La Torino-Lione? Vale 17 miliardi – Ecco l’ultima analisi costi-benefici

26 nov 18 Repubblica 

Paolo Griseri

L’analisi costi/benefici c’è già, «anzi ne abbiamo già viste sette», ironizzava il 21 novembre scorso Iveta Radicova, la coordinatrice europea della Torino-Lione mentre visitava il cantiere di Saint Martin La Porte. In che cosa potrà differire l’ottava?

Basta osservare le precedenti sette per capire che le variazioni della commissione nominata da Toninelli, non potranno essere molto significative. 

I modelli matematici utilizzati sono sostanzialmente standard.

La sorpresa è che tra l’analisi costi/benefici presentata nel 2011, e sulla cui base l’Unione Europea ha concesso il finanziamento per l’opera, e l’aggiornamento del 2014, la Torino-Lione risulta significativamente più conveniente.

I benefici passano infatti da 11 a 17 miliardi, un aumento del 53 per cento.

Il calcolo è complesso. Quel che conta è un indice chiamato Van che misura la convenienza di un investimento rispetto a tutti quelli che alternativamente si potrebbero fare con lo stesso capitale.

In sostanza: è opportuno spendere 8,6 miliardi per il tunnel di base (più le cifre necessarie alle tratte di avvicinamento da Lione e Torino), o è meglio utilizzare quei denari in altro modo? Domanda che nel 2011 aveva un senso preciso perché l’Unione Europea doveva ancora decidere se finanziare l’opera. Oggi ha un significato completamente diverso perché gli scavi delle gallerie sono iniziati e dunque non si parte da zero.

In ogni caso la valutazione costi/ benefici del 2011, quella che ha convinto Bruxelles a finanziare l’opera, sosteneva che «di fronte a un sostanziale pareggio tra i costi di costruzione e gestione e i benefici trasportistici, si genera un cosistente flusso di effetti positivi per la riduzione di effetto serra, inquinamento e rumore e per l’abbattimento della incidentalità». Questi ultimi elementi, nello scenario meno favorevole tra quelli presi in considerazione nell’analisi, generano comunque un flusso positivo di 11,533 miliardi di euro.

A definire la somma concorrono il calcolo della Co2 risparmiata trasferendo le merci dalla gomma al ferro, i vantaggi di risparmio energetico derivanti dal fatto che il tunnel di base trasforma una ferrovia di montagna in una linea di pianura, i minori costi per incidenti stradali.

Nel 2014, superati gli effetti della grave crisi economica mondiale, lo stesso calcolo porta a un Van di 17,696 miliardi, nello scenario meno favorevole. Sono cambiati i flussi di traffico ma è stato soprattutto abbattuto il costo nelle due tratte italiana e francese.

A dispetto di quel che sostengono i teorici dell’opzione zero, la pressione dei movimenti No Tav ha prodotto in Italia un cambio di tracciato e l’abbattimento dei costi della tratta nazionale da 4,1 a 1,9 miliardi, un sostanziale dimezzamento. Che si è tradotto in un maggiore vantaggio a realizzare la Torino-Lione.

Vantaggio che potrà aumentare ancora ora che l’Ue passerà a finanziare non più il 40 ma il 50 per cento del tunnel di base. Non tutti i tecnici che hanno partecipato all’analisi concordano sulle conclusioni.

Secondo i più critici i flussi di merci e turisti sono sovrastimati.

Altri invece sostengono l’esatto contrario. Le relazioni finali sono, come sempre, una mediazione.

Negli studi di preparazione e accompagnamento all’opera c’è anche un’analisi dei costi di un eventuale stop al cantiere.

È del 2014 ed è stata realizzata dal Certet, l’istituto della Bocconi che si occupa degli effetti economici dei trasporti : «Gli effetti complessivi del blocco definitivo del progetto Torino-Lione sono stati stimati in 20,306 miliardi di euro», si legge nel documento. Un calcolo che stima non solo i risarcimenti alle aziende e i costi di ripristino dei terreni con l’operazione di riempimento delle gallerie già scavate.

Nel calcolo entrano infatti i minori benefici economici generati dall’assenza del progetto, i costi maggiori legati all’attuale vecchia linea e alla necessita di di realizzare comunque una seconda canna dell’attuale tunnel. In sostanza si tratta di decidere se nei prossimi decenni guadagneremo 17 miliardi o ne perderemo 20.

ARMI DI DISTRAZIONE DI MASSA—– IPOCRISIE, DECEREBRAMENTI, SPOPOLAMENTI

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2018/11/armi-di-distrazione-di-massa-ipocrisie.html

MONDOCANE

MARTEDÌ 27 NOVEMBRE 2018

 

“La storia della nostra razza e ogni esperienza individuale sono cucite dalla prova che non è difficile uccidere una verità e che una bugia detta bene è immortale”. (Mark Twain)

https://vimeo.com/300013842 (link a una miaa intervista sulla Grecia realizzata da Patrick Mattarelli. Per aprire il link la password è Ful18vio)

Femminicidi. Non solo.
Metto le mani avanti, ricordando che ho dedicato gran parete di un mio documentario, visto da migliaia di persone, al femminicidio, massima espressione della violenza sulle donne. Se ora dico che al momento parrebbe che, schiacciati a terra e ridotti a pezzetti dall’uragano politico-mediatico sulla violenza sulle donne, noi uomini dobbiamo convincerci che, come tali, uccidiamo a gogò, ma non ci ammazza mai nessuno e che, in nessun caso, potremmo avanzare l’inaudita pretesa di essere, a volte, anche noi vittime. Non delle donne, di qualche donna. Sfido la crocefissione morale se dico che questa, come molte altre ondate di unanimismo di classe femminista, fin dagli anni della Grande Contestazione, potrebbe nutrire il sospetto di trattarsi, nell’intenzione dei noti amici del giaguaro, di grande operazione di distrazione di massa? Ho detto sospetto, non certezza. Vediamone gli spunti.

Fatta salva la sacrosanta protesta contro gli ottusi reazionari e facilitatori delle mammane che puntano a rimettere in discussione la 194 e mettere le zampe sull’autodeterminazione delle donne, abbiamo assistito a un tripudio di ipocrisia. Proprio come quella, del tutto analoga e inserita dalle note manone nella stessa strategia, che vede perorare l’accoglienza universale dei migranti e vituperare chi vi avanza qualche riserva. Come quella che nota lo svuotamento di un’Africa e di un Medioriente infestati da guerre innescate ad arte, o assegnati a multinazionali predatrici, e i relativi traffici di gente da spostare da più o meno nobili trafficanti. Svuotare l’Africa, far tracimare l’Europa mediterranea.

Un’ipocrisia che antropologicamente e socialmente è rappresentata dalla stessa categoria di persone che abbiamo visto rumoreggiare contro la Raggi in Campidoglio, anche per la privatizzazione dell’Atac e contro l’Appendino a Torino, anche per il TAV. Perlopiù donne guidate da donne. Di classe. Non vi abbiamo intravisto traccia delle donne che, come ci racconta il bravissimo Iaccarone in “I dieci comandamenti” (RAI 3), dalla Calabria e dal Sud della desertificazione sanitaria devono fare la colletta per emigrare al Bambin Gesù di Roma per trovare un trattamento oncologico al bambino, piccolo esempio di come si riducono 5 milioni di persone in totale miseria e altri 13 all’orlo della povertà assoluta. 


