Un uomo di Libia. Ominicchi d’Italia.

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MONDOCANE

VENERDÌ 31 LUGLIO 2015

  
 
“E tu onore di pianti, Ettore, avrai, / ove fia santo e lagrimato il sangue / per la patria versato e finché il Sole / risplenderà su le sciagure umane”. (Ugo Foscolo, “I Sepolcri”)
 
Parliamo, col dolore e l’incommensurabile indignazione di Ugo Foscolo per il destino di Ettore, del suo fratello libico Saif Al Islam. La sua condanna a morte è l’ultima scelleratezza Sion-Nato-Fratelli Musulmani a Tripoli, dopo il linciaggio del padre a Sirte, l’assassinio di Milosevic in carcere e il martirio di Saddam a Baghdad. Oscenità fiancheggiata dai commenti mercenari della cosca politico-mediatica e, in particolare, di Ennio Remondino, giornalista che, fin dalle guerre Nato alla Jugoslavia, diffonde cerchiobottismi, finto-equilibrati, pseudo-controcorrente, che sostengono, col classicovenenum in cauda, la disinformazione imperialista. La condanna a morte di Saif-al Islam Gheddafi, secondogenito ed erede di Muammar, a seconda  che si guardi all’infamia o al grottesco, può  essere considerato un agghiacciante crimine contro l’umanità, o una carnascialesca esibizione di trogloditismo morale e giudiziario. Un terrorismo finto giuridico, in ogni caso, che ben si appaia al terrorismo fisico, ontologicamente praticato in Medioriente, Asia e Africa, al servizio di interessi imperialisti e reazionari (Usa, UE, satrapie del Golfo, Israele), dalla Fratellanza e dalle sue emanazioni operative, Isis, Al Qaida, Boko Haram e varie.
 
Fingendo orrore per la mostruosa procedura di una condanna a morte impartita da un tribunale illegittimo di un regime golpista, in assenza dell’imputato (detenuto dai nemici berberi di Zintan, alleati del legittimo governo di Tobruk) e fin di suoi difensori, alla disperata ricerca di consensi internazionali che ne avallino il potere, in virtù della condivisione e del rilancio delle propaganda occidentale anti-Gheddafi, politici e media della “comunità (criminale) internazionale” annacquano tale orrore rinverdendo la demonizzazioni di Gheddafi e della sua famiglia. A partire della accuse,  ripetute dai cialtroni di Tripoli a titolo di captatio benevolentiae in Occidente, che dichiarano Gheddafi e i suo figli responsabili della sanguinosa repressione degli oppositori nel 2011. Boccone ghiotto per chi deve liberarsi della colpa di aver ridotto una prospera e unita nazione in un serpentario di aspidi che frantumano e divorano il paese a beneficio di incantatori oltremare.
 
Quella repressione – io e altri eravamo là – non c’è mai stata. Nei giorni in cui Gheddafi avrebbe bombardato “la sua gente”, la No Fly Zone impediva a qualsiasi bombardiere libico di alzarsi in volo. Suoni, rombi e scoppi che udivamo erano le tonanti offerte dei loro prodotti da parte dei bancarellisti del mercato di zona. Le esplosioni vennero subito dopo, polverizzarono case, ospedali, scuole, istituzioni, TV e cittadini, ma arrivarono dagli unici aerei ammessi nei cieli, quelli con contrassegno Nato, francese, Usa, britannico, italiano. La “repressione” dell’amatissimo leader era la resistenza dell’esercito e delle milizie popolari libiche all’assalto del mercenariato jihadista foraggiato da Qatar eTurchia, assistito dagli stragisti Nato dal cielo e dalle sue teste di cuoio a terra. E rivestito  oscenamente dagli avvoltoi di sinistra e destra, protagonista assoluta Rossana Rossanda, dei panni di partigiani della libertà.
 
