Il costo della tratta transfrontaliera del Tav (67 km) sale a 13,5 miliardi

 Cattura587Il costo della tratta transfrontaliera del Tav (67 km) sale a 13,5 miliardi

Di Maria Chiara Voci da Il Sole 24 Ore

La tratta internazionale della Torino-Lione, il cui costo per i lavori era calcolato in 8.329 milioni di euro a inizio 2012, richiederà in realtà un esborso – a valori correnti, aggiornati a oggi – di 12 miliardi (precisamente, 11.977 milioni).

Ciò significa che l’Italia, su cui grava secondo il trattato Italia-Francia di due anni fa il 57,9% della spesa per i lavori, dovrà garantire la copertura non di 4,8 miliardi di euro, ma di 6,9 miliardi. Se dall’Europa arriverà l’auspicato 40% di finanziamento (il massimo possibile per le reti Ten-T transfrontaliere), la quota da garantire con il bilancio italiano sarà di 4,16 miliardi di euro. E non i 2,9 miliardi che venivano finora calcolati in base ai dati Ltf (la società mista italo-francese incaricata di gestire la progettazione e realizzazione dell’opera).

Le previsioni di costo aggiornate emergono dal Contratto di programma Rfi 2012-2016, firmato l’8 agosto scorso dal ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi e dall’amministratore delegato di Fs, Michele Elia e di cui il Dl Sblocca Italia accelera l’iter di approvazione.

Di conseguenza, in base a questi dati “freschi”, con gli attuali finanziamenti disponibili (2.420 milioni per l’opera), restano da reperire per lo Stato italiano almeno 1,7/1,8 miliardi di euro. E questa è un’altra novità, perché l’opera veniva data per interamente finanziata (con i fondi Ue al 40%).

Ai circa 12 miliardi di euro di costo aggiornato vanno poi aggiunti studi e progettazioni (sono compresi anche i cunicoli esplorativi e le discenderie), il cui costo è di 1.612 milioni (di cui 855, il 53%, a carico dell’Italia), interamente dotati di copertura finanziaria.

Il costo totale aggiornato della Torino-Lione (tratta internazionale) è dunque di 13.589 milioni di euro (11.977 milioni per l’opera e 1.612 per studi e progettazioni), di cui 7.789 a carico dell’Italia.

Al momento, secondo il contratto Rfi, questa cifra è coperta solo per 3.275 milioni (gli 855 per studi e progettazioni e una quota di 2.420 milioni per i lavori), mentre restano da reperire 4.514 milioni. L’obiettivo come si diceva è ottenere dall’Unione europea (rispondendo al bando aperto fino a febbraio per il supporto alle grandi reti di trasporto) finanziamenti per il 40% del costo dell’infrastruttura, cosa teoricamente possibile, ma non scontata. Se così avvenisse, comunque, resterebbero da trovare da parte del nostro Paese almeno 1,7/1,8 miliardi di euro, di cui però solo 1,2 miliardi dal 2015 al 2020 (in base alle previsioni sull’avanzamento della spesa).

Fatta chiarezza sulle cifre riportate da Rfi, ora resta da capire perché – in tutti i documenti ufficiali e nelle dichiarazioni rese fino ad oggi – la cifra universalmente riportata sia sempre e solo stata quella di 8,3 miliardi (aggiornata di recente a 8,5 miliardi).

Non si tratta in realtà nè di un giallo nè una guerra di numeri tra Ltf e Rfi. Ma solo di una differenza di “punti di vista”. A seconda che alla Tav si guardi dal versante transalpino o dalla Valle di Susa. Francia e Italia usano, infatti, criteri contabili diversi per comporre il preventivo di spesa delle grandi opere. In Francia i costi si calcolano in euro costanti, al valore di approvazione del progetto, senza poi tenere conto degli aumenti che incideranno nel tempo per via della crescita dell’inflazione, del costo dei materiali e via dicendo, e che verranno poi calcolati solo al momento di finanziare l’opera. Al contrario, in Italia, la tendenza è portarsi avanti: i valori sono espressi in euro correnti, aggiornati a prezzi attuali e (in teoria) in grado di assorbire eventuali integrazioni e varianti in corso d’opera.

La scelta, poi, di comunicare sempre e solo la “versione” francese del budget dipende dal fatto che Ltf è una società di diritto francese, pur essendo partecipata anche da Rfi. La sede legale è a Chambery. Per questo le cifre le ha sempre diffuse in euro costanti. Che significa 8,3 miliardi (8,5 nei documenti più recenti) per la tratta internazionale, che comprende la galleria di base più le stazioni internazionali di Susa e St.Jean de Maurienne e i raccordi con le linee storiche. La cifra sale a 9,9 miliardi se si aggiungono anche i fondi già coperti per studi e progettazioni.

A risolvere ogni dubbio sulle cifre dovrà comunque intervenire l’approvazione del progetto definitivo della tratta internazionale da parte del Cipe: un passaggio atteso entro la fine dell’anno e che dovrebbe consentire a Italia e Francia di definire insieme quale sarà il costo dell’opera da indicare nella documentazione da inviare a Bruxelles e su cui verranno richiesti i finanziamenti Ten-T 2014-2020.

Politica, criminalità, imprenditoria. La filiera della corruzione nelle grandi opere

Da alcuni giorni si aggira la notizia della bacchettata UE all’Italia sulle grandi opere, le redazioni però ci assicurano sicurezza in tutti i campi.