Un’ipocrisia che, per aver convinto tre cittadini su quattro (sondaggio SWG) che siamo all’emergenza femminicidio, manco fossimo a Ciudad Juarez tra i narcos messicani (di cui nel mio documentario “Angeli e demoni nel laboratorio dell’Impero”), corona la sua oceanica denuncia di piazza e mediatica con una piccola trascuratezza, però di dimensioni morali piuttosto pesanti. 

Uccidere la dignità. Anche dei bambini.
E’ da molti anni che il femminismo ha abbandonato il fronte del trattamento offensivo delle donne in tv e della loro esibizione in Isole dei Famosi e Grandi Fratelli in gara tra loro e con gli uomini a chi si degrada meglio, diseducativo quanto le peggiori pratiche fasciste e in grado di contribuire alle deformazioni mentali alla base di tanta violenza fisica sulle donne. A me personalmente provoca collera mista a disgusto lo sfruttamento commerciale negli spot di bambini anche piccolissimi, ignari di quanto gli stanno facendo fare e dire, quando vengono imbeccati a dire cose false e che non pensano, insomma a prostituirsi. Perlopiù sono le madri a prestarsi a tale mercimonio, spesso per quell’ossessione della visibilità a loro negata e che oggi ci viene concessa in cambio della nostra intimità e privatezza. E dignità. Violenza delle madri sui bambini. Interessa? Sarà un caso, ma non ho visto bambini fare pubblicità nelle tv di Siria, Iraq, Libia.


Le ultime tre parole ci portano al nocciolo dell’uragano di ipocrisia cui abbiamo assistito. Il movimento delle donne è sacrosanto. E non solo in difesa della legge 194 e di altre conquiste da mantenere e raggiungere. Quello che rende l’intera operazione sospetta, oltre al manifesto intento dei manovratori di suscitare il diversivo sociopolitico della guerra donne contro uomini in quanto tali, sono la non innocente dimenticanza di tematiche ineludibilmente prioritarie per ogni rivendicazione e mobilitazione femminile, anche umana. Potremmo parlare dell’ennesima arma di distrazione di massa. Da cosa? Da un’inezia: le guerre che, dal 2011, Torri Gemelle, hanno ucciso tra i 20 e 30 milioni di persone. Donne? Non si sa quante. Eppure quando si uccide una donna, di solito la cosa non si ferma lì, ha ripercussioni più vaste, figli, famiglia, assistiti.

Mainstream: la corrente che (s)travolge
Ne sono specialisti i main stream media. La Repubblica, di cui sapete cosa ha scritto, tra le tante cose, delle guerre per i “diritti umani”. Ma anche della sindaca Raggi prima che la Procura di Roma fosse costretta ad assolverla da tutte le montature, bugie, calunnie. Martedì ha pubblicato due paginoni con le fotine delle firme illustre della catena Debenedetti. Ha raccolto tutte le sue penne più acuminate per neutralizzare le frecciate che alla stampa dell’establishment hanno indirizzato Di Maio e Di Battista dopo lo scandalo mediatico Raggi. Questo a pagina 12 e 13.Basta una pagina svoltata e, sulla 14, leggiamo “Attacco chimico su Aleppo”. Barcamenandosi tra versioni opposte quando è stato provato e rivendicato che si trattava di opera dei jihadisti di Idlib, la redattrice però si rifà: “Anche se la responsabilità del regime negli attacchi che hanno fatto più morti, come quelli di Ghouta del 2013 e poi del 2018, è stata accertata da inchieste internazionali”. E’ falso. E’ vero il contrario. Ma vallo a far sapere ai lettori di “Repubblica” e vallo a farlo ammettere alle sue penne acuminate. Si sono chieste, le manifestanti di sabato, chi è che esercita violenza sulle donne in Siria? E chi la fomenta?

Se la mandria di buoi in formazione d’assalto dà dei cornuti a un paio di asinelli, si deduce che è da molte cose che dovremmo essere distratti. Questa lungimirante pratica, che dalla tattica sta sconfinando ormai nello strategico delle comunicazioni di massa, è riconoscibile anche in certe campagne assordanti di questi nostri tempi in cui l’eterogenesi dei fini è diventata da passiva attiva, da spontanea volontaria. In volgare si chiama depistaggio. E allora proviamo a salire su una torre, un albero, una scala, una mongolfiera e guardiamo dall’alto verso l’orizzonte: constateremo quali viste ci abbia impedito l’ultima di queste campagne di massa.

Orizzonti di gloria e infamia 


Gilet gialli contro il “leader progressista europeo”
In Francia, dopo appena pochi mesi di sosta dal sommovimento anti-Macron dei ferrovieri e di molti altri servizi pubblici, i francesi ci danno l’ennesima dimostrazione, a noi con gli occhi socchiusi dal sonno, di essere quella genìa che ha fatto la rivoluzione dai più radicali e lunghi effetti della Storia (non potendosi definire rivoluzione quella dei monoteismi , semmai controrivoluzione). Centinaia di migliaia di gilet gialli, un’armata di vero popolo, come oggi occorre di fronte alle depredazioni delle élites, che in tutto il paese per giorni e giorni bloccano il paese e tengono testa ai pretoriani dell’establishment, fin nel cuore del suo regno. Hanno il sostengo di 8 francesi su 10. Sono contadini, operai, genti isolate nelle periferie private di servizi pubblici, trasporti, ospedali, tribunali, scuole. Emarginati dalle gentrificazioni e dall’abbandono dei campi a favore dell’agroindustria. Popolo. Ce l’hanno con Macron, crollato al 25% dei consensi, colui che “il manifesto” in unisono con tutto l’arco dei padroni, aveva definito “leader progressista europeo”. E allora sui gilet gialli: sopire, troncare, padre molto reverendo…

In Europa, come l’Idra, è tornata ad ergere la sua orrida testa la Troika, quella della Grecia, quella dei PIGS-porci (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna e ora Italia). I suoi strumenti sono scelti, a seconda delle fasi, tra i gas asfissianti e la mannaia. E’ l’assalto al paese che, almeno nella sua componente gialla (quella verde è l’emanazione del nero), non ha fatto niente di diverso e assolutamente niente di peggio di quanto fatto da altri. Altri che, però, sono coloro per i quali i meccanismi troikisti sono stati inventati. Un paese che si vuole punito per un deficit realizzato dai predecessori. Un paese che invece si vuole annichilito perchè pretende di sottrarsi al principio che la ricchezza debba andare dal basso verso l’alto (Reddito di cittadinanza), che di conseguenza il continente debba morire di avvelenamento (No Tav, Terra dei fuochi), che si oppone alla regola storica per cui criminalità politica e criminalità organizzata debbano convivere e, alla bisogna, cooperare (“Spazzacorrotti”). Un paese che, date le circostanze, non ha fatto moltissimo, ma lo ha fatto contro i principi fondanti dell’intero sistema. Quello del neoliberismo a diktat bancario ed esecuzione burocratica che devasta la società. 

