ATTENZIONE – DISTRATTI da Grexit, Il Parlamento Europeo approva il CENSURATISSIMO TTIP e l’arbitrato Isds cambiandogli nome grazie a Shultz. Inizio della fine per 46.000 aziende biologiche italiane, per le Dop, Doc, Igp e benvenuto a Ogm, formaggio senza latte e porcherie simili.

Scritto il luglio 11, 2015 by .
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Di grande attualità

Senza Edward Snowden non ne sapremmo nulla…
L’accordo che si svolge in segreto e a porte chiuse da più di un anno, dovrà rimanere segreto per i cinque anni successivi alla sua stipula…

la mercificazione del mondo fa un grosso passo avanti. Col Voto di “Grosse Koalition” di “Popolari” (ora forse un po meno e Socialisti (che assomigliano sempre pià al nostrano Pd … Partito Diviso). Barricate (inutili) delle opposizioni.

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PREOCCUPATI DELL’ONDA “DEMOCRATICA” Greca e di quella montante Podemos , dietro alla spinta anche della Merkel il TTIP approda in parlamento e viene approvato con forzature importanti:

Martin Shultz fa saltare l’emendamento 40 che avrebbe permesso di far esprimere l’aula sull’arbitrato internazionale delle multinazionali contro gli Stati recalcitranti.

Si tratta di una forzatura procedurale inaudita. In due tappe. Prima invoca le prerogative del presidente per eliminare il pericoloso emendamento dalle procedure. poi ne fa votare un altro preparato da lui (pensate come lavorano bene le lobbies Usa-Ue su questo personaggio) dove cambia nome al pericolossissimo arbitrato (che si chiamerà Super Corte) e lo fa votare.

Che deficit di democrazia in questo Europarlamento che poteva almeno far finta di tener conto di 2 milioni di firme della società civile.

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Bocciati 100 emendamenti tra i quali alcuni di assoluto rilievo:

  • Bocciata la proposta Human Right Clause: che anteponeva i diritti umani rispetto alle dinamiche di mercato
  • Bocciata la lista per i servizi pubblici, utile ad escludere alcuni settori di puro interesse pubblico non mercificabili
  • Derubricato il capitolo sullo sviluppo sostenibile: diventa solo consultivo senza nessuno strumento impositivo
  • Viene bocciata la possibilità di escludere settori sensibili , come dovrebbe avvenire in alcune produzioni agricole, a forte rischio estinzione.

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Era stato chiesto di stralciare il settore agricolo dal trattato. Sembra che qualche voce Usa avesse commentato: “…Ma senza l’agricoltura il TTIP non esiste!”

Naturalmente una notizia cosi è taciuta sostanzialmente dagli organi di stampa mainstream .

Anche se potrebbe determinare la nostra vita nei prossimi 50 anni.

Ad ottobre la grande mobilitazione popolare contro il trattato

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In Europa via online ma anche con banchetti sono già state raccolte più di 2 milioni di firme per iniziativa di alcuni europarlamentari. Queste firme sono state consegnate alla Commissione europea tre giorni fa, motivo per cui il PE ha sospeso dibattito e voto sul TTIP, rimandando la seduta, con la protesta degli eurodeputati M5S, Verdi ed altri che avevano promosso l’iniziativa.
Il 15 e il 16 giugno 2015 Il presidente nazionale Carlo Triarico e Sabrina Menestrina saranno a Bruxelles, a un convegno per l’organizzazione della mobilitazione sul TTIP , il trattato commerciale con gli USA, che tanto preoccupa per le sue ricadute sulla nutrizione e la produzione agricola. Sono in movimento anche le 46.000 aziende biologiche italiane che rischiano di essere messe in forte difficoltà dal trattato, senza parlare di tutti i prodotti Doc, Dop, Igp
Vedi anche LEGGI

Il cittadino occidentale ignaro, non morirà solo do TTIP (relativo agli scambi commerciali) ma anche di di TISA (l’accordo sui servizi: Ospedali , istruzione e giustizia per tutti… purchè paghino)

http://espresso.repubblica.it/affari/2015/06/03/news/wikileaks-ecco-gli-accordi-segreti-sul-tisa-che-ridisegnano-le-regole-internazionali-del-mercato-1.215392?refresh_ce

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Utile leggere anche :

G7, il Ttip e la fase suprema della globalizzazione
Zonaeuro
di Paolo Becchi | 12 giugno 2015
Paolo Becchi
Docente universitario

Il dato più preoccupante del recente incontro del G7 è la promessa di realizzare in tempi brevi il Ttip, come ha rassicurato la cancelliera Merkel, ormai unica voce in rappresentanza dei Paesi europei, che non a caso per fare un piacere a Obama non ha dimenticato di minacciare un inasprimento delle sanzioni alla Russia, colpevole di aver violato la sovranità dell’ Ucraina quando tutti ormai sanno il gioco sporco che Usa e Ue hanno fatto e stanno facendo in quella regione. Se non fosse per l’irrilevanza di queste riunioni annuali, che non fanno altro che ribadire progetti e decisioni prese in altri contesti molto meno pubblicizzati, si potrebbe relegare il tutto all’ennesimo carrozzone messo in piedi dai Paesi più industrializzati, su impulso e direzione degli Stati Uniti che escludono i Brics dalle loro riunioni, non abbastanza ligi alla visione del mondo che hanno a Washington, e ora anche la Russia.

La cancelliera Merkel ha promesso a Obama di concludere le trattative sul Ttip entro la fine di quest’anno. Il Transatlantic Trade and Investment Partnership, o preferibilmente Trattato transatlantico sul Commercio e gli Investimenti, è un trattato di libero scambio che serve a modellare l’economia e il commercio europeo a immagine e somiglianza di quello statunitense. Ad una prima lettura superficiale può apparire sorprendente che la Germania, il Paese che di fatto guida l’Unione Europea imponendole l’austerity e il modello economico tedesco, possa aderire ad un Trattato che distruggerebbe il vantaggio competitivo che ha accumulato in questi anni a discapito dei Paesi dell’Europa del Sud. Non lo è poi tanto, se si considera che la Germania stessa commette un suicidio per la sua politica commerciale, quando continua ad applicare sanzioni economiche nei confronti della Russia, uno dei suoi partner commerciali più importanti. La dichiarazione della Merkel è dunque la conferma che l’Unione Europea non è che una periferia nella quale gli Usa possono far valere i propri interessi politici e commerciali. Il Ttip è l’ultimo passo per l’abdicazione della sovranità degli Stati europei e la nascita di un’unica area commerciale dominata dall’egemonia di Washington. I cittadini europei e italiani, ne sanno ancora ben poco perché su questo trattato e i suoi contenuti è stato mantenuto il più stretto riserbo. I documenti sulle trattative sono trapelati solo grazie al contributo di Wikileaks. Se avessimo atteso che le autorità europee e americane rendessero possibile l’accesso ai documenti avremmo dovuto attendere 30 anni, un tempo giudicato sufficientemente lungo dal capo delle negoziazioni dell’Ue Ignacio Garcia Bercero, che ha ribadito il suo impegno alla controparte americana a non diffondere in alcun modo il contenuto delle trattative.

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Perché imporre la segretezza su un accordo che cambierà completamente l’assetto del commercio europeo e la sua economia? Chi è il vero beneficiario di questo trattato? I documenti descrivono un mercato senza più barriere e controlli, quella liberalizzazione totale che darebbe alle corporation americane l’opportunità di esportare le loro merci nei mercati europei, senza tutte quelle regolamentazioni che oggi ostacolano il commercio Europa-Usa. Il vantaggio dunque è solo americano. Quale sarebbe però l’impatto per le nostre economie? Forse è questa segretezza che ha spinto il Presidente dell’Europarlamento Martin Schulz a sancire che non deve esserci né voto né dibattito sul Ttip, suscitando forti tensioni nell’aula plenaria che ancora una volta dimostra un grave deficit democratico delle istituzioni europee.