Dalla prima relazione sulla corruzione della Commissione UE in Europa, in Italia il costo di realizzazione è di molto superiore a quello di opere equivalenti in altri paesi europei. Nelle grandi opere pubbliche la corruzione è stimata al 40% del valore totale dell’appalto, le ferrovie ad Alta velocità costano 61 milioni al chilometro – circa il 4% del Pil nazionale. In Giappone costa solo 9,8 milioni, in Spagna 9,3 e in Francia 10,2. Secondo le stime dell’Olaf, l’agenzia antifrode europea, questa corruzione costa all’economia europea circa 120 miliardi di euro all’anno.

Andando nello specifico del rapporto UE, la ricostruzione post-sisma a l’Aquila, l’Expo Milano 2015 e la futura linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione sono viste, nella sfera pubblica, – quali particolarmente esposte al rischio di distrazione di fondi pubblici e infiltrazioni criminali.
In Italia la AV è costata 47,3 milioni di euro al chilometro nel tratto Roma-Napoli, 74 milioni di euro tra Torino e Novara, 79,5 milioni di euro tra Novara e Milano e 96,4 milioni di euro tra Bologna e Firenze, contro gli appena 10,2 milioni di euro al chilometro della Parigi-Lione, i 9,8 milioni di euro della Madrid-Siviglia e i 9,3 milioni di euro della Tokyo-Osaka.
Ribadisce la UE – queste differenze di costo, di per sé poco probanti possono rivelarsi però una spia, da verificare alla luce di altri indicatori, di un’eventuale cattiva gestione o di irregolarità delle gare per gli appalti pubblici – inoltre aggiunge – tra gli aspetti più preoccupanti ci sono i legami tra politici, criminalità organizzata e imprese, lo scarso livello di integrità dei titolari di cariche elettive e di governo. Il report della Commissione cita uno studio del 2010 a cura del Center for the Study of Democracy secondo cui il caso italiano è – tra i più esemplari per capire quanto stretti siano i legami tra criminalità organizzata e corruzione. Tra i casi – degni di nota – Bruxelles cita quello di Nicola Cosentino, – parlamentare indagato per collusione con il clan camorristico dei Casalesi – che ne “avrebbe finanziato la campagna elettorale in cambio di influenze politiche a livello nazionale, soprattutto per il riciclaggio di rifiuti tossici. Sempre nello studio, l’esecutivo lamenta il fatto che il Parlamento abbia rifiutato ben due volte l’autorizzazione a procedere nei sui confronti, impedendone la carcerazione preventiva.

Famoso è il bacio e abbraccio in parlamento tra Cosentino e Osvaldo Napoli oggi sostenitore della linea e vice commissario ai trasporti con il collega Esposito del PD.

Secondo l’UE, consistono nella depenalizzazione nel 2002 di determinati reati, come alcune forme di falso in bilancio delle azioni a dir poco chiare e trasparenti. Non si risparmiano le critiche dell’Unione ai media in una nota – l’indipendenza e l’assetto proprietario dei media, specie quelli elettronici, presentano notevoli problemi, soprattutto per il perdurare di un sistema di quasi monopolio.

Il consiglio principe dal rapporto esprime ciò che il popolo italiano chiede da tempo; viene richiesto, dalle raccomandazioni rivolte all’Italia a luglio 2013 nel quadro del semestre europeo un obiettivo  che potrebbe essere raggiunto ponendo l’obbligo per tutte le strutture amministrative di pubblicare online i conti e i bilanci annuali, assieme alla ripartizione dei costi per i contratti pubblici di opere, forniture e servizi, in linea con la normativa anticorruzione. Oltre a considerare di conferire alla Corte dei conti il potere di effettuare controlli senza preavviso.

Oggi però gli avvertimenti dell’Unione non sono ancora di fatto seguiti: Trentino, dopo la “bocciatura” da parte del consiglio provinciale della mozione No Tav dei Cinque stelle, gli stessi tornano alla carica, e criticano l’opera, i pentastellati contestano i numeri resi noti dal commissario per l’opera Mauro Fabbris, in una visita al cantiere del tunnel a Mules di alcuni giorni fa. Appunto costi in linea con il rapporto UE, spropositati.

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L’ammontare di 9,7 miliardi per il tunnel di base, mentre l’Austria parla di 24, le tratte di accesso che costeranno 4,5 miliardi mentre il documento BBT SE parla di 8 mliardi, insomma anche qui nella confusuione si potrebbe annidiare la corruzione dichiarata da Bruxelles. A Trento il ma case Itea
„Movimento 5 stelle, fatti i conti, ha una risposta chiara e concreta: per ogni chilometro di Tav la Provincia potrebbe pagare per 10 anni il canone moderato di 10 mila appartamenti Itea, sgravando le tasche dei cittadini che faticano ad arrivare alla terza settimana del mese.

In una piccola polemica rispondono dalla valle in opposizione al Tav – siamo sicuri qui la corruzione non c’è, è di ieri la notizia tramite stampa del ministro Alfano dove in Valsusa le infiltrazioni mafiose non ci sono e poi all’interno del cantiere c’è la polizia e l’esercito, chi mai potrebbe dubitare dei costi!!

Infatti la legge n. 125 del 2008 che istituisce il cantiere come sito di interesse strategico nazionale ha autorizzato, per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, l’impiego di un contingente militare delle Forze Armate, posto a disposizione dei Prefetti per servizi di vigilanza a siti e obiettivi sensibili, nonché di perlustrazione e pattuglia in concorso e congiuntamente alle Forze di Polizia – nell’ “Operazione Strade Sicure”, al personale della Forze Armate non appartenente all’Arma dei Carabinieri è attribuita la qualifica di Agente di Pubblica Sicurezza, con esclusione delle funzioni di Polizia giudiziaria.

