Archivio mensile:ottobre 2014
Con le privatizzazioni arrivano gli avvoltoi delle grandi banche
Il trombettiere Esposito si sveglia, scopre che il Tav costa troppo e suona la ritirata
È incominciata la ritirata dei Si Tav e il trombettiere che suona le note del dietro-front potrebbe essere proprio Stefano Esposito, il senatore del Partito Democratico ultra-sostenitore della grande opera che è diventato il volto della Torino-Lione. Esposito infatti ha chiesto un’audizione urgente in Commissione Trasporti dei vertici di Rfi e del ministro Lupi per avere chiarezza sui costi relativi alla linea, visto che il Sole 24 Ore ha pubblicato documenti dai quali risulterebbe che l’opera costerà 7 miliardi e non 2,9.
«Questa novità – spiega Esposito, – sarebbe frutto di un accordo di programma tra Ministero dei Trasporti e Rfi, di cui nessuno era a conoscenza, men che meno il Parlamento». Il senatore da anni si batte a favore dell’opera, ecco perché il mezzo dietrofront è destinato a fare clamore.
Di qui la richiesta di una audizione urgente dei vertici Rfi, del ministro Lupi e del ministero dell’Economia. «Pretendo una risposta chiara, credibile e certa sui reali costi della Torino-Lione – afferma il vicepresidente della Commissione Trasporti – Quest’opera è al centro di un aspro dibattito e non intendo accettare che non ci sia totale trasparenza e chiarezza sui costi, non mi accontenterò di spiegazioni tecniciste e burocratiche.
Mi auguro di ottenere la conferma che quanto fino ad ora dichiarato e contenuto negli atti legislativi trovi pieno riscontro, nel qual caso chi si è reso responsabile di questi numeri in libertà dovrà pagarne le conseguenze».
In caso contrario, «non indugerò un solo minuto a presentare una mozione parlamentare per chiedere al Governo l’immediata interruzione dei lavori – conclude Esposito – e la rinuncia alla realizzazione della tratta italiana del Corridoio Mediterraneo. Infatti se il costo della Torino-Lione fosse di 7 miliardi meglio pagare le penali alla Francia. Basta con il Paese dei furbi e dei burocrati che decidono senza rispettare il Parlamento».
Frediani (M5s): “Per colpa della Tav chiuso per sempre il Museo di Chiomonte”
Il museo – parco archeologico di Chiomonte non riaprirà. A sostenerlo è la consigliera regionale del Movimento 5 Stelle Francesca Frediani, in base alla risposta ricevuta a una sua interrogazione. L’esponente grillina infatti sostiene che la Regione non avrebbe alcun titolo giuridico per intervenire trattandosi di reperti di proprietà statale. «È l’ennesimo danno al territorio prodotto dal Tav – afferma Frediani – dopo aver devastato l’ambiente e la salute dei cittadini, l’alta velocità non ha risparmiato nemmeno il patrimonio culturale di questa valle. Arrivati a questo punto la Regione Piemonte dovrebbe avviare una seria verifica per individuare le responsabilità della devastazione di questo bene culturale per il quale era previsto un cofinanziamento di 25 mila euro su un importo complessivo di 835 mila. È inaccettabile come un progetto così importante sotto il profilo storico venga tenuto in sospeso a causa di un’opera inutile e dannosa per il territorio ed i cittadini. Continueremo a mantenere alta l’attenzione anche su questo fronte».
Ecco a voi i No Tav: gente normale che difende il bene comune
- Pubblicato: Domenica, 26 October 2014 16:03
- Scritto da Giada Vicenzi
Quella di autofinanziamento che si è svolta ieri sera a Rovereto e che ha registrato il tutto esaurito, era la prova provata che, al contrario di quanto molti pensano, il movimento No Tav è un insieme di persone davvero eterogeneo per età, provenienza, professione, titolo di studio, indirizzo politico, credo religioso… Di una normalità che fa notizia.