Guerre? Ma dove? Con l’UE 70 anni di pace
Da sopra il nostro osservatorio, su un orizzonte quasi a tiro di schioppo, vediamo bagliori di incendi immani che inceneriscono larga parte delle vite e delle opere degli uomini. E delle donne. Sono le case custodite dalle donne che finiscono in macerie, sono donne alla disperazione che devono trovare nell’impossibile il modo per provvedere alla famiglia, alla cura, al nutrimento, alla vita. Donne vengono sequestrate, stuprate, uccise da belve mercenarie dei nostri alleati. Donne combattenti cadono nella difesa della loro terra. Coloro che plaudono ai cortei antiviolenza di tutto questo sono responsabili diretti o indiretti. Chi glielo dice? Nel giorno della grande dimostrazione contro la violenza sulle donne, qualcuna s’è accorta che in Yemen, 40mila morti e 15 milioni alla fame, una madre e i suoi cinque figli hanno seguito la sorte delle migliaia di donne e dei bambini mirati da bombe da noi costruite e vendute? Che ad Aleppo 107 civili, in aggiunta ai 350mila, metà donne e bambini, sono stati uccisi dai gas tossici sparatigli dai “ribelli” costruiti nel laboratorio Hillary-Obama? Che sono sempre le donne che, sotto una tenda in Giordania o Turchia, nella traversata del deserto, o tra le mani delle Ong, su barconi e nei centri dell’alienazione e dell’esilio devono tenere insieme quel che resta?

Donne spettro

Da tante altre vicende ostruiscono lo sguardo certe roboanti campagne da tutti condivise. Dalla scomparsa, per autodivoramento da eccesso di voracità, dei principi pretesi da ogni forza politica che vantasse nella ragione sociale la lotta per i diseredati e la redistribuzione della risorse. Forza fantasmatica, ma vociferante, che una coalizione fritto misto, ormai più mediatico-bancaria che di numeri umani, unita dalla frustrazione e dall’odio, perché priva di governo e incapace di opposizione, tenta di raffigurare in vita. Poi, da nascondere sotto le funeste previsioni di nuovi migranti da salvare, tante donne espropriate dalla loro terra, c’è l’ennesima bella figura di una Ong, dai nobili trascorsi sanitari nell’orbita dell’Impero (vedi Sonia Savioli “Ong, il cavallo di Troia del capitalismo globale”), che hanno dovuto sequestrare per impedire che ci intossicasse ulteriormente con i suoi rifiuti pericolosi. 

Dogville
Ma c’è un’altra cosa che non si deve avvertire e che le stesse manifestanti e i loro corifei non avvertono e che rappresenta la violenza suprema. I cortei che calano nei centri storici di Roma, Lisbona, Londra, Atene e tante altre città, da quando è passato il rullo compressore neoliberista della Troika, non percorrono più la loro città. La loro città è scomparsa. In alcuni casi da pochi anni, in altri da decenni. Ricordate il film di Lars von Trier, Dogville? Non c’erano le case. Nicole Kidman si aggirava tra segni di case tracciate per terra, planimetrie. Il tutto era sotto controllo della mafia, che poi si portano via la donna che voleva fare del bene. Metafora agghiacciante del nostro destino, urbano e non. Impostato nell’universo parallelo di Wall Street, affidato alle cure della Troika e portato a termine dai sicari locali. 

Non è cambiato nulla dal Medioevo. I gangli del potere, i tentacoli, si irradiano dall’alto verso il basso. Nel castello sta la piovra e attorno le si stringono i ceti beneficiati in cambio di condivisione e collaborazione. Il popolo, la plebe, le masse, un proletariato ormai classe di tutte le classi salvo l’èlite, più lontano sta, meno ce n’è, e meglio è. Tocca drenarlo dei mezzi per cui può restare pericolosamente mescolato al patriziato: austerity, fiscal compact, pareggio di bilancio in costituzione, banche salvate, cittadini mazziati, disoccupazione coatta. Al centro i nuovi templi: banche, istituzioni, catene commerciali grandi firme, alberghi e gli airbnb dei turismi da saccheggio o depravazione di gusto ed etica. Fuori dai maroni chi non ce la fa a reggere l’assalto, in periferia, o via del tutto. Si chiama gentrificazione. Uguale in Africa, ma in direzione contraria. Via dai campi, dalle acque, servono ad altri. Via verso le capitali, le bidonville, le Ong, i barconi, l’esilio per generazioni.

Casetta de Trastevere
A Trastevere, mia base per decenni, nel 1960 il 70% erano trasteverini dai tempi in cui c’era il porto romano. Fiumaroli, artigiani, artisti, osti, cucitrici, fabbri. Nel 1980 era rimasto il 17%. Oggi è lo zero virgola. I più fortunati stanno in zona Marconi, gli altri a Tor Sapienza, Ostia, Acilia. La proprietà immobiliare era di grandi finanziarie, assicurazioni, Vaticano. Nelgli anni ’60 l’affitto per il mio attico in Piazza Cosimato era di 40.000 lire al mese. Oggi quell’appartamento di tre stanzette e balcone costa 3.500 euro. La vista sul Gianicolo se la gode un regista americano.

Spopolare
Torno da Lisbona. Il trattamento Troika ha espulso gli abitanti antichi dal centro storico. Che è lussureggiante di griffe, mangiatoie, b&b, hotel, e pare un salsiccione riempito di turisti in fregola di cibo e monumenti. La versione Usa del caffè, un abominio, “Starbucks”, sta piazzata, larga e grassa, nella più bella stazione Liberty della città.

A Londra l’uccisione della città, London City, tramite la dispersione coatta dei suoi abitanti, è stata affidata alle Olimpiadi. Ad Atene ci sono andati giù pesante. Tagli di salari, tagli di pensioni, tagli di ospedali, scuole, tribunali, vendita di ogni cosa a tedeschi e cinesi, per ripagare un debito costruito meticolosamente dai tedeschi, soprattutto armieri. C’è ancora vita, all’osso, nei quartieri più distanti da Piazza Syntagma e, in un’aria cimiteriale, qualche fuoco fatuo di resistenza. Più di tutti hanno pagato le donne.


Terremoto, che occasione!
Una città senza i suoi abitanti, la sua cultura, la sua anima dunque, non è più una città. E’ un centro direzionale circondato da pulviscolo inoffensivo. Qualcuno fantastica di metterci quelli del Senegal, come nei borghi spopolati. La strategia èquella di Malthus. Vale per la Grecia e per l’Italia, con i rispettivi centomila giovani, costruttori del futuro nazionale, nel nome di Giotto e nella scia di Dante, di Prassitele e Sofocle, che vanno e non tornano. Rafforzano coloro che ci riducono così. E se i non consoni alle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione pensano di resistere, gli togli i treni, i pronti soccorsi, l’oncologia, l’università, i vigili del fuoco, asili, elementari, medie e licei. E quando ti si offre un’occasione d’oro come il terremoto, li lasci all’addiaccio, in tenda, nel camper, in campeggio al mare, o nelle casette in cui sui pavimenti crescono funghi, i cui boiler ghiacciano, i cui tetti crollano. Non gli ricostruisci una cippa e rimandi in grembo a Giove la decisione se le case siano agibili o no. Vedrai che alla fine se ne vanno e anziché viaggiare sul chilometro zero, fisiologico per chi lì produce e consuma, ma micidiale per la globalizzazione, da Arquata del Tronto si andrà ad Ancona all’Auchan. E il figlio a Londra.

