CE MARDI SOIR SUR AFRIQUE MEDIA TV / EMISSION ‘FACE A L’ACTUALITE’ DU 4 AOUT 2015 : SPECIALE LIBYE. PROCES DU LEADERSHIP JAMAHIRIYEN A TRIPOLI

Vers 19h30 GMT ou 23h00 (Yaounde) ou 21H30 (Bruxelles/Paris/Berlin)

REDIFFUSION ce mercredi vers 16h (Bruxelles)

AMTV - EDITION SPECIALE du  4 août (2015 08 04)  FR

Présentée par Manuela SIKE

Avec les panelistes, les correspondants internationaux

et Luc MICHEL (en duplex depuis EODE-TV à Bruxelles)

En direct sur streaming sur  http://lb.streamakaci.com/afm/

 THEMES DE FACE A L’ ACTUALITE DU MARDI 4 AOUT 2015

 I- COMPTE DES OPERATIONS & FRANCS CFA :

Comment s’en débarrasser ?

 II- PROCES DE SAIF KADHAFI ET DES DIGNITAIRES DU TEMPS DE MOUAMMAR KADHAFI :

Un jugement par un tribunal fantoche. Quelle lecture ?

 AMTV/ avec EODE Press Office et PANAFRICOM /

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Renzi, alla Fondazione Open il 50% in più di donazioni

ovviamente non esiste conflitto di interessi, perché indagare??? Sono i moralmente superiori devoti alla legalità ed al contrasto alle mafie no?
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Il potere paga. E così capita che la Fondazione Open di Matteo Renzi, nell’anno in cui lui è diventato presidente del consiglio, abbia visto crescere i suoi introiti del 50% rispetto al 2013 e raddoppiarli rispetto al 2012. Nel 2014 la raccolta, come riporta “Il Fatto quotidiano” è stata pari a 1,2 milioni di euro. Tale e tanta a da “azzerare” i debiti che la Fondazione aveva accumulato negli anni precedenti, praticamente dal 2008 quando Renzi iniziò quella serie di campagne elettorali che lo hanno portato dalla Provincia di Firenze a Palazzo Chigi e alla segreteria del Partito democratico. Un fiume di denaro la cui provenienza è solo in minima parte nota. Riporta sempre “Il Fatto” che dal 2007 a oggi con le associazioni (Link e Festina Lente) e le fondazioni (Open e Big Bang), Renzi ha raccolto circa 5 milioni di euro, di cui solo per il 30% è nota la provenienza. Il presidente e tesoriere della fondazione Open, Alberto Bianchi, ha assicurato che l’elenco dei benefattori “sarà reso noto nei prossimi giorni”. Ma c’è di mezzo la privacy, il sistema per cui senza liberatoria della privacy il nome del donatore può essere celato.

Palazzo Chigi, bonus ai dirigenti più bravi: quasi 35mila euro in più in busta paga. A chi? Al 97,7% del totale

E io pago!
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Il Governo italiano, domiciliato a Palazzo Chigi, è il governo dei record. Perché, vi chiederete. Perché la quasi totalità dei deputati -si parla del 97,7%– è talmente brava nell’adempimento del suo mestiere da essersi guadagnata il bonus in busta paga destinato ai più meritevoli. Si tratta di un premio alla produttività per i dirigenti di Palazzo Chigi quantificato in una cifra di denaro per un massimo di quasi 35mila euro, che viene aggiunta ai già lauti stipendi.
 
Il bonus – Su 301 deputati, ben 294 sono i dirigenti cui è spettato nel 2013 il modesto incentivo -che per la precisione arriva a un massimo di 34.600 euro- in busta paga, in base alle valutazioni sul merito e l’efficienza. Fa luce sulla questione un articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere del sera di oggi, venerdì 24 luglio. Tutto parte da un’interrogazione di Riccardo Nuti, deputato alla Camera del Movimento 5 stelle, che si chiede come mai non ci sia trasparenza nella comunicazione del merito e dell’assegnazione di questi bonus, nonostante esista una legge del 2009 voluta da Renato Brunetta che lo esige. Questo provvedimento prevede infatti che entro marzo di ogni anno venga pubblicato in un’apposita sezione del sito istituzionale un rendiconto accurato con le valutazioni delle performance dei singoli deputati; una sezione che si sarebbe dovuta chiamare “Trasparenza, valutazione e merito”; una sezione che non è mai esistita. Nessun tipo di governo si è preoccupato si mettere in atto la legge: né il governo Berlusconi, né quello di Monti, non quello di Letta e nemmeno quello di Renzi. Ma un’evoluzione c’è, e in peggio. I dati riportati sopra si riferiscono al 2013, perché del 2014 non v’è traccia. Mentre prima, conoscendo le persone giuste, in qualche modo si riusciva a recuperare questo tipo di dati, adesso pare siano scomparsi del tutto. Alla faccia della trasparenza, denuncia il grillino Nuti.
 