Aumento della disoccupazione

La storia recente insegna che gli accordi di libero commercio sono svantaggiosi per i Paesi che hanno più protezioni a livello salariale o diritti più solidi in materia di legislazione del lavoro, e vantaggiosi per chi ha deregolamentato il mercato del lavoro. Una volta che il Trattato entrerà in vigore, le imprese potranno aprire sedi in tutte le aree interessate dall’accordo ed essere trattate allo stesso modo delle imprese locali. Lo Stato in questo modo perde il potere di porre delle condizioni di entrata al suo mercato e non può regolamentare l’apertura di imprese straniere, che avranno lo stesso trattamento di quelle locali. Il mercato europeo e quello statunitense hanno ancora profonde differenze; il primo ha costi del lavoro più alti e sindacati più forti; il secondo ha costi del lavoro più bassi e una protezione sindacale molto più debole. E’ quindi facile immaginare che la creazione di un’unica area di libero scambio, incentivi la migrazione di imprese europee sul suolo americano, attratte da costi più bassi. Sarebbe una riedizione del fenomeno della delocalizzazione di imprese europee verso l’Europa dell’Est e l’Asia, con gli Stati Uniti come nuovo mercato di riferimento e un conseguente aumento della disoccupazione interna per i Paesi che subiscono la chiusura delle imprese locali.

Ttip: perché imporre la segretezza su un accordo che cambierà completamente l’assetto del commercio europeo e la sua economia? Chi è il vero beneficiario di questo trattato? Quale sarebbe però l’impatto per le nostre economie?

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Sicurezza alimentare e ambientale

Gli standard europei sono decisamente più alti anche in questo settore. Circa il 70% dei cibi industriali nei supermercati americani contengono Ogm, mentre in Europa, nonostante il lobbysmo delle multinazionali verso la Commissione Europea, ci sono norme molto più restrittive. Il Ttip sarebbe il cavallo di Troia perfetto per portare gli organismi geneticamente modificati sulle nostre tavole, e corporation come la Monsanto avrebbero il modo di dominare completamente il mercato dell’agricoltura europeo. L’industria delle biotecnologie in Europa sta lavorando a stretto contatto con quella statunitense proprio per aumentare la diffusione di Ogm nel mercato alimentare europeo. Con le norme attuali circa il 40% dei cibi americani non potrebbe essere venduto in Europa, a causa delle restrizioni sugli interferenti endocrini che vengono utilizzati ad esempio nelle carni americane, sottoposte ad un trattamento a base di ormoni della crescita oppure trattate con cloro; una procedura espressamente vietata dall’Ue nel 1997.

Privatizzazioni

Cosa non è stato ancora toccato dalle privatizzazioni? Attualmente la sanità pubblica non è ancora stata privatizzata, anche se le politiche di tagli al bilancio l’hanno fortemente indebolita. Le compagnie assicurative americane che controllano la sanità americana, vedono nell’Europa un importante mercato di sbocco e il Ttip rappresenta l’occasione attesa da tempo per sostituire i servizi pubblici sanitari europei. La logica è quella del business: al monopolista pubblico che ha esigenze e interessi diversi, si sostituisce l’oligopolio privato che vuole fare profitti. Sono interessate a questa dinamica anche le compagnie dei trasporti aerei, ferroviari e marittimi le quali dovrebbero essere vendute a compagnie private transnazionali che in questo modo potrebbero gestire i servizi strategici essenziali dei Paesi europei.

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Multinazionali superiori agli Stati nazionali

Questa forse è la parte più grave e inquietante. Negli accordi di investimento bilaterali esiste una clausola specifica che consente di mettere su un piano giuridicamente uguale o addirittura superiore le corporation rispetto agli Stati stranieri. Si tratta dell’Isds (Investor-State Dispute Settlement), ovvero la risoluzione delle controversie tra investitore e Stato, uno strumento già presente nel trattato di libero scambio nordamericano (Nafta). Invocando questa clausola, le multinazionali avrebbero il potere di trascinare gli Stati in tribunali internazionali per esercitare una richiesta di danni contro quelle nazioni che non hanno permesso la vendita dei loro prodotti sul proprio territorio. Una situazione che ha dovuto fronteggiare il Canada alle prese con ricorsi di corporation straniere che si sono appellati a questo strumento. Usa e Ue stanno trattando per inserire questa procedura nel Ttip, e l’impatto di questa misura potrebbe essere devastante non solo per la sovranità degli Stati, che si troverebbero alle prese con i ricorsi (costosi) delle compagnie straniere, ma anche per i sistemi giuridici nazionali che verrebbero sottoposti al giudizio di tribunali internazionali. Non sarà neppure necessario passare prima per il giudizio di un tribunale nazionale, in quanto questa procedura consente alle corporation di scavalcare le giurisdizioni nazionali e ricorrere direttamente al giudizio dei tribunali internazionali, spesso espressione di corti fittizie patrocinate dagli avvocati delle stesse compagnie che ricorrono in giudizio. Non è difficile immaginare che questi tribunali sosterranno le ragioni delle compagnie transnazionali a discapito di quelle degli Stati nazionali.

In conclusione, il Ttip non è solo una manifesta sottomissione degli interessi europei alla politica estera e commerciale statunitense, ma una definitiva trasformazione dello Stati che compongono l’Europa, che saranno completamente privati della loro sovranità in ambito economico, come già con l‘ euro sono stati privati della loro sovranità monetaria. Il Ttip è, insomma, la fase suprema della globalizzazione.

di Paolo Becchi e Cesare Sacchetti

 

 
Tratto da: Siamo La Gente

fonte:

http://www.rischiocalcolato.it/2015/07/distratti-grexit-parlamento-europeo-approva-ttip-larbitrato-isds-cambiandogli-nome-grazie-shultz-inio-della-fine-46-000-aziende-biologiche-italiane-le-dop-doc-igp-largo.html

The USA Mission: demonizzare la Russia, Filippo Ghira

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L’Unione Europea, sfruttando l’occasione offerta dalle vicende ucraine, si è accodata senza discutere alle strategie americane nei riguardi della Russia e di Putin che vengono presentati dai media occidentalisti come il più serio pericolo per la pace e la stabilità in Europa.
 
Una bella faccia di bronzo che se nel caso della Casa Bianca è fisiologica e affonda le sue radici nel retaggio ideologico della guerra Fredda e nella contrapposizione con l’Unione Sovietica, nel caso dei Paesi dell’Unione, che hanno deciso di imporre le sanzioni a Mosca, è semplicemente folle oltre che autolesionistico. Sia dal punto di vista politico che economico considerato che la Russia è il più importante e il più affidabile fornitore di petrolio e di gas dell’Unione Europea. E lo è ancora di più oggi dopo che Paesi come Libia e Iraq, una volta “laici” e stabili politicamente, sono finiti in mano alle milizie islamiche.
 
Nel caso degli Stati Uniti la strategia che da decenni si sta mettendo in atto è quella dell’accerchiamento della Russia che già caratterizzò la politica estera di Londra nel XIX secolo, quando la Gran Bretagna era la prima potenza globale. Il Grande Gioco di cui parlò pure Kipling e che si esplicava nell’impedire a Mosca l’accesso ai mari caldi. Una strategia che, gestita dagli Usa, oggi come durante la presidenza di Carter (1977-1980), vede il suo teorico in Zbigniew Brzezinski che, da immigrato polacco cattolico, ha più di una motivazione, storica e politica, per alimentare il suo astio verso la Russia che unitamente alla Germania si è più volte divisa il territorio della “sua” Polonia. Nel caso dei Paesi europei, quelli per intenderci che costituiscono il nocciolo duro originario dell’Unione (Germania, Francia e Italia), questo appiattimento sulle posizioni americane non ha ragione di essere, perché ignora volutamente la storia della Russia dopo il crollo del Muro di Berlino con tutti i tentativi da parte degli Stati Uniti di colonizzarla economicamente, assumendo il controllo del suo patrimonio energetico attraverso i vari oligarchi che furono riempiti di risorse finanziarie per comprare le aziende pubbliche, messe in svendita da Boris Eltsin e dal suo degno compare Egor Gaidar. Oligarchi che, molto spesso erano caratterizzati dall’avere un doppio o triplo passaporto con relativa nazionalità (russa, statunitense e israeliana) e che improvvisamente comparvero sulla scena facendo razzia di attività strategiche come petrolio e gas e costruendo un patrimonio immenso che condizionava, anzi aveva in pugno, la vita politica russa.
 