Al loro posto, dicono, perché non africani? Impareranno Giotto e dimenticheranno i loro templi.

Nel mio ultimo docufilm, “O la Troika o la vita”, che tratta di Grecia, trivelle, gasdotti e altri crimini, il capitolo più grosso è dedicato al terremoto nel Centroitalia. Dove, dopo due anni, non siamo più al chilometro zero, ma allo zero assoluto. Quello dove non c’è vita. Quel documentario l’ho sottotitolato “Non si uccidono così anche i paesi”? Le donne, di solito, sono le ultime ad andarsene. Quando vanno loro è finita.Se ne accorgerà qualche corteo? O ci affidiamo a Mimmo Lucano?
 

La carica dei 1500 imprenditori: “Tutti a Torino per dire sì alla Tav”

https://torino.repubblica.it/cronaca/2018/11/26/news/la_carica_dei_1500_imprenditori_tutti_a_torino_per_dire_si_alla_tav_-212653600/

Lunedì 3 dicembre prima tappa di un mese decisivo per l’alta velocità

di PAOLO GRISERI

26 novembre 2018

Se c’è un destino nei luoghi, era inevitabile che la kermesse nazionale degli imprenditori italiani a favore della Tav e delle infrastrutture si svolgesse alle Ogr, le officine delle grandi riparazioni ferroviarie di inizio Novecento. Il pomeriggio del 3 dicembre, data di convocazione dell’assemblea, si tratterà in qualche modo di riparare un progetto, quello della nuova linea Torino- Lione, che i grillini al governo stanno cercando di picconare per ragioni ideologiche.

Saranno 1.500 gli imprenditori italiani presenti nella grande sala dove normalmente si svolgono i concerti. L’iniziativa, partita dai vertici nazionali di Confindustria, ha coinvolto via via tutte le principali organizzazioni delle imprese italiane e trasformerà Torino nella capitale della protesta del mondo dell’economia contro le politiche economiche del governo. Una mossa che preoccupa, e non poco, l’ala moderata dei grillini, oltre, naturalmente, alla componente leghista.

Hanno finora aderito, oltre a Confindustria, Confapi (l’associazione delle piccole e medie imprese), l’Ance (i costruttori), gli artigiani di Cna e Confartigianato, i negozianti di Confcommercio e Confesercenti, Confagricoltura, Lega delle Cooperative e Confcooperative. Ogni associazione ha convocato per quel giorno a Torino le sue giunte esecutive. Sono stati contattati anche i sindacati, almeno quelli delle categorie più vicine ai problemi delle infrastrutture, come gli edili. Saranno dunque alle Ogr il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, il numero uno di Confcommercio, Carlo Sangalli, il presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti.

L’appuntamento del 3 dicembre apre una settimana forse decisiva per il futuro della Tav. Due giorni dopo infatti gli imprenditori delle 33 sigle che avevano consegnato al prefetto un documento nel giorno della marcia dei 40 mila Sì Tav saranno ricevuti dall’ala grillina del governo: in testa il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il vicepresidente Luigi Di Maio e il ministro dei trasporti Danilo Toninelli. Un incontro, quello del 5 dicembre, che si svolgerà a Roma e che potrebbe essere l’occasione per capire se il governo vorrà almeno sbloccare i bandi di gara di Telt anche in attesa del completamento della valutazione costi/ benefici. Sarebbe una mossa importante alla vigilia della manifestazione dei No Tav prevista per l’ 8 dicembre. Una mossa che eviterebbe di appiattire la posizione grillina su quella di chi manifesterà per le strade di Torino contro la nuova linea ferroviaria.
Infine, l’ultimo appuntamento, forse quello decisivo, sarà il 17 dicembre a Roma, dove si riunirà il consiglio di amministrazione di Telt, la società che sta scavando il tunnel di base. In quella occasione i due governi italiano e francese dovranno far arrivare una nota formale sulle loro intenzioni circa l’avvio dei 2 miliardi di gare finora sospesi.

OU VA ADDIS-ABEBA ? L’ETHIOPIE AU CŒUR DU GRAND JEU GEOPOLITIQUE EN AFRIQUE DE L’EST

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Flash Vidéo Géopolitique/ Geopolitical Flash Video/

2018 11 23/
VIDEO.FLASH.GEOPOL - Quid de l'Ethiopie - presstv (2018 11 23) FR

Le Flash Vidéo du jour …

Le géopoliticien Luc MICHEL dans le ZOOM AFRIQUE du 21 novembre 2018

sur PRESS TV (Iran)

L’action géopolitique et géoéconomique spectaculaire du nouveau premier ministre éthiopien appalle beaucoup de questions. Notamment pour qui « roule » Abbiy Ahmed ? La globalisation libérale (ces réformes économiques allant dans ce sens, mais la coalition au pouvoir est sceptique par rapport au capitalisme globalisé) ? Les américains ? Les chinois (qui financent le rapprochement entre l’Ethiopie et l’Erythrée, mais aussi avec les deux soudans) ? Les russes (de retour et très présents en Erythrée et au Soudan). Et si Abbyi Ahmed travaillait tout simplement pour l’avenir de son pays …

J’ai traité avant-hier cet important sujet, qui change toute la géopolitique de l’Afrique de l’Est, pour le ZOOM AFRIQUE de PRESS TV. J’ y borde les questions sur l’action du nouveau Premier ministre éthiopien Abiy Ahmed :

Éthiopie: pourquoi toutes ces réformes ?

Que cachent les opérations anti-corruption ?

Pour qui « roule » le nouveau pouvoir d’Addis-Abeba ?

Où va l’Ethiopie ?

Sources :

* La Video sur PANAFRICOM-TV/

L’ETHIOPIE AU CŒUR DU GRAND JEU GEOPOLITIQUE EN AFRIQUE DE L’EST (LUC MICHEL SUR PRESS TV CE 21 NOV. 2018)

sur https://vimeo.com/302140356

* L’article et l’émission complète sur :

https://www.presstv.com/DetailFr/2018/11/21/580687/Base-dAgadaz-les-USA-pris-de-court

UN REGARD SUR CE QUI SE PASSE EN ETHIOPIE (1) :

LES REFORMES ECONOMIQUES

L’Éthiopie sur la voie de la libéralisation économique partielle. Le nouveau Premier ministre l’a annoncé mardi 5 juin : l’État va ouvrir le capital de certaines entreprises publiques dont les plus importantes comme Ethiopian Airlines ou EthioTelecom. Cette annonce s’inscrit dans la volonté de réforme affichée par Abiy Ahmed depuis son entrée en fonction début avril. Et c’est un virage pour la coalition au pouvoir, sceptique à l’égard du capitalisme mondialisé. La réforme se fera « progressivement » a prévenu Abiy Ahmed, le lendemain de l’annonce officielle. Les dirigeants de l’EPRDF au pouvoir depuis 1991 restent suspicieux à l’égard du capitalisme et des spéculateurs, analyse un économiste interrogé par Reuters.