L’origine – L’idea di premiare i più meritevoli politici italiani, di per sé potenzialmente corretta e stimolante, nasce nell’ormai lontano 1999 dal ministro per la funzione pubblica Angelo Piazza, nel governo D’Alema. Sette anni più tardi, nel 2006, arriva la prima denuncia dell’assegnazione truffaldina di questo premio da parte del ministro per le riforme Luigi Nicolais, nel governo Prodi: su 3769 dirigenti, quelli che avevano passato l’esame con lode erano 3769. Tutti, avete letto bene. Ma la beffa più grande arriva nel 2007, quando il ministero dell’Economia firma un accordo che l’Ansa titolava così: “Tesoro: premi anche a dirigenti condannati ma bonus ridotto”. La riduzione come redenzione.
 
Il confronto – Magari se li meritano veramente, qualcuno potrebbe pensare. Forse, e lasciando il beneficio del dubbio guardiamo fuori dalla finestra del Belpaese e spiamo i portafogli dei colleghi deputati statunitensi. Alla Casa Bianca, nessuno degli stipendi dei 474 dipendenti di Obama si avvicina lontanamente alle cifre da capogiro che si guadagnano i dirigenti politici italiani. Per questi ultimi lo stipendio minimo si attesta intorno ai 197.262 euro, i più alti arrivano a 240mila euro (tetto massimo per i dirigenti pubblici). Nei paraggi dello studio ovale invece, la busta paga più alta è quella di Anita Decker Breckernridge, il braccio destro del presidente, e si attesta intorno ai 170mila dollari, che convertiti nella nostra valuta diventano circa 158mila euro. Lo stesso stipendio lo hanno altri 17 altissimi funzionari, e poi tutti gli altri hanno buste paga più basse, anche di molto. Può essere che siano così tanto bravi solo i nostri?

Nigeriano stupra madre e figlia | Il marito gli getta l’acido sul pene

tra i diritti umani inviolabili dei nuovi italiani c’è quello di stuprare a piacimento chi vuole senza conseguenze
luglio 29, 2015 
 
Palermo: Un Nigeriano di 42 anni stupra la madre e  la figlia di 10 anni mentre stavano rincasando,il marito nonché il padre della bambina gli getta l’acido sul pene.
Questa notizia ha dell’incredibile,accade a Palermo dove madre e figlia stavano rincasando dopo aver fatto shopping ma vengono aggredite e stuprate violentemente da un immigrato Nigeriano, per fortuna sono riuscite a scappare.
La madre,presa dalla paura, chiama il marito per raccontargli del fatto.
Dopo pochi istanti il marito raggiunge la moglie e va alla ricerca del Nigeriano, dopo pochi istanti lo vide vicino a una bancarella abusiva.
L’uomo, Ernesto Burgio di 45 anni, non ci pensa due volte ad aggredire il profugo,dove lo riempie di calci e pugni e dopo averlo portato al centro della piazza gli versa dell’acido sul pene.
Il Nigeriano viene soccorso dal 118 per corrosioni gravissime alle parti intime,il marito della donna viene condotto in caserma e poi viene arrestato per tentato omicidio.
Ovviamente il Nigeriano dopo essere stato rimesso dall’ospedale è ritornato a piede libero in città pronto a commettere altri crimini mentre il padre sconta ancora la pena.

SPAGNA SOCCORRE BARCONE CON 44 A BORDO, LI SALVA E LI RIMPATRIA TUTTI.

in Spagna non hanno mica da mantenere la mafia delle cooperative  e della società civile tanto tanto antirazzista ma assai mafiosa
 
Un gommone di sei metri di lunghezza, con a bordo 44 migranti di origini subsahariane, e’ stato intercettato ieri dal Salvataggio marittimo spagnolo e dai mezzi della Guardia Civil a circa 15 miglia a sudovest dell’isola di Alboran, nel mare di Alboran. Lo si apprende da fonti della Capitaneria di porto di Motril (Granada). I migranti sono stati trasferiti a bordo della motovedetta Salvamar Hamallos e sono sbarcati in serata a Motril, assistiti da volontari della Croce Rossa. Fra loro c’erano sette donne e quattro bambini, fra tre e otto anni d’età. Tutti e 44 sono stati trasferiti in un centro di soggiorno temporaneo, in attesa delle procedure per il rimpatrio, che avverrà a breve.