Una realtà contro la quale si mosse Vladimir Putin, una volta che prese il posto di Eltsin al Cremlino nel 2000. Da qui la campagna giudiziaria contro i vari Berezovsky, Gusinsky, Abramovich e soprattutto Khodorkovsky imprigionato e condannato per frode fiscale proprio quando stava per vendere alla Exxon la quota di maggioranza della Yukos, il colosso russo del petrolio e del gas. Una vicenda giudiziaria che innescò sulle due rive dell’Atlantico una incredibile campagna a favore di Khodorkovsky, presentato come un individuo dal comportamento cristallino, una vittima del “dittatore” Putin e come un sincero democratico. Una campagna che le autorità Usa cercarono di rafforzare con il blocco giudiziario dei beni della Yukos negli Stati Uniti. La solita pretesa missionaria di Washington di essere la guida morale e il gendarme del mondo e di conseguenza di imporre ad un governo straniero (nel caso la Russia) cosa fare o non fare all’interno del proprio territorio. Come se la Russia fosse un Paese, tipo l’Iraq o la Serbia, al quale imporre la propria volontà, attraverso una minaccia (o un attacco) militare, e non una potenza dotata di armi nucleari e in grado di reagire.
 
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L’aggiramento della Russia da sud fu il primo passo della strategia perseguita da Brzezinski che convinse l’amministrazione Usa a favorire la caduta dello Scià in Iran nel 1979 che era già debole di suo e di sostituirlo con un governo islamico in maniera tale da provocare una sorta di effetto domino, una infezione, nelle repubbliche islamiche dell’Unione Sovietica e sui tempi lunghi un suo dissolvimento. Fu per reagire a questa strategia che l’Urss invase l’Afghanistan. Poi in Iran le cose non andarono esattamente come sperava Brzezinski ma nel frattempo un seme era stato gettato.
 
Caduto il muro di Berlino, sotto la presidenza di Bush padre, il disegno di Brzezinski trovò nei repubblicani i suoi continuatori, a dimostrazione che esso era comunque funzionale agli interessi dell’establishment Usa. Ed il primo interesse era quello di impedire che si creasse una alleanza continentale tra la nuova Unione Europea e la Russia. Una alleanza nella quale la prima portasse la propria tecnologia e la seconda le materie prime energetiche. Un’alleanza in grado, sempre sui tempi lunghi, di insidiare il primato economico statunitense.
 
La scelta fatta fu quella di puntare sul risentimento delle repubbliche dell’ex Urss, divenute indipendenti, nei riguardi della Russia, di farle entrare nella Nato, e di favorire l’ascesa di politici fedeli a Washington in virtù di legami familiari e della doppia nazionalità, oltre che da cospicui finanziamenti. Caso emblematico fu quello di Mikhail Shakasvili in Georgia che guidò una delle tante rivoluzioni “colorate” e che poi ne assunse la presidenza. O il caso incredibile e recente dei tre ministri del nuovo governo ucraino, tutti e tre cittadini statunitensi imposti da Washington e funzionali alla richiesta delle autorità di Kiev di entrare nella Nato. E allora non bisogna stupirsi o protestare se la Russia, sentendosi minacciata, si sia ripresa la Crimea che l’ucraino Nikita Kruscev (capo dell’Urss dal 1953 al 1964) aveva regalato all’Ucraina togliendola alla Russia. Non ci si deve stupire se Putin abbia fomentato la rivolta delle regioni orientali dell’Ucraina nelle quali il russo è la lingua di riferimento. La richiesta di Kiev di entrare nella Nato (e l’appoggio che le ha dato l’Unione Europea, Italia inclusa) rappresenta infatti una vera e propria provocazione nei riguardi della Russia perché essa sposta ad Est gli equilibri geopolitici europei. Li sposta senza un motivo apparente che non sia quello esposto in precedenza. Perché la Russia non è né tanto meno può essere considerata un pericolo per l’Europa.
 
I tre governi a cui si faceva riferimento prima (Germania, Francia e Italia), tutto questo lo sanno benissimo eppure hanno scelto di sostenere una questione di principio, quella della intangibilità del territorio di un Paese che in passato hanno bellamente ignorato. Ricordiamoci ad esempio della guerra di aggressione della Nato contro la Serbia, supportata dalle basi collocate in Italia, gentilmente offerte dal governo dell’ex comunista D’Alema. Oggi invece, il cattivo è soltanto Putin e i governi di sinistra o di destra europei (la Gran Bretagna è sempre stata filo Usa) hanno dimostrato di essere perfettamente collocati su una linea che è autolesionistica per gli interessi dell’Unione.
 
Certo Putin non corrisponderà all’idea di un leader democratico che si ha in Occidente, quello insomma che lascia il potere reale nelle mani delle oligarchie finanziarie, alla cosiddetta “società civile”, ma è stato eletto dal suo popolo con maggioranze non da poco. Obama, da parte sua, continua a recitare un copione ad uso e consumo dei suoi maggiordomi, prontissimi a genuflettersi in attesa di ordini. «Putin sta ricreando un’atmosfera da guerra fredda», ha affermato ala riunione del G7. In realtà è vero l’opposto. Sono gli Stati Uniti che da un venticinquennio alimentano i venti di guerra in Europa e nel mondo, confidando nella propria superiorità tecnologica. Ed hanno scelto di usare l’Europa per destabilizzarla e per staccarla da una Russia che ne è l’alleato naturale.
 
Politici come Schroeder e Berlusconi (pur con tutti i suoi limiti e le sue colpe) lo avevano ben chiaro. I capi attuali no. Pure da questa debolezza deriva la crescente marginalizzazione dell’Europa nel mondo e la sua incapacità (perché ne mancano le premesse e le condizioni) di essere un soggetto unico in grado di incidere sul futuro.

Tassa sui camion per finanziare la Tav Torino Lione

 http://www.tgvallesusa.it/2015/07/tassa-sui-camion-per-finanziare-la-tav-torino-lione/
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In Francia si pensa a una tassa da imporre ai camion per finanziare la Torino-Lione.

no-tav-Clarea-17-2-2015-polveri-Rocciamelone-rosa-005-600x264CANTIERE DELLA MADDALENA Scava la talpa GEA
di  Rémi Barroux per Le Monde.

Come finanziare la Torino-Lione? La proposta di nuovo tunnel ferroviario 57 km, progettato per attraversare le Alpi, di Saint-Jean-de-Maurienne (Savoia) a Susa (Piemonte italiano), e contribuire ad alleviare le valli del maggiore traffico merci su strada, un impegno comune di Italia e Francia, rimane in primo luogo condizionato al suo finanziamento. Il 30 dicembre 2014 il Presidente del Consiglio aveva incaricato Michel Destot, MP (PS) del Isere e Michel Bouvard, il senatore (repubblicani) di Savoia, per esaminare “nuove fonti di finanziamento per il lavoro della sezione transfrontaliera” . “E ‘essenziale per stabilizzare il funzionamento del piano di finanziamento, in una situazione di bilancio difficile”, ha scritto poi Manuel Valls. Il rapporto tra i due parlamentari è stato consegnato Lunedi 13 luglio.

Nelle loro proposte, i due autori, che sostengono il progetto, ritenendolo “coerente” e “necessario”, difendono il principio dell’ aumento dei pedaggi per gli autocarri pesanti “sulla rete autostradale nelle zone di montagna.” Un ritorno ad una tassa ambientale regionale, in qualche modo – un tale dispositivo era stato abbandonato dal governo nell’ottobre 2014 – che “permetterebbe di generare un reddito netto di 40 milioni di euro l’anno”, nel corso di un periodo massimo fino a 50 anni. Questo dispositivo sarebbe dentro l’Eurobollo, fondato nel 1993 – da allora sono state adottate diverse versioni dell’ Eurobollo. La maggiorazione “montagna “della direttiva Eurobollo è completamente finalizzata al finanziamento del  tunnel di base Lione-Torino, cantiere prioritario per il tunnel transfrontaliero, affermano i relatori.

Questo aumento dei pedaggi per gli autocarri dovrebbe raggiungere il 10% sulle autostrade nelle Alpi del Nord e del 15% sugli assi delle Alpi del Sud “per tenere conto di livelli retributivi più bassi nel settore” e sarebbe inserito gradualmente ad un tasso del + 2 a + 3% all’anno per cinque anni. “Dobbiamo andare lentamente per evitare il rigetto dell’intervento, per essere politicamente accettabile”, ha detto a Le Mondee Michel Destot, ansioso di non sollecitare i vettori che hanno già avuto successo contro la tassa ambientale .