E qui entra in ballo a gamba color arcobaleno, ma tesa, il Remondino, evaso dal museo dei cerchiobottisti pro domo eius (l’Occidente in armi), per rinverdire in Libia i fasti delle sue mistificazioni balcaniche, quando scuoteva i riccioli biondi sugli eccessi bombaroli della Nato in Serbia, attutendo tosto l’assunto con un bel “Milosevic despota” e origine di ogni disastro. E’ giornalista abilissimo nel sovvertire, sul più bello, i suoi ben bilanciati dirittoumanismi. Come dicevano i latini: in cauda venenum, il veleno sta nel finale. Ispirato da un corifeo del” Libero Esercito Siriano “ (e Nato), il noto Lorenzo Declich, tra oscure allusioni a innominate entità di intelligence e altre e senza uno straccio di analisi politica,,  Remondino scrive: “Il problema non è tanto la veridicità delle accuse sulle implicazioni dei fedelissimi del Colonello nelle violenze (che quindi, per il pesce in barile, possono anche essere vere)…  Ciò che oggi è diventata la Libia è in gran parte eredità della strategia del presidente libico col consenso degli Stati Uniti e di alcune potenze occidentali, quando nei 2000 fece della Libia il rifugio dei movimenti estremisti concentrandoli in Cirenaica”. Stupefacente. Un vero acrobata.
 
Tutto lo scontato e compatibile stracciarsi le vesti sul carattere illegittimo di processo e condanna, viene ampiamente compensato da questo colpaccio al barile che trasforma Gheddafi, vittima, insieme al suo popolo, di un mortale complotto imperialista, in demenziale e perfido mallevadore, lui, delle bande terroriste che del complotto sono stati gli ascari sul terreno. Sublime, no? Se la deontologia la immaginate come un’asta di parole che in cima accendono la luce, ecco che Remondino quell’asta l’ha rovesciato e spenta nel verminaio delle menzogne imperiali.
 
Ne risulta implicitamente screditato il governo laico di Tobruk per aver cancellato l’infame legge dei tripolini che consegnava al carcere e al boia chiunque avesse avuto un qualche ruolo nella Libia di Gheddafi e per aver accolto nelle sue file sia costoro, sia quelli che ancora si schierano dalla parte di quella Libia. Applausi qatarioti, turchi, Nato e dei rispettivi sguatteri mediatici e politici in Occidente. Con l’invito dei bravi anti-pena di morte, tipo le vivandiere imperiali Amnesty e Human Rights Watch, a perlomeno consegnare il delinquente al Tribunale Penale dell’Aja. Quello  accreditato da una “giustizia” appesa ai fili dei burattinai occidentali e che finora non ha mai inquisito alcuno che non avesse la pelle scura e non fosse inviso alla “comunità internazionale”.  Quella che, anche col suo gemello Tribunale sulla Jugoslavia, mandati liberi e riabilitati masskiller Nato croati o kosovari,  processa e a volte ammazza in carcere, eroi della resistenza antimperialista come Milosevic, Karadzic, Mladic.
 
Quanto a Saif al Islam, il suo ruolo nelle frequentazioni diplomatiche ed economiche con i governi in Occidente, legittimo e opportuno per ogni Stato del mondo, viene tratteggiato dalla stampa come quello di un narcisistico viveur, cortigiano alle corti dei potenti. Per svergognare l’indegnità di questo cloaca della disinformazione imperiale, basta lui, Saif, che, nella fase della lotta estrema contro gli assassini del suo paese, fino all’ultimo minuto era in prima linea accanto al padre. Come i suoi fratelli. Al costo di quanto sapevano benissimo sarebbe loro successo. Paese e padre che non hanno mai rinnegato, anche quando li hanno martirizzati, quando a lui, a Zintan, hanno tagliato le dita e a Tripoli la Fratellanza, madre di tutti i terrorismi, lo ha condannato a morte.  
  