Il n’empêche, l’annonce a pris tout le monde de court. Le gouvernement va permettre aux investisseurs privés, éthiopiens ou étrangers, d’entrer au capital d’Ethiopian Airlines, d’EthioTelecom, de la compagnie logistique et de transport maritime ainsi que de la compagnie nationale d’électricité. Cependant, l’Etat restera majoritaire. Majorité absolue ou relative ? On ne sait pas pour le moment. D’autres entreprises publiques vont être entièrement cédées au privé. Il est question du chemin de fer, d’usines ou des parcs industriels dont le pays se dote pour tenter d’attirer les compagnies textiles notamment. Cela aurait dû être fait depuis longtemps, estime le professeur de politiques publiques à l’université d’Addis-Abeba, Costentinos Berhutesfa.

« Le gouvernement éthiopien a été très chanceux en ce sens que les donneurs internationaux ont été généreux, ils ont donné autour de quatre milliards de dollars en aide au développement. La diaspora envoie aussi 4 milliards de dollars à travers les banques. Et puis vous avez les prêts qui sont accordés pour les grands projets. Sauf qu’aujourd’hui, ces prêts ne vont bientôt plus être soutenables. Donc le gouvernement doit chercher d’autres sources. » « La balance commerciale reste largement déficitaire. Le pays souffre d’un manque criant de devises comme le dollar ou l’euro. La Banque centrale n’aurait, selon les sources, qu’entre un et deux mois d’importations en réserve. Si des investisseurs achètent des parts d’entreprises publiques, cela peut amener des devises ». Atlaw Alemu, directeur du département d’économie de l’université de la capitale, y voit une autre justification : « Les entreprises d’Etat sont moins efficaces, leurs performances sont très faibles. Il y a un grand nombre de détournements dans certaines d’entre elles, ou du gaspillage, de la corruption. Ces privatisations peuvent réduire ou résoudre ce genre de problème. »

Au-delà, le Premier ministre Abiy dit espérer faire baisser à terme le chômage de masse alors que 40% de la population éthiopienne a moins de 15 ans et que, chaque année, jusqu’à trois millions de personnes entrent sur le marché du travail. Certaines entreprises du secteur des télécoms se montrent d’ores et déjà intéressées comme les Sud-Africains MTN et Vodacom (filiale du groupe britannique Vodafone). Mais beaucoup reste à préciser dans cette réforme éthiopienne. Il faudra modifier les lois existantes.

UN REGARD SUR CE QUI SE PASSE EN ETHIOPIE (2) :

LA LUTTE ANTI-CORRUPTION AVEC EN ARRIERE-PLAN LA CONFRONTATION ENTRE ARMEE ET NOUVEAU POUVOIR CIVIL

En Ethiopie, les autorités ont arrêté ce 12 novembre 63 officiers de l’armée et des services de renseignement. Des officiers accusés de corruption et de violation des droits de l’homme. Ce genre d’arrestation est assez rare dans le pays et représente une nouvelle inflexion de la politique du Premier ministre Abiy Ahmed. Abiy Ahmed veut rompre avec le passé autoritaire du pays. Le Premier ministre enchaîne les mesures d’assouplissement depuis son arrivée au pouvoir, en avril dernier. Levé de l’état d’urgence, libération de milliers de prisonniers politiques, signature de la paix avec l’Erythrée pour ne citer que les plus exemplaires.

Donc, ce 12 novembre, les autorités ont annoncé l’arrestation de 63 officiers du puissant appareil de sécurité : 27 arrêtés pour corruption présumée et 36 écroués pour violation présumée des droits de l’homme. Berhanu Tsegaye, le procureur général, n’a pas précisé l’identité des suspects, mais il a indiqué que « certains faits avaient eu lieu à la Metals and Engeneering Corporation (Metec), une entreprise dirigée par l’armée ». Comme les armées egyptienne et soudanaise, l’armée éthiopienne dirige un vaste complexe économique. La Metec est notamment impliquée dans la construction du méga-barrage éthiopien de la renaissance, sur le Nil Bleu. Les responsables auraient acheté des biens pour le montant de 1,8 milliard d’euros. Des achats sans appel d’offres. Pour ce qui est des violations des droits de l’homme, elles auraient lieu dans les prisons secrètes où les détenus subissaient divers sévices tels que viol en réunion, sodomie, exposition prolongée à une chaleur et à un froid extrêmes, simulacre de noyade et privation de lumière naturelle.

(Sources : AFP – Reuters – RFI – Quartz Africa – Panafricom-TV – EODE Think Tank)

Photo :

En Éthiopie, « face à la corruption rampante », le PM Abiy Ahmed lance une vaste d’arrestations dans l’armée et les services de renseignement du pays.

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

(Flash Vidéo Géopolitique/

Complément aux analyses quotidiennes de Luc Michel)

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

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* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

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Appello per l’8 Dicembre 2018, 9a Giornata Internazionale contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e per la Difesa del Pianeta

Comunicato Stampa

PresidioEuropa

Movimento No TAV

26 novembre 2018

www.presidioeuropa.net/blog/?p=17732

Appello per l’8 Dicembre 2018, 9a Giornata Internazionale contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e per la Difesa del Pianeta

“Le Resistenze nei Territori Rilanciano il Bel Paese e Difendono il Futuro del Pianeta”

Vi è stata un’ampia convergenza dei movimenti verso la data dell’8 DICEMBRE 2018 quale 9a Giornata Internazionale contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e per la Difesa del Pianeta con una mobilitazione diffusa contro le opere più o meno “grandi”, inutili, dannose e devastanti, imposte da lobbies il cui solo scopo è il profitto, ai danni della salute pubblica, degli equilibri ambientali, della stessa democrazia.

L’unità delle lotte è stata costruita attraverso una riflessione che si è sviluppata negli ultimi due mesi con gli incontri di Nova Siri, Venezia, Firenze, Melendugno, Roma, Venaus e che proseguirà a Napoli per giungere ad una grande manifestazione nazionale.

Quest’anno l’8 dicembre diventa anche la Giornata per la difesa del Pianeta

Sono molte le associazioni ed i movimenti coinvolti sul territorio che hanno condiviso l’appello “SI’ – AMO LA TERRA!”, per organizzare una campagna a carattere nazionale in coincidenza della Conferenza ONU COP 24 sul clima che si svolgerà a Katowice, in Polonia, dal 3 al 14 Dicembre per tentare di contenere il riscaldamento climatico al di sotto della soglia di 1,5°C rispetto ai livelli pre industriali.

È noto che il clima è già in estrema crisi oggi e l’ultimo rapporto IPCC indica che le emissioni vanno ridotte subito, altrimenti nel 2030 avremo già superato la soglia di sicurezza del riscaldamento globale di 1,5°C.

Gli eventi climatici estremi anche in queste settimane impongono anche ai più scettici, con la forza della devastazione, dal Nord al Sud Italia, l’evidenza degli sconvolgimenti climatici che da anni caratterizzano diverse regioni del Pianeta con conseguenze enormi per la desertificazione, per le carestie, per l’incremento esponenziale dell’inquinamento atmosferico, e per le migrazioni.