66enne da anni senza lavoro muore in casa tra sterco e rifiuti. I vicini «Abbandonato dal Comune»

sta fingendo. Non era povero. Gli italiani non sono poveri, son solo finti poveri. Il comune certo non poteva mica aiutarlo, le risorse non ci sono per gli indigeni solo per mafia capitale
 
 
È morto “soffocato” dai rifiuti, dalle feci, dalla puzza. È stato trovato dopo più di una settimana dal decesso. È morto nell’indifferenza di tutti, fatta eccezione dei pochi vicini che in questi anni avevano tentato di aiutarlo. È un dramma che rasenta l’orrore quello toccato a Francesco Meneghetti, 66 anni, ragioniere da anni senza lavoro: sabato pomeriggio le forze dell’ordine lo hanno trovato in evidente stato di decomposizione in una delle stanze della sua abitazione di via Andrea Gritti. Era morto forse da più di una settimana. Il vicino di casa che da tempo cercava di aiutarlo, Riccardo Vettore, era tornato mercoledì dalle ferie: non vedendolo uscire di casa ormai da giorni, ha chiesto soccorso. Nella casa, ieri alle 13, è entrato un agente della polizia locale, che si è trovato di fronte la macabra scena. Sul posto sono dunque intervenuti i carabinieri di Montagnana e i vigili del fuoco di Este, che per recuperare la salma hanno dovuto indossare tute e maschere. A rendere impossibile l’intervento nell’abitazione di via Gritti, infatti, non c’era solo l’inevitabile fetore causato dalla decomposizione, ma anche la terrificante situazione dell’alloggio, letteralmente sommerso da rifiuti di ogni genere e dagli escrementi dello stesso residente e degli animali (in particolare gatti) che entravano abitualmente in casa dell’uomo.
Francesco Meneghetti viveva solo da più di un decennio: moglie e figlio, che vivono nel Veronese, per dissidi interni alla famiglia avevano deciso di allontanarsi dall’uomo. Il ragioniere, inoltre, aveva perso il lavoro: alcuni comportamenti non propriamente edificanti lo avevano allontanato prima dallo sportello bancario di Merlara in cui operava da anni, quindi dall’ufficio comunale di Legnago. Da dieci anni non riceveva uno stipendio. Di conseguenza, non potendo provvedere a pagare bollette e tasse, si era visto tagliare gli allacciamenti a luce, acqua e gas: «Viveva di stenti, con quel poco che gli rimaneva e con la casa lasciata dai genitori morti nei primi anni Novanta» denuncia Vettore. «Non aveva servizi sanitari funzionanti e non utilizzava la cucina. Mangiava quello che gli provvedevamo noi vicini, e ovviamente non curava la pulizia della sua abitazione. Certe mattine si recava in ospedale a Montagnana per lavarsi. Non aveva un bagno e per provvedere alle sue esigenze utilizzava la vasca». Chi gli viveva accanto aveva provato più volte a interpellare il Comune: «Anni fa una ditta è stata mandata a pulire l’esterno della casa, mentre qualche tempo fa un’altra ditta aveva presentato un preventivo al Comune per la bonifica degli interni. L’intervento però non è mai stato ultimato. Qualcuno in municipio dovrà mettersi una mano sul cuore per quanto accaduto». Da febbraio Meneghetti riceveva una pensione maturata grazie agli anni di lavoro: le sue precarie condizioni psicologiche, tuttavia, non gli hanno permesso di recuperare e di riprendersi la vita.