Il TGV Torino-Lione, considerato “inutile” e un costo “sconcertante” dai suoi oppositori, è stata valutato dalla Corte dei conti, nel mese di agosto 2012, per un costo totale di circa 26 miliardi di euro. Per la sola parte internazionale – il “tunnel di base”, relativo al finanziamento che hanno esaminato Destot e Bouvard – è pari a € 8,2 miliardi di euro (2012 valore), una somma presa come base dai due relatori. Nella sua lettera del dicembre 2014 Matignon calcola il lavoro di sezione in circa 8,5 miliardi di euro. L’Europa deve finanziare il 40%, e il resto è diviso tra Francia, + 25,3% (circa 2 miliardi di €) e l’Italia per il restante 34,7%.

Convinti della necessità di trasferimento modale dalla strada alla ferrovia per il trasporto merci, e ansioso di garantire la sostenibilità di questo collegamento ferroviario, uno dei nove «corridoi» della rete europea, che collegherà il sud Spagna verso l’Europa centrale, gli autori approffittano della decisione favorevole d’Europa per il suo finanziamento. Gli Stati membri hanno approvato il 10 luglio, “il piano di investimenti per i trasporti” proposto dalla Commissione, pari a 13,1 miliardi di euro. Di questi, oltre il canale Senna Nord, potranno beneficiare di sovvenzioni europee per la somma di 980 milioni di euro e la Lione-Torino riceverà circa € 814 milioni di euro.

La decisione europea è stato accolta dal Segretario di Stato per i Trasporti, Alain Vidal, felice di “questa buona notizia per la nostra economia, il settore delle costruzioni e dell’ingegneria.” “È giunto il momento per la realizzazione”, ha detto il 29 giugno. Soddisfazione anche Jean-Jack Queyranne, presidente (PS) della regione Rhône-Alpes, che sottolinea “il sostegno europeo volontario alla ripresa economica in grandi infrastrutture di trasporto.” Infine, la società incaricata del tunnel, TELT, ugualmente di proprietà di Francia e Italia, ex LTF (Lyon Turin Ferroviaire), accoglie con favore il “risultato straordinario che conferma l’importanza strategica della Torino-Lione per l’Europa.

Ma per gli avversari, la questione non è quella “La Commissione ha rivisto al ribasso la quantità di finanziamento ammissibile entro il 2020, circa 2 miliardi e non 3,2 miliardi. L’importo pagato dall’Europa è lontano dal 1,2 miliardi attesi da Francia e Italia, ritiene Karima Delli del MEP, Europa Ecologia-Verdi, che critica il fatto che i due progetti francesi “usano due terzi della disponibilità finanziaria europea per il periodo 2016-2010. “

La critica principale degli avversari copre anche la parte inferiore del dispositivo. “Se si comprende la proposta della relazione, il finanziamento si basa su una” tassa verde ” sulla base del traffico pesante per 50 anni afferma Daniel Ibanez, economista e portavoce dell’opposizione. Dobbiamo quindi tenere un sacco di camion sulla strada per tutto  questo tempo, mentre la Lione-Torino dovrebbe consentire e incoraggiare il passaggio dalla strada alla ferrovia. Se ci sono più camion in circolazione, c’è più finanziamento. “

Oltre al problema della galleria di base, vi è il finanziamento di accesso francese (e italiano) per la nuova linea ferroviaria. “Noi non siamo obbligati a fare nello stesso tempo l’accesso alla galleria di base, che può iniziare rapidamente, anticipa Michel Destot. La Torino-Lione, non è solo per collegare le due città, ma per garantire un asse che si estende da Londra a Italia, dalla Spagna ai Balcani. Il problema è quello di garantire il superamento di barriere naturali, come le Alpi, e vi è una gara tra la Torino-Lione e il tunnel del Brennero. “

La concorrenza è forte per effetto soprattutto con il tunnel del Brennero (55 km) che collegherà l’Italia e l’Austria, passando anche sotto le Alpi. L’Austria ha già attuato le disposizioni della direttiva Eurobollo che autorizza l’incremento dei pedaggi per il trasporto di merci, precisano i relatori, mettendo in evidenza i meriti della loro proposta. Per gli oppositori, la soluzione è di aggiornare la strada esistente, “già ristrutturata a un ritmo di un miliardo di euro”, dice Daniel Ibanez. “L’inchiesta pubblica 2012 ha stabilito che questo percorso aveva una capacità di 120 treni al giorno, mentre attualmente ne passano 20. Potremmo metterne più di 100, e al ritmo di venti camion per ogni treno, sono 2.000 al giorno e circa 700.000 all’anno. “

L’ambizione del futuro Torino-Lione è quello di ridurre di quasi il 40% la quota del trasporto merci su strada. “L’obiettivo di questa prima autostrada ferrovia attraverso le Alpi del Nord è di trasportare alla fine 100.000 autocarri l’anno”, ha spiegato la società incaricata del tunnel nel suo filmato di presentazione.

HOW THEY MAKE THE FAKE VIDEOS OF DAECH. US SENATOR MC CAIN IMPLICATED …

PCN-TV/  2015 07 14/

PCN-TV - Comment on fabique les vidéos de Daech (2015 07 14) ENGL

With Sputnik News (Moscow) /

 

Hackers of the CyberBerkut group (Ukrainian Resistance against the Junta of Kiev) have released a video of the execution of prisoners of the terrorist organization Islamic state (IS), which, according to the images, was filmed in a recording studio.

 Video on: https://vimeo.com/133524677

 The hackers said they found the video on electronic media owned by a US Senator John McCain collaborator (one of the owners of American networks that organize the “color revolutions” or the so-called “Arab Spring”) at his last visit to Kiev: “We the CyberBerkut group had at our disposal a file that is difficult to underestimate the importance! Dear Senator McCain, we recommend you not to take with you any longer secret documents in travels abroad, especially in Ukraine. “

 According to the images of the video, a “prisoner” is “executed” in front of several cameras, in a well-chosen lighting. An actor, dressed as executioner of the Islamic State group, puts a knife near the throat of the “sequestered” who pretends to suffer. Note the visibly western shooting team (ethnic type and clothing).

 Sputnik News states the following: “Remember that in August 2014, the IS terrorists have released several videos of executions. Their victims were yet miraculously calm, uttered their last words and died in the arms of terrorists. Many Internet users have seen these videos as fictitious, especially because of the reactions of the victims and the quality of the videos. The Americans have been repeatedly blamed for having made videos of the Islamic State group.”

 PCN-SPO / PCN-TV /

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https://vimeo.com/pcntv

https://www.facebook.com/PCN.NCP.TV

DES VIDEOS DE DAECH … MADE IN USA ! UN EXEMPLE DE LA VIEILLE COMPLICITE DJIHADISME-AMERICANISME MAIS PAS UNE EXCEPTION …

Luc MICHEL/ En Bref/

Avec Sana – PCN-SPO – PCN-TV/ 2015 07 14/

 Voir sur PCN-TV : https://vimeo.com/133261899

LM.NET - EN BREF djihadisme et américanisme (2015 07 14) FR

La complicité obscène entre Djihadisme et Américanisme imprègne toute la mentalité américaine. A commencer par les grands médias qui façonnent l’opinion publique des USA.

 Voir le cas révélateur du “Washington Post” !