L’8 Dicembre, celebrato come la Giornata Internazionale contro le Grandi Opere Inutili ed Imposte, è stata proposta fin dal 2010 dal Movimento No TAV

In occasione dell’8 Dicembre 2018 abbiamo tutte/i la responsabilità di organizzare una mobilitazione adeguata nei contenuti e nei messaggi programmatici, con la consapevolezza di agire in contemporanea con gli altri movimenti che si battono nelle diverse Regioni con piattaforme ed obiettivi analoghi, per chiedere rispetto e salvaguardia della salute e dei territori, più democrazia, nonché una chiara svolta nelle scelte energetiche fondate sul contenimento della quantità prodotta e sull’uso più efficiente di energia, sulla riconversione dal fossile alle rinnovabili pulite su modello diffuso, decentrato e socialmente partecipato.

Si chiede un cambio di rotta rispetto ad un paradigma energetico e produttivo, per il diritto al clima ed alla giustizia climatica, per favorire cooperazione e convivenza sociale.

Si chiede il diritto all’acqua pubblica, una nuova Strategia Energetica Nazionale riscritta senza interessi delle lobbies, in grado di superare la mistificazione della centralità del gas, la messa a soluzione delle scorie nucleari, per le bonifiche e per la messa in sicurezza del territorio, per una conversione economica a fini sociali degli investimenti destinati alle grandi opere inutili e dannose e alle spese militari, il disarmo nucleare.

Su tutto il territorio nazionale, dove maggiore è il radicamento dell’iniziativa dei movimenti di opposizione sociale alle Grandi Opere Inutili e Imposte, verranno organizzati momenti di lotta e di sensibilizzazione per favorire l’accelerazione verso lo STOP alle devastanti emissioni climalteranti.

Questo appello è un invito affinché la popolazione partecipi alle manifestazioni che saranno organizzate l’8 dicembre 2018 in molte piazze d’Italia da decine di associazioni nella convinzione che

LE RESISTENZE NEI TERRITORI RILANCIANO IL BEL PAESE E DIFENDONO IL PIANETA

 

SCANDALE SEXUEL ET CORRUPTION À L’UNION AFRICAINE. L’UA AU BORD DU GOUFFRE !

# CE DIMANCHE MATIN 25 NOV. 2018 SUR AFRIQUE MEDIA/

‘LIGNE ROUGE’ SPECIALE AVEC LE GEOPOLITICIEN LUC MICHEL :

Vers 7h (Douala-Ndjaména-Malabo)

et (Bruxelles-Paris-Berlin)

Luc MICHEL en Duplex EODE-TV depuis Bruxelles

Thème de l’émission spéciale :

L’UNION AFRICAINE AU BORD DU GOUFFRE, CORRUPTION ET HARCÈLEMENT SEXUEL …

AMTV - LIGNE ROUGE LM échec ua (2017 11 25)

« Le harcèlement sexuel, une pratique «très répandue» au sein de l’Union africaine », titre l’AFP. Selon les conclusions rendues vendredi 23 novembre par le comité chargé d’une enquête interne au sein de la Commission africaine, il y a bien des pratiques de harcèlement moral et sexuel au sein de l’institution. Le rapport avait été commandé en mai dernier par le président de la Commission de l’Union africaine Moussa Faki Mahamat. Les enquêteurs ont interrogé 88 personnes, qui ont témoigné anonymement. L’affaire est d’ailleurs partie d’une lettre anonyme au printemps dernier. D’après le comité de haut niveau mis en place pour enquêter, trois personnes sont venues témoigner de ce qu’elles auraient subi. Mais elles se sont ensuite rétractées. Aucune indication sur le pourquoi, les conditions de cette volte-face.

Quoi qu’il en soit, le communiqué de la Commission de l’UA cite in extenso les conclusions des enquêteurs, preuve qu’elles ne sont pas prises à la légère. Ils évoquent des « faiseurs de rois », capables de monnayer auprès de jeunes employées un travail contre des faveurs sexuelles. L’UA fait état d’une « confirmation quasi-unanime du caractère très répandu du harcèlement sexuel par les personnes invitées à témoigner ». Au-delà du côté sexuel, de nombreux cas de harcèlement moral, de vexations et d’intimidations ont été rapportés par presque l’ensemble des employés qui sont venus témoigner. Les principales victimes du harcèlement sont les précaires de l’institution.

Le rapport évoque aussi des pratiques de corruption. Des responsables auraient validé des missions ou choisi des contractants en échange de services rendus, des contrats auraient été surfacturés. De manière générale, le comité décrit des relations de travail malsaines dans plusieurs organes de l’UA.

Vendredi après-midi, le président Faki a réuni les employés. Ceux-ci restent discrets sur ce qu’il a dit. Pas de sanctions annoncées, semble-t-il. « Tout ça n’est pas nouveau. J’espère juste qu’il y aura des actions prises, qu’on ait une Union plus saine », conclut un participant.

LE GEOPOLITICIEN LUC MICHEL :

VERS L’ÉCHEC ANNONCÉ DE L’UNION AFRICAINE ?

Dans une grande analyse spéciale sur l’échec annoncé de l’UA, Luc MICHEL répond aux questions essentielles :

* Scandale sexuel et corruption à l’Union Africaine, quelques jours après l’échec annoncé de la réforme Kagamé à Addis-Abeba : qu’est ce qui ne va pas avec l’UA ?

* Pourquoi l’UA n’a-t-elle pas tiré les leçons de l’échec de l’OUA qui l’a précédée ?

* Comment expliquer que l’UA ne pèse rien sur la scène internationale, malgré de beaux discours ?

* Kadhafi est le père – que certains ont renié (son portrait a été honteusement retiré du siège ethiopien de l’UA) – de l’Union africaine le 9 sept 1999. Que reste-t-il de son projet géopolitique et géoéconomique ?

* En tant que théoricien néopanafricaniste – vous avez notamment publié un manifeste-programme théorique, L’ABC DU NEOPANAFRICANISME, vous proposez la création des « Etats-Unis d’Afrique » au départ d’un « noyau dur panafricaniste ». « Il suffirait de deux pays au départ », dites-vous …

* Comment cela pourrait-il être l’alternative aux échecs répétés de l’OUA et de l’UA ?

# ALLER PLUS LOIN :

* Voir sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/

FLASH VIDEO/ 11e SOMMET EXTRAORDINAIRE DE L’UA À ADDIS-ABEBA (I). LES ENJEUX DU SOMMET ET L’AVENIR DU PANAFRICANISME

Sur http://www.lucmichel.net/2018/11/19/luc-michels-geopolitical-daily-flash-video-11e-sommet-extraordinaire-de-lua-a-addis-abeba-i-les-enjeux-du-sommet-et-lavenir-du-panafricanisme/

* Voir sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/

FLASH VIDEO/ 11e SOMMET EXTRAORDINAIRE DE L’UA À ADDIS-ABEBA (II). L’ECHEC PROGRAMME DE KAGAME ET DES LIBERAUX

Sur http://www.lucmichel.net/2018/11/19/luc-michels-geopolitical-daily-flash-video-11e-sommet-extraordinaire-de-lua-a-addis-abeba-ii-lechec-programme-de-kagame-et-des-liberaux/

* Voir sur PANAFRICOM-TV/

UNIFICATION ET LIBERATION DE L’AFRIQUE !

