INCHIESTA / ITALIA HA VERSATO ALLA UE 109,7 MILIARDI DI EURO PIU’ FONDO SALVA STATI. IN CAMBIO DISOCCUPAZIONE E POVERTA’

http://www.sapereeundovere.it/inchiesta-italia-ha-versato-alla-ue-1097-miliardi-di-euro-piu-fondo-salva-stati-in-cambio-disoccupazione-e-poverta/

Sapere è un Dovere

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Ieri il premier non eletto Matteo Renzi, in risposta alle tensioni tra la Grecia ed la Germania, azionista di riferimento dell’unione europea, ha ribadito che serve un salto di qualità, passare dall’unione economia all’unione politica.

Nobili parole di un europeista convinto, talmente convinto da aver affermato che lui, il referendum greco, non l’avrebbe mai fatto celebrare, con buona pace di quella strana bestia (per gli oligarchi europei) che si chiama democrazia.

Le motivazioni le conosciamo: “l’europa ci protegge”, “siamo troppo piccoli per poter essere competitivi”, “da soli non sappiamo cavarcela”. Affermazioni al limite dell’autorazzismo e soprattutto prive di fondamento, altrimenti non si capisce come potrebbe sopravvivere Singapore (se vogliamo parlare di dimensioni) o il fatto che i tanto celebrati tedeschi siano in cima alle classifiche mondiali della corruzione.

Detto questo, vediamo se l’unione europea abbia un senso o meno.

Secondo uno studio fatto dalla CGIA di Mestre del compianto Giuseppe Bortolussi, l’Italia ha versato all’unione europea nel periodo 2007-2013 la bellezza di 109,7 miliardi di euro, ricevendone in cambio solamente 71,8. Praticamente abbiamo regalato agli oligarchi ue la bellezza di 38 miliardi di euro, per poi vederci messi sul banco degli imputati perché abbiamo “l’arroganza” di voler fare il formaggio con il latte fresco e non con quello in polvere come fanno i “buoni” tedeschi, con buona pace della qualità e della salute dei consumatori.

Il nostro contributo all’eurocarrozzone è fra i più alti in assoluto. Strano: siamo considerati poco meno che feccia dai tedeschi e dai loro alleati nordici, che non fanno passare giorno senza accusarci di essere fannulloni, parassiti e di non fare le “riforme”. Nella scala dei “cialtroni” siamo appena un gradino sopra i greci, ma i nostri miliardi di euro fanno comodo agli oligarchi.

Già, perché con i nostri miliardi, gli oligarchi europei si sono ristrutturati la sede nelle isole Fiji, oceano Pacifico mica Siberia, costata 2,5 milioni di euro, auto blindate escluse.

Mentre da una parte gli eurocrati impongono tagli insostenibili alla sanità greca, ed anche a quella italiana, visto che secondo l’OCSE, curarsi nel bel paese è diventata roba da ricchi (a dispetto delle sparate televisive del ministro Padoan), dall’altra raddoppiano la dotazione dell’asilo nido per i dipendenti del ministero degli esteri della ue.

Vogliamo poi parlare dei benefit per gli europarlamentari? Ognuno di essi ha il diritto di invitare a spese dei contribuenti europei (e in larga misura italiani) la bellezza di 110 persone all’anno all’europarlamento.

Vogliamo parlare delle pensioni dei dipendenti dell’europarlamento?

Se ricordate, già dal 1992 in Italia venne messo mano al sistema pensionistico, eliminando progressivamente il metodo di conteggio retributivo, più generoso, per passare a quello contributivo, ben più avaro. Ovviamente, tutto questo, riforma Fornero compresa, è stato fatto in nome dell’Europa. Bene, peccato che questo non valga per i dipendenti dell’europarlamento, che maturano una pensione pari all’1,8% dell’ultimo stipendio per ogni anno lavorato, non molto distante da quel 2% che era il nostro sistema retributivo tanto odiato dagli oligarchi.

Eh già, tanto bravi a fare macelleria sociale sulla pelle dei cittadini, quanto abili nel crearsi la propria torre d’avorio in cui vivere da nababbi.

Né più né meno di quanto accadeva ai tempi dell’unione sovietica, in cui il Compagno Breznev girava in Rolls Royce e brindava a champagne, mentre il popolo faceva la fila per un pezzo di pane.

Ed al pari dell’unione sovietica, gli oligarchi europei hanno lo stesso disprezzo per la democrazia ed il popolo. Non dimentichiamo che uno dei loro esponenti di spicco, un certo Mario Monti, già nel 1999 dichiarava che lo scopo dell’unione europea era di sottrarre al “potere elettivo determinate scelte”, vale a dire eliminare quel fastidioso inconveniente delle libere elezioni. Difatti, il suddetto eurocrate, divenne premier in Italia senza essere mai passato dal voto popolare, proprio come l’attuale inquilino di palazzo Chigi.

Vedendo lo sfascio morale che alberga dalle parti dell’europarlamento e la dilagante miseria che ha prodotto in tutta l’eurozona, siamo certi che non abbiamo bisogno di “più europa”, come predica il premier non eletto, ma di una “liberazione dall’europa”, abbandonando al loro destino l’euro e gli oligarchi che l’hanno voluto.

Chi ha a cuore la libertà e la democrazia ha l’obbligo morale di combattere questa unione europea, sempre più simile alla mefitica cortina di ferro che per 50 anni ha oppresso i popoli dell’est.

Prima lo faremo, prima tornerà il benessere in Italia.

Luca Campolongo

Fonti:

http://www.today.it/economia/unione-europea-soldi-italia.html

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/tutti-sprechi-europei-mentre-bruxelles-si-discute-fondi-dare-69447.htm

http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=5449ec27e90bf

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/28/pensioni-ue-i-coefficienti-dei-funzionari-che-predicano-bene/1176689/

Fonte: www.ilnord.it

Gaffe di Obama al Pentagono: “Stiamo addestrando l’Isis”

Gaffe? Oppure…..

Il presidente americano, durante una conferenza stampa al Pentagono, sbaglia a leggere e afferma di sostenere i miliziani dello Stato islamico. La Casa Bianca corre ai ripari

 – Gio, 09/07/2015 – 15:18
In una conferenza stampa tenuta lunedì scorso al Pentagono, il presidente americanoBarack Obama è incappato in una tremenda gaffe.

Davanti ai giornalisti, infatti, ha affermato: “Stiamo accelerando la formazione di forze Isis, inclusi alcuni volontari delle tribù sunnite nella provincia di Anbar“.

Il presidente americano ha utilizzato l’acronimo “Isil”, che sta per Islamic State of Iraq and Levant.