Lo Stato infanticida
Un accenno a Nablus, dove jihadisti ebrei, detti coloni, hanno arso vivo un bimbo di 18 mesi. Una bazzecola per chi di genocidi e infanticidi, di distruzione di abitati, di tortura e rapina di terre, di disseminazione di terrorismo nella regione e nel mondo, è campione mondiale. Definivamo la più mostruosa entità statuale della storia “nazisionista”. Il termine non è più adeguato, è riduttivo. Hitler, Mussolini, Himmler, Graziani, non sarebbero stati capaci di tanto e, soprattutto, non per tanto tempo,70 anni. La comunità internazionale, quella vera, non quella complice di oggi, li avrebbe fermati. Mandatemi voi qualche suggerimento per una nuova, calzante definizione.
  
 
Ai trasporti romani il fan degli squartatori della Valsusa
Del sindaco Marino, colpevole di farloccaggine, incompetenza, se non di distrazioni sulla faccenduola di  mafia capitale, non c’è da pensare molto di buono. Se non che la guerra che gli sta facendo la cosca politica più corrotta e proterva della storia della Repubblica sia mirata a sostituirlo con uno più disponibile ai fasti famelici delle orge predatorie del Giubileo (gran bravo papa, ecologista e dalla parte dei poveri!) e delle agognate Olimpiadi 2024. Fasti celebrati, come sempre, più di sempre da quando c’è l’energumeno burino incistatosi nel paese a nome e per conto della criminalità organizzata imperiale, che si manifesta, tra le macerie fisiche e morali della caput mundi, nel segno di un governo della malavita (altro che Giolitti) esaltatosi nella combine delinquenziale Verdini-camorristi cosentiniani-Azzollini-Renzi.
 
Ma lui, dalla giostra da dove gli schizzano via assessori, consiglieri, sodali e dove gli piombano sostituti orfiniani atti a recuperargli il gradimento del megadirettore galattico, ha anticipato la mossa e si è preso quattro garanti collaudati delle magnifiche sorti e progressive di una Roma per chierici e mafioappaltatori, in alto, e cittadini topi in basso. Il colpaccio elimina ogni dubbio che Marino, come tutti pensavano, non sapesse cosa si facesse. Uno del PD che deve intervenire su gente che gli sta segando le gambe della poltrona, impara presto a sapere quel che deve fare. Così, appesosi ai fili di quell’Orfini, presidente del partito di Mafiacapitale, che elegantemente diffamava di mafiosità i 5Stelle perché un suo avanzo di galera di Ostia aveva cliccato un “mi piace” sul FB pentastellato, il sindaco ha rinnovato la sua giunta. Si ricuperano saldi consunti di altri tempi, ma nella neolingua si chiama rottamazione. E rottamazione vera si chiama anche l’omaggio ai capitalmafiosi delle privatizzazioni dei carrozzoni municipalizzati, appositamente mandati in rovina da istituzionali prodighi nei confronti delle mangiatoie private. Modello Alitalia, FS, Fincantieri e via proseguendo la svendita d’antan dei vari Amato, Ciampi, Draghi, Prodi.
 
Eccoli qua, i 4 cavalieri dell’apocalisse romana. Marco Causi, con lo splendido curriculum di vicesindaco e delegato al bilancio della giunta che Veltroni consegnò al dissesto. All’istruzione quel Rossi Doria che con Monti e Letta ha proseguito la demolizione della scuola iniziata da Luigi Berlinguer e perfezionata da Gelmini. Luigina Di Liegro, nipote del discusso fondatore della Caritas, per un turismo che rallegri le aspettative della Chiesa per l’affarone Giubileo. E poi, colpo da maestro, il Torquemada anti-No Tav Stefano Esposito, senatore PD ferro di lancia della banda di rapinatori che assalta la Val di Susa col treno assassino da oltre 20 miliardi. Quello che, a colpi di maglio diffamatore, cerca di far entrare nella testa degli italiani tutto un popolo No Tav presentato come terroristi Isis.
 