Fra le 180 persone che affollavano ieri sera la grande sala della Sacra Famiglia di Rovereto, c’erano bambini, ragazzi, mamme, papà, uomini e donne di tutte le età, studenti, lavoratori, disoccupati, pensionati. Alcuni di questi la settantina l’hanno passata da un pezzo. Tra una portata e l’altra di un’ottima cena vegana (ma non troppo, c’era anche la treccia mochena!) le persone parlavano fra loro e stringevano amicizia: c’era, infatti, chi arrivava in gruppo, chi, invece, alla spicciolata, per conto suo, e si trovava a condividere il tavolo con dei perfetti sconosciuti, salvo scoprire, dopo un paio di portate e di bicchieri di vino (un Teroldego biologico notevole), di avere in comune non solo una battaglia (quella contro il Tav) ma anche interessi, conoscenze, addirittura lontane parentele… Cosa strana, diciamolo pure, per dei Trentini, notoriamente schivi e riservati. E, invece, ecco che un po’ alla volta sull’onda di una minaccia come quella del Tav la gente comincia spontaneamente ad uscire e ad interessarsi alla cosa. Sicuramente, una grossa parte l’hanno giocata i recenti avvenimenti di Marco, con i carotaggi avviati in gran segreto e poi bloccati dalla popolazione con unpresidio di quattro giorni. E l’hanno giocata anche gli atteggiamenti dei politici (Gilmozzi e Miorandi su tutti), con un rimpallo di responsabilità e prese di posizione traballanti.
Ma torniamo alla cena roveretana: chi sono questi No Tav? Al nostro tavolo c’è Ivana, signora dai capelli ormai candidi e dall’aspetto sereno di nonna. Ma con un temperamento e convinzioni che avrebbero fatto invidia al più battagliero dei giovani in sala. Ivana ci racconta di una vita non facile («erano altri tempi»), ma in confronto i tempi di adesso sono ancora peggio. «E’ colpa della televisione se ci siamo ridotti in questo modo. Abbiamo perso il contatto con la realtà, ci siamo convinti che se restiamo a casa e ci facciamo gli affari nostri è meglio. Invece, è stato il nostro sbaglio. I politici non aspettavano altro». Appunto, i politici. Che su una questione come quella dei carotaggi a Marco volevano far passare tutto sotto silenzio. E quasi ci riuscivano. «Non possiamo più tollerare un atteggiamento del genere da parte dei politici – dice ancora Ivana -. Sono tenuti a darci spiegazioni su quanto succede a casa nostra. Io lunedì mattina, quando hanno portato via la trivella da Marco, ero lì. È stato davvero un trionfo. Ma adesso dobbiamo restare uniti e soprattutto dobbiamo crescere. Se vogliamo le cose possono cambiare». Chiediamo a Ivana come mai sia contraria al Tav. Forse perché abita vicino a uno dei punti di passaggio? «No, io adesso abito a Rovereto. Ma il Tav e tutte le grandi opere similari sono inutili e sono dannose. Sono uno spreco inutile di soldi. Come si fa a portare avanti progetti così in un momento di crisi come questo? I politici dovrebbero avere il senso del limite». Ad alcuni, però, fanno gola i posti di lavoro: «Il Tav non porterà lavoro ai trentini. Gli operai di Italferr che han messo giù la trivella a Marco erano croati. Ci ho parlato io».
La signora Bruna viene invece da Nomi, Destra Adige. Non è un comune direttamente interessato dal passaggio del Tav, ma che importa? «E’ una battaglia di tutti, quella per il nostro territorio. Essere contro il Tav vuol dire anche esserecontro un uso scriteriato del territorio». E ci fa l’esempio delle nuove funivie che stanno progettando a Folgaria. Un’altra iniziativa economicamente insostenibile, che in molti vedono come uno spreco di risorse.
Gli altri nostri commensali vengono dalla Val di Cembra: tra loro, Gianfranco è di Montagnaga, è ingegnere e del Tav del Brennero conosce ogni minimo dettaglio e dato, che snocciola con precisione. Mauro, invece, ricorda che «siamo tutti contrari al Tav e questo ci accomuna. Ma presto dovremo darci anche una strategia, una linea da seguire, perché siamo tanti e diversi e non dobbiamo disperderci».
Anche Paolo di Trento è un ingegnere: «Il movimento No Tav sta facendo anche un lavoro di protezione della finanza pubblica italiana ed europea e di per sé travalica i confini provinciali. L’opposizione al Tav è totale, non è che se lo fanno nella valle vicina o da un’altra parte va bene. È un’opera devastante per le finanze, il rapporto costi benefici è deficitario e il solo fatto che se dovesse essere completata lo sarebbe fra minimo trent’anni deve farne capire l’assurdità».