Come è possibile notare dal documento ufficiale pubblicato dalla Casa Bianca, però, dopo la parola “Isil” tra parentesi quadre c’è la parola “iraqi”. Il senso della frase sarebbe quindi dovuto essere: “Stiamo accelerando la formazione di forze irachene anti-Isis“. Una gaffe che non è di certo passata inosservata, soprattutto se si tiene conto del ruolo svolto da alcuni politici americani che, per far cadere il governo di Assad, hanno favorito alcuni gruppi di ribelli moderati che sono poi andati ad ingrossare le fila dello Stato islamico.

In molti si sono quindi chiesti: “Quello di Obama è un lapsus freudiano?“. Ai posteri l’ardua sentenza.

 Obama: “Stiamo addestrando l’Isis”

obama

GRECIA: ABBIAMO VOTATO “NO” ALLA SCHIAVITÙ – MA “SÌ” ALLE NOSTRE CATENE

http://iodubito.altervista.org/grecia-abbiamo-votato-no-alla-schiavitu-ma-si-alle-nostre-catene/

Scritto il luglio 11, 2015 by 
Schiavitù e Catene

Il giornalista greco Nevradakis – con la collaborazione del giornalista investigativo USA Palast, riassume la situazione della Grecia, schiacciata tra creditori folli e una leadership che non conduce da nessuna parte. Finchè non si ammetterà che il primo problema della Grecia, così come di tanti altri stati europei, è proprio l’euro, sarà impossibile uscire dalla crisi.

 Di Michael Nevradakis e Greg Palast , 6 luglio 2015

 Noi Greci abbiamo votato “No” alla schiavitù – ma “Sì” alle nostre catene.

In maniera non sorprendente, con un rapporto di quasi due contro uno, a grande maggioranza i Greci hanno respinto un programma di austerità crudele e economicamente insensato richiesto dalla Banca Centrale Europea in cambio di un prestito della BCE per pagare i creditori della Grecia. In tal modo, il popolo greco ha sconfitto una campagna mediatica greca e internazionale senza precedenti basata sulla paura, l’Unione europea (UE) e la maggior parte dei nostri partiti politici.

L’unica cosa semplicemente assurda è che, mentre votano “No” all’austerità, molti Greci desiderano rimanere incatenati all’euro, la vera causa delle nostre miserie.

Resistenza, non Crisi. Prima di spiegare perché l’euro è la causa di questo film dell’orrore, chiariamo subito una cosa. Tutta la settimana, i media in tutto il mondo era pieni di notizie della “crisi” greca. Sì, l’economia fa schifo, con 1 disoccupato greco su 4 lavoratori. Ma altre 2 nazioni dell’eurozona, la Spagna e Cipro, hanno lo stesso livello di disoccupazione. Di fatto, in 7 nazioni dell’eurozona, incluse Italia e Portogallo, più dell’11% dei lavoratori sono disoccupati.

Ma a differenza della Grecia, queste altre nazioni sofferenti hanno tranquillamente acconsentito alle loro “austere” punizioni. Gli spagnoli ormai accettano di essere per sempre servitori sottopagati per i turisti britannici che vomitano birra. Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, che ha emanato un legge draconiana per imbavagliare le proteste interne così da tenere a bada le propria masse sofferenti, ha appoggiato il pacchetto-sciacallo di riforme, rifiutando qualsiasi cosa non fosse la più brutale austerità per la Grecia.

La differenza tra queste nazioni addormentate e la Grecia è che i greci non ne possono più.

Quello che i media chiamano la “crisi” greca è, in realtà, una Resistenza.

Resistere verso il nulla Ma è una Resistenza i cui leader ci conducono verso il nulla.

Per decenni, i Greci hanno sofferto governi corrotti e disonesti. L’elezione di Syriza ha cambiato questa situazione: il governo ora è solamente disonesto.

Il nostro nuovo primo ministro di Syriza, Alexis Tsipras, ha giustamente chiamato “ricatto” il piano di austerità. Tuttavia, prima della votazione di domenica, Tsipras ha detto alla nazione un gigantesca bugia. Ha detto che avremmo potuto votare contro il piano della BCE ma mantenere la moneta della BCE, l’euro. Ma come? Tsipras non l’ha detto; fa parte di una manovra politica che il suo ministro uscente delle Finanze Yanis Varoufakis chiama “ambiguità creativa.” Traduzione: ambiguità creativa è il greco per “stronzate”.

Ci dispiace, Alexis, se desideri utilizzare la moneta del Reich, devi accettare i diktat del Reich.

Non una moneta, un virus L’affermazione di Tsipras che la Grecia può mantenere l’euro pur respingendo austerità è una pazzia. Il fatto è che il cancelliere tedesco Angela Merkel, la Crudelia Demon dell’eurozona, ignorerà le grida dei greci sanguinanti e ci chiederà di ingoiare l’austerità – o di rinunciare all’euro.

Ma che ce ne importa di perdere l’euro? La cosa migliore che potrebbe succedere alla Grecia, e che avrebbe dovuto succedere molto, molto tempo fa, è di lasciare l’eurozona.

Questo perché è l’euro stesso il virus responsabile delle malattie economiche greche.

Infatti, l’impegno sadico di “austerità” è stato coniato all’interno del metallo della stessa moneta. Non tiriamo a indovinare. Uno di noi (Palast, un economista di formazione) ha avuto lunghe chiacchierate col cosiddetto “padre” dell’euro, il Professor Robert Mundell. È importante menzionare l’altro piccolo bastardo generato dal defunto Prof. Mundell: economia “lato offerta”, altrimenti nota come “Reaganomics,” “Thatcherismo” – o, semplicemente economia “voodoo”.

L’imposizione dell’euro ha avuto un solo obiettivo vero: la fine del welfare europeo.

Per Mundell e per i politici che hanno concepito il suo concetto di moneta, l’euro stesso sarebbe stato il vettore capace di infettare il corpo politico europeo con la Reaganomics sul versante dell’offerta. Mundell concepiva un’Europa eurizzata, priva di sindacati e di regolamenti governativi; un’Europa in cui i voti dei parlamenti non valevano nulla. Ogni nazione dell’eurozona, privata del controllo del valore della propria valuta, del proprio bilancio e della propria politica fiscale, avrebbe potuto competere solo tagliando i regolamenti e le tasse. Mundell disse, “[l’euro] mette la politica monetaria al riparo dei politici… Senza politica fiscale, l’unico modo per le nazioni di mantenere i posti di lavoro è tramite la riduzione competitiva delle regole sui business.”