Ed è proprio nell’ambito dell’Operazione Strade Sicure che opera il dispositivo di vigilanza al cantiere della TAV (la linea ad alta velocità Torino – Lione) di Chiomonte, in Val di Susa. In quel cantiere sono in corso le operazioni di perforazione del tunnel geognostico, lungo 7,5 km e necessario per effettuare la valutazione geologica del terreno sul quale verrà scavato il tunnel principale, ma è ancora in fase di valutazione da parte del Comitato Iterministeriale per la Programmazione Economica.

Nel cantiere in Valsusa è tutto a posto e non c’è corruzione, costa solo uno sproposito non giustificato.

Manifestazione alla ZAD di Testet, un ragazzo muore durante gli scontri con la poliziaI

 
Domenica 26 Ottobre 2014 19:50

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Sabato diverse migliaia di persone hanno risposto all’appello per una manifestazione sulla Zad (zone à défendre – zona da difendere) di Testet, nella regione del Tarn vicino a Tolosa.
Sul sito è prevista la costruzione di una mega-diga (detta di Sivens) da 1,3 milioni di metri cubi d’acqua che beneficerà a un pugno di grandi aziende d’agricoltura industriale (contro i contadini più piccoli, che spingono i comitati locali) e che comporterà la distruzione di una zona umida che ospita numerose specie protette. Comitati locali e compagni hanno moltiplicato in questi mesi le azioni di blocco e di occupazione delle terre.
Durante l’estate la ZAD di Testet era stata già più volte attaccata dalle forze dell’ordine e anche al termine del corteo di ieri i manifestanti hanno denunciato diverse provocazioni da parte della polizia: i gendarmi, presenti con decine di camionette, hanno sparato numerosi lacrimogeni e non hanno lasciato la zona per tutta la notte. Gli scontri sono proseguiti sporadicamente nel bosco fino alle 3/4 del mattino, con cariche e granate assordanti da parte delle forze dell’ordine.
Remi, un ragazzo di 21 anni, ha perso la vita durante gli scontri. Secondo le prime ricostruzioni il suo corpo, ormai senza vita, sarebbe stato raccolto nel bosco dalla polizia dopo una carica. Gli oppositori al progetto hanno confermato che la morte è avvenuta durante gli scontri con la gendarmerie tra le 2 e le 3 di notte. La polizia invece ha prima comunicato falsamente il ritrovamento del corpo lontano dalla zona di scontro, per poi rifiutare di fornire qualsiasi informazione supplementare.

Appuntamenti di solidarietà sono previsti questa sera in diverse città francesi. Nei dintorni della Zad, a Gaillac, la polizia ha caricato i solidali che si erano riuniti in memoria di Remi:

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Per domani sono stati lanciati presidi e manifestazioni sotto le prefetture di Albi, Lyon e Nantes e l’elenco delle città che si preparano a scendere in piazza potrebbe allungarsi col passare delle ore e il crescere della rabbia.

Firme false per Chiamparino, Ecco chi trema nel Pd torinese

Pubblicato Venerdì 24 Ottobre 2014, ore 16,02

Si stringe il cerchio attorno ai politici che alle scorse elezioni regionali avrebbero compiuto irregolarità nelle autenticazioni. Blitz della polizia giudiziaria al comune di Sant’Antonino, feudo di Ferrentino. Avvisi di garanzia in arrivo

Si sono presentati questa mattina al Comune di Sant’Antonino di Susa i due ispettori della polizia di Stato che, su mandato dei pm Patrizia Caputo eStefano Demontis, hanno convocato presso il comando locale dei vigili urbani i cittadini che hanno sottoscritto la lista Monviso, in occasione delle ultime elezioni Regionali. Firme autenticate dall’allora sindacoAntonio Ferrentino, lo stesso che, da consigliere provinciale uscente e candidato nella formazione collegata al presidente Sergio Chiamparino, avrebbe, secondo alcuni, autenticato anche la sua stessa firma. I funzionari si sono trattenuti per circa quattro ore, prima di lasciare il comune della Val Susa. Riserbo totale sull’esito delle verifiche anche se, essendo il paese piccolo, e come da tradizione la gente mormora, parrebbe che se non tutti la stragrande maggioranza abbia riconosciuto la propria firma e confermato di averla apposta alla presenza dell’ufficiale autenticatore, cioè dello stesso Ferrentino. Quello di questa mattina, però, non è che l’ulteriore testimonianza del lavoro investigativo della Procura della Repubblica di Torino, a seguito degli esposti presentati dall’europarlamentare leghista Mario Borghezio (in sede penale, ipotizzando il reato di falso ideologico e abuso d’ufficio) e dell’ex consigliera provinciale del Carroccio Patrizia Borgarello (presentatrice di un ricorso al Tar che verrà discusso in prima udienza il 6 novembre). Molti sono, infatti, gli episodi a dir poco singolari.

Il primo a parlare di firme false anche nel centrosinistra fu un altro consigliere provinciale, quelRenzo Rabellino che dopo le tante liste civetta ideate e una condanna a 2 ani e 10 mesi per falso è ormai diventato un’autorità in materia, vicenda ci cui per primo Lo Spiffero ne diede notizia. Tra i nomi che subito hanno iniziato a circolare come possibili protagonisti della firmopoli rossa c’è stato quello di un altro consigliere provinciale, ovvero quel Pasquale Valente, capace di autenticare in un sol giorno, il 24 maggio scorso, almeno 329 firme (una ogni due minuti per 12 ore consecutive?). Non solo: lo stakanov dell’autografo avrebbe trovato nello stesso giorno anche il tempo per recarsi aCossano Canavese (altro comune noto al mondo democratico giacché il sindaco è l’attuale reggente della Provincia di Torino Alberto Avetta) e autenticare altre 23 firme. È questione di giorni, forse di ore, per i primi avvisi di garanzia e sono tanti i politici del centrosinistra a tremare. Nel ricorso al Tar della Borgarello si parla di un possibile conflitto di interesse, giacché alcuni autenticatori – nello specifico Marco Grimaldi, Valentina Caputo, Nadia Conticelli eAntonio Ferrentino – avrebbero sottoscritto la stessa lista in cui erano candidati.

