TRE SUONATORI, TRE SUONATI. Cap. 3. L’Iran e i suoi amici

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MONDOCANE

GIOVEDÌ 20 AGOSTO 2015

 
Poi i governanti inventeranno basse bugie per dare la colpa al paese attaccato e ognuno sarà felice di queste falsità che placano la coscienza, le studierà diligentemente e rifiuterà di esaminare qualsiasi prova contraria. Così, un po’ per volta, convincerà se stesso che la guerra è giusta  e ringrazierà Dio per l’ottimo sonno di cui godrà dopo questo processo di grottesco auto-inganno”. (Mark Twain)
Prosegue la discesa agli inferi dei popoli cubano e greco. Qui, col terzo memorandum della Troika, il sicario locale conduce a termine sul suo paese la stessa missione che venne ordinata agli sgherri della Diaz a Genova, o ai narcopresidenti in Messico. Come Menem in Argentina, prima del default, si vende anche i cimiteri. quelli nei quali finiranno anzitempo i pensionati al minimo a cui, dopo il companatico s’è tagliato anche il pane. Chi pensate abbia comprato i 14 aeroporti greci? Ovvio, i concittadini di Merkel e Schaeuble, quelli che a forza di vendite di armamenti, imposti dalla Nato, hanno contribuito a creare lo smisurato debito greco. Fico, no? Da quando principi, papi e re si sono indebitati con le banche, che da lì in poi hanno prosperato fino al dominio planetario, per finanziare crociate predatorie, debito, banche e guerre vanno di pari passo. E se qualcuno non dovesse aver capito la lezione, tipo tutti quei greci in piedi che hanno votato No alla Troika, si convincerà, forse, a vedere affondare le proprie isole (in vendita quando saranno sgombre), e la propria terraferma, sotto uno tsunami di migranti. Vengono sradicati dalla Siria e dall’Afghanistan non solo per sgomberare quei luoghi e quelle risorse da popolazioni superflue, ma anche  per scaricarne il peso su quei pezzi d’Europa che già non ce la fanno più, risultano zavorra e su cui non sta bene, per ora, scaricare bombe o califfi.
Là, mentre a Guantanamo un prigioniero yemenita, Tariq Ba Odah, in sciopero della fame dal 2007, ma mantenuto in vita con la tortura dell’alimentazione forzata nasale, se ne sta andando all’altro mondo perché il suo corpo non è più in grado di assorbire nutrimento, per le vie e dai balconi della vicina Santiago e della lontana Avana, folle salutano la visita del “valoroso veterano del Vietnam” (!), John Kerry, inebriandosi dello sventolio di bandiere a stelle e strisce. Lui ha appena pilotato, per interposta persona s’intende, il cacciabombardiere che ha frantumato una festa matrimoniale a Kandahar e il drone che, “fallendo” il bersaglio Isis, ha sventrato un ospedale siriano. Ha anche da poco fatto arrivare qualche decina di milioni a terroristi venezuelani perché preparino gli Usa alla difesa da quella che per Obama “è la rara e straordinaria minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti”. Loro, le folle, sembrano proprio quelle che a milionate incontravamo il 1. Maggio, fazzoletto rosso al collo, ad ascoltare Fidel e a gridare “Patria o muerte”, “Socialismo o muerte”, “Hasta la victoria siempre”. In greco si chiama di·sto·pì·ala dislocazione di un viscere o di un tessuto dalla sua normale sede.
Oggi, però, ci occupiamo dell’Iran, terzo soggetto nella trilogia dei suonatori e suonati. Quello per il quale non tutti i giochi sembrano ancora fatti, diversamente da Cuba scintillante di stelle e strisce e dalla Grecia dove, però, da un spiraglio, almeno si vedono stelle e strisce bruciate in piazza. Hai visto mai. Ma partiamo dalla periferia della potenza regionale, là dove i propilei della Persia vengono investiti dal controcanto heavy metal di un imperialismo che a Tehran flauta la melodia della diplomazia e del disgelo. Nella scenetta obamiana del poliziotto cattivo e di quello buono, Siria, Iraq, Libano, Yemen, stanno all’Iran esattamente come Venezuela, Ecuador, Argentina, Bolivia, Nicaragua, stanno a Cuba. Lì si stupra, qui si minchiona. Politica del sorriso verso gli uni, desertificazione del quadro di solidarietà e amicizia nel quale questi sono collocati. Ti offro un bicchiere d’acqua, ma ti taglio l’acquedotto. E c’è chi ci casca.
 
Nulla riferiscono i media sui successi governativi in Iraq e Siria Già, ci sono anche quelli, ma guai a sminuire la potenza e la minaccia dei jihadisti e far sospettare che quei “regimi” si affermino grazie alla qualità dei propri combattenti e al consenso popolare. Vale anche per l’Afghanistan dove, o si tace sull’offensiva vittoriosa dei Taliban da un capo all’altro del paese, o, con i soliti Battiston e Giordana del “manifesto”, corifei dell’occupazione Usa e della “società civile”, la si trasforma addirittura in “segni evidenti di debolezza dei barbuti”(termine, questo, prediletto dai due, insieme a “turbanti”, tanto per dar mostra di solido razzismo eurocentrista)..
L’esercito siriano, in condizione di quasi totale isolamento internazionale, sono oltre 4 anni che non si fa mettere sotto, sebbene confrontato da un inesauribile flusso di combattenti e rispettivi finanziamenti e armamenti. Damasco controlla tuttora tutta la parte della Siria densamente popolata, non cede sul fronte di Aleppo, nonostante l’impegno che ci mettono i turchi  a sostenere Al Nusra, ha ripreso ad Al Nusra la provincia centrale di Hama, ha riconquistato quasi completamente sia il sud, provincia di Deraa, sia l’area che congiunge la capitale al Libano e al Mediterraneo, liberando la città strategica di Zabadani e la catena montagnosa di Qalamun. Le recenti mosse militari della “comunità internazionale” e dei vari fantocci oppositori di Siria (zona cuscinetto, Incirlik agli Usa, bombardamenti Usa diretti, resurrezione di “ribelli moderati”, turchi scatenati contro i curdi e promotori di affluenza Isis in Siria) sono la reazione a questa impasse degli aggressori.
Il dinamismo diplomatico di Mosca, che in questi giorni ha incontrato i vari attori sulla scena, compresi i fantasmi della Coalizione Nazionale Siriana e il ministro degli esteri saudita, ha sollecitato il Consiglio di Sicurezza a dar segni di vita. Il risultato è la proposta di un governo di transizione con dentro tutti, salvo Assad (con Assad per i russi). Impegni scritti sull’acqua  che non tengono in minimo conto la volontà del popolo siriano come manifestatasi in quasi 5 anni di resistenza. I foraggiatori delle varie forme di terrorismo jihadista si affretteranno a schiacciare questa resistenza sotto un qualche enorme botto False Flag che imponga l’attacco internazionale diretto a Damasco. Si vedrà se Putin sarà ancora una volta in grado di fermarlo.
L’ennesimo tentativo degli Usa di proporre all’opinione pubblica mondiale una credibile alternativa alle proprie mostruose bande jihadiste, è finito nel ridicolo. La celebrata “Divisione 30” di una nuova “Forza Libera Siriana”, composta stavolta da “oppositori” siriani, per lunghi mesi addestrata in Turchia da militari Usa, appena entrata in Siria con i suoi primi 60 ascari (5000 avrebbero dovuto seguire, ma non se ne parla più), è subito svaporata sotto gli schiaffi dal mercenariato primigenio – Al Qaida-Al Nusra – che avrebbe dovuto sostituire per offrire al mondo un’immagine meno orrida della guerra ad Assad. Evidentemente essendo questi “moderati” meno motivati delle bande islamiste da mettere in ombra, i rimasugli  dello scontro si sono dichiarati fratelli di Al Nusra. Comprensibile l’irritazione del Fratello Erdogan, che ha subito sopperito al patetico esito dei “ribelli moderati” messi in vetrina dagli Usa, facendo accompagnare dai suoi servizi segreti nuove colonne di mercenari Daish (Isis), tutti stranieri, in Siria.
 
Lo stallo sul terreno, l’incapacità della coalizione wahabita-imperialista di far crollare il paese e il suo governo, a dispetto di indicibili sofferenze, 4 milioni di profughi, 10 milioni di sradicati interni minacciati dall’inedia, ha fatto passare la svolta da sempre perorata dal Fratello musulmano di Ankara. La “zona cuscinetto” dove affiancare ai miliziani jihadisti truppe turche in vista della conquista di Aleppo da far diventare provincia turca; l’impegno Usa diretto con droni e cacciabombardieri in partenza dalla base turca di Incirlik, a fingere di colpire l’Isis, cercare di agevolare gli attacchi jihadisti e distruggere un altro po’ di Siria; l’annuncio di Netaniahu, dopo aver assistito i jihadisti con forze speciali, bombe e cure sanitarie, di entrare ufficialmente a gamba tesa nel conflitto attraverso interventi militari mirati a “garantire la sicurezza del Golan e del confini di Israele”. Quando Israele garantisce la sua sicurezza, curiosamente saltano per aria le sicurezze di altri.
 
