Riccardo Noury
Portavoce di Amnesty International Italia
Resti delle strutture contenenti le sub-munizioni (o “bombette”) sono stati ritrovati nei pressi dell’Università di Sana’a e nel quartiere di al-Rabat. La distanza tra i due luoghi, circa 900 metri, fa sospettare che sia stata sganciata più di una bomba. La maggior parte è esplosa all’impatto ma altre, inesplose, sono state ritrovate in tutto il quartiere di Mu’eem e otto persino ad al-Sonainah, a due chilometri di distanza.
I testimoni ascoltati da Amnesty International hanno riferito di una grande esplosione, seguita dopo un minuto da una serie di esplosioni più piccole: esattamente il risultato prodotto dalle bombe a grappolo.
Il generale al-Asiri potrà rivedere la sua versione. Magari ammetterà l’uso delle bombe a grappolo ma preciserà che l’obiettivo dell’attacco del 6 gennaio era di tipo militare. Il punto è che, obiettivo militare o civile che sia, le bombe a grappolo sono vietate categoricamente dalla Convenzione del 2008, ratificata da quasi 100 paesi.
Non l’hanno ratificata però né lo Yemen, né l’Arabia Saudita, né gli Usa.
E proprio dagli Usa proviene la bomba a grappolo che ha colpito Sana’a il 6 gennaio: esattamente una CBU-58, prodotta – come si legge sulle parti rinvenute a Mu’eem – nel 1978 dalla Milan Army Ammunition Plant dello stato del Tennessee. Le sub-munizioni sono sempre made in Usa, le BLU-63. Ogni CBU-58 contiene 650 BLU-63. Tra il 1970 e il 1995, gli Usa hanno inviato all’Arabia Saudita 1000 CBU-58. Ancora perfettamente funzionanti.
Ps: Intanto, un nuovo carico di bombe made in Italy è partito nei giorni scorsi dalla Sardegna. Destinazione sempre la solita.