Allo stesso modo vengono contestate le autentiche da parte dei consiglieri Giuseppe Sbriglio e Dario Troiano per la lista Monviso in quanto entrambi erano candidati per la medesima formazione. Ma le stranezze non si fermano qui. Com’è possibile, per esempio, che gli alcuni elenchi della lista Monviso fossero perfettamente in ordine alfabetico? Secondo alcune prime ricostruzioni vi sarebbero delle curiose analogie con gli elenchi degli elettori delle primarie Pd. Fatto questo che indurrebbe a pensare che siano stati copiati di sana pianta, firme comprese.

Qui il ricorso al Tar 

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Tav, Corte conti francese denuncia troppo ottimismo e analisi non indipendenti

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/24/tav-corte-dei-conti-francese-boccia-torino-lione-dubbi-rapporto-costo-utilita/

Tav, Corte conti francese denuncia troppo ottimismo e analisi non indipendenti

I magistrati contabili d’Oltralpe hanno reso noto un rapporto sulle infrastrutture ferroviarie che sconfessa quanto detto la scorsa settimana dal primo ministro Valls. Sotto accusa il rapporto tra costo e benefici

di Andrea Giambartolomei | 24 ottobre 2014
Troppo ottimismo e analisi poco indipendenti. Dalla Corte dei conti francese arrivano nuove critiche alle linee ad alta velocità e pure alla Tav Torino-Lione. Giovedì mattina i magistrati contabili hanno reso noto un rapporto sulle infrastrutture ferroviarie e, come già fatto in passato, hanno ricordato i dubbi sul rapporto tra costo e utilità della contestatissima linea tra Italiae Francia. Tutto ciò succede a una settimana dalle dichiarazioni del primo ministro francese, il socialista Manuel Valls: “Questo progetto è senza dubbio indispensabile dal punto di vista economico”, aveva detto mercoledì scorso a Chambery, durante una visita alla sede della società Lyon-Turin Ferroviaire (Ltf), incaricata dei lavori transfrontalieri.

I magistrati, nel loro rapporto, notano come la costruzione di linee ad alta velocità spesso sia poco redditizia anche per via di alcune stime troppo ottimistiche sul traffico. Eppure dal 2008 in Francia l’uso dei Tgv (treni ad alta velocità) è in stagnazione per l’aumento dei costi e per la diminuzione dei clienti, che preferiscono altri trasporti più economici. Quest’andamento ha messo in difficoltà lo Stato e le società pubbliche, la Sncf(l’equivalente di Trenitalia, che gestisce il servizio) e Rff (che gestisce le reti, come Rfi, società con cui compone Ltf). La rendita socio-economica “troppo debole” delle linee ad alta velocità è “manifesta” sulla Torino-Lione, ricordano i magistrati nel rapporto, citando il loro lavoro del 2012.

I magistrati notano come la costruzione di linee simili spesso sia poco redditizia anche per via di stime troppo ottimistiche sul traffico

Come già avvenuto per la linea transfrontaliera i magistrati raccomandano alle autorità statali di non esagerare con le cifre ottimistiche e di sottoporre le analisi finanziari a organismi indipendenti. Il motivo è presto spiegato: lo Stato francese sovrastima il traffico e le entrate per far sì che Rff possa investire più soldi possibili. “Ecco perché queste ipotesi e, più in generale, il calcolo dei contributi di Rff per ogni progetto di alta velocità dovrebbero essere oggetto di una contro-analisi veramente indipendente dal ministero dei Trasporti e da Rff allo scopo di informare l’insieme delle parti interessate alla validità della valutazione finanziaria del progetto. Questo è quello che la Corte aveva già raccomandato per il collegamento Lione-Torino”.

Contro la linea Torino-Lione anche la diminuzione delle risorse finanziarie a disposizione

Un altro problema riguarda la diminuzione delle risorse finanziarie a disposizione. Secondo lo “Schema nazionale delle infrastrutture dei trasporti”, presentato nel 2011, i progetti complessivi della Francia valevano 245 miliardi di euro, di cui 13 miliardi erano destinati a Ltf per il tratto italo-francese. “Le fonti di finanziamento di questi progetti non era identificata”, sottolinea la Corte dei conti riferendosi alla cifra generale: una parte sarebbe stata messa dallo Stato; una parte dall’Agenzia di finanziamento delle infrastrutture dei trasporti (Afitf), il cui budget è diminuito nel 2014 per colpa della sospensione dellaecotassa; e un’altra parte dagli enti locali, il cui apporto è stato “valutato in maniera troppo ottimista”. Che dire allora dei fondi europei? Il 14 ottobre scorso l’eurodeputato tedesco dei VerdiMichael Cramer, presidente della commissione trasporti delParlamento europeo, ha affermato che difficilmente l’Ue potrà stanziare il 40 per cento della Torino-Lione. Cosa ne sarà della seconda fase dei lavori della linea? Il quotidiano di Lione “Le Progrès riporta una sottigliezza: la Corte, in un passaggio del documento, ricorda che il “rapporto Mobilité 21” ha già detto no alla seconda fase della Torino-Lione e della linea Reno-Rodano. La decisione però non può essere presa da loro, ma dai politici.