Non diverso è il discorso per l’Iraq, dove l’andamento dello scontro tra Baghdad e Califfato (i curdi qui sono comprimari) pare quello della fisarmonica. Il dato, comunque, è che la tripartizione del paese (ultimamente ribadita spudoratamente dal generale Ray Odierno, massima autorità militare Usa in Iraq) non si riesce a consolidare attraverso soluzioni territoriali definitive. Anzi, con il decisivo appoggio di volontari sciti e sunniti e di comandanti iraniani, l’esercito di Baghdad è passato dal contenimento alla, seppure faticosa, avanzata nelle province centrali di Salahuddin e di Anbar. Segno che l’operazione affidata da Usa e “comunità internazionale” alla mostruosa creatura ha perso tutto il suo travolgente impeto e rischia di finire insabbiata. “Il Nuovo Medioriente”, pronosticato da Israele, Neocon, Obama, non riesce  a mettere a posto tutte le sue caselle etnicamente e confessionalmente separate e contrapposte.
Provocazioni per l’invasione
Le surrealistiche atrocità commissionate ai mercenari Isis e Al Qaida in Siria, Iraq, Nigeria, Libia, Yemen, stanno superando ogni immaginazione e, con essa, ogni sopportazione, che non sia quella all’uranio impoverito di chi dirige lo spettacolo. Autobombe, in assenza di risultati positivi al fronte, ogni giorno fanno immani stragi di civili a Baghdad e Damasco, città più martiri di tutte le città martiri di ogni guerra. A Sirte in Libia, membri delle tribù Ferjani e Qaddafa, fedeli al leader libico linciato, muniti di soli vecchi Kalachnikov, si rivoltano eroicamente contro gli invasori del Califfato (rivolte di gheddafiani si sono registrate ora in tutto il paese) e, in assenza di qualsiasi attenzione internazionale (come quella ampiamente offerta a Kobane), vengono schiantati da artiglieria pesante e carri armati di fattura e fornitura occidentali, pagati dai satrapi del Golfo. I sopravvissuti sono, come suole, crocefissi. Il parossismo dell’anti-umanità necrofaga è suggerito dai mandanti ai cerebrolesi dell’Isis a Palmira, dove si obbedisce alla consegna di sradicare la civiltà, l’anima e la storia di un popolo, decapitando e appendendo a una colonna il sovrintendente alle antichità Khaled Asaad, l’eroe che aveva salvaguardato dai barbari i segni sublimi di quella civiltà. I mandanti, poi, si arricchiranno di trofei predati e trafficati. Parossismo della ipocrisia, poi, è il cordoglio per Asaad del PD, partito e governo che hanno appoggiato l’assalto alla Siria dal primo giorno.
A proposito vedansi i vaneggiamenti del Fratello Musulmano Acconcia, sul “manifesto”, quando s’inventa l’arrivo della Brigata di Misurata a sostegno dei combattenti di Sirte. Brigata che, arrivata in vistosa parata alle porte di Sirte, senza colpo sparare, ha immediatamente fatto dietrofront. Non poteva che essere un’esibizione a uso e consumo di giornalisti come Acconcia, dato che i Fratelli Musulmani del regime golpista di Tripoli sono i padrini sia dei tagliagole di Misurata, amati in Occidente per gli orrori inflitti ai prigionieri politici e militari gheddafiani, alle donne non “convertite” e alla popolazione nera di Tawergha, sia degli orchi jihadisti installati a Sirte. Unici a tentare qualcosa in difesa di Sirte sono stati gli aerei del governo legittimo di Tobruk, con le loro modeste capacità bombarole.Tobruk ha chiesto alla Lega Araba di intervenire al suo fianco contro gli islamisti. Sarebbe l’unica soluzione corretta, che potrebbe escludere quella colonialista della Nato. Ma difficile immaginare che la Lega possa deciderlo, quando lì dentro ci stanno qatarioti, sauditi, vassalli vari degli Usa, padrini e complici dei terroristi.
A questo punto non è possibile non prendere atto che le atrocità del mercenariato Isis (prima e ancora di Al Qaida) in Libia, Siria, Iraq, Nigeria, servono a: 1) esasperare lo scontro di civiltà inventato dai neocon, attraverso la satanizzazione dell’Islam tutt’intero; 2) giustificare l’intervento di una qualche coalizione neocolonialista in Libia e Medioriente; 3) seminare panico nelle società occidentali ( anche con interventi metropolitani come Charlie Hebdo e affini) e quindi far passare ulteriori strette alle libertà e ai diritti, fino allo Stato di Polizia del XXI secolo, cioè una roba che Hitler o Bokassa non avrebbero neanche saputo immaginarsi. E’ però un giochino a rischio. Utilizzare il mercenariato jihadista come bande di ventura al servizio dei propri obiettivi e. contemporaneamente. come cattivissimo orco per incutere terrore nei mondi da sottomettere, può provocare incrinature di credibilità.
 
E allora, ogni volta che ci si avvicina al punto di contraddizione evidente tra jihadista terrorista e jihadista proprio strumento, ecco che si piazza, tra macerie, corpi straziati, esecuzioni di innocenti affidate a bambini, crocefissioni e stupri, un bel criminone di Assad. Una volta armi chimiche che a Ghouta Est uccidono 200 bambini, un’altra, nei giorni scorsi, il bombardamento di Douma, periferia di Damasco, con  lo sterminio di 200 civili e passa. L’effetto distrazione di massa è imposto dal frastuono ecumenico di ogni sorta di corifeo politico e mediatico, a destra e sinistra. Eccelle qui il para-giornalista britannico Robert Fisk, agente del MI6, che ricordo sfottermi a Baghdad, nel 2003, per aver messo a confronto la civiltà dell’Iraq di Saddam con la barbarie degli Usa di Bush e del Regno Unito di Blair. Douma gli ha fornito il pretesto per parlare di un “equilibrio del terrore” tra esercito di Assad e gli altri, tutti parimenti cattivi, ma quelli di Assad un tantino più cattivi. Sotto la quale mistificazione sparisce la differenza tra aggressori tagliagole e aggrediti, torti e ragioni.  
Il caso Douma è anche tale da annientare ogni riflessione sulla logica di un presidente, assediato da mezzo mondo, che trarrebbe vantaggio dal massacrare una popolazione che lo appoggia e che, per difenderlo, ha sopportato ogni nequizia e sciagura (logica demenziale già attribuita a Gheddafi). Del resto esiste la prova provata che i gas di Ghouta Est furono forniti da Erdogan e usati dai jihadisti di Al Nusra, che quei bambini uccisi erano stati rapiti da Al Nusra.  La verità, distorta dai media, dice che da Douma, controllata dai jihadisti, partivano incessanti colpi di mortaio che facevano strage della popolazione civile nella capitale. La rappresaglia dell’aviazione del governo ha colpito un deposito di cloro e armi chimiche che, esplodendo, ha provocato vaste devastazioni e un centinaio di vittime. Infatti non risultano crateri da bombe o missili, ma distruzioni a largo raggio come nel caso di ordigni di superficie. Del resto, la notizia di un massacro attribuito ad Assad, come ripresa da tutta la stampa, era stata data dal Syrian Observatory for Human Rights, una fonte londinese legata all’opposizione, sotto controllo dei servizi britannici, finanziata dall’UE. Credibilità: zero.
 
Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur
Di False Flag in False Flag, tattica micidiale contro la quale le vittime non hanno ancora trovato antidoti, arriviamo finalmente all’Iran. Dove si parla tra gentiluomini di accordi e dove le autobombe e gli assassinii, per tutti questi anni commissionati  dal Mossad e dalla Cia ai terroristi islamisti del MEK (Mujaheddin-e-Khalk), sono al momento sospesi. Si aspetta di vedere quello che succederà dopo la firma degli accordi sul nucleare a Ginevra e a Vienna tra i 5 del CdS più Berlino e Tehran. Diciamo subito che tra le rese di Cuba e Grecia, da un lato, e il cedimento iraniano alle pretese degli Usa non c’è equivalenza. Soprattutto perché alla base e fin ai vertici dello Stato si è manifestata una forte, seppure da noi pochissimo pubblicizzata, opposizione all’accordo. Però qui, come negli altri due paesi fagocitati dai ricatti a popolazioni stremate, è chiaro il segno di classe della vicenda.
Hassan Rouhani, definito “moderato” da noi, è diventato presidente grazie alla divisione del campo della sinistra, detta “conservatori” e alla mancata candidatura del popolarissimo Ahmadinejad, impedita dai due mandati precedenti. Rouhani si pone in linea di continuità con esponenti della borghesia occidentalizzante come Rafsanjani, campione di corruzione, e Khatami. Rappresenta l’affermazione di coloro che nel 2009 allestirono la cosiddetta “rivoluzione verde” contro la correttissima rielezione dell’uomo rappresentante degli interessi dei ceti patriottici, contadini, operai, intellighenzia scientifica e culturale, alla cui promozione sociale contribuì come nessun predecessore. Con visione chiara delle mire dell’imperialismo occidentale, aveva rafforzato i legami con Russia, Cina, BRICS e gli alleati in Medioriente e aveva difeso il diritto dell’Iran, firmatario del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (diversamente dal nuclearissimo Israele, delle cui 200-400 bombe atomiche nessuno, tanto meno l’AIEA, chiede conto), ad arricchire l’uranio fino al 20%. Limite inferiore a qualsiasi sviluppo armato, ma necessario a fini clinici ed energetici.
 