Mafia capitale, da Buzzi accuse alla Regione Lazio: è bufera sui nuovi verbali

mafia?? Noo, solo puro amore verso il prossimo, a patto che non sia italiano tanto gli italiani sono poveri e come ha detto il kompagno Chaouki quelli che frugano per cassonetti sono messe in scena. Ovviamente Zingaretti che dice delle accuse di Buzzi? Negare negare negare. Il Pd può
 
di Cristiana Mangani
 
ROMA – Quaranta ore di interrogatorio per spiegare “il sistema”. Salvatore Buzzi ne parla con i pm che indagano su Mafia Capitale e la sua collaborazione con la giustizia passa per «le magagne» della Regione Lazio, per quelle della Provincia e del Comune. O almeno questa è la verità che racconta, perché davanti ad accuse di spartizioni e mazzette, le persone che ha tirato in ballo sono tutte insorte, a cominciare dal presidente Nicola Zingaretti, per finire allo stesso Luca Odevaine, in carcere da mesi, e a Maurizio Venafro, che del governatore del Lazio è stato il capo di gabinetto.
 
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L’ex ras delle cooperative parla ai pm, ma insiste nel volersi mostrare come una vittima, costretta a pagare per lavorare. Tanto che al pm Paolo Ielo dice: «Non ci crederà, dottore, noi il Pd non l’avevamo mai pagato in quella maniera. Abbiamo sempre contribuito alle campagne elettorali con piacere, alle europee, con Bettini e Gasbarra in lotta, per non sbagliare abbiamo finanziato tutti e due. Ma essere affrontati così in Consiglio comunale non ci era mai capitato». Altrettanto l’indagato racconta di aver fatto con la campagna elettorale del sindaco Marino: «Facemmo un bonifico, anche se il futuro sindaco nemmeno lo conoscevamo».
 
Nei cinque verbali di interrogatorio – anticipati dal Tg de La7 – che si sono svolti all’interno del carcere di Badu ‘e Carros, Buzzi parla del Palazzo della provincia, all’Eur, «comprato da Zingaretti, prima che venisse edificato, dal costruttore Parnasi per 263 milioni di euro». Sostiene anche che Luca Odevaine gli avrebbe riferito che in quella vicenda avrebbero preso soldi Maurizio Venafro, Antonio Calicchia e l’imprenditore Peppe Cionci, denaro destinato al governatore.
 
LE SMENTITE
Una dichiarazione che ha scatenato la reazione di Zingaretti: «Nessuno chiese soldi per me. Devo dire con amarezza che vedo l’affacciarsi concreto del rischio di impraticabilità di campo per chi sta provando con onestà a cambiare le cose in questa Regione». Quanto al palazzo della Provincia replica: «è stata una scelta di risparmio per molti milioni di euro, sulla quale nel dicembre 2013 anche la Corte dei Conti ha deciso di archiviare un’indagine sul tema difendendo la scelta». A reagire contro queste accuse non è solo il Governatore. C’è anche la replica degli avvocati di Odevaine. «Nel corso dei suoi interrogatori – spiega Luca Petrucci – il nostro assistito non ha mai reso dichiarazioni di questo tenore». Mentre Venafro e Cionci bollano come calunniose le affermazioni.
 
Insomma, tutti contro Buzzi. Lui, però, tira dritto e spiega ai pm come si sono svolti i fatti per l’aggiudicazione dell’appaltone da 1,2 miliardi per la fornitura dell’energia degli ospedali del Lazio, «oggetto di una precisa e concordata spartizione politica». E anche della gara per la gestione del Centro unico di prenotazioni sanitarie, un bottino da 100 milioni di euro. La procura sta valutando il racconto per cercare di capire se quanto ha riferito corrisponda a verità. Le sue dichiarazioni sono tutte ancora da riscontrare. L’avvocato Alessandro Diddi che lo assiste punta a smontare la pesante accusa di associazione mafiosa, perché per lui «Buzzi è stato vessato dalla politica per riuscire a lavorare».
 
LA SPARTIZIONE
L’indagato numero uno di Mafia Capitale racconta dettagli della gara da 100 milioni per il Recup quando, in difficoltà, si è rivolto a Fabrizio Testa, ex cda Enav ed ex referente di Gianni Alemanno a Ostia, per chiedergli di aiutarlo con l’allora capogruppo del Pdl in Consiglio regionale, Luca Gramazio. Proprio quest’ultimo gli avrebbe rivelato che l’accordo era già bello e fatto: tre lotti alla maggioranza e uno all’opposizione, quindi a Storace. «A quel punto – continua Buzzi – Gramazio è andato da Zingaretti e gli ha detto: “l’opposizione sono io mica Storace che è un solo consigliere”. È stato lui stesso a raccontarmi che Zingaretti lo ha accontentato e gli ha suggerito: “non ti preoccupare, fai questa cosa con Venafro, con lui ci penso io”».
 