Le quotidien américain “Washington Post”, en publiant la note d’un dirigeant du groupe terroriste Ahrar-al-Cham, lié à Al-Qaïda, a appelé la Maison Blanche à aider ce groupe.  Le président du bureau des relations étrangères de ce groupe, Labib el-Nahas, cité par le “Washington Post”, s’est dit opposé à ce que l’administration américaine n’ait pas considéré comme “modéré”, ce groupe opposé au gouvernement syrien. “La Maison Blanche accuse par erreur le groupe Ahrar-al-Cham de liens à Al-Qaïda, alors que ce groupe combat le gouvernement syrien, c’est pourquoi les Etats-Unis ne devraient pas le traiter sur le même pied que des groupes tels le Front al-Nosra et Daesh”, a-t-il indiqué. Que dire de plus …

 Luc MICHEL

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L’Europa gela ancora il Governo sul Terzo Valico

 
 

14 luglio 2015

Dietro le solite parole di rito sul Terzo Valico che viene definito da Olivier Onidi, responsabile delle reti Ten-T della direzione mobilità della Commissione Europea, un’infrastruttura importante per l’Europa, si cela in realtà l’ennesima sonora bocciatura del progetto. La Commissione Europea fa sapere, dopo le rimostranze del Governatore ligure Toti a seguito della decisione di non scucire neppure un Euro per l’opera, che l’Italia se vuole finanziamenti deve dimostrare la priorità del Terzo Valico. Ad incominciare dallo spiegare se si prevede un aumento del traffico ferroviario in entrata e uscita dal porto di Genova definito ad oggi modesto. Un’impresa impossibile per chiunque non sia un falsario, considerato che i Teu movimentati al porto si aggirano sempre intorno ai 2 milioni e le previsioni gonfiate di traffico per realizzare il Terzo Valico erano di 5 milioni di Teu nel 2012. Siamo a meno della metà e di tutti questi container neppure il 10% viene poi movimentato via treno. Non a causa della mancanza di un collegamento ferroviario veloce, si badi bene, ma perché il trasporto su gomma per brevi distanze è di gran lunga più conveniente per le imprese che devono trasportare le proprie merci. Il Governatore Toti e il Governo italiano farebbero bene a rassegnarsi, l’Europa selvaggia regolata dal capitalismo finanziario (come ben si può osservare in queste ore) non contempla il finanziamento di nulla che non crei profitto. E’ il mercato bellezza, quel mercato tanto amato da Renzi e da Toti…

Pubblichiamo l’articolo tratto da themeditelegraph.com

Terzo valico, l’Europa risponde a Toti: «Dimostri che serve al porto»

Genova – L’opera è un’infrastruttura importante per l’Europa ma l’Italia dovrà dimostrare che è giustificata da un adeguato volume di traffici, in entrata e in uscita dal porto di Genova.

Genova – Il Terzo valico è un’infrastruttura importante per l’Europa, e non c’è nessuna preclusione al suo finanziamento, né la sua realizzazione è messa in discussione, ma l’Italia dovrà dimostrare che l’opera è giustificata da un adeguato volume di traffici, in entrata e in uscita dal porto di Genova. Questa è in sostanza la spiegazione che è stata data martedì a Bruxelles da Olivier Onidi, responsabile delle Reti Ten-T della direzione Mobilità della Commissione europea, ai rappresentanti del governo (Mauro Bonaretti e Paolo Signorini per il ministero delle Infrastrutture, Raffaele Tiscar e Maurizio Maresca per Palazzo Chigi) dopo la lettera del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, al ministro Delrio e al premier Renzi sul mancato finanziamento Ue al Terzo valico.

Onidi ha chiarito che sull’opera non ci sono pregiudiziali e che potrà essere ri-finanziata il prossimo anno, ma solo se l’Italia riuscirà a documentare il valore prioritario del Terzo valico: accordi tra gli enti interessati alla costruzione dell’opera ed enti/organizzazioni delle aree geografiche europee che potrebbero beneficiarne (Baviera e Svizzera); futuri investimenti all’interno del porto di Genova, che giustifichino un aumento del (oggi modesto) traffico ferroviario in entrata e uscita dallo scalo; imprese e realtà produttive dell’area interessate alla realizzazione dell’opera: in pratica, chi materialmente metterà le merci sulla ferrovia per farle viaggiare nella lunga galleria sotto l’Appennino. Se l’Italia rispetterà queste condizioni, ha spiegato Onidi, allora si potrà pensare al ritorno nei finanziamenti al Terzo valico.

Alla fine di giugno, nel contesto del programma Connecting Europe Facility, l’Italia aveva ottenuto finanziamenti per 15 progetti e un valore di 1,2 miliardi di euro, tra cui la Lione-Torino e il Brennero, ma non per il Terzo valico (cui doveva essere destinata una cifra di 13,6 milioni di euro a fronte dei sei miliardi complessivi dell’opera sulla base di un accordo del 2007). Toti aveva scritto a Roma chiedendo che in occasione del Comitato di programma, il delegato italiano capisse le ragioni per cui il finanziamento era venuto meno e una riforma delle determinazioni della Commissione.

La vendetta della Troika si abbatte sulla Grecia: via al Terzo Memorandum

Lunedì 13 Luglio 2015 12:27

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“Pace Cartaginese”, “Waterboarding mentale protratto”, “Notte dei lunghi coltelli”: si sprecano i termini usati per qualificare il feroce accanimento dei falchi dell’austerity tedesca contro il popolo greco, capitanati dal ministro delle finanze Wolfgang Schauble, che dopo aver incassato la proposta votata sabato dal parlamento ellenico passano direttamente alla seconda mossa: l’annientamento dell’esecutivo di Syriza.

Una mossa trionfalmente inutile, se si considera il profondo malcontento suscitato dalle decisioni di Tsipras in patria (e non solo) che aveva già evidenziato la pericolosa debolezza del blocco parlamentare di Syriza, soprattutto dovuto all’irrigidimento della minoranza interna; si pongono così le basi per un possibile rimpasto del governo su posizioni più concilianti con la Troika e perfino per un cambio di maggioranza (vedremo cosa succederà nell’approvazione al Parlamento greco di quanto statuito dalle ultime 17 ore di Eurosummit).

Ad essere azzannata è la politica condotta da Tsipras nel porsi all’interno dello scacchiere continentale alla ricerca di una mediazione impossibile. Politica la quale, dapprima raffigurata come affronto ai margini di potere discrezionale della finanza, è giunta a essere denigrata e apertamente rigettata, con il rancore dei creditori che porta a un ulteriore, durissimo avvitamento dell’austerity.

Le condizioni poste dagli aguzzini della Grecia bypassando lo stesso parlamento tedesco tramite paper informali (permettendosi anche il lusso di liquidare come “insufficienti” le ultime concessioni di Tsipras le quali riprendevano, in taluni punti, e talvolta addirittura peggiorandole, le richieste avanzate dalla Troika alla vigilia del referendum), condizioni presenti nella bozza iniziale dell’Eurosummit, sono state scioccanti e oltraggiose. Si pretendeva il trasferimento di 50 miliardi di asset nazionali greci in un fondo lussemburghese controllato dalla banca Kfw, diretta dallo stesso Schauble e codiretta dal leader del partito socialdemocratico tedesco e vicepremier Sigmar Gabriel. Un’istituzione oltretutto famosa per aver trasferito 300 milioni di euro alla Lehmann Brothers il giorno del fallimento di quest’ultima nel 2008, evento inaugurale della crisi che tuttora il mondo sta scontando.

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E’ il modus operandi di un capitalismo liberale la cui natura di irresponsabilità, predazione e violenza, già sperimentata da centinaia di precari, operai e sfrattati, in Grecia come nel nostro paese, ormai agisce a volto scoperto – in un’ultima, unica e paradossale differenza rispetto alla criminalità organizzata.

E ancora: tagli automatici ai servizi qualora non venissero rispettati gli obiettivi di bilancio, implementazione pressoché immediata delle riforme, commissariamento di fatto del governo ellenico, ritorno dell’FMI. Voci circolate con insistenza nella notte, che poi lo stesso FMI è stato costretto a smentire, davano come precondizione per la ripresa degli aiuti il ritorno a nuove elezioni o l’instaurazione di un governo tecnico. Il monito di fondo dell’ Eurosummit è “lacrime e sangue, a prescindere”. Politicamente,la linea è che non ci può essere negoziazione sul debito senza che il completo assetto istituzionale ellenico sia determinato dalla Troika, con buona pace della rappresentanza per quanto anche quest’ultima sia incline a instaurare una dialettica che Merkel, BCE e FMI non intendono più aprire.

Una catena di ricatti che ha scatenato un’enorme ondata di indignazione e rabbia in Grecia e nel mondo. In rete non mancati gli appelli a Tsipras a ritirarsi dalla seduta notturna dell’Eurogruppo, anche su twitter con #TsiprasLeaveEUSummit e #ThisIsACoup (“questo è un golpe”) divenuto trending topic prima in Grecia, poi in Germania ed infine a livello globale. La costruzione sociale europea ne è rimasta tutt’altro che indenne. Come “golpe” veniva infatti a delinearsi non solo quello operato dall’UE verso la sovranità del paese mediterraneo; ma anche quello di sigle tecnocratiche e finanziarie (e in parte della stessa Germania, percepita come monolite insensibile) verso la sovranità, per quanto declinata su un piano di democrazia puramente formale e rappresentativa, della stessa architettura comunitaria.