Del resto, lo spauracchio di un Iran dotato di armamento atomico è stato sempre un mero pretesto per assediare il paese e impedirgli ogni progresso economico e tecnologico e giustificare sanzioni pesantissime con il fine di sfasciare l’economia e le condizioni di vita di un popolo che Ahmadinejad aveva avviato sulla via di un eccezionale sviluppo. Tra l’altro con la promozione delle donne, arrivate al 64% dei laureati, a più alti livelli dello Stato, dell’economia, della scienza. Come a Cuba, si contava sulla frustrazione e sull’impoverimento della gente, qui dovuto unicamente alle sanzioni e non, come a Cuba, anche a inefficienze e corruzione interne, per creare un clima utile al cambiamento.
L’arricchimento è stato ridotto al 3%, quasi tutte le centrali sono state chiuse o ridotte a capacità minime, i 10mila chili di uranio arricchito ridotti del 98%, le centrifughe tagliate di due terzi. Ma l’offesa più grave alla sovranità del paese è rappresentata dall’incredibile diritto preteso dagli sbirri yankee dell’AIEA di ispezionare 24 ore su 24, senza preavviso, tutte le installazioni, comprese quelle militari che con un agenzia atomica non c’entrano una cippa. Terrificante cedimento  in cambio di una possibile rimozione delle sanzioni. Questa però rimane sospesa come una spada di Damocle contro l’eventualità che l’Iran “sgarri”. E gli “sgarri” potrebbero essere sia il rifiuto di un Iran resipiscente di farsi sfrucugliare caserme e basi militari, sia l’insistenza di Tehran su oleo- e gasdotti che congiungano uno dei massimi produttori di idrocarburi del mondo a Pakistan e Cina, da un lato, e Siria, Turchia ed Europa dall’altro. Pipeline fuori dal controllo Usa.
Altro “sgarro” sarebbe il mantenimento del ruolo strategico dell’Iran in Medioriente, attraverso il presidio della cosiddetta mezzaluna scita – Iran, Iraq, Siria, Libano, Yemen, maggioranze e minoranze scite nei sultanati del Golfo – e il sostegno a questi popoli nella lotta contro il neocolonialismo imperialista e il parallelo terrorismo espansionista delle autocrazie reazionarie di Turchia, Qatar, Arabia Saudita. Russia, Cina e Iran, poi, rappresentano l’uno per gli altri, e viceversa, la rispettiva profondità strategica. Nella marcia dei mondialisti  su Mosca e Pechino, l’Iran costituisce una tappa e uno scoglio cruciali. Come a Cuba, constatata la totale inefficacia  di decenni di politica aggressiva, minacce tonitruanti, rivoluzioni colorate, campagne terroristiche, separatismi alimentati in Beluchistan e Kurdistan, clave atomiche agitate da Israele, inondazione di droghe dalle parti dell’Afghanistan sotto controllo degli occupanti, uragani di diffamazione, ci si è rassegnati al “disgelo”, a prendere la selvaggina alle spalle. O, piuttosto, nel nido, facendo leva sulla scarsità di cibo per i piccoli.
 
Prendere un paese alle spalle significa anche soffocarlo tagliandone i vasi comunicanti. La guerra in continua escalation che califfi, sultani e feldmarescialli occidentali conducono contro Siria e Iraq, con il ricorso a enormi flussi di denaro, armi, mercenari rastrellati dalla Nato in tutto il globo, punta a eliminare dalla scena i principali sostegni regionali dell’Iran, prima che esso venga poi tolto di mezzo da isolamento e autocombustione alla greca.
I circoli dirigenti di Tehran, come quelli cubani, si inebriano dell’arrivo in massa delle cavallette di investitori multinazionali occidentali, con Usa e Italia in prima fila. Dei quali si sa che beneficeranno le classi alte e ne risentiranno pesantemente, quanto a condizioni di vita e di lavoro, di ambiente e giustizia sociale, quelle che Ahmadinejad aveva emancipato. Un’irruzione del capitalismo di rapina che rischia di minare alla base la sovranità dello Stato, lacerarne il tessuto sociale attraverso la contrapposizione di settori ingrassati dal libero mercato e altri che ne vengono emarginati e impoveriti. Una ripetizione della manovra di mezzo secolo fa quando, dopo il colpo di Stato anglosassone contro il premier nazionalista Mossadegh che aveva nazionalizzato il petrolio, la stessa operazione era stata affidata allo Shah, uno dei più trucidi e sanguinar tiranni della storia.
Abbiamo ora un’Iran messo sotto tutela armata ed economica dall’imperialismo con la complicità di parti della sua società. Ma abbiamo anche un Iran alfabetizzato al 98,7%, con un’istruzione universitaria inferiore solo a Germania, Regno Unito e Francia, con un Indice dello Sviluppo Umano superiore a tutti i paesi della regione e con una popolazione che al 75% ha meno di trent’anni. Un Iran che, con Ahmadinejad, presidente laico, aveva conosciuto, oltre all’ascesa delle proprie classi lavoratrici, un allentamento della presa clericale su norme e costumi, un passo indietro della censura sulle espressioni di creatività culturale ed artistica, tanto che il cinema iraniano era assurto ai primi posti del prestigio mondiale. Aspetti di vita che, ora in concomitanza con l’arrivo di Exxon-Mobil, BP, Total, McDonald’s e Coca Cola, stanno già regredendo, alla faccia della nomea di “moderati” e “liberali” con cui da noi si festeggiano i nuovi dirigenti.
Diversamente da quanto mi capita di pensare su Grecia e soprattutto su Cuba, per l’Iran non me la sento ancora di rinunciare a speranza e fiducia. Ho conosciuto da vicino quel giovanissimo e intelligente popolo (vedi il docufilm “Target Iran”), ne ho sperimentato l’orgoglio, la dignità, la maturità politica, la consapevolezza storica ed attuale dei crimini del colonialismo britannico e dell’imperialismo Usa-UE. Ne è testimonianza indelebile a Tehran, quotidianamente visitata da centinaia di cittadini, l’orrendo carcere della Savak, il servizio segreto dello Shah che ha insegnato la tortura perfino agli israeliani. Che al prossimo giro Ahmadinejad torni o no, non sarà facile rovesciare questo Iran come un calzino nel suo contrario. Né credo che la Russia di Putin lo abbandoni. Sarebbe, del resto, una grossa taffazzata. Molto capiremo da quel che succederà presto in Siria e Iraq.
 
Pubblicato da alle ore 12:39

E GLI TSIPRIOTI ITALIANI TACCIONO. Imponente piano di privatizzazioni (50 Mld, il 25% del Pil) votato dal governo di SYRIZA)

la sinistra sta sempre con il popolo e ci protegge dalle destre vero??
19 agosto 
Giorni addietro chiedevamo di TROVARE LE DIFFERENZE TRA LE TERAPIE
DI MARIO MONTI E QUELLE ALEXIS TSIPRAS. Alcuni lettori ci dissero che stavamo esagerando.
Stavamo davvero esagerando?
Nient’affatto!
 
Non abbiamo condiviso, il 12 luglio scorso, all’atto dell’accettazione del “terzo memorandum” da parte del governo greco, la definizione di “colpo di stato”. Si ha colpo di stato quando un qualche potere ne abbatte un altro. Il governo Tsipras poteva, se voleva —tanto più dopo il referendum—, respingere l’accordo infame.
Ora che vengono applicate a passo di corsa le prime clausole del “terzo memorandum”, la prima fra tutte un enorme piano di privatizzazioni delle aziende e dei beni pubblici —vedi sotto i dettagli— è chiaro anche ai ciechi di quale sfrontato tradimento abbia compiuto il governo SYRIZA. Doppio tradimento: del suo proprio programma e del mandato ricevuto dai suoi elettori a porre fine ad austerità e al regime di protettorato neocoloniale —che ora è più stringente ed effettivo che mai.
 
Tsipras si difese dicendo che non poteva fare altrimenti e che comunque si trattava del migliore accordo possibile. Mentiva sapendo di mentire.
 