Ecco come funziona. Per aderire all’eurozona, le nazioni devono accettare di mantenere i loro deficit entro il 3% del PIL e il debito totale a non più del 60% del PIL. In una fase di recessione, queste regole sono semplicemente folli. Al contrario, il Presidente Obama ha tirato gli Stati Uniti fuori dalla recessione aumentando la spesa in disavanzo ad uno sconcertante 9,8% del PIL, e ha aumentato il debito della nazione al 101% dal 62% pre-recessione. I repubblicani hanno fatto sceneggiate, ma ha funzionato. Gli Stati Uniti hanno una disoccupazione inferiore rispetto a qualsiasi nazione dell’eurozona.

Obama ha rimproverato i carnefici europei della Grecia: “Non si può continuare a spremere paesi che sono in mezzo a una depressione.” Tagliare il potere d’acquisto conduce a una spesa minore che porta a ulteriori tagli al potere d’acquisto – una spirale mortale che vediamo oggi nell’eurozona dalla Grecia all’Italia alla Spagna — ma non in Germania.

“Non in Germania.” Qui sta il punto. Normalmente, una nazione come la Grecia può recuperare rapidamente da una recessione da debito eccessivo, svalutando la sua moneta. La Grecia tornerebbe a essere un centro turistico terribilmente economico e le sue esportazioni a costi ribassati si amplificherebbero, aumentando istantaneamente la competitività. Ed è questo ciò che la Germania non può permettere. La Germania ha attirato le altre nazioni europee nell’euro al fine di impedirgli di praticare prezzi inferiori alla Germania nei mercati di esportazione.

Limitati dalla regola di disavanzo del 3%, l’unica soluzione rimasta ai debitori dell’eurozona è pagare lo scotto con misure di “austerità”.

Tsipras nel Paese delle Meraviglie In questo sta la menzogna. Tsipras dice ai suoi compagni Greci che possiamo vivere in un mondo di fantasia, dove possiamo prendere due piccioni con una fava; che possiamo rimanere ammanettati all’euro ma correre liberi senza austerità.

L’assurdità continua: dopo l’annuncio dei risultati ufficiali del referendum nella notte di domenica, Tsipras ha twittato che l’elettorato greco ha votato per un’”Europa della solidarietà e della democrazia,” mentre il ministro delle finanze ormai dimessosi, Varoufakis, ha twittato che “la permanenza della Grecia nell’eurozona non è negoziabile,” sostenendo che non avrebbe permesso l’”unica alternativa,” la vecchia dracma introdotta a fianco dell’euro.

L’euro-feticcio di Syriza era già evidente nelle sue proposte pre-referendum al FMI e alla BCE, un documento di 47 pagine che comprendeva 8 miliardi di euro in nuove misure di austerità più un nuovo round di svendite delle industrie di stato, il mantenimento di un avanzo primario dell’1% quest’anno che sarebbe aumentato nei prossimi anni, l’aumento dell’età pensionabile a 67 anni e la stabilizzazione delle imposte precedentemente “temporanee” sulle spalle di una popolazione già sovra tassata. Nella proposta dello stesso Tsipras, non c’era alcun accenno a una cancellazione del debito o a un’interruzione dei pagamenti, nonostante il fatto che la Commissione del Debito del governo stesso avesse annunciato il 17 giugno che la maggior parte del debito della Grecia è illegale, “odioso” e non dovrebbe essere pagato.

Al contrario, Tsipras è andato a sostenere la proposta del FMI di un semplice taglio del debito del 30% e un “grace period” di 20 anni, di fatto nascondendo il problema sotto il tappeto. La Grecia attualmente è in deficit, quindi per ottenere un surplus dell’1% previsto, Syriza deve tagliare, tagliare, tagliare. Esattamente come volevano Mundell e i sostenitori del “lato dell’offerta”.

Morte causata da “Riforme” Come Obama, Tsipras sa che tagliare le pensioni, privatizzare e chiudere le industrie, tagliare gli stipendi – in altre parole, l’”austerità” – o, per usare il gergo più recente, “le riforme” – non è solo crudele, è semplicemente stupido: può soltanto spingere una nazione in recessione in una depressione.

Non è solo una teoria. La Troika (la BCE, il FMI e la Commissione Europea) avevano per prima cosa imposto le loro maligne misure di austerità in Grecia nel 2010. I Greci hanno visto calare i loro stipendi annuali alla metà della paga di un tedesco. Le pensioni presunte generose della Grecia sono state tagliate otto volte durante la crisi, mentre due terzi dei pensionati vivono sotto la soglia di povertà. Tutto è stato venduto, dagli aeroporti ai porti, dalla lotteria nazionale alle migliori proprietà immobiliari pubbliche, mentre sono state chiuse scuole ed ospedali.

E, per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, è ritornata la fame diffusa. Si stima che in Grecia 500.000 bambini siano malnutriti. Studenti che svengono dalla fame nelle scuole fredde, che non possono permettersi il combustibile per il riscaldamento, sono ormai un fenomeno comune.

Questa crudele “stretta di cinghia,” promise la Troika, avrebbe rimesso a posto l’economia greca entro il 2012 (e poi entro il 2013, il 2014 e il 2015). In realtà, la disoccupazione è passata da un terribile 12,5% nel 2010 a un orrendo 25,6% oggi.

Ora, la Troika richiede ancora le stesse cose, una continuazione di questa disastrosa politica.

Ci schianteremo contro l’Africa? Nel frattempo, dopo il risultato del referendum che lo ha reso un eroe, il ministro delle finanze Varoufakis ha dato le dimissioni. Ironia della sorte, mentre Varoufakis irritava i funzionari tedeschi nel modo sbagliato con il suo stile poco ortodosso, perfino egli, manteneva il mito pro-euro. Le precedenti misure di austerità sono continuate durante il suo mandato. Per compiacere i pazzi maestri dell’austerità, egli ha promesso di “spremere sangue da una pietra” per rimborsare il FMI — cosa che ha fatto in maggio, quando tutti i fondi rimanenti del tesoro greco sono stati raccolti con decreto presidenziale per effettuare il pagamento di quel mese al FMI. Varoufakis era così legato all’euro da sostenere che la Grecia non sarebbe in grado di stampare la sua vecchia valuta, la dracma, perché abbiamo distrutto le nostre stampanti per la valuta quando abbiamo aderito all’euro. Invece, le apparecchiature di stampa delle banconote del governo di Atene operano ancora, stampando banconote da 10 euro.

Nel frattempo, il nostro futuro se ne va. Un quarto di milione di laureati hanno abbandonato la nostra nazione. Non avevano scelta: la disoccupazione sotto i 25 anni ha raggiunto il 48,6%.