Sempre più insostenibile il costo del tav , ci va coraggio a parlare di opera utile!

euroSempre più insostenibile il costo del tav, ci va coraggio a parlare opera utile! Oggi la tratta transfrontaliera della Torino Lione sale a 12 miliardi di euro. L’Italia, paese di grandeur, si prese in carico di coprire i costi per il 58% della linea, quindi  dovrà sborsare (togliendo i soldi ad altri settori sia sempre chiaro!) 6,9 miliardi di euro (+2,1 rispetto al calcolo di agosto). La dimostrazione palese che quest’opera inutile è sempre meno sostenibile da un Paese in cui le priorità sono sicuramente altre.

Pubblichiamo di seguito l’articolo di Maria Chiara Voci da Il Sole 24 Ore

Il costo della Tav sale a 12 miliardi

La tratta internazionale della Torino-Lione, il cui costo per i lavori era calcolato in 8.329 milioni di euro a inizio 2012, richiederà in realtà un esborso – a valori correnti, aggiornati a oggi – di 12 miliardi (precisamente, 11.977 milioni).

Ciò significa che l’Italia, su cui grava secondo il trattato Italia-Francia di due anni fa il 57,9% della spesa per i lavori, dovrà garantire la copertura non di 4,8 miliardi di euro, ma di 6,9 miliardi. Se dall’Europa arriverà l’auspicato 40% di finanziamento (il massimo possibile per le reti Ten-T transfrontaliere), la quota da garantire con il bilancio italiano sarà di 4,16 miliardi di euro. E non i 2,9 miliardi che venivano finora calcolati in base ai dati Ltf (la società mista italo-francese incaricata di gestire la progettazione e realizzazione dell’opera).

Le previsioni di costo aggiornate emergono dal Contratto di programma Rfi 2012-2016, firmato l’8 agosto scorso dal ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi e dall’amministratore delegato di Fs, Michele Elia e di cui il Dl Sblocca Italia accelera l’iter di approvazione.

Di conseguenza, in base a questi dati “freschi”, con gli attuali finanziamenti disponibili (2.420 milioni per l’opera), restano da reperire per lo Stato italiano almeno 1,7/1,8 miliardi di euro. E questa è un’altra novità, perché l’opera veniva data per interamente finanziata (con i fondi Ue al 40%).

Ai circa 12 miliardi di euro di costo aggiornato vanno poi aggiunti studi e progettazioni (sono compresi anche i cunicoli esplorativi e le discenderie), il cui costo è di 1.612 milioni (di cui 855, il 53%, a carico dell’Italia), interamente dotati di copertura finanziaria.

Il costo totale aggiornato della Torino-Lione (tratta internazionale) è dunque di 13.589 milioni di euro (11.977 milioni per l’opera e 1.612 per studi e progettazioni), di cui 7.789 a carico dell’Italia.

Al momento, secondo il contratto Rfi, questa cifra è coperta solo per 3.275 milioni (gli 855 per studi e progettazioni e una quota di 2.420 milioni per i lavori), mentre restano da reperire 4.514 milioni. L’obiettivo come si diceva è ottenere dall’Unione europea (rispondendo al bando aperto fino a febbraio per il supporto alle grandi reti di trasporto) finanziamenti per il 40% del costo dell’infrastruttura, cosa teoricamente possibile, ma non scontata. Se così avvenisse, comunque, resterebbero da trovare da parte del nostro Paese almeno 1,7/1,8 miliardi di euro, di cui però solo 1,2 miliardi dal 2015 al 2020 (in base alle previsioni sull’avanzamento della spesa).

Fatta chiarezza sulle cifre riportate da Rfi, ora resta da capire perché – in tutti i documenti ufficiali e nelle dichiarazioni rese fino ad oggi – la cifra universalmente riportata sia sempre e solo stata quella di 8,3 miliardi (aggiornata di recente a 8,5 miliardi).

Non si tratta in realtà nè di un giallo nè una guerra di numeri tra Ltf e Rfi. Ma solo di una differenza di “punti di vista”. A seconda che alla Tav si guardi dal versante transalpino o dalla Valle di Susa. Francia e Italia usano, infatti, criteri contabili diversi per comporre il preventivo di spesa delle grandi opere. In Francia i costi si calcolano in euro costanti, al valore di approvazione del progetto, senza poi tenere conto degli aumenti che incideranno nel tempo per via della crescita dell’inflazione, del costo dei materiali e via dicendo, e che verranno poi calcolati solo al momento di finanziare l’opera. Al contrario, in Italia, la tendenza è portarsi avanti: i valori sono espressi in euro correnti, aggiornati a prezzi attuali e (in teoria) in grado di assorbire eventuali integrazioni e varianti in corso d’opera.

La scelta, poi, di comunicare sempre e solo la “versione” francese del budget dipende dal fatto che Ltf è una società di diritto francese, pur essendo partecipata anche da Rfi. La sede legale è a Chambery. Per questo le cifre le ha sempre diffuse in euro costanti. Che significa 8,3 miliardi (8,5 nei documenti più recenti) per la tratta internazionale, che comprende la galleria di base più le stazioni internazionali di Susa e St.Jean de Maurienne e i raccordi con le linee storiche. La cifra sale a 9,9 miliardi se si aggiungono anche i fondi già coperti per studi e progettazioni.

A risolvere ogni dubbio sulle cifre dovrà comunque intervenire l’approvazione del progetto definitivo della tratta internazionale da parte del Cipe: un passaggio atteso entro la fine dell’anno e che dovrebbe consentire a Italia e Francia di definire insieme quale sarà il costo dell’opera da indicare nella documentazione da inviare a Bruxelles e su cui verranno richiesti i finanziamenti Ten-T 2014-2020.