I sostenitori italiani di Tsipras, i sinistrati che raccattarono qualche seggio a Strasburgo con la lista che del primo greco portava addirittura il nome (Sel, Prc, Centri sociali e compagnia) si allinearono al loro “caro leader”, difendendo l’accordo del 12 luglio, negando che si trattasse di una capitolazione.
Da un mese essi tacciono, non aprono bocca —dalla vergogna.
Grecia priv 2
Ma vediamo nei dettagli le prime misure suicidiarie, all’insegna del più puro neoliberismo chieste dai creditori e accettate da Atene: si tratta di privatizzare pressoché TUTTE le compagnie e le aziende di proprietà pubblica.
 
Per “reperire risorse allo scopo di onorare il debito” si difende Tsipras. Che fine ha fatto la richiesta della moratoria sul debito? E perché non si nazionalizzano invece le flotte mercantili degli oligarchi greci? (la loro è la più grande flotta mercantile del mondo).
 
Leggiamo da Il Sole 24 Ore del 15 agosto (vedi immagine sopra):
 
«Il governo greco accelera sulla privatizzazione dei pezzi pregiati del sistema produttivo ancora nelle mani dello Stato: i porti del Pireo e di Salonicco e la ferrovia Trainose-Rosco. Tutte aziende che interessano i cinesi della Cosco e per il Porto del Pireo anche la danese Maersk.
L’agenzia greca per le privatizzazioni ha annunciato giovedì il termine per la presentazione delle offerte: ottobre 2015 per il Pireo, dicembre 2015 per la ferrovia e febbraio 2016 per il porto di Salonicco, la seconda città del paese. Fra le società interessate al Pireo vi è in prima linea il gruppo cinese di container Cosco che attualmente gestisce il molo I del porto greco. Fin dal 2009 la Piraeus Container Terminal, una sussidiaria di Cosco, gestisce i moli II e III in base ad una concessione dalla durata di 35 anni data dall’ex premier greco Giorgos Papandreou con lo scopo di trasformare il Pireo nella porta di ingresso delle merci cinesi per i Balcani e l’Europa orientale.
Nel memorandum di intesa, concordato ieri dalla Grecia e dai suoi creditori, si prevedono le privatizzazioni di porti, aeroporti e rete elettrica per un totale di 6,4 miliardi di euro entro il 2017.
Il nuovo memorandum, di circa 60 pagine, prevede le misure prioritarie per l’erogazione della prima tranche di aiuti che dovrebbe essere di 25 miliardi, su un totale di 85 miliardi di euro. Più nel dettaglio l’accordo prevede l’impegno da parte di Atene a fare «passi irreversibili» entro ottobre per privatizzare l’operatore della rete elettrica Admie, su cui in passato c’erano state delle manifestazioni di interesse da parte della società italiana Terna e della società di trasmissione cinese, oppure a presentare misure alternative equivalenti. Le offerte vincolanti per i porti del Pireo e di Salonicco dovranno essere annunciate entro la fine di ottobre. Inoltre Atene si impegna a vendere gli aeroporti regionali all’offerente già selezionato, ovvero la tedesca Fraport, che gestisce l’aeroporto di Francoforte, in base «ai termini previsti».
L’annuncio dell’Hellenic Republic Asset Development Fund’s (Hradf) si basa sull’accordo raggiunto fra il governo greco e i creditori, sul quale il Parlamento di Atene ha dato il via libera ieri. Il memorandum prevede che i 6,4 miliardi di euro di incasso totale per le privatizzazioni siano ripartite in 1,4 miliardi di euro nel 2015, 3,7 miliardi di euro nel 2016 e 1,3 miliardi di euro nel 2017. L’ex aeroporto di Atene, Ellenikon, dove si costruiranno una serie di alberghi e residence con investimenti del fondo sovrano del Qatar, è già stato ceduto, come pure Astir Palace, un hotel di lusso che aveva ospitato ai tempi Christina Onassis e Brigitte Bardot, è in vendita. Manca all’appello la Ppc, il primo produttore di energia elettrica del paese e la prima public utility di Grecia. Nella lista delle società da mettere sul mercato manca anche il 35,5% della Hellenic Petroleum, la maggiore raffineria del paese mediterraneo. Anche qui, come per la Ppc, a mettere il veto era stato l’ex ministro dell’Energia Panagiotis Lafazanis nonché capo dell’ala di sinistra di Syriza, ora pronto alla separazione, che aveva stoppato la prevista cessione ai privati della società. Mancano all’appello della messa sul mercato anche le azioni ancora in mano al governo della Ote, il colosso della società di telecomunicazioni greca, già in mano in maggioranza ai tedeschi della Deutsch Telekom, che avrebbero dovute passare all’agenzia delle privatizzazioni.
 
I creditori vorrebbero un passo avanti anche nelle modalità di esecuzione delle privatizzazioni che in passato hanno fruttato solo delusioni e obiettivi mancati. Lo scorso 13 luglio Atene si era impegnata a trasferire a un «fondo indipendente» le sue attività «di valore». A tale fondo spetta il compito di «monetizzare» tali attivi, sia vendendoli, sia sfruttandoli nella maniera più redditizia possibile. L’obiettivo è quello di raccogliere 50 miliardi di euro durante tutta la durata del terzo programma di aiuti, cioè in un triennio, un obiettivo ritenuto da molti osservatori molto ambizioso. Nell’accordo sottoposto all’Eurogruppo, Atene ha promesso la costituzione entro ottobre di una «squadra indipendente per identificare le possibili opzioni e preparare raccomandazioni in vista della creazione del fondo». Ma alcuni creditori ritengono che il semplice fatto di creare una «squadra» non sia sufficiente e non soddisfa le condizioni fissate dai creditori».
 
grecia priv 1
Entrando nei dettagli si scopre che i briganti che stanno dando l’assalto alla diligenza greca sono anzitutto multinazionali tedesche.
 
 
«Il governo greco ha approvato la vendita di 14 aeroporti regionali al gestore aeroportuale tedesco Fraport per 1,23 miliardi di euro. La decisione è stata confermata ufficialmente oggi nella Gazzetta ufficiale e porta le firme di diversi ministri, tra cui il vice primo ministro e il ministro dell’Economia Yannis Dragasakis e Giorgos Stathakis.
Prima del blocco delle privatizzazioni, Fraport nel novembre 2014 era già stato scelto come “investitore privilegiato” per concessioni di 40 anni su 14 scali greci, da Creta a Santorini, da Mykonos a Salonicco. La cessione alla società tedesca era quindi già stata approvata dal precedente governo poi congelato con le elezioni in gennaio del premier della sinistra radicale Alexis Tsipras. Si tratta della prima privatizzazione del governo Tsipras».
 
Tsiprioti italiani, paladini dei beni comuni, antiliberisti dei nostri stivali, avete forse perso la favella?

TSIPRAS SI DIMETTE…. «CHI VOLEVA FAR DERAGLIARE IL NEGOZIATO» di Yanis Varoufakis

Tsipras ha dichiarato che ha lottato per i greci……deve trattarsi di quelle fini strategie tanto fini che noi popolino non riusciamo a comprendere
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[ 20 agosto ]
 
Mentre giunge ora la notizia che Tsipras annuncerà le dimissioni questa sera (20 agosto), ciò per andare verso elezioni anticipate prima che il consenso dei greci crolli del tutto e per non dare tempo all’ala sinistra di SYRIZA di organizzarsi, presentiamo ai lettori la traduzione del post che Varoufakys ha pubblicato proprio oggi sul suo blog.
 
«Il piano greco per la crescita e il risanamento”: due documenti che il mio Ministero delle Finanze ha presentato nel mese di maggio e giugno 2015.
 
Ora che la Grecia, dopo la resa  del governo di SYRIZA del 12 luglio 2015, ha approvato il Memorandum of Understanding [Terzo protocollo d’intesa, Ndr] (vedi qui per la mia versione chiosata), è forse interessante confrontare la “Agenda per le riforme” contemplata da tale accordo con l’ordine del giorno che il Ministero delle Finanze aveva presentato alle istituzioni in due occasioni, a maggio ed a giugno 2015.
 
Durante i cinque mesi di negoziati in cui sono stato coinvolto e prima che il nostro governo capitolasse dopo il 5 referendum di luglio, la stampa accusava il nostro governo in generale e me in particolare che non avevamo “nessun piano per riformare la Grecia”. Quando parlavano con la stampa, i colleghi dell’Eurogruppo ed i rappresentanti della troika ripetevano, fino alla nausea, che essi “non sapevano che cosa i Greci stessero proponendo”.
 
La verità è che loro sapevano perfettamente quello che stavamo proponendo. E che non hanno mai prestato alcuna attenzione alle nostre proposte.
 
Accadeva forse perché le nostre proposte erano inutili, come stava scritto nelle veline che passavano alla stampa?
 