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Dal risentimento verso le banche tedesche fallite salvate (al pari di tutte le altre dell’eurozona) grazie alle fiumane di denaro arrivate dalla BCE mentre negli ospedali pubblici greci mancavano i medicinali di base, a scene di genuina rabbia e auspici rivoluzionari (registrati persino dall’informazione embedded di RaiNews) nelle strade di Atene, l’atto di forza di Schauble ha innescato una miccia di cui nelle prossime ore si vedranno gli esiti.

Da una parte c’è la votazione entro mercoledì delle misure uscite dall’Eurosummit: istituzione di un fondo sempre di 50 miliardi di euro basato in Grecia ma sotto la supervisione dei creditori e di cui 25 miliardi saranno destinati al ripagamento degli interessi e alla ricapitalizzazione delle banche, 12,5 per abbattere il debito e 12,5  per la crescita; implementazione dei precedenti accordi su privatizzazioni, tasse e mercato del lavoro; controllo dei creditori su tutte le principali decisioni pubbliche. Dall’altra l’esaurimento della liquidità delle banche e la scadenza del 20 luglio, data in cui andrebbe saldata un’importante tranche di rimborsi del debito ellenico.

E’ indubbio che in questi mesi, con epilogo nella settimana referendaria, l’ “effetto Syriza” in qualche modo sia stato quello voluto da gran parte della popolazione greca per provare a respirare. E sentire in qualche modo un alleggerimento almeno psicologico della pressione dell’austerity mista alla mancanza di potere decisionale sulle proprie esistenze. Nondimeno, è chiaro che trasporre un effetto “placebo” alla crudezza del reale (ossia una Troika che continua a permeare gli orizzonti e rendere impossibile la sola immaginazione di un riscatto che la stessa popolazione greca ha voluto sin dal 2008), può avere delle conseguenze nefaste. A cui solo una mobilitazione slegata dai piani del Governo può (potrà?) fare da contrappeso, tanto più dopo gli scossoni interni al partito.

La morale della favola, il miglior modo di riassumere quanto avvenuto e di sperare in evoluzioni positive di quanto è sotto i nostri occhi, sta forse nel riprendere l’arcinoto discorso di Marx ed Engels al Comitato Centrale della Lega dei Comunisti: “Se i democratici proporranno che si regolino i debiti dello stato, allora i proletari proclameranno che lo stato faccia bancarotta”!Nell’auspicio che la popolazione greca, stremata dalla violenza e dalla barbarie del capitalismo made in UE, possa alzarsi in piedi ed opporsi con i propri corpi all’adozione di questo Terzo Memorandum nella stessa maniera con cui si oppose ai primi due..

GRECIA, ORE DRAMMATICHE AD ATENE: TSIPRAS RISCHIA DI CADERE, LE MINACCE DEGLI ANTAGONISTI IN PIAZZA

http://informazionediretta24.blogspot.it/2015/07/grecia-ore-drammatiche-ad-atene-tsipras.html

mercoledì 15 luglio 2015 

Grecia, ore drammatiche ad Atene: Tsipras rischia di cadere, le minacce degli antagonisti in piazza
 
Insurrezione ad Atene. Aria di rivolta in Parlamento, dove mezza Syriza potrebbe voltare le spalle questa sera al premier Alexis Tsipras, votando no al pacchetto di misure sull’austerità senza il quale la Grecia non può nemmeno sperare di accedere agli aiuti economici dell’Unione Europea.

La rivolta degli anarchici – Aria di rivolta anche in piazza, con la polizia che presidia militarmente il “tempio della democrazia” ellenico e chiude gli ingressi al Politecnico, università simbolo della protesta. E gli antagonisti si danno appuntamento in strada, nella centralissima (e caldissima) piazza Syntagma, con volantini che fanno presagire il peggio. Lo slogan degli anarchici mette i brividi, considerando quanto del futuro della Grecia è in gioco in queste ore: “Lotta anti-istituzionale ora, contro lo Stato e il capitale con ogni mezzo. La fine del debito arriverà con la fine dello Stato che lo sostiene e dell’economia che lo produce”. E la lotta dura comincia subito, con violenti scontri contro le forze dell’ordine tra cariche, lanci di bottiglie molotov e gas lacrimogeni in un classico scenario da rivolta antagonista già visto l’1 maggio a Milano.

La rivolta di Syriza – Ma è in Parlamento, si diceva, che Tsipras deve guardarsi le spalle. Incassato il durissimo colpo delle dimissioni della viceministra delle Finanze Nadia Valavani, dopo l’addio del “cane sciolto” Yanis Varoufakis, il premier sta facendo di tutto per blindare il pacchetto di riforme lacrime e sangue. Il leader di Tsipras è in un vicolo cieco: dopo il referendum vinto, al tavolo di Bruxelles si è giocato tutta credibilità acquisita in Patria con il no alle urne. L’accordo raggiunto con l’Ue, infatti, viene giudicato dall’ala sinistra del partito e da una buona fetta dell’opinione pubblica un vero e proprio tradimento, anche se nei sondaggi la maggioranza dei greci, ormai spalle al muro, si dice favorevole alle misure di austerità.

L’ombra della caduta – Per questo Tsipras, nonostante come riferisce l’edizione web del quotidiano Kathimerini 109 membri del comitato centrale di Syriza su 201 siano contrari all’accordo, sta sfidando i “ribelli”: “Se qualcuno di voi ha una soluzione alternativa me la dica, senza il vostro sostegno sarà difficile per me restare premier”. Sfiducia o dimissioni, sarebbe in ogni caso un disastro per Atene, ma forse non per Bruxelles o Berlino. Senza Tsipras, in Grecia si aprirebbero le porte al tanto auspicato (dai falchi rigoristi) governo di emergenza nazionale con Syriza “moderata”, PasokTo Potami e Nea Demokratia. In pratica, la vittoria totale di Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble.

PUTIN SUONA LA SVEGLIA AI POPOLI EUROPEI: “NON AVETE PIU’ SOVRANITA”- ECCO IL DISCORSO INTEGRALE TENUTO AL “FORUM DI VALDAI”

Così le Nazioni dell’Europa stanno perdendo la loro sovranità
“Servono nuove regole internazionali o rischiamo l’anarchia globale. Le ingerenze di Washington riportano il mondo alla Guerra Fredda”

Un discorso programmatico, da vero capo di Stato. Quello tenuto dal presidente russo Vladimir Putin il 24 ottobre scorso, alla sessione plenaria del Forum internazionale del «Club Valdai» (la fondazione no-profit che da anni si occupa del ruolo geopolitico della Russia nel mondo), non è una dichiarazione di guerra, ma un duro messaggio all’Occidente e in particolare agli Stati Uniti. Dagli errori in Medio Oriente alla lotta al terrorismo, dalle sanzioni dopo la crisi ucraina alle ingerenze economiche e politiche, Putin spiega perché la Russia non cambia posizione. E anzi, rilancia il suo ruolo di superpotenza.

di Vladimir Putin

Egregi colleghi! Signore e signori! Cari amici! (…)

Non intendo deludervi e parlerò in modo diretto, franco. Qualche dichiarazione potrà, probabilmente, apparire esageratamente aspra.

Ma se non parliamo in modo chiaro e diretto esprimendo i nostri pensieri reali e veri, allora non avrebbe alcun senso fare incontri di questo tipo. Si potrebbe, in quel caso, convocare dei raduni diplomatici dove nessuno parla in modo essenziale, in quanto, ricorrendo alle parole di un noto diplomatico, la lingua è stata data ai diplomatici solo per non dire la verità.

Noi ci riuniamo invece per altri scopi. Ci riuniamo per parlare senza mezzi termini. La rettitudine e la durezza nel formulare delle valutazioni servono oggi non per punzecchiarci reciprocamente, ma per cercare di comprendere che cosa veramente sta accadendo nel mondo, perché esso diventa sempre meno sicuro e meno prevedibile, perché ovunque aumentano dei rischi.