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Le tante facce del generale Mario Mori: da avversario irriducibile di Cosa Nostra a suo delegato nella trattativa: perché? (8)

http://oknotizie.virgilio.it/info/70c5c0d8b3d41372/le_tante_facce_del_generale_mario_mori_da_avversario_irriducibile_di_cosa_nostra_a_suo_delegato_nella_trattativa_perche_8_.html#1170188c9def1c4b

di micheleimperio  il 26 ott 14, 23:01:47 

“Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi» (intervista rilasciata da Giovanni Falcone a Saverio Lodato de L’Unità, il 10 luglio 1989 pochi giorni dopo il fallito attentato dell’Addaura). Ma poi Giovanni Falcone diviene più esplicito E aggiunge: “Coloro che volevano assassinare me sono gli stessi che hanno fatto assassinare a suo tempo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa”. Già Carlo Alberto dalla Chiesa altro delitto spudoratamente eseguito dal segmento criminale della Sinistra politica Democristiana oggi corrente renziana del P.D. 

E’ il 3 settembre 1982, in via Isidoro Carini, alle 21.15 di sera 30 proiettili trafissero il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carrarotrucidando i loro corpi, mentre poco più indietro l’agente di scorta Domenico Russo giaceva esangue nella sua Alfetta colpito a morte dai micidiali colpi di un kalashnikov AK-47. Fu un vero e proprio massacro. Un agguato messo a punto dagli spietati killer di Cosa Nostra: Antonio Madonia, Calogero Ganci, Giuseppe Greco, detto “Scarpuzzedda” e Giuseppe Lucchese per ordine di Salvatore Riina e di tutta la cupola.Un omicidio terribile che scuote duramente tutta quella Palermo che nel generale aveva riposto la speranza di una vera lotta alla mafia. 

Strano delitto quello di Dalla Chiesa. Wilkipedia ricorda che Carlo Alberto Dalla Chiesa inizialmente si dimostrò perplesso sulla nomina a Prefetto di Palermo. Poi venne convinto dall’allora ministro degli Interni Virginio Rognoni, il quale gli promise poteri fuori dall’ordinario per contrastare la guerra tra le cosche, che insanguinava l’isola. Dalla Chiesa avrebbe avuto a disposizione l’esercito che a suon di intrusioni, perquisizioni, sequestri, arresti preventivi e quant’altro avrebbe scovato e messo in carcere latitanti e boss mafiosi indebolendo pesantemente i legami esistenti tra Cosa Nostra, lo Stato e gli altri poteri occulti. Avrebbe scoperchiato quelle sette massoniche ancora oggi presenti in Sicilia e sicuramente avrebbe ripulito il marcio che si annida all’interno delle forze dell’ordine e dei servizi segreti. 

Invece……………….invece tutto questo non arrivò mai. Quei poteri non gli furono mai dati. Anzi! Dalla Chiesa capisce subito di essere caduto in una trappola mortale orditagli da Virginio Rognoni e – ovviamente – da chi sta dietro lui. Da Palermo, dove arriva nel maggio del 1982, lamenta più volte la carenza di sostegno e di mezzi da parte dello Stato (emblematica la sua amara prolusione: “Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì”;). 

Il pentito Tommaso Buscetta afferma che sul caso Dalla Chiesa il boss Gaetano Badalamenti gli aveva espresso questo giudizio: « [Dalla Chiesa] lo hanno mandato a Palermo per sbarazzarsi di lui. Non aveva fatto ancora niente in Sicilia che potesse giustificare questo grande odio della Mafia contro di lui » 

Rita dalla Chiesa la figlia, ha raccontato che la strage in cui fu ucciso suo padre fu decisa a Roma e non a Palermo e che il padre non era amato all’interno del Comando Generale dell’Arma. 

Durante un’intercettazione telefonica delle forze dell’ordine a casa del dottor Giuseppe Guttadauro, capo mandamento del quartiere Brancaccio, in sostituzione dei fratelli Graviano in carcere, si sente il boss parlare con un politico ospite a casa sua dell’omicidio del generale Dalla Chiesa in questi termini:

“Salvatore…ma tu partici dall’ottantadue, invece… ma chi cazzo se ne fotteva di ammazzare a Dalla Chiesa… andiamo! parliamo chiaro!”. “E che perché glielo dovevamo fare qua questo favore…”. 

Chi aveva chiesto quindi questo favore a Cosa Nostra? 

La stessa notte della strage qualcuno si introdusse nella stanza da letto del Generale, nella sua abitazione privata di villa Pajno a Palermo, aprì la cassaforte e prese tutto il materiale riservato del generale. Materiale mai più ritrovato. Nella cassaforte – secondo i più – era conservato ancora l’originale del memoriale Moro. 

Persino Totò Riina il 29 agosto dello scorso anno, mentre passeggiava con il compagno di ora d’aria Alberto Lorusso nel carcere di Opera, racconta questo fatto indicando come responsabili del furto ambienti esterni a Cosa Nostra: “Questo Dalla Chiesa ci sono andati a trovarlo e gli hanno aperto la cassaforte e gli hanno tolto la chiave. I documenti dalla cassaforte e glieli hanno fottuti Loro – continua Riina – quando fu di questo … di Dalla Chiesa … gliel’hanno fatta, minchia, gliel’hanno aperta, gliel’hanno aperta la cassaforte … tutte cose gli hanno preso”. Quindi chi se non la sempre presente manina nera dei servizi deviati può aver fatto l’abituale lavoro sporco e pulito allo stesso tempo? D’intesa con lui, con Riina, oggi risentito per il tradimento subito dai Servizi. 

Va raccontata questa storia del memoriale Moro. 