O era perché la sostanza le nostre proposte rendeva loro difficile ammettere la ragionevolezza delle proposte, e perché essi volevano solo umiliare il nostro governo e far deragliare i negoziati?
 
Ho lasciato che fossero i lettori a decidere quale delle due spiegazione fosse la più credibile.
 
Il primo documento è stato depositata il 11 maggio 2015. Era intitolato:un quadro politico per il consolidamento fiscale della Grecia, il risanamento e la crescita“. Il lavoro su di esso ha avuto inizio nel mio ministero dopo l’accordo dell’Eurogruppo del 20 febbraio. Le squadre di esperti provenienti da vari ministeri, così come gli attivisti SYRIZA, hanno presentato le loro opinioni su una vasta gamma di campi politici. La mia squadra, presso il Ministero delle Finanze, mise assieme un documento succinto, di non più di 60 pagine, che dovrebbe consentire al lettore di afferrare il senso della riforma dell’Agenda avanzata dal governo greco. Poi, dopo il mio ritorno dagli incontri del FMI in primavera, a Washington DC, ho lavorato sul documento stesso e, con un grande aiuto da parte del Professore Jeffrey Sachs, della Columbia University, il documento finale è stato compilato e presentato a molti dei miei colleghi dell’Eurogruppo. Venne accolto da un silenzio assordante.
 
Durante il mese che seguì, il nostro governo fece alla troika concessioni importanti in materia fiscale; concessioni che non condivisi, ma che, in quanto giocatore di squadra, accettai. L’11 giugno successivo, nel tentativo di integrare queste proposte entro un piano di riforma riveduto per la Grecia, elaborai un secondo programma completo, dal titolo “Fine della crisi greca: Riforme strutturali, crescita trainata dagli investimenti e gestione del debito“. Anch’esso venne inviato ai membri chiave dell’Eurogruppo. Anch’esso venne ignorato.
 
Qui di seguito il lettore può scaricare i due documenti:
** Traduzione a cura della redazione

AFRIQUE MEDIA: SUSPENDUE, EXILEE ET PLUS FORTE

PANAFRICOM/ 2015 08 18/

https://www.facebook.com/panafricom

https://vimeo.com/panafricomtv

PANAF - afrique media exilée et plus forte (2015 08 18) FR

Nous publions ici un excellent résumé avec mise en perspective des diverses analyses publiées dans le cadre de la « communication de crise d’AFRIQUE MEDIA » par la Direction de la TV panafricaniste et Luc MICHEL (le « panafricaniste blanc », « omniprésent » dit un fan, qui administre le GROUPE OFFICIEL AFRIQUE MEDIA sur Facebook, édite les Blogs AFRIQUE MEDIA TV et JE SUIS AFRIQUE MEDIA et pilote la campagne internationale du même nom) à l’occasion des trois grandes vagues d’attaque contre la TV panafricaniste : celle d’avril 2015 dite « affaire des traîtres aigris », la décision du CNC de suspendre la chaîne en juin 2015, enfin le forcing des « négres de rédaction » du CNC ce début août qui a conduit à la fermeture des installations de la TV à Yaoundé puis à Douala et à son départ pour Malabo et Ndjamena.

Cet article est signé par le Dr. Feumba Samen (Galena, Ohio, USA) et a été publié par nos amis de EBURNIE NEWS (Côte d’Ivoire) …

 PANAFRICOM

 # DR. FEUMBA SAMEN :

AFRIQUE MEDIA: SUSPENDUE, EXILEE ET PLUS FORTE

.Coup de bambou! Coup de théâtre! ou coup de tonnerre! Peu importe! Les bureaux de la chaîne de télévision panafricaine Afrique Média, antenne Yaoundé, ont été scellés le 6 Août 2015, en exécution de la décision du Conseil National de la Communication–CNC– du 4 Juin qui suspendait la chaîne pour un mois. “Les scellés avaient été posés par l’autorité préfectorale de Yaoundé 2, accompagné, pour la circonstance, de la force du maintien de l’ordre,” avait affirmé Albert Patrick Eya’a, Directeur de l’information de la chaîne.

 DERIVE DICTATORIALE ET EXIL

 La Suspension de Afrique Media s’inscrit dans une “dérive dictatoriale” déjà dénoncée par le Syndicat National des Journalistes du Cameroun–SNJC–. Pour ce syndicat qui lors de la première altercation entre Afrique Media et le CNC avait soutenu la chaîne panafricaine, cet organe de régulation est devenu un instrument de châtiment qui trouve un malin plaisir à punir. Récemment, certains journaux comme La Dépêche avaient été interdits; d’autres, La Nouvelle, Le Soir, Le Courrier et Le Devoir, avaient écopés d’une suspension de plusieurs mois.

Peter Essoka, journaliste à la retraite, et vice-président du CNC, saucissonneur des parutions et broyeurs des publications, n’est pas diffèrent de l’Ivoirien Raphaël Lapké, président du Conseil National de la Presse–CNP–et proche de Ouattara, souvent pris en “flagrant délit de partialité et de catégorisation de la presse Ivoirienne.” A ce propos, César Etou, ex-Directeur de publication du quotidien Ivoirien Notre Voie, ajoute que “l`institution–CNP–ne régule plus. Elle sanctionne aveuglément et malhonnêtement, et sur un seul côté!”

Réagissant à la décision du censeur des media, Justin Tagouh, Directeur général de la chaîne, avait déclaré que “son entreprise n’est pas de droit Camerounais.” Flair de Sioux ou simple prudence? Peut-être les deux. S’instruisant de la main trop lourde du gendarme des media Camerounais, il avait enregistré son institution sous le régime juridique de la presse Guinéo-Equatorien. Cette stratégie a permis à sa structure d’éviter “ la fermeture à elle infligée par le CNC qui n’a autorité qu’au Cameroun…” écrit le journal Camerounais LA NOUVELLE TRIBUNE, qui poursuit, “pour contrecarrer donc la décision du CNC, Afrique Média s’est exilé à Malabo, en Guinée Equatoriale, pays plus sensible au discours panafricaniste, où la chaîne court moins de risques d’être fermée.” Justin Tagouh qui avait pressenti ce qui allait advenir à sa structure a annoncé à LA NOUVELLE EXPRESSION, un autre journal Camerounais qu’il “avait déjà rencontré le président Idriss Deby du Tchad qui a mis à ma disposition à N’Djamena de somptueux locaux pour les bureaux et les résidences du personnel.” Dans la foulée, il a précisé, “Nous aurons deux pôles de diffusion: N’Djamena et Malabo.”

Sur ses nouvelles terres Equato-Guinéenne, Tchadienne et Russe, AFRIQUE MEDIA pourra lancer une nouvelle offensive contre les cagoulés sur le terrain de combat, ou ceux tapis dans l’aisance des administrations, ou encore dans les palais dorés à l’intérieur et à l’extérieur, et qui ont déclaré la guerre à la souveraineté de l’Afrique et à ses valeurs. Pour ce faire, elle pourra développer des arguments “tranchants.” Une sorte de “théologie de Libération.” Une forme de journalisme de contrepoint sans risquer de se faire écraser par le Conseil National de la Communication qui exige à d’autres d’exercer dans le respect de la déontologie, et de l’éthique. Mais qui n’a aucun respect pour ses propres règles.

Ce “bon” maître versé dans la théorie des vieux prêtres “du faire ce que je dis et non ce que je fais,” a été traîné plusieurs fois devant le tribunal administratif Camerounais par des journalistes sanctionnés et a perdu des procès. Rien de plus pour pencher vers la thèse que cet organe n’est qu’un instrument de rétorsion au service des mains obscures pour l’expansion de l’impérialisme international.

RECRUTEMENT DES MERCENAIRES

Après les premières tentatives non-abouties de taire AFRIQUE MEDIA, la France coloniale qui protestait contre le traitement que lui réservait cette chaîne, avait exigé et obtenu son retrait du bouquet satellitaire Français Canal Sat. Une réédition de sa capacité d’exercer dans le non-respect de la liberté d’expression déjà expérimentée lors de l’agression Française en Côte d’Ivoire. Pour mémoire, elle avait coupé les signaux de la RTI, en violation des termes du contrat liant les deux parties. Elle profita alors de cette domination communicationnelle pour empoisonner l’opinion tant en France qu’à l’international.

Incapable de réaliser la même prouesse face à AFRIQUE MEDIA, elle engagea “les nègres de rédaction,” comme Peter Essoka pour la basse besogne. Ce dernier, pas plus futé que ses mandants, accuse la chaîne de “dérapages professionnels.” Poursuivant dans le risible, “sa” structure, le CNC écrit, “certains invités ont proféré des accusations non justifiées et des appels à la haine susceptibles de porter atteinte à l’image et à l’honneur des personnalités, d’institutions et pays étrangers.” Pour achever son raid contre ce medium, Le Conseil suspend de l’exercice de la profession de journaliste au Cameroun pour une période de 6 mois, Juliana Magne Tadda et Ladan Mohamed Bachir, respectivement présentateurs des émissions phares, LE MERITE PANAFRICAIN et LE DEBAT PANAFRICAIN.