So che molti greci, ciprioti, italiani e portoghesi esprimono una paura viscerale di lasciare l’euro. A seconda di quali sondaggi uno sceglie di sentire, un numero variabile tra una quasi maggioranza e una maggioranza schiacciante di greci desiderano rimanere nell’euro a tutti i costi. A giudicare dalle dichiarazioni isteriche che ho sentito da alcuni greci: “Non possiamo lasciare Europa!”, si potrebbe pensare che l’abbandono dell’euro comporterebbe per la Grecia lo staccarsi dal confine albanese e schiantarsi contro l’Africa.

Sarebbe confortante sentire i leader politici dire la verità economica: “lavoratori d’Europa unitevi! Non avete niente da perdere tranne l’euro — e le vostre catene. ”

Tratto da: http://vocidallestero.it/2015/07/10/grecia-abbiamo-votato-no-alla-schiavitu-ma-si-alle-nostre-catene/

Chi davvero non crede alla Torino-Lione

post — 5 luglio 2015 at 14:23

2015031685210-tav-660x330Riceviamo da Luca Giunti e volentieri pubblichiamo

La Commissione Europea annuncia di regalare 800 milioni alla Torino-Lione e subito partono le interpretazioni più estreme. E’ il via libera definitivo, l’Europa paga il 40%, ogni dubbio è svanito. No, sono briciole, l’Europa si sfila, la sottrazione è imponente (dal 40 al 26%).

Mettiamo in fila un po’ di documenti e vediamo se ci aiutano a capire.

  • Il 26 febbraio 2015 i ministri Vidalies e Lupi scrivono al Commissario europeo ai trasporti Violeta Bulc la domanda di finanziamento, presentando “un dossier ambitieux de demande de subventionde près de 1,28 milliards d’euros reposant sur environ 3,06 milliards d’euros de dépenses prévisionnelles pour la période 2014-2020”. Lo stesso giorno la società TELT in un Comunicato Stampa annuncia che “a remis ce matin à l’Union européenne le dossier de demande conjointe de la France et de l’Italie pour un financement à hauteur de 1,2 milliard d’euros, sur les 3 milliards de travaux, pour la réalisation de la section transfrontalière de la future liaison ferroviaire, fret et voyageurs, Lyon-Turin”.

Questo punto è dunque assodato: Italia e Francia chiedono all’Europa quasi un miliardo e 300 milioni e ricevono solo 813 milioni. La ragione di tale riduzione non è conosciuta e le rassicurazioni del direttore di TELT – secondo cui l’UE verserà la rimanenza nel 2019 – appaiono soltanto una stanca difesa d’ufficio. Cerchiamo allora altri documenti ufficiali che possano orientarci.

  • Cominciamo da un ponderoso studio sul Corridoio Mediterraneo che la Commissione Europea ha pubblicato a dicembre 2014. In 440 pagine afferma – tra l’altro – che il percorso tra la Spagna e l’Ungheria presenta criticità diffuse, dal diverso scartamento ai software di segnalazione, dai nodi urbani alle interconnessioni, dalle tratte mai progettate alle scelte divergenti che ogni Paese adotta. Insomma, il pezzettino tra Torino e Lione non è l’unico incerto, anzi. Spulciando i dati raccolti, si apprende poi – per esempio – che tra Spagna e Italia le merci oggi viaggiano via mare per i 2/3 (e quindi non è ragionevole spostarle sulla ferrovia) oppure che tra Francia e Italia percorrono per il 60% distanze minori di 200 km (e quindi non è plausibile che in futuro sfruttino i treni).

Forse l’Europa nutre dubbi sull’efficacia del traforo? Forse. Intanto mette le mani avanti e si limita a finanziare il minimo indispensabile, ricordandosi che già nel 2013 aveva ridotto il suo contributo al cunicolo di Chiomonte perché Francia e Italia erano (e sono) in grave ritardo.

E i due Stati, da parte loro, sono così sicuri dell’irreversibilità della grande opera? Le perplessità transalpine sono qualificate e pubbliche, dalla Corte Conti al Comitato Mobilità 21, che ha declassato la priorità della Lione-Torino rimandandola a dopo il 2030. Meno raccontate dai giornali sono le indeterminatezze italiane. Vediamone due tra le più significative.

  • Il DIPE (Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica) il 19 febbraio 2015 ha scritto al Governo (Prot. 811): “Il progetto della tratta italiana non ha, da solo, i requisiti di funzionalità. La sua approvazione non consente l’avvio dei lavori definitivi che resta subordinato all’approvazione di un protocollo addizionale e che dovrà tenere conto in particolare della partecipazione definitiva della UE. Rimane pertanto indeterminato l’importo a carico dell’Italia dell’intera Sezione transfrontaliera di cui il progetto costituisce uno stralcio non funzionale” (grassetto originale). E non si limita a rilievi economici. Il DIPE contesta anche l’utilità della stazione di Susa, che – dice – poteva avere un senso con l’interconnessione a Chiusa, ma con l’anticipazione a Bussoleno diventa un doppione inutile di quella stazione, bruciando più di 60 milioni di euro (a preventivo…). E finisce raccomandando, ancora in grassetto originale: “Occorre che siano indicati i costi, ancorché stimati, e la relativa fonte di provenienza, della Sezione internazionale e della Parte comune italo-francese”. Ma come, non erano “costi certificati”?
  • Ancora più severo è il giudizio del Ministro Padoan, che nellAllegato Infrastrutture al Documento di Finanza 2015 afferma: “Si tratta di grandi opere giustificate da analisi che tengono conto dei costi e dei benefici di lungo periodo, ma che non possono essere finanziate dai privati considerato il troppo basso tasso interno di rendimento per investitori di mercato. Per il finanziamento di tali opere occorrono contributi pubblici comunitari e nazionali a fondo perduto accompa-gnati da condizioni favorevoli di indebitamento per gli Stati membri e la Commissione”.

Può bastare. Ormai sono molte le carte che criticano la NLTL (Nuova Linea Torino-Lione – non tanto nuova in verità visto che si trascina da oltre 25 anni). Formano un corpus consolidato, autorevole e ben conosciuto, prodotto non certo dai NoTav ma da istituzioni pubbliche, funzionari ministeriali ed economisti liberali. Sono loro che, per primi, non credono più alla Torino-Lione. Di conseguenza, cercano almeno, meritoriamente, di ridurre lo spreco di denaro pubblico, europeo o italiano che sia.