Dopo il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, in seguito al ritrovamento di un borsello sopra un pullman casualmente o volutamente smarrito dal brigatista rosso Lauro Azzolini i carabinieri di Carlo Alberto Dalla Chiesa riescono ad individuare un covo delle Brigate Rosse, situato a Milano in Via Monte Nevoso all’interno del quale rinvengono alcuni documenti riguardanti il rapimento di Moro ed un memoriale dello stesso Il memoriale di Moro sarebbe stato consegnato da Dalla Chiesa riservatamente a Giulio Andreotti, per via delle informazioni particolarmente riservate contenute al suo interno. 

Tra gli argomenti trattati nel memoriale, c’erano infatti: l’organizzazione Gladio, un esercito occulto (stay-behind) presente in molti paesi europei e finanziato dalla CIA, con il compito di resistere almeno 5 giorni in caso di invasione comunista, la cui esistenza è stata resa pubblica poche settimane dopo il ritrovamento del memoriale; il Piano Solo. elementi della cosiddetta strategia della tensione; Italcasse, Caltagirone 

Ma è noto ormai che quello che fu consegnato ad Andreotti non era il memoriale originale. 

Molti anni dopo, il 9 ottobre 1990 durante alcuni lavori di restauro nell’appartamento di vai Monte nevoso vennero rinvenute in un intercapedine alcune pagine manoscritte proprio di pugno da Aldo Moro e quella era la versione originale molto più estesa del testo fino allora conosciuto. 

Il memoriale fu attentamente analizzato dai magistrati della Corte di Appello di Perugia che giudicarono Giulio Andreotti per il delitto Pecorelli. Nella sentenza del 13 febbraio 2003, pp. 47-48 i Magistrati scrivono: la comparazione tra i due scritti quello del 1978 e quello originale del 1990 permette di affermare che quello rinvenuto nel 1990 contiene notizie più pregnanti ed organiche rispetto a quello del 1978. Ed invero, sul caso Italcasse nello scritto del 1978 vi è un riferimento al ruolo del debitore Caltagirone, allora vicino ad Andreotti, che tratta lui la successione del direttore generale dell’Italcasse, Nello scritto del 1990 invece si fa un maggior cenno al motivo per cui Caltagirone ha mandato politico nella nomina del direttore dell’Italcasse e, cioè, per la sistemazione della propria posizione debitoria. 

Sui rapporti tra Michele Sindona e Giulio Andreotti; mentre nello scritto del 1978 si parla quasi occasionalmente del viaggio di Giulio Andreotti negli Stati Uniti d’America, per incontrare Michele Sindona, e della nomina di Mario Barone, nello scritto del 1990 i rapporti tra Michele Sindona, Mario Barone e Giulio Andreotti vengono organicamente trattati come espressione della cinica personalità di Giulio Andreotti da Moro definito nello scritto del 1978: “un regista freddo, imperscrutabile, senza dubbi, senza palpiti, senza mai un momento di pietà umana. Giudizio completato nello scritto del 1990 quando, dopo avere unitariamente analizzato i fatti riferiti a Giulio Andreotti e avere tra questi inserito anche l’intervista in cui denunciava l’appartenenza di Guido Giannettini come agente del SID, afferma che quelli sono tutti segni di un’incredibile spregiudicatezza che deve aver caratterizzato tutta una fortunata carriera e della quale la caratteristica più singolare è che passi così frequentemente priva di qualsiasi censura o anche solo del minimo rilievo. » 

Quindi il memoriale non venne consegnato integro. Ciò è stato confermato anche dalla madre della moglie Emanuela Setti Carraro, secondo la quale la figlia le avrebbe confidato che il Generale non aveva consegnato ad Andreotti tutte le carte rinvenute, ma solo alcune e che nelle carte non consegnate vi fossero segreti di Stato estremamente gravi. Secondo alcuni commentatori della Rete il memoriale integrale venne invece consegnato al leader del partito socialista Bettino Craxi e molto informazioni sul memoriale vennero passate al direttore di OP Mino Pecorelli. 

Il giornalista Mino Pecorelli, amico di Dalla Chiesa, riceveva da questi informazioni sul memoriale Moro e anche altre informazioni compromettenti sulla D.C. Pochi giorni dopo aver pubblicato un articolo su 119 cardinali massoni presenti in Vaticano e dopo aver dichiarato di voler pubblicare integralmente il memoriale Moro sulla sua rivista Op Pecorelli venne ucciso da mani misteriose. 

Secondo la sorella del giornalista, Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva incontrato Mino Pecorelli pochi giorni prima che egli venisse ucciso ed il Generale aveva confidato al giornalista alcune importanti informazioni sul caso Moro. Secondo altri commentatori della Rete queste rivelazioni di Dalla Chiesa a Pecorelli erano funzionali agli interessi di Bettino Craxi il quale anche tramite lo stillicidio di queste rivelazioni e dunque tramite queste pressioni riuscì a ottenere per Sandro Pertini la presidenza della repubblica nel 1978 e per sé nonostante che un altro socialista fosse presidente della Repubblica la presidenza del Consiglio dei Ministri nel 1983 dopo che già nel 1979 aveva dovuto rinunciare ad un precedente incarico di presidente del consiglio dei ministri conferitogli dallo stesso presidente Sandro Pertini. 

Ma la reazione dei democristiani rispetto a queste pressioni fu diversa: più tollerante e propensa all’accordo quella di Andreotti, assolutamente intransigente e sdegnata quella della Sinistra politica democristiana. 

Ora se i mancati assassini di Giovanni Falcone erano gli stessi che aveva assassinato Carlo Alberto Dalla Chiesa di uno di questi si conosce nome e cognome e indirizzo di casa. E’ Virginio Rognoni esponente di rilievo della Sinistra Politica Democristiana, oggi corrente renziana del P.D Non mandò mai i poteri che lui stesso aveva promesso e si sarebbe interessato per la prima volta della cosa solo il 5 settembre 1982 quattro mesi dopo che il generale era giunto a Palermo e due giorni dopo che Dalla Chiesa fosse assassinato. Insomma non fece in tempo! 