Domenica 2 Agosto 2015, 06:16 – Ultimo aggiornamento: 3 Agosto, 08:30

Lella Bertinotti e l’eredità D’Urso «I 500 mila euro? Sono solo virtuali

i soldi sono virtuali, è solo una beffa……son in tanti diversi conti correnti ……. il kompagno non vuole condividere la sua fortuna? Quanti poveri migranti potrebbe accogliere
 
 
La moglie dell’ex leader di Rifondazione e il mistero del testamento dell’amico. I conti correnti sono sparsi per il mondo. L’ex presidente: «Non parlo di questa vicenda»
 
di Tommaso Labate
Mario D’Urso saluta l’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti (Olycom)
«Se mi si chiede il perché di questa amicizia tra persone così diverse, il motivo è semplice. Mario era un uomo buono». Magari lo sapeva, forse lo sospettava. O, chissà, lo intuiva. Ma se davvero fosse stato all’oscuro del suo testamento, nel declamare due mesi fa questa frase durante l’orazione funebre di Mario D’Urso, Fausto Bertinotti avrebbe messo a verbale un’analisi che più azzeccata non si poteva. Perché «buono», l’avvocato ed ex senatore amico di Gianni Agnelli, oltre che frequentatore del jet set internazionale, lo era davvero. E pure tanto. Soprattutto col suo amico comunista ed ex presidente della Camera. A cui ha lasciato in eredità, come ha rivelato ieri il Messaggero , la cifra di cinquecentomila euro. Un miliardo di vecchie lire.
 
Ci sarebbe di che essere contenti. Eppure, quando gli si chiede conto dell’atto di generosità di D’Urso, i coniugi Bertinotti – che un tempo venivano criticati da sinistra proprio per le frequentazioni di quei salotti in cui l’avvocato era protagonista assoluto – provano a trincerarsi dietro un cupo silenzio. «Non posso parlare, sto guidando», esordisce la signora Lella. «E non può parlare neanche mio marito, sta guidando anche lui», aggiunge. I cinquecentomila euro lasciati dall’amico D’Urso? «Non parlo di un’eredità che è soltanto virtuale». Virtuale? «Si fidi di me, virtuale. E adesso la saluto».
 
Bertinotti, che le siede accanto, accetta di sottoporsi a una conversazione che dura non più di venti secondi. «L’aggettivo “virtuale” riferito al lascito di D’Urso l’ha detto mia moglie, non io. Io non dico niente», spiega con voce comunque cortese l’ex leader di Rifondazione Comunista. Quanto a D’Urso, «di lui ho parlato in passato e di lui tornerò a parlare in futuro. Ma non in relazione a questa faccenda». Clic .
 
Davvero i cinquecentomila euro lasciati da D’Urso a Bertinotti sono «virtuali», come sostiene la moglie dell’ex presidente della Camera? Difficile dirlo. A indagare sul testamento, infatti, spunta una verità dal sapore agrodolce. Come spiegano alcuni amici e familiari dell’avvocato morto quasi due mesi fa, infatti, la strada che separa gli eredi dall’eredità è piuttosto dissestata. Perché la ricognizione dei conti correnti di D’Urso, che sono sparsi per il mondo e di cui forse nemmeno D’Urso conosceva la consistenza, comincerà non prima di settembre (l’esecutore è il suo ex commercialista) e durerà non meno di un anno.
 
Se la somma trovata e decurtata da tasse e oneri vari sarà uguale o superiore a quella destinata agli eredi, i Bertinotti avranno i cinquecentomila euro. Se è inferiore, allora prenderanno una quota proporzionata al resto delle volontà espresse da D’Urso in vita. Nel frattempo, però, la cifra è «virtuale». Né più né meno di quello che sostiene la signora Bertinotti.
 
La discussa amicizia tra il politico comunista e l’avvocato che per un quarto di secolo sedette nel consiglio di amministrazione di una delle massime centrali del capitalismo mondiale, e cioè la banca d’affari Lehman Brothers, continua a far discutere. Diceva D’Urso di Bertinotti: «Con lui sto in silenzio e ascolto, ho tutto da apprendere». E mai silenzio, forse, fu più d’oro di questo. Soprattutto per quell’interlocutore che veniva da un mondo lontano dal suo. E che, del mondo, aveva un’altra visione.
 
30 luglio 2015 | 08:09