La Grande Marche bloccata al Moncenisio

post — 11 luglio 2015 at 15:58

polizia

Venerdì 10 luglio la carovana francese No Tav è transitata dal Moncenisio raggiungendo così il territorio italiano.

Ad accoglierla numerosi No Tav ma non solo, infatti la solerte questura torinese ha inscenato un blocco totale della statale 25 per più di tre ore con la scusa di voler identificare tutti i partecipanti.

A parte i numerosi disagi per i turisti e i locali, niente di nuovo all’orizzonte.

La polizia italiana ci ha da tempo abituati a vivere sulla nostra pelle cosa vuol dire abitare in una terra militarizzata e noi oramai sappiamo non farci intimidire infatti, dopo infinite tarantelle, la carovana è ripartita.

Stasera, dopo la giornata di iniziative, dalle 18 appuntamento al campeggio della Gravella di Chiomonte per stare insieme, mangiare e tirar tardi fino al mattino con dell’ottima musica!

Che ci piaccia o

OVVIAMENTE i laché italioti che han sempre sostenuto Syriza COPRONO LA PORCATA del tradimento E LA GIUSTIFICANO nel solito modo viscido e squallido come solo loro sanno fare
Democrazia nella comunicazione
 
Che ci piaccia o no
 
#Grecia. Considerazioni personalissime, rivolte soprattutto a chi oggi sembra avere così chiara la situazione sotto gli occhi (e persino la soluzione). [Pier Francesco De Iulio]
 

Redazione
sabato 11 luglio 2015 14:18
 
 
iulio
di Pier Francesco De Iulio
 
Vedo da molte parti salire il malcontento per l’azione che in queste ultime ore Alexis Tsipras sta tentando per dare soluzione alla crisi greca. E vedo anche che questo malumore sale soprattutto dalla parte di chi vorrebbe una linea dura e intransigente nei confronti di questa Europa e dei suoi diktat, ad ogni costo. Si dice che a volerlo sia l’anima genuina di Syriza. Si dice che lo vuole il popolo greco (la maggioranza, dico io), che così si è espresso con il referendum (voluto proprio da Tsipras, contro le tante resistenze di chi diceva addirittura che non sarebbe stato in grado di organizzarlo in così pochi giorni, è bene ricordarlo).
 
Non entrerò nel merito delle questioni tecniche, economiche o giurisprudenziali, per le quali altri, più attenti e preparati di me, si sono già espressi esaudientemente, pure da posizioni diverse (a volte finanche antitetiche), trovando ampio spazio su queste stesse pagine. Tuttavia, mi preme fare alcune considerazioni personalissime, rivolgendomi soprattutto a coloro che oggi sembrano avere così chiara la situazione sotto i loro occhi (e forse anche la soluzione).
 
Innanzitutto, Syriza non è il monolite di kubrickiana memoria (così come non lo è il popolo greco) e la Grecia non galleggia nello spazio siderale immersa nel vuoto ma sta al crocevia di stramaledetti interessi geopolitici, e quindi economici, di questo ormai fottuto pianeta (“fottuto” è naturalmente un eufemismo). E aggiungo, la forza politica e per così dire “contrattuale” della Grecia sarebbe poco sopra lo zero se non ci fossero gli interessi (sempre “stramaledetti”) di cui sopra.
 
Pensate (pensavate) veramente che Russia e Cina si offrano (o si sarebbero offerti) gratis al salvataggio dei greci? Che la Grecia possa vincere da sola una guerra contro le oligarchie finanziarie e militari in salsa USA che da anni decidono i destini del mondo intero? Per carità non siate così ingenui. Quando hai l’acqua che ti arriva alla gola (e non soltanto l’acqua) e un cronometro davanti che segna il countdown della tua esecuzione, non è sempre facile restare lucidi e decidersi per “la cosa giusta” da fare. E la cosa giusta, in questi casi, la decide anche qualcun altro per te. Perché ciò che riesce a orientare le decisioni, quando sei Davide e di fronte hai Golia, sono la forza dei rapporti che riesci a stabilire con gli altri sul campo di battaglia e l’astuzia che sai metterci.
 
Con le condizioni date, finora bisogna riconoscere a Tsipras (e al suo governo) il coraggio e la capacità di aver saputo affrontare nel miglior modo possibile il gigante che gli è toccato in sorte di combattere, a mani nude per giunta, e completamente da solo. Chi ha aiutato i greci nella loro battaglia? Hanno avuto forse la solidarietà degli altri governi europei che pure versano nelle medesime condizioni o si apprestano ad arrivarci? Non mi sembra. Anzi, da più parti si è gridato al rispetto degli impegni, al “non fate i furbi!”. Tra le voci più alte, immancabile come sempre quando c’è da stare nel coro, il nostro Matteo Renzi.
 
Allora facciamo tutti un passo indietro e cerchiamo di non perdere di vista la realtà della situazione, evitando di correre dietro alle lusinghe di ideologie posticce e di falsi profeti (o cattivi maestri).
 
Il fatto è che la realtà odierna è diventata tanto complessa e interconnessa su scala mondiale che è sfuggita di mano e nessuno sa più da che parte prenderla e come fare per addomesticarla. Padroni universali, maggiordomi al servizio del potere, vecchi e nuovi sudditi. Immersi tutti nello showbiz della grande società dello spettacolo globalizzata. E con questa realtà tutti noi dobbiamo fare i conti, che ci piaccia o no, che si giochi sulla nostra pelle o su quella dei nostri compagni di sventura, vicini o lontani. Nel frattempo, Michelle Hunzinker fa la verticale a bordo piscina nella sua villa in Versilia.
 
(11 luglio 2015)

CONTRO LA CAPITOLAZIONE: DICHIARAZIONE DI LAFAZANIS

http://sollevazione.blogspot.it/2015/07/contro-la-capitolazione-dichiarazione.html

 sollevazione

[ 11 luglio ]

Il voto del Parlamento greco e la posizione della piattaforma di sinistra

La grande maggioranza ottenuta al voto (251 sì su 300 deputati) non deve nascondere il fatto importante: il governo ha già perso la sua maggioranza parlamentare: solo 145 su 162 deputati della coalizione Syriza e Anel hanno votato sì, che è di sei voti inferiore alla soglia 151. Diciassette parlamentari Syriza o si sono astenuti o hanno votato no, i parlamentari di Anel hanno votato sì.
Yanis Varoufakis era assente, Zoe Kostantopoulou astenuta, come ha fatto Rachel Makri che è vicino a lei.