Ma No Tav sono anche persone molto più giovani. Come i due sedicenni marcolini, che durante il presidio alla trivella di Marco, ogni sera andavano a trovare gli attivisti che a turno sorvegliavano il luogo. E che hanno detto: «Questo presidio è la prova del riscatto di Marco, dopo la tristissima vicenda del centro profughi» (ovvero la presunta violenza sessuale di cui erano stati immediatamente accusati i migranti del centro di accoglienza, ndr).
Insomma, sembra proprio che i Trentini «normali» non la vogliano questa infrastruttura e si oppongano a un investimento che prima di tutto, dicono, non serve, e che tra l’altro causerà anche molti danni. Il movimento No Tav sta diventando un fattore di aggregazione incredibile e trasversale, che va al di là delle singole persone e la serata di Rovereto lo dimostra bene.
A un certo punto arrivano al nostro tavolo due ragazzine, 12 anni al massimo, con in mano i blocchetti dei biglietti per la lotteria del dopo-cena. Uno dei tre biglietti è fortunato e a fine serata vinciamo un libro. E’ di Vittorio Zucconi e s’intitolaGli spiriti non dimenticano: racconta la storia di Cavallo Pazzo e di quello che fu un magnifico popolo di liberi cacciatori, i Sioux delle grandi praterie americane. Il simbolo di chi lotta per difendere la propria terra. Rivolgiamo un ultimo sguardo alla sala, prima di andare via. E il paragone viene spontaneo.
Giada Vicenzi
Bergoglio. Un Papa No Tav
All’incontro dei movimenti popolari svoltosi in Vaticano, papa Bergoglio ha una parola sola: “Proseguite la vostra lotta”.
Ci sono i raduni dei Papa boys e i raduni dei centri sociali. È presente Evo Morales, presidente della Bolivia, proprio in questi giorni in visita dal Papa alla sua seconda elezione; primo presidente sudamericano appartenente ai popoli originari, portabandiera di quella lotta contadina da cui proviene, i cocaleros. Simbolo in una qualche misura anche di questo raduno, tenutosi il 28 ottobre al Vaticano, dove si sono dati appuntamento movimenti popolari di tutto il mondo. Per l’Italia sono rappresentati Banca Etica, il centro sociale Leoncavallo di Milano, la rete Genuino Clandestino, No Expo, No Tav.
Movimenti che lottano per la terra, per l’integrità del proprio territorio, per i diritti umani, per i diritti dei migranti, per la sovranità alimentare, contro lo sfruttamento finanziario e l’equità economica, per il lavoro dunque e per la casa.
Per tutti, Papa Bergoglio ha una parola sola ed è tonante: “Proseguite la vostra lotta”.
Non teme che qualcuno lo tacci di essere un “comunista” dichiara, perché “l’amore per i poveri è al centro del vangelo, è la dottrina sociale della Chiesa”. È un lungo discorso quello che Papa Bergoglio tiene, chiedendo in nuce “terra, tetto e un lavoro”. “Nessuna famiglia senza tetto. Nessun contadino senza la terra. Nessun lavoratore senza diritti. Nessuna persona senza la dignità del lavoro” ha detto.
È la prima volta che in Vaticano si tiene una tal riunione, la prima volta che cartoneros ecampesinos, indignados, riottosi e ribelli di tutto il mondo vengono benedetti dal Papa e incoraggiati nella lotta che ciascuno prosegue. Al di là delle ideologie, per papa Bergoglio prevale naturalmente il messaggio evangelico. Sarà la sua provenienza, sarà che il Terzo Mondo non è entrato in Vaticano questa volta a chiedere ascolto ma a darlo, e a spronare che le lotte pretendano l’ascolto loro dovuto per riportare giustizia nel mondo. Del resto, la ribellione contro le ingiustizie sociali è un valore universale. Ideologico o no. Evangelico o no.
M.B. 28.10.14
Esposito: “Se il costo della Tav è di 7 miliardi, meglio rinunciare all’opera”
“Nei giorni scorsi Il Sole 24 ore ha pubblicato documenti di Rfi dai quali risulterebbe che, contrariamente a quanto deciso e discusso fino a d oggi nelle aule parlamentari, il costo della tratta internazionale della Torino-Lione non sarebbe di 2,9 miliardi ma di 7 miliardi”. Lo afferma il senatore del Pd Stefano Esposito noto per le sue convinte posizioni a favore dell’alta velocità e che ha tuttora la scorta perchè più volte è stato oggetto di minacce e intimidazioni da parte dei No Tav: il caso più grave nel gennaio scorso, quando gli erano state lasciate alcune bottiglie molotov davanti alla porta di casa.