Se tanto mi da tanto, se il modello sono le ruberie politico-imprenditoriali realizzate con lo squarcio di un territorio mediante l’opera più demenziale, inutile, predatoria, devastatrice, mai concepita dal coacervo di speculatori di Stato e di impresa, solo pro tempore esentata dagli scandali che hanno scoperto il verminaio sotto tutte le altre Grandi Opere, dal Mose all’Expo, quello che è il passato e il presente dei trasporti romani ci sembrerà un paradiso della mobilità tipo Tokio. Daje, Esposito, facce sbattere al gabbio come i ragazzi No Tav, semo tutti terroristi. Dalla mafiologgia “Sortino” di Trapani, Mattarella, con compasso e cazzuola Tav, ti benedice.
 
Fiumicino 2.0 (con dati del “Fatto Quotidiano”)
E il piromane del terrorismo militare anti-No Tav in Val di Susa, non volete che ci metta del suo anche a Fiumicino, empireo romano dei cementificatori, in cui il senatore ad alta velocità impazza da decenni? Il terreno, per il raddoppio con mangiatoia da 12 miliardi dell’aeroporto, per una spianata di cemento di un milione di metri quadri, infestata da terminal, centri commerciali, alberghi, parcheggi, su 1.300 ettari, è per la massima parte proprietà di Benetton. Un tycoon del cemento e trasporti, pari alle Coop e ai consorzi vari dello stupro della Valsusa e del Terzo Valico, che, divorate e degradate in suk  le stazioni ferroviarie che serviranno i suoi amici ad alta velocità, trasformate pessime autostrade in strumento di taglieggio di automobilisti e trasportatori è, guarda il caso, anche il concessionario dell’aeroporto. Con Fiumicino 2 spariranno, a dispetto di lotte disperate di cittadini e amministratori, le pinete e spiagge del litorale di Focene e l’eccellenza dei prodotti ortofrutticoli della fattoria modello di Stato Maccarese. Ma i Benetton ricaveranno profitti incalcolabili dalla trasformazione di terreni agricoli inedificabili in Bengodi commerciali.
 
La strategia per raggiungere l’agognato obiettivo si è dipanata per varie tappe. Una catastrofe annosa di disservizi. Poi escalation. Prima, il 7 maggio, va a fuoco il Terminal 3: prova dell’arretratezza del vecchio hub e incentivo a farne uno nuovo lì accanto. Infine, l’incendio dimostrato doloso, checché le autorità blaterino di mucchi di spazzatura andati a fuoco spontaneamente, della pineta di Focene , riserva naturale adiacente agli spazi dove si dovrebbe realizzare sia la nuova pista di Fiumicino 2, sia un porto commerciale con annessi 800mila metri cubi di case, centri commerciali e uffici. L’Enac si era messa di traverso al progetto del raddoppio pretendendo che, per giustificarlo, ci sarebbero voluti 51 milioni di passeggeri entro il 2021.
 Ma gli attuali 38 milioni allontanano quell’obiettivo alle calende greche, per quanto si sia cercato di rimpinzarli sbattendo a Fiumicino tutto l’ambaradan delle compagnie low cost. Ora, grazie al papa, incombe però il Giubileo e, chissà, anche l’Olimpiade. Per il primo non si farà in tempo, ma intanto si possono concretizzare i piani e assegnare gli appalti. Per la seconda siamo in tempo. Non per nulla i padroni arabi dell’Alitalia minacciano di andarsene da Fiumicino (per dove, poi? Per il riscoperto Viterbo? Per il miserello Ciampino? Per Lamezia Terme?) Ricatto puro. Come gli incendi. Sei scoppiati simultaneamente a distanza l’uno dall’altro, altro che cumulo di rifiuti. Romanzo criminale. E già dalle ceneri dei roghi si va levando l’araba e benettoniana fenice, Fiumicino 2.0. Alla pista 2, che andava sprofondando nella palude dei terreni con cui Andreotti, espropriandoli, aveva fatto dei Torlonia l’aristocrazia nera più ricca d’Italia, non si doveva porre rimedio? 
 
Pubblicato da alle ore 16:05
Un uomo di Libia. Ominicchi d’Italia.ultima modifica: 2015-08-02T19:55:11+02:00da davi-luciano
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