Sette deputati della Piattaforma Sinistra (PdS) si sono astenuti, tra cui i suoi due ministri più importanti (Panagiotis Lafazanis e Dimitris Stratoulis). Lafazanis ha rilasciato una dichiarazione (vedi sotto). Tra questi l’economista marxista Costas Lapavitsas e Stathis Leoutsakos, membro della segreteria politica di Syriza. I quattro ministri si dimetteranno nei prossimi giorni. Quindici altri parlamentari della PdS, tra gli altri due ministri N. Choundis e C. Isychos e il vice-presidente del parlamento, hanno rilasciato una dichiarazione che spiega che voteranno sì al fine di non privare il governo della sua maggioranza in questo momento, rifiutano tuttavia la proposto accordo come un altro pacchetto di austerità e avvertono che non voteranno qualsiasi accordo firmato che preveda l’austerità quando si tratta di parlamento.

Due parlamentari della PdS, Ioanna Gaitani ed Elena Psarea, membri della Rete Rossa (raggruppata attorno a DEA, la componente trotskista della PdS) hanno votato “No”.
Quattro parlamentari dell’ex-KOE (Organizzazione Comunista di Grecia, maoista) erano assenti e hanno inviato di una dichiarazione fortemente contraria all’accordo.

QUESTA LA DICHIARAZIONE DI LAFAZANIS (nella foto a destra)

«Perché non voto la proposta di accordo

Votando “presente” ho espresso la mia opposizione radicale e categorica alla “proposta” [di tsipras, Ndr] che rischia di estendere la tutela della mia patria.
Sostengo il governo, ma non sostengo il programma di austerità, la deregolamentazione e la privatizzazione che, voluta dalle “istituzioni” [troika, Ndr]  continuerà solo il circolo vizioso della recessione, della povertà e della miseria.

Questo paese avrà un futuro se noi, tutti insieme, romperemo con il neo-colonialismo e se come paese sovrano e indipendente la Grecia entrerà in un nuovo sentiero che porti ad una ricostruzione progressiva delle sue basi produttive, dell’economia e della società ·senza misure di austerità, con sufficiente liquidità e con una profonda cancellazione del debito». 
Atene, 11 Luglio 2015

LA CAPITOLAZIONE. TSIPRAS HA SFASCIATO LA SUA MAGGIORANZA. E ORA?

 [ 11 luglio ]
Il Parlamento greco ha dato mandato a Tsipras di chiudere l’accordo con l’Unione europea.A favore della mozione hanno votato 251 deputati su 300, i no sono stati 32otto le astensioni

E la sinistra interna di di Syriza? Ha scelto l’astensione per evitare la caduta del governo.

Tutti e otto gli astenuti appartengono al partito del premier, solo due dei suoi rappresentanti si sono espressi contro, sette non erano in Aula. 

In totale 17 deputati di Syriza su 149 hanno manifestato il proprio dissenso. E si tratta di pezzi da novanta, come l’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, ufficialmente assente per ragioni famigliari, o il presidente dell’assemblea Zoe Constantopoulou e il ministro dell’Energia e leader dell’ala sinistra del partito Panagiotis Lafazanis, che si sono limitati a rispondere “presente” al momento di voto, di fatto astenendosi. 
 
A favore si sono espressi invece almeno 100 esponenti dell’opposizione: la maggioranza dei centristi filo europei di To Potami (che conta 17 parlamentari) ma anche molti del centrodestra di Nea Dimokratia (76) e del socialista Pasok (13). 
 
TSIPRAS QUINDI CE L’HA FATTA, MA COI VOTI DEI  PARLAMENTARI-QUISLING CHE HANNO PORTATO LA GRECIA NELL’ABISSO (Pasok e Nuova Democrazia), AVENDO PERSO IL SOSTEGNO DELLA PARTE MIGLIORE DEL SUO PARTITO. Un quadro di alta instabilità, mentre dovranno essere applicate le nuove misure neoliberiste di austerità.
Ieri informavamo della riunione, drammatica, della Piattaforma di sinistra [sinistra di SYRIZA]. Qui sotto una versione ridotta della dichiarazione presentata dalla Piattaforma sinistra nella riunione plenaria di ieri, 10 luglio, del gruppo parlamentare di Syriza.L’alternativa all’austerità


«In questo momento critico, il governo Syriza non ha altra scelta che respingere il ricatto delle “istituzioni” che cercano di imporre un programma di austerità, di deregolamentazione e privatizzazione.
Il governo deve dichiarare alle “istituzioni” e deve annunciare al popolo greco che, anche all’ultimo momento, senza un compromesso positivo riflesso in un programma che ponga fine all’austerità, fornisca liquidità sufficiente per l’economia, porti alla ripresa economica, e comprenda una maggiore cancellazione del debito,  è pronto a seguire un percorso progressivo alternativo che metta in dubbio la presenza del nostro Paese nella zona euro, ed insieme interrompa il rimborso del debito.

Al fine di affrontare le pressioni e le richieste inaccettabili dei creditori, il processo che potrebbe portare la Grecia fuori dalla zona euro è un problema serio e complessa, che avrebbe dovuto essere sistematicamente redatto dal governo e da Syriza. Tuttavia, a causa dei tragici blocchi che hanno prevalso sia nel governo che nel partito, questo non è stato fatto.

Ciò non di meno, anche ora il governo può e deve rispondere al ricatto delle “istituzioni”, ponendo la seguente alternativa: o un programma senza ulteriore austerità, fornendo liquidità, e che porti alla cancellazione del debito, o l’uscita dall’euro ed il default sul il rimborso di un debito ingiusto e insostenibile.

Se richiesto dalle circostanze il governo ha, ancora oggi, la possibilità e il minimo di liquidità che è necessaria per attuare un programma di transizione per la moneta nazionale, che le consentirà di attuare i suoi impegni verso il popolo greco, e in particolare per adottare le seguenti misure:

 1) La riorganizzazione radicale del sistema bancario, la sua nazionalizzazione sotto controllo sociale, e il suo riorientamento verso la crescita.
 2) Il rifiuto completo di austerità fiscale (avanzi primari e pareggio di bilancio) al fine di affrontare in modo efficace la crisi umanitaria, coprire i bisogni sociali, ricostruire lo stato sociale, e portare l’economia fuori dal circolo vizioso di recessione.
  3) L’attuazione delle procedure che portino all’uscita dall’euro ed alla cancellazione della maggior parte del debito. Ci sono scelte assolutamente gestibili che possono portare ad un nuovo modello economico orientato verso la produzione, la crescita, e la variazione dei rapporti di forza sociali a vantaggio della classe operaia e del popolo.

L’uscita dalla zona euro nelle condizioni attuali è un processo difficile ma fattibile che consentirà al paese di seguire un percorso diverso, lontano dai programmi inaccettabili inclusi il pacchetto Juncker.