Ma oggi a distanza di tanti anni la morte del generale Carlo Alberto dalla Chiesa si arricchisce di un nuovo mistero. Ad essere sparite non sono state solo le carte della cassaforte della residenza privata del prefetto, ove si sospetta che fosse ancora nascosta la copia integrale del memoriale Moro, ma anche una valigetta in pelle marrone che avrebbe contenuto documenti segreti. Si parla in particolare di un rapporto di dodici pagine che alcuni carabinieri del Ros guidato da Mario Mori avrebbero rinvenuto nel covo di Totò Riina, al momento dell’arresto nel 1993 e avrebbero portato via. 

Mario Mori!!!!!!!!!!! Mario Mori!!!!!!!!!!!!!!! 

Secondo un ‘anonimo che ha riferito i fatti in quella valigetta Carlo Alberto dalla Chiesa conservava altri documenti importanti. “Proprio un ufficiale dei carabinieri in servizio a Palermo la notte della strage si preoccupa di trafugare la valigetta di pelle marrone che conteneva documenti scottanti e nomi scottanti riguardanti indagini che Dalla Chiesa stava cercando di svolgere da solo”. Su queste indagini aveva poi indagato anche Giovanni Falcone, tanto che nel maggio 1983 aveva convocato l’allora comandante generale Lorenzo Valditara proprio per interrogarlo in merito. 

L’anno scorso, dopo più di 30 anni, la valigetta è stata ritrovata nei sotterranei del tribunale di Palermo ma al suo interno non si è trovato nulla, nessun documento: era stata precedentemente svuotata. Come da copione in questi casi. E allora rivanghiamo le parole di Giovanni Falcone dopo l’attentato dell’Addaura: “Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Chi ha tentato di assassinare me aveva già assassinato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa”. 

Logge massoniche coperte? 

Michele Imperio 8. Continua

LA PROCURA INDAGA A SANT’ANTONINO PER IL CASO DELLE FIRME FALSE IN REGIONE. INTERROGATI 50 CITTADINI IN COMUNE. FERRENTINO: “TUTTO REGOLARE, SONO SERENO E NON HO NULLA DA TEMERE”

LUNEDÌ, 27 OTTOBRE 2014

BY  – PUBLISHED: 10/25/2014 

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di FABIO TANZILLI

Caso delle firme false in Regione, le indagini toccano anche la Val Susa. Ieri, su mandato dei pubblici ministeri Patrizia Caputo e Stefano Demontis, due ispettori della polizia si sono presentati al Comune di Sant’Antonino, recandosi presso l’ufficio anagrafe/elettorale e interrogando – al comando della polizia municipale – una cinquantina di cittadini del paese, che avevano apposto la loro firma per sostenere la lista “Monviso” alle ultime elezioni regionali, che candidava l’ex sindaco del paese Antonio Ferrentino (oggi consigliere regionale del Pd) a sostegno dell’attuale presidente della Regione, Sergio Chiamparino. I cittadini di Sant’Antonino sottoscrittori della lista Monviso sono stati circa 250: quelli che non hanno potuto partecipare ieri all’interrogatorio, sono stato sentiti dalla polizia per telefono.

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L’arrivo della polizia di Stato e le indagini della Procura di Torino sulle firme false stanno preoccupando non poco la Regione ed il Pd, ma il diretto interessato Antonio Ferrentino, rassicura: “Sono sereno, ieri la polizia non ha riscontrato alcuna irregolarità a Sant’Antonino. I controlli li stanno facendo anche in altri Comuni, non solo qui. Dal sottoscritto non è stato commesso alcun reato – afferma – tutti i cittadini interrogati dalla polizia hanno confermato di aver firmato di loro pugno per la lista a sostegno di Chiamparino, magari non tutti si ricordavano che la lista si chiamasse “Monviso”, ma hanno ribadito di aver firmato a favore di Chiamparino, e gli stessi inquirenti li hanno ringraziati per la disponibilità”.

Le indagini sono partite da due esposti della Lega Nord (quello di natura penale presentato da Mario Borghezio e quello amministrativo al Tar di Patrizia Borgarello): le accuse mosse a Ferrentino, e ad altri esponenti piemontesi del Pd, sarebbero due. La prima è di essere in un presunto “conflitto di interesse” per il doppio ruolo di candidato alle elezioni regionali, e nel contempo di pubblico ufficiale che aveva il potere di autenticare le firme, proprio a favore della sua lista e della sua candidatura.

La seconda ipotesi di accusa invece consiste nel sostenere che Ferrentino si sarebbe autenticato la firma da solo, anziché con l’ausilio di un altro pubblico ufficiale. Ma il consigliere regionale della Valle di Susa respinge ogni accusa: “Sono tutte falsità, la mia firma è stata autenticata da Nadia Conticelli, non me lo sono fatto da solo – dice – così come è un’assurdità parlare di conflitti di interesse. La stessa Avvocatura della Regione ha subito precisato che non ci sono irregolarità in questo doppio ruolo, si fa così ovunque. Anche quando mi sono candidato a sindaco l’ho fatto, è normale”.

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Insomma, Ferrentino ribadisce di non aver nulla da temere e di non essere preoccupato per eventuali avvisi di garanzia: “Quando mi sono occupato di autenticare le firme per le elezioni regionali, prima di farlo ho guardato negli occhi tutti quelli che firmavano, e per questo sono ultra sereno…anche se spero che non ci siano problemi in altri paesi e con altri esponenti del Pd. Ma per quanto riguarda il mio operato, sono davvero tranquillo”.