Tadashi Yamamoto. Quindi un think tank che riunisce esponenti delle élite politico-economiche di Stati Uniti, Canada, Europa Occidentale e Giappone. La Trilaterale tenne la prima riunione ufficiale del comitato esecutivo a Tokyo, nell’ottobre 1973. La Commissione Trilaterale viene finanziata dal Rockefeller Brothers Fund ed è profondamente legata al CFR. La Commissione aiuta i governi a raggiungere “accordi costruttivi” con altri governi, promuovendo una più stretta cooperazione tra Europa, Asia e Nord America. Nel 1974 pubblicò “La crisi della democrazia” invocando una democrazia “moderata”. Della Commissione Trilaterale fecero parte David Rockefeller, George HW Bush, Bill Clinton, Zbigniew Brzezinski, Jean-Claude Trichet, Henry Kissinger e Jimmy Carter. Nell’assemblea plenaria del 10-12 aprile 2000, la Trilaterale decise di includere nel gruppo nordamericano il Messico e di trasformare il gruppo giapponese nel gruppo Asia-Pacifico comprendendovi Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda ed esponenti da Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore e Thailandia. Ultimamente il think tank si concentra su nuovi equilibri mondiali, ridefinizione degli organismi internazionali, nuovi attori della politica internazionale e sviluppo sostenibile.
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Riferimenti
 

Il Governo italiano si inchina alla Trilaterale

e nessuno in piazza a protestare e chieder conto. E’ la democrazia che piace ai politically correct del governo amico.
 
12:05 18.04.2016(aggiornato 14:30 18.04.2016)
 
Il Governo italiano ha deciso di mandare Yoram Gutgeld, consigliere di Palazzo Chigi e guru economico del premier Renzi, alla prima giornata dei lavori della Commissione Trilaterale, svoltasi quest’anno a Roma.
 
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© AFP 2016/
 
Meno “segreta” del Bilderberg ma non meno discussa, la Trilaterale è un club (amorevolmente definito “gruppo di studio” da Wikipedia) creato dal miliardario David Rockefeller per facilitare l’instaurazione di un nuovo ordine mondiale che cancelli le singole sovranità nazionali. A prescindere dall’opportunità di partecipare ufficialmente tramite un proprio esponente a una riunione del genere, non si può che provare profondo imbarazzo per Gutgeld, che in cotanta sede si è beato dei successi presunti o futuri dell’esecutivo italiano, quello che ha ricevuto negli ultimi giorni la suddetta sequela di stop. Gutgeld, da buon catalizzatore di effimeri consensi, si è astenuto dal citare questi inconvenienti, preferendo lanciarsi nell’annuncio dell’ennesimo intervento shock: un taglio di 25 miliardi alla spesa pubblica. Chissà cosa ne direbbe l’ex commissario alla Spending Review Carlo Cottarelli, che si era spontaneamente dimesso dopo che il Governo aveva evitato per l’ennesima volta di tagliare alcunchè e anzi continuava in quell’osceno tassa-e-spendi che da decenni ammorba l’Italia.
 
 
Le riduzioni paventate dal consigliere economico di Renzi sortiranno probabilmente i medesimi effetti avuti sulle Province: enti che risulteranno aboliti sulle slide propagandistiche del Presidente del Consiglio e che invece continuano a esistere svuotati di senso e delle risorse necessarie ad attuare le funzioni, ma non degli elevati costi di funzionamento. Vedere come su un palco tanto esclusivo possa salire chi sta sistematicamente fallendo il risanamento di un Paese, depotenzia alquanto chi grida al complotto accennando alla Trilaterale.
 
 
Certo, a meno di pensare malignamente che la rappresentanza del Governo italiano sia invece giustificata proprio dal suo sporco lavoro di svilimento continuo delle Istituzioni statali. Dopo Gutgeld è salito in cattedra Mario Monti, stendendo su questa faccenda ombre ancora più scure, vista la convinzione espressa molte volte da quest’ultimo sull’inutilità dei singoli Stati sovrani: anche in questa Trilaterale romana, l’ex Presidente del Consiglio pare essersi concentrato sulle preoccupazioni che gli genera il malfunzionamento dei sistemi politici nazionali, quei mostri che bloccano l’incedere dell’Europa verso un radioso futuro di integrazione. I popoli, con le loro meschine e provinciali peculiarità, sono vissute da Monti come un fastidio che ha rallentato l’esecuzione del suo compito di premier, quello di cedere sempre più poteri all’Unione europea e alla Nato.
 