Il tema dell’incontro di oggi è ben definito ormai: «Nuove regole del gioco oppure gioco senza regole?». Formulato così, il concetto descrive puntualmente quel bivio storico in cui ci troviamo, la scelta che dovrà essere compiuta da tutti noi. L’idea che il mondo contemporaneo cambi precipitosamente non è nuova. Infatti, rimane difficile non notare le trasformazioni nella politica globale, nell’economia, nella vita sociale, nell’ambito delle tecnologie industriali, informatiche e sociali (…). Ma nell’analizzare la situazione attuale non dobbiamo dimenticare le lezioni della storia. In primo luogo, il cambio dell’ordine mondiale (e i fenomeni che osserviamo oggi appartengono proprio a questa scala), veniva accompagnato, di solito, se non da una guerra globale, da intensi conflitti locali. In secondo luogo, parlare di politica mondiale significa affrontare i temi della leadership economica, della pace e della sfera umanitaria, compresi i diritti dell’uomo.

Nel mondo si è accumulata una moltitudine di contrasti. E bisogna chiedersi in tutta franchezza se abbiamo una rete di protezione sicura. Purtroppo, la certezza che il sistema di sicurezza globale e regionale sia capace di proteggerci dai cataclismi non c’è. Questo sistema risulta seriamente indebolito, frantumato e deformato. Vivono tempi difficili le istituzioni, internazionali e regionali, di interazione politica, economica e culturale. Molti meccanismi atti ad assicurare l’ordine mondiale si sono formati in tempi lontani, influenzati soprattutto dall’esito della Seconda guerra mondiale. La solidità di questo sistema non si basava esclusivamente sul bilanciamento delle forze e sul diritto dei vincitori, ma anche sul fatto che «i padri fondatori» di questo sistema di sicurezza si trattavano con rispetto, non cercavano di «spremere fino all’ultimo» ma cercavano di mettersi d’accordo. Il sistema continuava ad evolversi e, nonostante tutti i suoi difetti, era efficace per – se non una soluzione – almeno per un contenimento dei problemi mondiali, per una regolazione dell’asprezza della concorrenza naturale tra gli Stati.

L’ARROGANZA DEI VINCITORI

Sono convinto che questo meccanismo di controbilanciamenti non potesse essere distrutto senza creare qualcosa in cambio, altrimenti non ci sarebbero davvero rimasti altri strumenti se non la rozza forza (…). Tuttavia gli Stati Uniti, dichiarandosi i vincitori della «Guerra fredda», hanno pensato – e credo che l’abbiano fatto con presunzione – che di tutto questo non v’è alcun bisogno. Dunque, invece di raggiungere un nuovo bilanciamento delle forze, che rappresenta una condizione indispensabile per l’ordine e la stabilità, hanno intrapreso, al contrario, i passi che hanno portato a un peggioramento repentino dello squilibrio.

La «Guerra fredda» è finita. Però non si è conclusa con un raggiungimento di «pace», con degli accordi comprensibili e trasparenti sul rispetto delle regole e degli standard oppure sulle loro elaborazione. Par di capire che i cosiddetti vincitori della «Guerra fredda» abbiano deciso di «sfruttare» fino in fondo la situazione per ritagliare il mondo intero a misura dei propri interessi. E se il sistema assestato delle relazioni e del diritto internazionali, il sistema del contenimento e dei controbilanciamenti impediva il raggiungimento di questo scopo, veniva da loro immediatamente dichiarato inutile, obsoleto e soggetto ad abbattimento istantaneo (…).

Il concetto stesso della «sovranità nazionale» per la maggioranza degli Stati è diventato un valore relativo. In sostanza, è stata proposta la formula seguente: più forte è la lealtà a un unico centro di influenza nel mondo, più alta è la legittimità del regime governante. (…). Le misure per esercitare pressione sui disubbidienti sono ben note e collaudate: azioni di forza, pressioni di natura economica, propaganda, intromissione negli affari interni, rimandi a una certa legittimità di «infra-diritto» (…). Recentemente siamo venuti a conoscenza di testimonianze di ricatti non velati nei confronti di una serie di leader. Non è un caso che il cosiddetto «grande fratello» spenda miliardi di dollari per lo spionaggio in tutto il mondo, compresi i suoi stretti alleati.

Allora facciamoci la domanda se tutti noi troviamo la nostra vita confortevole e sicura in questo mondo, chiediamoci quanto sia giusto e razionale il mondo (…). Forse il modo in cui gli Usa detengono la leadership è davvero un bene per tutti? Le loro onnipresenti interferenze negli affari altrui implicano pace, benessere, progresso, prosperità, democrazia? Bisogna semplicemente rilassarsi e godersela?

Mi permetto di dire che non è così. Non è assolutamente così.

LOTTA COMUNE AL TERRORISMO

Il diktat unilaterale e l’imposizione dei propri stereotipi producono un risultato opposto: al posto di una soluzione dei conflitti, l’escalation; al posto degli Stati sovrani, stabili, l’espansione del caos; al posto della democrazia, il sostegno a gruppi ambigui, dai neonazisti dichiarati agli islamisti radicali (…). Continuo a stupirmi di fronte agli errori ripetuti, una volta dopo l’altra, dei nostri partner che si danno da soli la zappa sui piedi. A suo tempo, nella lotta contro l’Unione Sovietica, avevano sponsorizzato i movimenti estremisti islamici che si erano rinvigoriti in Afghanistan, fino a generare sia i talebani sia Al Qaida. L’Occidente, pur senza ammettere il suo sostegno, chiudeva un occhio. Anzi, in realtà sosteneva l’irruzione dei terroristi internazionali in Russia e nei Paesi dell’Asia Centrale attraverso le informazioni, la politica e la finanza. Non l’abbiamo dimenticato. Solo dopo i terribili atti terroristici compiuti nel territorio degli stessi Usa siamo arrivati alla comprensione della minaccia comune del terrorismo. Vorrei ricordare che allora siamo stati i primi a esprimere il nostro sostegno al popolo degli Stati Uniti d’America e abbiamo agito come amici e partner dopo la spaventosa tragedia dell’11 settembre.

Nel corso dei miei incontri con i leader statunitensi ed europei ho costantemente ribadito la necessità di lottare congiuntamente contro il terrorismo, che rappresenta una minaccia su scala mondiale. Non possiamo rassegnarci di fronte a questa sfida (…). Una volta la nostra visione era condivisa, ma è passato poco tempo e tutto è tornato come prima. Si sono verificati in seguito gli interventi sia in Irak sia in Libia. Quest’ultimo Paese, tra l’altro, (…) ora è diventato un poligono per i terroristi. E soltanto la volontà e la saggezza delle autorità attuali dell’Egitto hanno permesso di evitare il caos e lo scatenarsi violento degli estremisti anche in questo Paese-chiave del mondo arabo. In Siria, come in passato, gli Usa e i loro alleati hanno cominciato a finanziare apertamente e a fornire le armi ai ribelli, favorendo il loro rinforzo con gli arrivi dei mercenari di vari Paesi. Permettetemi di chiedere dove i ribelli trovano denaro, armi, esperti militari? Com’è potuto accadere che il famigerato Isis si sia trasformato praticamente in un esercito? Si tratta non solo dei proventi dal traffico di droga, (…) ma la sovvenzione finanziaria proviene anche dalle vendite del petrolio, la cui estrazione è stata organizzata nei territori sotto il controllo dei terroristi. Lo vendono a prezzi stracciati, lo estraggono, lo trasportano. Qualcuno lo compra, lo rivende e ci guadagna, senza pensare al fatto che così sta finanziando i terroristi, gli stessi che prima o poi colpiranno anche nella sua terra.

Da dove provengono le nuove reclute? Sempre in Irak, dopo il rovesciamento di Saddam Hussein sono state distrutte le istituzioni dello Stato, compreso l’esercito. Già allora abbiamo detto: siate prudenti e cauti (…). Con quale risultato? Decine di migliaia di soldati e ufficiali, ex militanti del partito Baath, buttati sulla strada, oggi si sono uniti ai guerriglieri. A proposito, non sarà nascosta qui la capacità di azione dell’Isis? Le loro azioni sono molto efficaci dal punto di vista militare, sono oggettivamente dei professionisti. La Russia aveva avvertito più volte del pericolo che comportano le azioni di forza unilaterali, delle interferenze negli affari degli Stati sovrani, delle avance agli estremisti e ai radicali, insistendo sull’inclusione dei raggruppamenti che lottavano contro il governo centrale siriano, in primo luogo dell’Isis, nelle liste dei terroristi. Tutto inutile.