Il presidente Ue della commissione trasporti: “L’opera non è nostra priorità”
“Questa mattina – riferisce Esposito in una nota – ho chiesto in Commissione trasporti al Senato l’audizione urgente dei vertici Rfi, del ministro Maurizio Lupi e del ministero dell’Economia. Pretendo una risposta chiara, credibile e certa sui reali costi della Torino-Lione”. Per il senatore del Pd “nel caso in cui dovessero essere confermate le cifre date da Rfi, non indugerò un solo minuto a presentare una mozione parlamentare per chiedere al governo l’immediata interruzione dei lavori e la rinuncia alla realizzazione della tratta italiana del corridoio mediterraneo”.
Bloccata sul nascere la nuova società di costruzione dell’opera
La “novità – riporta Esposito – sarebbe frutto di un accordo di programma tra ministero dei Trasporti e Rfi, di cui nessuno era a conoscenza, men che meno il Parlamento”. Il senatore democratico ricorda che “questa opera è al centro di un aspro dibattito e non intendo accettare che non ci sia totale trasparenza e chiarezza sui costi, non mi accontenterò di spiegazioni tecniciste e burocratiche. Mi auguro di ottenere la conferma che quanto fino ad ora dichiarato e contenuto negli atti legislativi trovi pieno riscontro, nel qual caso chi si è reso responsabile di questi numeri in libertà dovrà pagarne le conseguenze”. In caso contrario scatterebbe la proposta di fermare la realizzazione dell’opera: “infatti – conclude Esposito – se il costo della Torino-Lione fosse di 7 miliardi meglio pagare le penali alla Francia. Basta con il paese dei furbi e dei burocrati che decidono senza rispettare il Parlamento”.
Le reazioni
“Perchè la Regione Piemonte non chiede la sospensione dei lavori del Tav?”. E’ quanto chiede il consigliere regionale del Movimento 5Stelle del Piemonte Francesca Frediani attraverso un’interrogazione rivolta alla Giunta che sarà discussa nella prossima assemblea del Consiglio regionale. “E’ ormai evidente – sottolinea Francesca Frediani – come nè il Governo nazionale nè l’Unione europea dispongano di fondi necessari per realizzare l’opera anche alla luce del recente aumento vertiginoso dei costi (da 2,2 mld a 7,7). A ciò vanno aggiunti – prosegue – i nuovi orientamenti dell’Europa, solo pochi giorni fa Michael Cramer (Presidente Commissione trasporti del Parlamento europeo) ha dichiarato che l’Unione non coprirà il cofinanziamento del 40% della Torino-Lione”.
Anche il senatore M5s Scibona, No Tav della Val Susa, sottolinea: “Ciò che da anni il Movimento denuncia e ciò che dal 2013 il Movimento 5 Stelle racconta al Parlamento, ha preso piede. Siamo sempre stati etichettati come esagerati e superficiali, ma oggi queste osservazioni vengono espresse anche dai più accaniti fautori dell’opera”, dice Scibona.
Sull’altro fronte interviene il responsabile nazionale dei Trasporti di Fi, Mino Giachino: “Il ministro Lupi faccia chiarezza sui costi della Torino-Lione, che resta però un’opera fondamentale – dice -. Non si può neanche ipotizzare il no all’opera – aggiunge – che ha il compito di tenere il Piemonte e l’Italia dentro la rete degli scambi economici e turistici del futuro Europa-Mondo”.
Che dolore, RémiIn – primo piano
Domenica 26 si apprende della morte di Rémi Fraisse, un giovane di 21 anni, deceduto in una giornata di protesta contro il progetto della diga di Sivens.
Le circostanze e le cause della sua morte, in un primo momento definite incerte e misteriose, cominciano a venire alla luce confermando il legittimo sospetto di molti/e presenti sul luogo e sollecitando una questione più generale riguardo le responsabilità politiche della polizia francese e, dunque, dello Stato. Secondo l’inchiesta aperta sui fatti, Rémi è morto a causa di un’esplosione durante gli scontri e, secondo i/le testimoni il suo corpo privo di vita sarebbe stato “fatto da parte” dalla polizia stessa per non “intralciare” le operazioni di attacco contro i manifestanti. In questo contesto, la timidezza della politica istituzionale nel denunciare il fatto assume caratteri inquietanti. Ci si appella a ogni sorta di competenza tecnica al fine di aggiustare il meglio possibile la ricostruzione dei fatti.