Décision qui suscite stupéfaction, curiosité et questionnement. “Combien de fois a-t-on vu fermer France24, BBC, CNN, TV5, etc. pour leurs conduites et mensonges qui ont mis tant d’âmes au tombeau et orchestré tant de souffrances et pauvretés dans le monde? ” S’interroge Léon Tuam, militant des droits de l’homme. Argumentant sa réflexion, il écrit, “Les valets Africains ne veulent donc pas que l’Afrique frappée et humiliée pleure!” Cyrille, dans la planche de la jeunesse consciente, exprime sa consternation dans un email à Luc MICHEL, analyste des questions internationales. Les termes pour le dire sont simples. “Jamais on a vu le journal Le Monde, fermé en France parce qu’il insulte nos politiques …. On n’a jamais vu RFI, Jeune Afrique et autres medias fermés parce que accusés de mensonges à leur encontre. …” Puis, s’interroge sur un fait que le CNC a usé pour condamner Afrique Media. “N’ont- ils pas d’éthique pour s’en prendre à nos autorités?” Mieux, il pousse le fond de sa pensée plus loin. “En réalité parler d’éthique dans une guerre de communication inter-civilisationnelle c’est faire preuve de naïveté comme le fait le CNC…. Les enjeux sont au-dessus de leur compréhension….”

Poursuivant dans le même ordre d’idées, Ndjama Benjamin sur JETCAMER dénonce. “Sanctionner un journaliste Africain, chez lui en Afrique, au motif qu’il a critiqué un Etat de tradition coloniale, hautain et condescendant, dont les sondages révèlent le glissement vers le racisme assumé, ne témoigne pas d’une très grande sensibilité pour la condition noire dans le monde.” Et pourtant, la race de journalistes criminels en France est bien fournie. Christophe Boisbouvier et Jacqueline Papet des pro-Habré, Eric Zemmour et Robert Menard, des racistes et xénophobes assumés, Jean-Pierre Elkabbach, la race des lèche-culs suprématistes,… et d’autres, tous à la solde des dictateurs occidentaux, sont de cette tribu.

Le “désintègrement” des supports de communication au Cameroun tout en protégeant les medias coloniaux n’est pas nouveau. Il passe aussi par le démantèlement de la presse écrite. Issa Tchiroma, ministre de la Communication avait déjà saisi le CNC pour qu’il punisse Le Messager, Mutations et Emergence parce que ces publications avaient dans quelques articles traités de l’état de santé du président Paul Biya. Pourtant, ces support d’information ne reprenaient que les révélations (?) du MONDE, journal Français de référence, mais nul. Prouesse et pirouette de Tchiroma, qui, au lieu de lever sa cognée et affronter la racine, il s’attaqua aux branches.

Il est clair que les journalistes n’ont pas un statut d’exception. Mais s’en prendre aux médias sans raison fondamentale, à la liberté d’informer pour des raisons obscures, c’est refuser une société de débat et de pluralisme. C’est militer pour l’uniformisme de la pensée. Les Africains en lutte pour leur souveraineté, n’accepteront plus une liberté à reculons. Il est donc evident que vouloir passer sous silence la voix de AFRIQUE MEDIA, un instrument de combat aussi puissant qui a fait défaut pendant les époques pré-post-coloniales, jusqu’à tout récemment, apparaît comme une vraie guerre. Une guerre déclarée aux Africains. Les vrais. Une guerre menée non pas par des assassins encapuchonnés, ni par des terroristes, battant pavillon noir, dont l’ingéniosité, le professionnalisme, et la méthode, consacrent des crimes hormonés de barbarie. Une guerre qui atteint à travers cette chaîne, ses panelistes et journalistes visés, tous ceux qui se veulent libres.

Les mercenaires de la liberté d’expression, qu’ils soient professionnels de la presse ou politiques, qui tirent les ficelles “desactivatrices” de l’engagement social et politique, afin de gagner la faveur des États Unis et de la France, peuvent gagner de petites batailles. Mais jamais, ils ne pourront tuer la semence du patriotisme et du nationalisme, qui a pris corps dans la vie de la majorité écrasante d’Africains.

CREDIT AU SEIN DES POPULATIONS

Essoka, Tchiroma, et d’autres, disséminés au sein des structures de décisions dans les nations Africaines sont avertis. Les populations, que ce soit en Afrique, en Amérique, et en Eurasie, mobilisées pour défendre AFRIQUE MEDIA, ont prouvé qu’ils peuvent former un continent un et indivisible, tolérant, laïc et social, pour résister et faire front aux donneurs de leçons et leurs associés. Ces Africains et panafricains, ne sont ni soldats, ni barbouzes. Mais ils sont plus que les porteurs d’armes. Ce sont des résistants engagés à défendre le savoir-faire et la vocation des journalistes et des panelistes qui les aident à se sentir humains et citoyens.

En voulant éteindre ce media populaire, ses détracteurs ont donné la certitude aux journalistes et panelistes qui font vivre cette chaîne qu’ils savent pourquoi ils font ce métier et pourquoi ils se sont donnés en sacrifice. La goujaterie intellectuelle des fossoyeurs des libertés a également démontré aux Africains que le combat de ce medium panafricain s’inscrit dans le sens de leurs libertés.

Même les media qui sont acerbes avec AFRIQUE MEDIA, comme CAMERNNEWS reconnaissent en ce medium son caractère fédérateur des panafricains. Il écrit, “c’est un phénomène. Comment l’ignorer? La chaine de télévision Afrique Media, qui fait l’objet d’une suspension du Conseil National de la Communication, a cumulé du crédit au sein des populations Camerounaises et Africaines, au point de devenir aujourd’hui un exutoire idéal pour un peuple qui nourrit le ressentiment de la spoliation coloniale.”

Beaucoup dans la jeunesse panafricaine, à l’instar de Cyrille, comparent cette chaîne à un temple du savoir. “Cette université populaire qu’est Afrique Média répond à une soif d’un peuple qui s’interroge sur ses souffrances, des jeunes diplômés sans emplois, réduis à aller se jeter dans les bras des prédateurs pour survivre. …Cette chaîne parle à nos consciences, à nos intelligences et à nos cœurs. …. elle nous enseigne à nous comprendre devant notre triste histoire.”

On comprend donc que d’un côté, les thèmes comme “les comptes d’opérations,” “les bien mal-acquis des occidentaux en Afrique,” “la persécution du fils du président Equato-Guinéen,” “l’implication de Nicolas Sarkozy dans le meurtre de Mouammar Kadhafi, et dans le coup d’état contre le régime de Laurent Gbagbo,” “la déstabilisation du Tchad, du Cameroun, et de la Guinée Equatoriale,” traités et débattus sur AFRIQUE MEDIA, trouvent l’adhésion des panafricains. Et de l’autre, provoque l’agressivité du capital financier international, toujours plus “affamé.”

En tout état de cause, l’abus d’autorité contre AFRIQUE MEDIA s´inscrit dans la volonté d’une part, des occidentaux d´étouffer tout débat public et politique qui éveille les consciences, et toute protestation ou revendication légitime. Et d’autre part, cette traque incessante exprime le désir des décideurs économiques et politiques occidentaux à ramener les pays Africains au temps révolu de la colonisation et de l’intelligence artificielle. Tout ceci explique donc partiellement les accusations fallacieuses qu’ils portent contre AFRIQUE MEDIA, en privé lors de leurs diners huppés “regroupant les gourous du marketing, des lobbyistes, d’anciens militaires reconvertis à la guerre économique,” décrits par Ndjama Benjamin, et en public sous le couvert de l’establishment local.

Ces accusations mercenariales, trouvent des contradicteurs. Dr. Benikrys, constitutionaliste, pensent que “ces accusations contre Afrique Media sont une conspiration.” Sur le cas spécifique de Nicolas Sarkozy, le meurtrier en vadrouille, il déclare, “Sarkozy est impliqué dans l’assassinat de Kadhafi, ce n’est pas une fausseté.” Le paneliste Simo, militant de l’Union des Populations du Cameroun, des heures de répressions, et activiste pour la liberté de la presse, expose “ le complot ourdi par l’occident pour empêcher les Africains de s’exprimer.” Il en donne les raisons. Parce que sur AFRIQUE MEDIA, ils “dénoncent les tares et les avatars de l’occident.” Grand fervent de la libération de la monnaie Africaine, il tonne, “on leur demande de nous restituer notre argent qu’ils ont pillé depuis la nuit des temps.” Dans son cheminement, il fait comprendre que les Africains ont besoin d’“une monnaie qui appartienne l’Afrique exclusivement.”