Dobbiamo sottolineare che l’uscita dall’euro non è un fine in sé, ma il primo passo di un processo di cambiamento sociale, di recupero della sovranità nazionale e del progresso economico coniugato alla crescita e la giustizia sociale. Fa parte di una strategia globale basata sulla ricostruzione produttiva, il rilancio degli investimenti, e la ricostituzione dello stato sociale e lo stato di diritto.

Di fronte al comportamento intransigente dei creditori, il cui scopo è quello di costringere il governo di Syriza alla piena resa, la fuoriuscita dall’euro è una scelta politicamente ed eticamente giusta.

Uscire l’euro è, infine, un percorso che comprende il confronto con potenti interessi nazionali ed esteri. È per questo che il fattore più importante per affrontare le difficoltà che si presentano è la determinazione di Syriza ad attuare il suo programma, traendo forza dal sostegno popolare.

Più in particolare, alcuni degli aspetti positivi dall’uscita comprendono:

 a) Il recupero della sovranità monetaria, il che significa automaticamente recuperare la capacità di fornire liquidità all’economia. Non c’è altro modo per tagliare il cappio della Banca centrale europea sulla Grecia.

  b) L’elaborazione di un piano di sviluppo basato sugli investimenti pubblici, che però permetterà anche il rilancio degli investimenti privati. La Grecia ha bisogno di una nuova e produttiva relazione tra il settore pubblico e privato e di entrare in un percorso di sviluppo sostenibile. La realizzazione di questo progetto sarà possibile una volta che la liquidità verrà ristabilita, combinata con il risparmio nazionale.

  c) Riconquistare il controllo del mercato nazionale sui prodotti importati, rivitalizzare e valorizzare il ruolo delle piccole e medie imprese, che restano la spina dorsale dell’economia greca. Allo stesso tempo, le esportazioni saranno stimolate con l’introduzione di una moneta nazionale.

  d) Lo Stato sarà liberato dalla morsa dell’Unione monetaria europea a livello di politica fiscale e monetaria. Sarà in grado di raggiungere la sostanziale abolizione delle austerità, senza vincoli irragionevoli sulla fornitura di liquidità. Ciò permetterà anche allo Stato di adottare misure che porteranno alla giustizia fiscale ed alla redistribuzione della ricchezza e del reddito.

  e) La possibilità di una crescita accelerata dopo i difficili mesi iniziali. Le risorse che sono diventate inattive durante i sette anni di lungo periodo di crisi possono essere rapidamente mobilitate per invertire la disastrosa politica del memorandum, e ciò non e fattibile se non vi è liquidità sufficiente e la stimolazione della domanda. Questo aprirà la possibilità di una diminuzione sistematica della disoccupazione e un aumento del reddito.

Infine, lasciando la UEM, la Grecia non diventerà meno europea, essa semplicemente seguirà un percorso diverso da quello seguito dai paesi del nucleo dell’Unione europea, un’opzione che è già in fase avanzata in paesi come la Svezia e la Danimarca. L’uscita dalla zona euro non solo non isolerà il nostro paese ma, al contrario, permetterà di acquisire un nuovo ruolo sulla scena internazionale. Un ruolo basato sull’indipendenza e la dignità, molto diversa dalla posizione di un paria insignificante come ci han fatto diventare le politiche neoliberiste del memorandum.

Il processo di un’uscita dalla UEM richiede naturalmente legittimità politica e il sostegno popolare attivo. Il referendum ha dimostrato la volontà del popolo di respingere una volta per tutte l’austerità a prescindere dalle sfide poste dai dominanti esteri e nazionali.

E ‘ormai chiaro che il nostro governo sarebbe sostanzialmente costretto a uscire l’euro a causa del rifiuto finale dell’UE di accettare proposte ragionevoli sulla riduzione del debito, l’eliminazione di austerità, e il salvataggio dell’economia greca e della società, come dimostra il nuovo ultimatum inviato dopo il referendum».

TSIPRAS PREPARA LA CORDA CON CUI VERRÀ IMPICCATO (ATENE IN PIAZZA CONTRO LA CAPITOLAZIONE)

http://sollevazione.blogspot.it/2015/07/tsipras-si-prepara-la-corda-con-cui.html

 sollevazione

 

[11 luglio, ore 00:40]Qui sotto le foto della prima manifestazione popolarecontro l’accordo-capitolazione del governo SYRIZA-ANEL, svoltasi ieri pomeriggio.Mentre scriviamo non è ancora noto il risultato del voto del Parlamento greco sulla proposta di accordo-capestro presentata da Tsipras.

SYRIZA conta su 149 seggi in Parlamento su un totale di 300 cui vanno aggiunti i 13 dei nazionalisti di Anel. Tsipras ha quindi bisogno del voto favorevole dei deputati della sua folta ala sinistra.

In caso contrario deve formare una nuova maggioranza con l’ingresso di To Potami, Pasok e Neo Dimokratia.
Abbiamo ascoltato i nostri compagni greci di MARS verso le ore 18:00 (ora di Atene) mentre si recavano alla manifestazione contro la capitolazione (vedi Foto), organizzata assieme ad ANTARSYA ed al sindacato PAME (vicino al Kke). 

 
Ci dicevano che nella sinistra di SYRIZA la situazione è drammatica. 
C’è chi dice di essere disposto a far cadere il governo, altri invece no: potrebbero votare a favore della delega al governo per trattare pur essendo contro l’accordo. Insomma, dicono i nostri, forse il coraggio per far saltare Tsipras non ce l’hanno.

Una cosa è chiara: Yanis Varoufakis non si è nemmeno presentato alla seduta del Parlamento, e la ragione è chiara: E’ contrario all’accordo infame.
 
Scriviamo mentre sono le ore 00:40 ed è ancora in corso la seduta decisiva del Parlamento greco.
 
Domani mattina abbiamo un nuovo appuntamento telefonico con Atene e sapremo come questo atto è andato a finire.
Informeremo immediatamente i nostri lettori.

Qui sotto un caustico commento a caldo di Riccardo Achilli

«A quanto pare, anche la minoranza di Syriza si associa alla ratifica della sconfitta. Hanno abbaiato un pò stamattina contro il piano Tsakalotos, ma se non c’è il progetto alternativo e non c’è coraggio, non c’è. Hanno usato una contorsione dialettica bersaniana per giustificare questo voto: “Votiamo sì alla delega al governo per trattare, non all’accordo in sé“, facendo finta di non capire che la trattativa è chiusa, al limite può solo peggiorare in base ad ulteriori richieste dell’Eurogruppo, ma certo Tsipras non può riaprire la partita sulla sua stessa proposta. 