La domanda che rimane inevasa è quella della responsabilità politica, della scelta politica, nascosta dietro una supposta logistica dell’ordine pubblico. Le piroette retoriche attraverso cui la morte di un ventenne nel corso di operazioni di polizia vengono ricondotte nell’orizzonte dell’accidentalità non risparmiano nessuno, né a destra né a sinistra. Secondo Hollande spetta al diritto stabilire cosa sia successo e chi ne debba rispondere. Della decisione sulla vita umana, se ne fa una questione di procedura tecnica. Ma il diritto non può decidere niente.
La questione è mal posta. Non si individuerà un atto mortale, la mano che ha ucciso e nemmeno la prova di un’intenzionalità. Significa che Rèmi è morto per caso? Significa che la Republique può riunirsi in un comune pianto di lutto senza individuare una responsabilità politica? Che l’obiettivo sia questo – l’orizzonte è pur sempre quello di una cultura che ha pietà per la morte purché questa non interpelli nessuno – sembra piuttosto scontato. La logica discorsiva è paradigmatica, non contingente e a maggior ragione occorre contrastarla. Si può davvero accettare la morte in un contesto di mobilitazione politica (e qui a essere interpellato/a non è solo chi sceglie l’impegno, l’attivismo, la militanza, la “parte” contro un amorfo quanto ideologico “tutto” che si usa chiamare “società democratica”, ma anche la cosiddetta “società civile”)? Se qualcuno/a cadesse e battesse la testa mentre cerca di trovare qualche molecola di ossigeno accecato/a dai lacrimogeni, di chi sarebbe la responsabilità politica? La caduta sarebbe semplicemente un fatto, non vi è dubbio a riguardo. Ma non lo sarebbero i lacrimogeni. Se il corpo armato dello Stato non esita ad usare la propria violenza contro coloro che esprimono dissenso e conflitto rispetto a una grande opera (in questo caso una diga) sino a produrre esplosioni potenzialmente mortali – e qui dalla potenza si è passati all’atto – non è possibile riconoscere un’intenzionalità di morte latente?
Se la morte di Rémi è un caso, allora è un caso anche che altre volte sia dato di tornare a casa interi. Morire per sfortuna e salvarsi per fortuna è ciò che accade in una guerra. Questo è il grado di violenza di cui lo Stato vuole farsi carico amministrando i flussi di capitale di cui le grandi opere sono i catalizzatori piuttosto contingenti? Basta per carità con la finzione della discussione sull’utilità e l’inutilità di queste opere, con i paroloni inutili come progresso e crescita, quando più di vent’anni di analisi mostrano che c’è una ristrutturazione economica in corso – che viene chiamata “crisi” – e in cui le grandi opere, al pari di altri dispositivi, funzionano come strumenti di questa ristrutturazione. Troppo semplice? Beh, è così, la realtà può essere semplice, come la morte di un ragazzo.
Ben vengano le indagini, i particolari, le testimonianze. Mai e poi mai bisogna ammettere che il racconto della realtà sia grossolano e sommario. Ma basta con la complessità come alibi, alcune scelte sono nette o non sono. Come quella di prendere una posizione quando la morte veste la divisa. Non si può morire in manifestazione, mai. Possiamo considerarlo un principio democratico basilare come la tanto amata dialettica parlamentare o la materialità della vita non è più ammessa nella miseria delle nostre democrazie nemmeno nella sua forma più elementare, cioè come diritto ad essere preservata anche in una posizione (o in una situazione) di conflittualità?
Che dolore, Rémi.
Paris, 28 octobre 2014
Nel paese dei mille condoni edilizi non ti perdonano se ospiti i No Tav
Vicenda paradossale che coinvolge i No Tav, questa volta a farne le spese è un agricoltore di Rivoli colpevole di aver ospitato i “terroristi” in una costruzione abusiva sul suo terreno
di Davide Amerio
Un vicenda grottesca, al limite dell’assurdo ma che ha una sua logica ben precisa. In italia gli abusi edilizi non si contano nemmeno più. I condoni nemmeno e con le sanatorie ci si mette sovente una pezza per salvare capra e cavoli ben sapendo che le lungaggini burocratiche e le miriadi di codicilli cui è necessario adempiere per essere in regola invitano a cercare delle scorciatoie.