 
Negli anni dei due governi tecnici targati Bilderberg abbiamo registrato questi inquietanti fenomeni: svendita di larga parte del patrimonio italiano di aziende e marchi storici; assenza di qualunque politica estera degna di questo nome o di un qualche indirizzo politico che non fosse quello piegato alle grandi organizzazioni internazionali; progressivo impoverimento del ceto medio attraverso una tassazione selvaggia che ha innalzato l’indebitamento delle famiglie, da sempre la colonna portante della Penisola.
 
 
Insomma, quello andato in onda alla Trilaterale di Roma è stato l’ennesimo colpo inferto alla sovranità del popolo italiano. Una batosta assestata nel silenzio assordante della stampa (con poche eccezioni): nulla di strano, d’altronde, essendo questa la scelta editoriale dei centri di potere che l’organizzazione di Rockefeller rappresenta. Non si può che essere fortemente preoccupati da un Paese che sceglie di inchinarsi a personaggi influenti che risiedono al di fuori della politica e al di fuori dei nostri stessi confini nazionali. I governi si avvicendano limitandosi a fare i compiti a casa — ieri era succhiare il sangue al ceto medio e svendere il patrimonio, oggi è applicare un po’ di Spending Review — invece di disegnare traiettorie per un futuro migliore che coniughi e valorizzi le specificità territoriali. Nemmeno questo ormai ci stupisce: non si viene invitati come relatori in un club esclusivo se non si hanno le credenziali per farne parte, almeno a livello teorico. Farebbero bene i nostri concittadini a porsi delle domande sulle frequentazioni dei membri del Governo. E a chi ha fermato il suo pensiero alle categorie sinistra/destra/centro, moderati/progressisti etc., rammentiamo le parole — datate 1991 — pronunciate dal fondatore della Trilaterale David Rockefeller:
 
Il mondo è pronto per raggiungere un governo mondiale. La sovranità sovranazionale di una élite intellettuale e di banchieri mondiali è sicuramente preferibile all’autodeterminazione nazionale praticata nei secoli passati.
 

Kerry shock: “nave USA aveva il diritto di abbattere il caccia russo nel Baltico”

perché non l’hai fatto emerito s…..o? Poi sarebbe Trump pericoloso per gli Usa? Fortuna che i democratici son pacifici
 
21 Aprile 2016
 
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Kerry shock: “nave USA aveva il diritto di abbattere il caccia russo nel Baltico”
 
15.04.2016(aggiornato 11:10 15.04.2016
 
Il segretario di Stato USA John Kerry ritiene che secondo le regole di ingaggio il cacciatorpediniere americano avrebbe potuto aprire il fuoco contro i bombardieri russi che si erano avvicinati “pericolosamente” e “provocatoriamente”, ha affermato il capo della diplomazia statunitense in un’intervista alla CNN Espanol.
 
“Condanniamo questo comportamento. E’ stata un’azione sconsiderata, provocatoria e pericolosa. Secondo le regole d’ingaggio, gli aerei russi potevano essere abbattuti,” — ha detto Kerry.
 
Kerry ha sottolineato che gli Stati Uniti non permetteranno di “farsi intimidire in mare aperto” ed ha ricordato che Washington ha già fatto sapere a Mosca la sua posizione sulla pericolosità di tali azioni.
 
In precedenza il Comando Europeo degli Stati Uniti aveva segnalato che i caccia russi avevano volato troppo vicino al cacciatorpediniere “Donald Cook” nelle acque internazionali del Mar Baltico. Secondo il Pentagono, un caccia Su-24 si è avvicinato alla nave ad una distanza inferiore ai 10 metri.
 
Il generale Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russo, commentando le accuse ha dichiarato che i piloti hanno volato sopra la nave americana nel rispetto di tutte le misure di sicurezza.
 
Secondo il generale, gli aerei volavano nei pressi della zona in cui si trovava la nave americana a circa 70 chilometri da una base navale russa.
 
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