Ainsi donc, “Ce qui se passe sur le terrain de cette guerre médiatique [que les journalistes et panelistes ont] l’habitude de dénoncer sur cette chaîne, n’est qu’une confirmation de la pertinence et surtout de la valeur qu’incarne Afrique Media quant à la cristallisation des peuples Africains qui soupirent depuis la nuit des temps,” commente Benikrys, qui assure que “Afrique Media est la tendance irrésistible sans laquelle la renaissance ne serait qu’un vain mot” et la sécurité du continent un leurre.

IMPACT SECURITAIRE

Les pays du Golfe de Guinée sont en danger. Dans un contexte où le Cameroun, le Tchad, le Nigeria, le Niger, sont engagés au front contre une secte terroriste financée et équipée par les occidentaux, ne pas avoir une voix qui apporte la contradiction aux élucubrations et mensonges des media mainstreams est un auto-assassinat. Ne pas l’assimiler, ni s’instruire des leçons du passé sur ce fait, comme cela semble être le cas du CNC, est une haute trahison.

L’histoire enseigne que l’occident afin de s’accaparer des richesses extra-territoriales, ne change presque pas de méthode. Il procède par une campagne médiatique mensongère. Organise des révolutions sur mesure. Donc, bien contrôlées, qui débouchent dans certains cas, si ce n’est fait directement, à une rébellion. Puis au changement de régime pour installer le pion désigné. Pour arriver au bout du processus sans heurts, il orchestre la destruction des instruments qui dérangent et perturbent leurs prévisions; les moyens de communication. Les cas sont légions. En Côte d’Ivoire, ils ont tout fait pour éteindre la RTI avant de porter l’estocade sur le flan de la nation. Pareil en Libye, en Irak,…

Certaines autorités Camerounaises en jouant le jeu des prédateurs étrangers, donnent l’occasion à ces forces rétrogrades de déstabiliser ce pays phare de la région du Golfe de Guinée. Du point de vue sécuritaire, selon les experts militaires, un seul mois d’immobilisation des instruments de cette station coûterait beaucoup en termes de sécurité au Cameroun et dans les Etats de la zone. Certains chefs d’Etat panafricains ont compris l’enjeu de ce qui se construit derrière la suspension de AFRIQUE MEDIA. Ils ont alors aidé la station à contourner les tortionnaires des libertés et de la souveraineté. Pour contrecarrer le coup, ils ont offert toit, liberté de ton, et sécurité à la chaîne panafricaine.

Sur plan de la sécurité sociale, LA NOUVELLE EXPRESSION informe que la délocalisation de AFRIQUE MEDIA ouvre “une période d’incertitude qui commence pour quelques dizaines de personnes qui travaillaient pour cette  structure, à Yaoundé et à Douala.” Parlant de cette nouvelle condition de vie de ses ex-employés, Justin Tagouh, interrogé par David Nouwou, journaliste à LA NOUVELLE EXPRESSION, renvoie les autorités Camerounaises face à leur responsabilité. “Peut-être qu’ils seront récupérés par l’administration Camerounaise. Il faut qu’elle soit conséquente. Ces chefs de familles avaient besoin de leur boulot pour construire leur vie. Ceux qui ont contribué à les jeter au chômage doivent assumer dans leur conscience. S’ils en ont encore. Ce n’est pas moi.”

Le déménagement de AFRIQUE MEDIA lui donne une autre piste de combat. Celle de la libération de Paul Biya de la nasse tissée autour de lui par certains apparatchiks du régime. Elle a donc la liberté de ton pour dénoncer ces brigands qui ont fait de leur président un prisonnier de luxe. La chanson, “Constitution Constipée,” de Lambo Sandjo Pierre Roger, musicien Camerounais engagé, mieux connu sous le nom de Lapiro de Mbanga, décédé le 16 Mars 2014 à Buffalo aux Etats Unis, reconquiert tout son sens dans les circonstances actuelles.

SENTIMENT ANTI-COLONIAL

Faire taire AFRIQUE MEDIA? Ce n’est pas une évidence. La maladresse stratégique des bucherons de la liberté d’expression à vouloir embrigader la parole, a accentué le sentiment anti-occidental qui avait pris des proportions très poussée dans certains pays du continent avec l’assassinat de Kadhafi et le coup de force occidental contre Gbagbo. Les terroristes occidentaux au soin de leurs contribuables, en tuant Kadhafi, Leader de la Jamahiriya Arabe Libyenne, et en éliminant le président Gbagbo du jeu politique, ont au contraire placé ces derniers dans le cœur des panafricains.

C’est aussi ce qu’on peut constater avec dans le cadre de la « communication de crise d’AFRIQUE MEDIA »,. Car “plus vous prétendez comprimer la presse, plus l’explosion sera forte. Il faut donc vous résoudre à vivre avec elle,” avait annoncé René Chateaubriand. De son côté, LA NOUVELLE TRIBUNE révèle, “La décision des autorités au Cameroun, loin d’avoir affaibli la chaîne l’a rendue encore plus populaire….” Pas étonnant! La chaîne panafricaine mène un combat “dur mais noble.” Un combat “requérant dynamisme et pragmatisme.” Ce que ses journalistes et panelistes font assez bien. Pour ses objectifs annoncés, AFRIQUE MEDIA reste malgré la tornade qui la secoue, et sûrement les violentes tempêtes à venir, un baobab. “Une arme de guerre la plus efficace jamais connue et expérimentée dans la lutte pour la libération de l’Afrique,” comme le dépeint Léon Tuam.

L’HISTOIRE RATTRAPERA LES TRAITRES

La bataille sera longue et rude, certes! Mais les traîtres de l’Afrique “ne seront pas épargnés.” Ni par les Africains, ni par l’Histoire. Le président Equato-Guinéen Obiang Nguema Mbassogo s’inspirant de l’histoire, l’a prédit dans son discours du 12 Juin sur la Radio Télévision de Guinée Equatoriale. “Nous connaissons le discours romain sur le châtiment des traîtres. Nous n’épargnerons pas les traîtres.” Luc MICHEL renchérit, “L’Histoire et les masses Africaines n’oublieront pas, ne pardonneront pas …” les traîtres vendus à l’occident.

Dr. Feumba Samen/ Eburnie News

Original sur http://eburnienews.net/afrique-media-suspendue-exilee-et-plus-forte/

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Nomadi si incatenano ai contatori: vogliamo la corrente gratis

come diritto umano garantito anche agli italiani vero?????
 
 
rom3
 
Volevano energia elettrica gratis. A costo zero. Anzi, a costo dei contribuenti tutti e al modico prezzo di una catena e un lucchetto con cui avvinghiarsi ai contatori e ad un diritto inesistente. Così, alcune decine di appartenenti a famiglie nomadi, con tanto di bambini al seguito, si sono incatenate davanti ai contatori dell’energia elettrica del loro campo sinti a Vicenza per impedire il distacco della corrente. Un provvedimento annunciato da giorni dalla giunta di centrosinistra dopo aver preso atto che nessuno dei 23 nuclei famigliari del campo aveva sottoscritto regolari contratti con l’azienda fornitrice di energia sino ad oggi pagata dal Comune.
 
Dai nomadi una rivendicazione inaccettabile
 
Un’azione dimostrativa inaccettabile, che ha elevato al quadrato la portata della rabbia e dell’indignazione pubblica non solo scatenate per la richiesta inamissabile di ottenere forniture gratis a dispetto di chi, non riuscendo magari ad arrivare a fine mese, è costretto a tirare la cinghia su tutto, e a pagare a fatica comunque le utenze dovute, ma alimentate anche dall’avere la dimostrazione improvvisata inflitto il disagio di una prolungata chiusura di una delle strade più trafficate della circonvallazione di Vicenza, viale Cricoli, con pesanti ripercussioni sul traffico e più di qualche momento di tensione.
 
La rabbia della gente contro il campo rom
 
I tecnici incaricati del distacco hanno chiamato carabinieri e polizia che dopo un lungo braccio di ferro con inomadi del campo in questione hanno allontanato coloro che protestavano, consentendo agli incaricati dell’azienda municipale servizi di accedere all’area dove si trova il contatore elettrico e staccare le utenze. Una risoluzione necessaria che forse non basterà nemmeno, comunque, a sedare gli animi della gente, onesti contribuenti e cittadini rispettosi di canoni e scadenze. Una insofferenza su cui nei giorni scorsi era stato allertato il prefetto di Vicenza, Eugenio Soldà, informato che sassaiole e urla minacciose erano state indirizzate verso il campo nomadi. Non solo: mercoledì per le strade della città erano comparsi volantini, subito rimossi dai vigili, che incitavano addirittura a sparare ai nomadi. L’europarlamentare leghista vicentinaMara Bizzotto, tra gli altri, dopo aver invocato la chiusura immediata del campo rom, ha definito «vergognose le sceneggiate dei nomadi». Interpretando il pensiero – e l’auspicio – di molti, moltissimi vicentini.