Questa come “regola” generale non scritta. Se però la struttura che hai messo in piedi, abusivamente, è stata “utilizzata” da qualche No Tav ecco che nemmeno le sanatorie ti possono più salvare.
Ne sa qualcosa Enzo Vitulano il quale mercoledì 22 ottobre è stato condannato a due mesi di carcere e ottomila euro di ammenda per abuso edilizio commesso su un terreno agricolo di sua proprietà.
La vicenda risale al 2010 all’epoca dei sondaggi. Sul terreno di Enzo dovevano fare dei prelievi che poi in realtà non furono eseguiti. Enzo, agricoltore, decide come molti altri valsusini di opporsi all’imposizione dei carotaggi e con l’aiuto di qualche amico costruisce una struttura composta di legno e qualche tubo di ferro. Il desiderio comunque è costruire sia qualcosa di utile per il suo lavoro di agricoltore, sia quello di dimostrare che il terreno è suo ed è determinato a disporne come meglio crede.
Passa il tempo e la struttura diventa utile magazzino per Enzo e nel contempo diventa luogo di incontro dei No Tav e viene assunto come “presidio” della zona. Ma qualcuno non gradisce la cosa e denuncia l’abuso edilizio. Ne nasce un contenzioso giuridico che coinvolge il povero Enzo sia in sede civile che penale e parte la richiesta di procedura per la demolizione della struttura.
Essendo agricoltore Enzo dimostra, con l’ausilio di architetti, che quella struttura è primariamente usata per il suo lavoro, che è in grado di ottemperare alle sanatorie previste in questo caso e presenta pure progetti di ristrutturazione e abbellimento. Nulla. Dopo un anno la procedura penale prosegue e il comune di Rivoli nega la possibilità di usufruire della sanatoria con la motivazione che la struttura è un presidio No Tav. L’avvocato di Enzo ha presentato ricorso al Tar ma questo giace disperso nei suoi meandri da due anni.
Morale: Enzo Vitulano viene condannato a due anni mentre la procura ne aveva chiesto uno. Se ci sono di mezzo i No Tav la giustizia italiana è diventata “severissima”.
L’avvocato difensore, Vincenzo Enrichens, afferma che “il processo non doveva neppure cominciare, o per lo meno doveva essere sospeso, perché quel piccolo abuso edilizio è sanabile in base al piano regolatore del Comune ed è ancora pendente il ricorso al Tar”. Il legale sottolinea che nella casupola “si riunivano ogni tanto alcune persone per discutere in modo conviviale di Tav, esercitando un diritto garantito dalla Costituzione”.
In queste ore in molti si stanno muovendo per esprimere solidarietà a Enzo e per contestare una sentenza che molti leggono come “politica” e poco credibile in un paese dove abusi edilizi e cemetificazione distruggono rovinosamente il territorio. Che ci sia forse dell’accanimento contro i No Tav?
D.A. 24.10.14
Maxi processo No Tav. Parla la difesa: “Reazione legittima ai comportamenti scorretti delle forze dell’ordine”
Il primo a parlare in aula è Claudio Novaro, avvocato della difesa che spiega l’importanza delle manifestazioni e delle proteste in Valle, mosse da ragioni per molti impossibile da capire, se non attraverso un’attenta analisi del contesto: «Non è possibile capire né l’andamento né il significato degli scontri. La rabbia e la frustrazione di quelle giornate».
«Il movimento No Tav – continua Novaro – è stato capace di organizzare manifestazioni con 50 mila persone in una valle di 80 mila abitanti solo per rivendicare il diritto a interloquire su una questione, il passaggio del Tav, che riguarda la vita della gente. Eppure bastava un sussulto di un politico di terza fila, magari un senatore del Pd, perché le sue ragioni venissero dimenticate».
L’avvocato poi, continua il suo discorso sul comportamento delle forze di polizia in Valle, durante i due giorni di scontri, parlando di «un campionario di comportamenti scorretti da parte delle forze dell’ordine», di «lanci fuori protocollo di lacrimogeni anche ad altezza d’uomo», di «intemperanze dei poliziotti», dell’«ignobile episodio della distruzione delle tende» del presidio dei No Tav in località Maddalena di Chiomonte, di appartenenti alle forze dell’ordine che «scagliavano sassi» sui manifestanti.
Il legale, durante la sua arringa ha citato più volte l’articolo del codice penale che giustifica «la reazione legittima a un atto arbitrario dei pubblici ufficiali».