LES BASES IDEOLOGIQUES DE PANAFRICOM : L’ABC DU NEOPANAFRICANISME (LUC MICHEL, JUIN 2016)

Sur http://www.lucmichel.net/2017/08/30/panafricom-tv-unification-et-liberation-de-lafrique-les-bases-ideologiques-de-panafricom-labc-du-neopanafricanisme-luc-michel-juin-2016/

Voir en particulier la PARTIE IV :

L’ETAT PANAFRICAIN : UNIFIER L’AFRIQUE !

Le vrai clivage au XXIe siècle: Libéralisme vs Etatisme.

(Un clivage mondial pertinent : voir les exemples de la jamahiriyah libyenne, de la Yougoslavie post-titiste, de la Russie post-soviétique).

Construire l’Etat continental panafricain.

Quelle forme : l’Etat qui fonde la Nation et la précède ?

(Voir l’exemple de la formation classique de l’Etat français)

Le « rêve à 54″ ou le noyau dur initiateur ? Partir des états à la base ?

La bourgeoisie compradore qui trahit l’Afrique !

(le débat « complots ou infantilisation des africains »).

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AFRIQUE MEDIA

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Tav, il “teorema Thatcher” per evitare grandi sprechi

https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/tav-il-teorema-thatcher-per-evitare-grandi-sprechi/

Nel 1981 la premier inglese impose che l’Eurotunnel fosse a carico dei privati, proteggendo il pubblico da un disastro. Perché non fare lo stesso?
Tav, il “teorema Thatcher” per evitare grandi sprechi

Costruire grandi opere coi soldi degli altri è bellissimo, soprattutto se saranno pagate in futuro da ignari contribuenti che non avranno mai occasione di utilizzarle. È l’esatto contrario dell’economia di mercato nella quale invece le scelte sono individuali, così che ognuno possa comperare solo i beni che ritiene valgano più dei soldi che deve, lui  stesso di persona e non altri al suo posto, pagare per ottenerli. Dopo i movimenti No Tav ecco infatti a Torino la manifestazione di piazza dei Sì Tav, cittadini che sono fautori entusiasti della realizzazione della Torino-Lione. Ma questi sostenitori sono anche, o saranno in futuro, utilizzatori della linea? Ad esempio, assidui frequentatori della capitale francese o della bella città sul Rodano? Oppure importatori di champagne, cognac e pregiati formaggi d’oltralpe o esportatori di ottimi vini piemontesi? Lecito dubitarne.

PER ANDARE velocemente a Parigi i torinesi già oggi dispongono di quattro voli quotidiani di Air France, una soluzione molto più rapida rispetto all’utilizzo dei tre Tgv quotidiani di Sncf. Con l’aereo, i torinesi recuperano già ora quattro ore rispetto al treno, dieci volte quello che potrebbero risparmiare col treno una volta entrato in funzione il costosissimo tunnel di base del Fréjus. E d’altra parte il mercato dei collegamenti tra Torino e Parigi non sembra essere così interessante se nessun vettore low cost ha sinora ritenuto di servire la rotta aerea e se i treni Thello di Trenitalia preferiscono collegare Milano con Parigi via Svizzera e Digione anziché Torino e Lione.

I milanesi hanno molti più collegamenti con Parigi, ma tutti quelli aggiuntivi sono per via aerea: ben 24 voli quotidiani dai tre aeroporti, di cui 11 offerti da vettori low cost, 7 da Air France e 6 da Alitalia. I milanesi che hanno paura di volare debbono invece sobbarcarsi 7 ore e mezza sui treni Tgv diurni di Sncf, 6 ore in più rispetto all’aereo; in alternativa il Thello notturno di Trenitalia. Se si farà il tunnel di base del Fréjus, i pochi milanesi che prendono il treno per Parigi risparmieranno 20-30 minuti al massi- mo mentre già ora ne risparmierebbero oltre 40 se solo il Tgv percorresse la linea ad alta velocità tra Milano e Torino, in esercizio da quasi un decennio. Invece continua a percorrere la vecchia linea, non essendo mai stato omologato per la rete ad alta velocità italiana. In sostanza l’unico pezzo di linea ad alta velocità esistente tra Milano e Lione non è mai stato utilizzato per andare da Milano a Lione, a conferma del fatto che in Italia è fondamentale costruire le grandi opere ma è poi del tutto facoltativo utilizzarle. E se i treni ad alta velocità attuali tra Milano e Parigi non usano i quasi 150 km di linea ad alta velocità esistente tra Milano e Torino, costata 8 miliardi, perché mai a- vrebbero bisogno di altri 60 km di linea ad alta velocità sotto le Alpi, il cui costo è stimabile in almeno ulteriori 8 miliardi?

Qualcuno sosterrà che è per trasportare le merci, ma anche questo, a parte il fatto che le merci non hanno un così grande bisogno di viaggiare ad alta velocità, non è vero. Sotto l’attuale Fréjus ferroviario passano meno di 3 milioni di tonnellate di merce all’anno; erano oltre il doppio negli anni 80 e oltre il triplo nella seconda metà degli anni 90. E questa caduta non è dovuta a un’emigrazione verso la gomma; infatti dalla fine degli anni ’90 a oggi il traffico alpino stradale delle merci da e verso la Francia è diminuito del 27%, quello ferroviario del Fréjus del 65% e il traffico merci alpino totale, ferro più gomma, del 36%. A cosa può dunque servire il Tav se non ad accontentare i manifestanti torinesi?

Le riflessioni precedenti sembrano dar ragione alla rigida posizione tenuta dal primo ministro britannico Margaret Thatcher sul progetto del tunnel sotto la Manica, quando resistette alle pressioni del presidente francese Mitterrand per finanziare l’opera con soldi dei contribuenti dei due Paesi. Diede infatti il via libera all’opera, ma solo a condizione che non venisse speso neppure un penny di soldi pubblici (‘ not a public penny’). In questo modo preservò i suoi contribuenti da un pessimo affare, al contrario degli 800 mila piccoli azionisti privati, soprattutto francesi, che sottoscrissero le azioni della società costruttrice del tunnel e si ritrovarono dopo pochi anni con il valore dell’investimento quasi completamente azzerato. Come ha scritto Marc Fressoz nel libro Le scandal Eurotunnel (Flammarion, Parigi 2006), “La più grande vittoria della Thatcher fu soprattutto di aver imposto a un Presidente francese socialista un finanziamento al 100% privato. Una scelta irrevocabile che per la Dama di ferro doveva dimostrare la superiorità del liberalismo”.