Post contro i profughi, bufera sul presidente della Croce Verde

Per i protettori di mafia capitale anche semplici dati statistici SONO RAZZISTI e quindi SI HA L’OBBLIGO DI TAPPARGLI LA BOCCA. Così si fa in democrazia
 
18 agosto 2015
 
immigrati45
Il post di Bermone
PADOVA. Polemica sul web tra il presidente della Croce Verde di Padova, l’avvocato Carlo Bermone e alcuni esponenti del Pd, come Gianni Berno, che ha segnalato per primo il post “inadeguato” pubblicato da Bermone sulla sua pagina Facebook.
 
L’accusa del Pd è quella di aver messo in evidenza una realtà tutta da dimostrare e di sfondo piuttosto leghista, e cioè quella che i profughi uomini abbandonerebbero donne e bambini scappando loro per primi dalla guerra. E la cosa grave sarebbe che a dirlo è proprio il presidente di un’associazione di volontariato come quella della Croce Verde.
 
“Questo post pubblicato sul profilo del presidente della Croce Verde che riporta come immagine di copertina i volontari della Croce Verde e come immagine profilo il logo della Croce Verde non mi pare che si spiri ai valori della solidarietà ma piuttosto sembra ispirato ad un altro tipo di verde…”, attacca Berno sulla sua pagina Facebook. “Credo che quando uno riveste un ruolo così importante debba essere coerente con l’istituzione che rappresenta”. Immediata la risposta di Carlo Bermone: “Appare evidente come qualsiasi cosa io dica o faccia venga strumentalizzata politicamente” risponde alle accuse il presidente della Croce Verde sulla sua pagina Facebook. “Per qualcuno la libertà di espressione non è possibile. Mai negato solidarietà anche lavorativamente, semplicemente un dato di fatto: se io scappo da una guerra le prime persone che salvo sono mia moglie i miei figli… Qui pare il contrario e quindi la mia solidarietà a quelle donne e bambini lasciati nelle guerre. Se invece non scappo dalla guerra…… La storia è diversa. È peraltro singolare
leggere che il mio post ha scatenato una bufera atteso che non solo non vi leggo commenti negativi ma è stato condiviso da molte persone…… Lascio a voi ogni commento sulla realtà dello sdegno oppure sul fatto che chi la pensa diversamente non può più parlare.. Meno male siamo in democrazia”.

“Fossi morta sarei più credibile?”. La lettera della ragazza stuprata al giudice che ha assolto il branco

le donne di se non ora quando dove sono? Femministe solo se c’è il buon Silvio ma per il resto stupro libero???!!!?
In primo grado i sei imputati condannati a 4 anni e mezzo, poi l’assoluzione della Corte d’Appello. La giovane: “Spero che la giustizia prima o poi funzionerà”
Sergio Rame – Mar, 21/07/2015 – 08:53
 
“Vorrei riuscire a scrivere qualcosa che abbia un senso ma non posso perché un senso, questa vicenda, non ce l’ha. Sono io la ragazza dello stupro della fortezza, sono io”.
 
stuprata
Non ha un nome e un cognome. Per lo meno, noi non li sappiamo. È la ragazza della Fortezza dal Basso. Qualche giorno fa la Corte d’Appello ha deciso, a sorpresa, di assolvere i sei ragazzi accusati di averla stuprata nel 2008.
 
Per i giudici la giovane, all’epoca 23enne, avrebbe denunciato il rapporto sessuale per “rimuovere” un suo “discutibile momento di debolezza e fragilità”. E, comunque, i ragazzi possano aver “mal interpretato” la disponibilità della ragazza.
 
A questi giudici la ragazza ha voluto rispondere. Lo ha fatto con una lettera pubblicata sul blog Abbatto i muri: “Come potete immaginare che io mi senta adesso? Non riesco a descriverlo nemmeno io. La cosa più amara e dolorosa di questa vicenda é vedere come ogni volta che cerco con le mani e i denti di recuperare la mia vita, di reagire, di andare avanti, c’é sempre qualcosa che ritorna a ricordarmi che sì, sono stata stuprata e non sarò mai piú la stessa”. Lo ha fatto per ribadire alla Corte d’Appello che lei, nonostante la violenza sessuale, esiste ancora. “Esisto – scrive la ragazza – nonostante abbia vissuto anni sotto shock, sia stata imbottita di psicofarmaci, abbia convissuto con attacchi di panico e incubi ricorrenti, abbia tentato il suicidio più e più volte, abbia dovuto ricostruir a stenti briciola dopo briciola, frammento dopo frammento, la mia vita distrutta, maciullata dalla violenza: la violenza che mi é stata arrecata quella notte, la violenza dei mille interrogatori della polizia, la violenza di 19 ore di processo in cui é stata dissezionata la mia vita dal tipo di mutande che porto al perché mi ritengo bisessuale”. Per l’avvocata Lisa Parrini che ha difeso la vittima si tratta di una sentenza impregnata di moralismo dal momento che è stata portata avanti indagando sulle abitudini sessuali della donna violentata per stabilire se davvero si è trattato di stupro. “Ogni maledetta volta dopo aver lavorato su me stessa, cercato di elaborare il trauma, espulso da me i sensi di colpa introiettati, il fatto di sentirmi sbagliata, sporca, colpevole – scrive la ragazza – dopo aver cercato di trasformare il dolore, la paura, il pianto in forza, in arte, ecco un altro articolo che parla di me. E io mi ritrovo catapultata di nuovo in quella strada, nel centro antiviolenza, nell‘aula di tribunale”.
 
“Abbiamo perso tutti – condanna la ragazza – non hanno vinto loro, gli stupratori, la loro arroganza, il loro fumo negli occhi, le loro vite vincenti”. E, dopo che i giudici di appello hanno clamorosamente ribaltato la sentenza del primo processo che condannava i sei ragazzi del branco, arriva addirittura a pensare che, forse, tornando indietro non denuncerebbe le violenze subite. “Che se anche la giustizia con me non funziona prima o poi funzionerà – è l’auspicio – cambierà, dio santo, certo che cambierà”. “Ebbene sì – conclude – se per essere creduta e credibile come vittima di uno stupro non bastano referti medici, psichiatrici, mille testimonianze oltre alla tua, le prove del dna, ma conta solo il numero di persone con cui sei andata a letto prima che succedesse, o che tipo di biancheria porti, se usi i tacchi, se hai mai baciato una ragazza, se giri film o fai teatro, se hai fatto della body art, se non sei un tipo casa e chiesa e non ti periti di scendere in piazza e lottare per i tuoi diritti, se insomma sei una donna non conforme, non puoi essere creduta”.

“L’Italia deve darci 1.500 euro”. Scoppia la bomba immigrati

che è quanto viene garantito ai disoccupati italiani grazie alle lotte dure senza paura dei kompagni e del partito dei lavoratori no?
 
Dopo Treviso tocca a Lucca. Nuovi disordini ad opera degli immigrati. Colpito anche un maresciallo dei Carabinieri, Riccardo Tramaglino. I richiedenti asilo: “L’Italia deve darci almeno 1.500 euro a testa”
Venerdì, 17 luglio 2015 
immigrati44
Continuano i disordini in varie parti del Paese ad opera degli immigrati. Questa volta la città che ha dovuto sperimentare il malcontento degli extracomunitari è stata Lucca. Momenti di tensione in via della Formica a San Concordio dove un gruppo di immigrati sbarcati due anni fa a Lampedusa ha assediato la dirigente del Ceis chiamata dai carabinieri per cercare di risolvere i problemi legati all’allontanamento di alcuni soggetti per la scadenza del progetto di ospitalità.
Colpito anche un maresciallo dei Carabinieri, Riccardo Tramaglino, intervenuto con altri colleghi, agli agenti della Polizia Municipale e agli agenti della polizia per sedare la protesta e soprattutto per permettere a per permettere alla responsabile del Ceis Gabriella Mauri,  assediata e costretta a chudersi dentro la propria auto, di andarsene.
Tutto è cominciato intorno alle 12 quando gli otto immigrati occupanti la casa del Ceis di via della Formica hanno lasciato l’abitazione “devastata” e in condizioni penose, essendo finito il progetto di accoglienza che consentiva di ricevere dallo stato italiano la cifra di 750 euro al mese. “Sono due anni che siamo qua e se vogliono che ce ne andiamo – ha spiegato la più facinorosa, unica donna del gruppo – devono darci 1500 euro almeno.
Con 500 euro che ci vogliono dare non sappiamo cosa farci. Noi non ci muoviamo”. La realtà, come ha spiegato la dirigente del Ceis, è un’altra: questi immigrati hanno raggiunto un accordo e lo hanno firmato per la somma di 500 euro e il governo tanto può dare tanto darà. “Sono in Italia, sono ospiti e avanzano pretese, quando ci sono italiani che hanno lavorato una vita e oggi devono andare a mangiare alla Caritas. Questa è un’Italia di vergogna”.