Non c’è neanche nessun “bluff” da parte di Tspras. Pur di non uscire dall’euro era disponibile all’austerità ed alla ristrutturazione neoliberista di ampi settori del Paese e le ha avute, in termini non significativamente diversi da quelli proposti dalla Trojka, magari salvaguardando, almeno per ora, qualche programma di bandiera (la riassunzione dei dipendenti pubblici licenziati, la tutela dei piccoli debitori in buona fede, il piano straordinario di fornitura di beni di prima necessità varato qualche giorno fa). Programmi di bandiera, ammesso e non concesso che non vengano rimessi in discussione in un secondo momento, quando Tsipras sarà più debole, utili per specifici settori sociali, ma non per il complesso dei ceti popolari né per tutelare il Paese dalla ristrutturazione liberista, che prima o poi eliminerà anche i temporanei piccoli vantaggi strappati da Tsipras. 

Per il resto, la Grecia si prenderà altri quattro anni di austerità, il messaggio al resto d’Europa è che non c’è alternativa: o l’austerità pura in versione neoliberista, o l’austerità appena appena ammorbidita in versione social-liberista, e comunque i referendum e le manifestazioni di volontà popolare non hanno nessuna rilevanza, in un momento in cui il potere si verticalizza e tecnicizza, coerentemente con le tendenze di un capitalismo finanziarizzato e globalizzato. 

Ci sarà chi, nella nostra sinistra, si accontenterà di questo, farà paragoni con Renzi, del tutto fuori luogo perché Renzi non si è mai candidato come salvatore delle classi popolari, e dirà che in fondo Tsipras è meglio. Si accontenteranno della morte, contenti loro contenti tutti».

Crisi Grecia, ok del Parlamento a Tsipras. Ma la maggioranza e Syriza sono a pezzi

Mi ricorda tanto la storia del dodecalogo PRODI 2007

Zonaeuro
 
Caos politico ad Atene. La Camera dà il via libera alla piattaforma proposta dal governo a Bruxelles ma solo con 100 voti di socialisti, centristi e conservatori. Trentadue tra i nazionalisti di Anel e syrizei duri e puri non votano. Varoufakis preferisce passare il weekend al mare, mentre il ministro Lafazanis non le manda a dire: “Sostenere un programma di austerità, neoliberale e deregolamentato, non farà altro che aggravare il circolo vizioso di recessione, povertà e miseria”
 
di Francesco De Palo | 11 luglio 2015
E’ caos politico in Grecia: il governo è “con le gambe all’aria” scrivono oggi alcuni quotidiani greci. Alexis Tsipras conquista il  del Parlamento al terzo memorandum della crisi, già molto gradito a Bruxelles, ma di fatto cambia la maggioranza che lo sostiene aprendo a scenari nuovi: 32 deputati – tra destrorsi di Anel alleati al governo e syrizei duri e puri – non lo votano, mentre ben 100 sì giungono dai banchi delle opposizioni. Fonti del partito lasciano intendere che ci potrebbero essere anche dimissioni di alcuni ministri contrari all’austerità, prima combattuta nel famoso programma di Salonicco e in campagna elettorale “e ora accettata supinamente nonostante il no al referendum”.
 
Hanno risposto paròn (presente) 17 deputati di Syriza su 149 alla votazione, ufficialmente astenendosi (in totale sono 32) ma di fatto aprendo una questione politica in seno alla maggioranza di governo. Oltre all’ex ministro Yanis Varoufakis, al sole dell’isola di Egina per un weekend con moglie e figlia, ci sono i fedelissimi come il capo del correntone di Iskra Panagiotis Lafazanis, ministro dell’energia e uomo di raccordo con Mosca, la presidente della Camera Zoì Kostantopoulou (assieme a Dimitris StratoulisCostas LapavitsasStathis Leoutsakos) che in questa sorta di voto di fiducia sul governo stanno dalla parte opposta a quella del premier. Il partito è per la prima volta in subbuglio. Il ragionamento che si fa al sesto piano della sede di Koumoundourou è che se il mandato elettorale dello scorso gennaio e ancor più quello del referendum di appena sei giorni fa erano contro nuove forme di austerità, come giustificare oggi un altro piano lacrime e sangue, con aumenti di Iva, Imu sugli immobili e tasse di vario genere?
 
E’quasi l’alba quando Tsipras dirama una nota in cui sottolinea che il Parlamento ha dato al governo un mandato forte per completare i negoziati e raggiungere un “accordo economicamente sostenibile e socialmente giusto”. Quest’ultimo è il punto controverso, su cui il dibattito interno a Syriza è montato sin dalle settimane precedenti al referendum e sui cui, alla fine, si è poi consumata anche la rottura (politica e umana) con Varoufakis.
 
Poco prima ecco la bordata di Lafazanis: “Ho espresso la mia opposizione profonda e inequivocabile a una proposta che minaccia di estendere la custodia esterna del mio Paese. Io sostengo il governo, ma sostenere un programma di austerità, neoliberale e deregolamentato non farà altro che aggravare il circolo vizioso di recessione, povertà e miseria”. Una dichiarazione di sfiducia piena al piano che invece è stato votato da 100 deputati centristi, socialisti e conservatori dell’opposizione (in totale 251 favorevoli, 32 contrari, 8 astenuti). Prima del voto c’è stato anche un documento siglato da quattro deputati di Syriza (Dimitris KodelaVassilis KiriakakisEleni Sotiriou e Claus Chatzilamprou) in cui scrivono che il governo ha chiesto il loro appoggio per “un terzo memorandum preparato su richiesta della Troika”.
 
Se le critiche al piano appena votato dovessero realmente trasformarsi in passo indietro di alcuni ministri, ecco che Tsipras sarebbe costretto ad un rimpasto di governo, ma aprendo necessariamente a chi gli ha consentito di tornare a trattare con i creditori: i centristi di Potami, i socialisti del Pasok e i conservatori di Nea Dimokratia. Che, a quel punto, su sponda del presidente della Repubblica, pretenderebbero un nuovo esecutivo di larghe intese con tutti dentro, sognando addirittura un nuovo frontman (il giornalista Stavros Theodorakis, capo del Potami). “Ma se siamo stati eletti per cambiare tutto – si chiedeva ad alta voce un dirigente di Syriza prima dell’ennesimo caffè – come potremo adesso fare un governo con gli amici della troika che hanno governato dal 2011 a ieri?”.
di Francesco De Palo | 11 luglio 2015