DA QUESTA nota posizione si può ricavare una sorta di ‘teorema di Margareth Thatcher’ sulle grandi opere: in primo luogo una grande opera deve essere giustificata da una corrispondente elevata domanda dei suoi utilizzatori. Una grande opera senza domanda equivalente è solo un grande spreco, una cattedrale nel deserto che può essere accollata solo a soggetti pubblici, dato che nessun investitore privato sarà mai disponibile a farsi carico degli oneri di realizzazione in cambio dei diritti di sfruttamento. Invece una grande opera con grande domanda è ripagabile con i futuri proventi e può quindi essere realizzata e gestita da operatori privati in concessione, senza necessità di assunzioni di rischi e oneri in capo al settore pubblico. Elevata domanda implica un’elevata disponibilità a pagare e dunque anche un’adeguata capacità di autofinanziamento. Ai manifestanti Sì Tav di Torino la Thatcher avrebbe detto semplicemente questo: desiderate il Tav? Allora fondate una società, sottoscrivetene le azioni, fatevi dare la concessione per la costruzione e l’esercizio e costruitevela. Esattamente come dovettero fare negli anni 90 gli azionisti di Eurotunnel.

Paga Pantalone Con buoni traffici non servono soldi statali: non è il caso della Torino-Lione

PRESIDENTIELLE 2018 EN RDC. POUR EN FINIR AVEC L’OPPOSITION COMPRADORE CONGOLAISE (SUR AFRIQUE MEDIA)

* Sur RD CONGO-TV & PANAFRICOM-TV/
LUC MICHEL:
PRESIDENTIELLE 2018 EN RDC.
POUR EN FINIR AVEC L’OPPOSITION COMPRADORE CONGOLAISE (SUR AFRIQUE MEDIA)

la video sur https://vimeo.com/302503157

vignettevideoRDCONGO

* Thème de l’émission :
RDC / PRESIDENTIELLE 2018
L’OPPOSITION EST- ELLE REELEMENT PRETE A AFFRONTER EMMANUEL RAMAZANI ?
A quelques semaines de l’élection présidentielle 2018 en RDC, l’équation d’une candidature unique de l’opposition reste difficile.

* Le géopoliticien Luc MICHEL continue son coup de projecteur sur l’opposition compradore congolaise et ses mentors :
Qui sont les véritables organisateurs des réunions de l’Opposition congolaise à Genève et à Pretoria ?
Qui est J. Peter Pham, le nouvel envoyé spécial de Trump dans la région des Grands-Lacs, chargé d’organiser des changements de régime à Kinshasa et Bujumbura ?
Que s’est-il passé réellement à Genève entre les chefs de l’opposition pro-occidentale ?

EDITION SPECIALE
Sur AFRIQUE MEDIA ce 21 nov. 2018
Images :
EODE-TV pour le duplex avec Bruxelles
Montage/réalisation : PANAFRICOM-TV

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WASHINGTON FRAPPE À NOUVEAU LE BURUNDI RESISTANT (ZOOM AFRIQUE SUR PRESS TV, IRAN)

 

* Voir sur PANAFRICOM-TV & VOXBURUNDI/

WASHINGTON FRAPPE À NOUVEAU LE BURUNDI RESISTANT (ZOOM AFRIQUE SUR PRESS TV, IRAN) La video

sur https://vimeo.com/302500242

vignettevideoBURUNDI

Le 6 novembre 2017, le président des États-Unis, Donald Trump, a prolongé le « National Emergency with Respect to Burundi » (« État d’urgence concernant le Burundi »), qui reconduit les sanctions touchant huit personnalités burundaises.

À titre de rappel, le 22 novembre 2015, le président Barack Obama, statuant que « la situation au Burundi, marquée par les assassinats et la violence contre les civils, l’incitation à la violence et une répression politique, et qui menace la paix, la sécurité et la stabilité du Burundi, constitue une menace extraordinaire pour la sécurité nationale et la politique étrangère des États-Unis » (sic), a signé le décret 13712. Oubliant que la déstabilisation et le changement de régime étaient programmés par le même Obama depuis le Sommet USA-African Leaders d’août 2014 à Whashington et le lancement du soi-disant « printemps africain » ! Concrètement, ce décret impose des sanctions ciblées à l’endroit des individus au sein du gouvernement du Burundi et – hypocrisie suprême des USA – « des groupes armés qui contribuent à l’instabilité, y compris les menaces à la paix et à la sécurité » (ndlr : les dits groupes terroristes pro-occidentaux étant liés au Rwanda et aux appareils occidentaux de déstabilisation de l’Afrique), « les actions qui minent les institutions démocratiques et les violations des droits de l’homme ».

Plus spécifiquement, dans le cadre dudit décret, « des sanctions ciblées ont été imposées aux personnes identifiées par le Secrétaire du Trésor, en consultation avec le Secrétaire d’État, et leurs biens et intérêts ont été gelés par États-Unis. De plus, les personnes de nationalité américaine ne peuvent faire des affaires avec eux. Le décret impose également des restrictions sur les visas aux personnes identifiées ».

Les personnes qui ont été identifiées sont :

  1. Alain Guillaume Bunyoni, ministre de la Sécurité publique 2. Godefroid Bizimana, directeur adjoint de la police nationale burundaise 3. Cyrille Ndayirukiye, ancien ministre de la Défense 4. Gervais Ndirakobuca, Chef de Cabinet du ministre de la Sécurité publique 5. Léonard Ngendakumana, officier 6. Joseph Mathias Niyonzima, agent du service national de renseignement

Deux dirigeants terroristes pro-occidentaux, ont été ajoutés à la liste, pour faire croire à la soi-disant impartialité de Washington :

  1. Alexis Sinduhije, président du MSD (le chef de file politique du terrorisme étranger au Burundi) 8. Godefroid Niyombare, ancien chef de service national de renseignement, l’auteur du coup d’état pro-occidental avorté de mi-mai

2015 (prétendant vivre dans la clandestinité, il est en fait protégé en Europe par le Quai d’Orsay et le Ministère belge des Affaires étrangères).

En définitive, comme cela avait été fait par son prédécesseur le 9 novembre 2016, le président Donald Trump a prolongé, pour une durée d’une année, les sanctions prises à l’endroit des personnalités citées plus haut à travers le décret 13712 signé par Barack Obama le 22 novembre 2015. Entre Obama et Trump, il y a continuité de la déstabilisation du Burundi et de l’Afrique … _______________

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L’8 DICEMBRE – Corteo No Tav, le madamin pronte alla contro-manifestazione

«Sì vogliamo muoverci. Agiremo con la stessa compostezza e compattezza che abbiano tutti insieme dimostrato durante la nostra grande manifestazione del 10 novembre»

Corteo No Tav, le madamin pronte alla contro-manifestazione
Torino, chi sono le 7 madamin favorevoli alla Tav (e contro la decrescita del M5s)
  • Torino, chi sono le 7 madamin favorevoli alla Tav (e contro la decrescita del M5s)
  • Torino, chi sono le 7 madamin favorevoli alla Tav (e contro la decrescita del M5s)
  • Torino, chi sono le 7 madamin favorevoli alla Tav (e contro la decrescita del M5s)

E poi invita a segnalare idee e modalità: «drappi ai balconi, palloncini, abiti arancioni, ecc.». Quindi non una contromanifestazione in un’altra piazza cittadina ma una reazione, per così dire, scenografica al corteo No Tav.