IL BIPOLARISMO «COMODO»

L’accrescimento del dominio di un unico centro di forza non conduce alla crescita del controllo dei processi globali. Al contrario, (…) è efficace contro le vere minacce costituite dai conflitti regionali, terrorismo, traffico di droga, fanatismo religioso, sciovinismo e neonazismo. Allo stesso tempo ha largamente spianato la strada ai nazionalismi (…) e alla rude soppressione dei più deboli. Il mondo unipolare è la celebrazione apologetica della dittatura sia sulle persone sia sui Paesi. Ed è un mondo insostenibile e difficile da gestire anche per il cosiddetto leader autoproclamatosi.

Da qui nascono i tentativi odierni di ricreare un simulacro del mondo bipolare, più «comodo» per la leadership americana. Poco importa chi occuperà, nella loro propaganda, il posto del «centro del male» che spettava una volta all’Urss: l’Iran, la Cina oppure ancora la Russia. Adesso assistiamo di nuovo a un tentativo di frantumare il mondo, fabbricare delle coalizioni non secondo il principio «a sostegno di», ma «contro»; serve l’immagine di un nemico, come ai tempi della «Guerra fredda», per legittimare la leadership e ottenere un diritto di diktat (…). Durante la «Guerra fredda», agli alleati si diceva continuamente: «Abbiamo un nemico comune, è spaventoso, è lui il centro del male; noi vi difendiamo, dunque abbiamo il diritto di comandarvi, di costringervi a sacrificare i propri interessi politici e economici, a sostenere le spese per la difesa collettiva, ma a gestire questa difesa saremo, naturalmente, noi». Oggi traspare evidente l’aspirazione a trarre dividendi politici ed economici tramite la riproposizione dei consueti schemi di gestione globale (…). Tuttavia il mondo è cambiato (…).

SANZIONI CON IL BOOMERANG

Le sanzioni hanno già cominciato a intaccare le fondamenta del commercio internazionale e le normative del WTO, i principi della proprietà privata, il modello liberale della globalizzazione, basato sul mercato, sulla libertà e sulla concorrenza. Un modello i cui beneficiari, lo voglio rilevare, sono soprattutto i paesi occidentali (…). A mio parere, i nostri amici americani stanno tagliando il ramo su cui sono seduti. Non si può mescolare politica ed economia, ma è proprio questo che sta accadendo. Ho sempre ritenuto e ritengo ancora che le sanzioni politicamente motivate siano state un errore che danneggia tutti quanti. Comprendiamo bene in che modo e sotto quale pressione siano state adottate. Ma ciò nonostante la Russia non intende, e lo voglio mettere ben in chiaro, impuntarsi, portare rancore contro qualcuno o chiedere qualcosa a qualcuno. La Russia è un Paese autosufficiente. Lavoreremo nelle condizioni di economia esterna che si sono create, sviluppando la nostra industria tecnologica (…). La pressione esterna non fa altro che consolidare la nostra società, ci obbliga a concentrarci sulle tendenze principali di sviluppo. Beninteso, le sanzioni ci ostacolano: stanno cercando di danneggiarci, di arrestare il nostro sviluppo, di ridurci all’auto-isolamento e all’arretratezza. Ma il mondo è cambiato radicalmente. Non abbiamo alcuna intenzione di chiuderci nell’autarchia; siamo sempre aperti al dialogo, compreso quello sulla normalizzazione delle relazioni economiche, nonché quelle politiche. In questo contiamo sulla visione pragmatica e sullo schieramento delle comunità imprenditoriali dei Paesi leader.

Affermano che la Russia avrebbe voltato le spalle all’Europa, cercando partner economici in Asia. Non è così. La nostra politica in Asia e nel Pacifico risale ad anni fa e non è affatto legata alle sanzioni (…). L’Oriente occupa un posto sempre più importante nel mondo e nell’economia e non possiamo trascurarlo. Lo stanno facendo tutti e noi continueremo a farlo, anche perché una parte notevole del nostro territorio si trova in Asia. (…).

Se non sapremo creare un sistema di obblighi e accordi reciproci e non elaboriamo i meccanismi per gestire le situazioni di crisi, rischiamo l’anarchia mondiale. Già oggi è aumentata repentinamente la probabilità di una serie di conflitti violenti con il coinvolgimento, se non diretto, ma indiretto, delle grandi potenze. Il fattore di rischio viene amplificato dall’instabilità interna dei singoli Stati, in particolar modo quando si parla dei Paesi cardine degli interessi geopolitici e si trovano ai confini dei «continenti» storici, economici e culturali. L’Ucraina è un esempio – ma non l’unico – di questo genere di conflitti che dividono le forze mondiali.

Da qui scaturisce la prospettiva reale della demolizione del sistema attuale degli accordi sulle restrizioni e il controllo degli armamenti. Il via a questo pericoloso processo è stato dato proprio dagli Usa quando, nel 2002, sono usciti unilateralmente dal Trattato sulla limitazione dei sistemi di difesa antimissilistica per avviare la creazione di un proprio sistema globale di difesa. Non siamo stati noi a iniziare tutto questo. Stiamo di nuovo scivolando verso tempi in cui i Paesi si trattengono dagli scontri diretti non in virtù di interessi, equilibri e garanzie, ma solo per il timore dell’annientamento reciproco (…). È estremamente pericoloso. Noi insistiamo sui negoziati per la riduzione degli arsenali e siamo aperti alla discussione sul disarmo nucleare, ma deve essere seria, senza «doppi standard». Che cosa intendo dire? Oggi le armi di precisione si sono avvicinate alle armi di distruzione di massa. Nel caso di rinuncia assoluta o diminuzione del potenziale nucleare, i Paesi che si sono guadagnati la leadership nella produzione dei sistemi di alta precisione otterranno un netto dominio militare. Sarà spezzata la parità strategica, comportando così il rischi di una destabilizzazione: affiora così la tentazione di ricorrere al cosiddetto «primo colpo disarmante globale». In breve, i rischi non diminuiscono ma aumentano.

Un’altra minaccia evidente è l’ulteriore proliferazione dei conflitti di origine etnica, religiosa e sociale, che creano zone di vuoto di potere, illegalità e caos, in cui trovano conforto terroristi, delinquenti comuni, pirati, scafisti e narcotrafficanti. I nostri «colleghi» hanno continuato i tentativi, nel loro esclusivo interesse, di sfruttare i conflitti regionali: hanno progettato le «rivoluzioni colorate», ma la situazione è sfuggita a loro di mano, alla faccia del «caos controllato» (…). E il caos globale aumenta.

Nelle condizioni attuali sarebbe ora di cominciare ad accordarsi sulle questioni di principio. È decisamente meglio che non rifugiarsi nei propri angoli, soprattutto perché ci scontriamo con i problemi comuni, siamo sulla stessa barca. La via logica è quella della cooperazione tra i Paesi e la gestione congiunta dei rischi, sebbene alcuni dei nostri partner si ricordino di questo solo quando risponde al loro interesse. Certo, le risposte congiunte alle sfide non sono una panacea e nella maggioranza dei casi sono difficilmente realizzabili: non è per niente semplice superare le diversità degli interessi nazionali, la parzialità delle visioni, soprattutto se si parla dei paesi di diverse tradizioni storico-culturali. Eppure ci sono stati casi in cui, guidati dagli obiettivi comuni, abbiamo raggiunto successi reali. Vorrei ricordare la soluzione del problema delle armi chimiche siriane, il dialogo sul programma nucleare iraniano e il nostro soddisfacente lavoro svolto in Corea del Nord. Perché allora non attingere a questa esperienza anche in futuro, per la soluzioni dei problemi sia locali sia globali? (…) Non ci sono ricette già pronte. Sarà necessario un lavoro lungo, con la partecipazione di una larga cerchia di Stati, del business mondiale e della società civile (…). Bisogna definire in modo nitido dove si trovano i limiti delle azioni unilaterali e dove nasce l’esigenza di meccanismi multilaterali. Bisogna trovare la soluzione, nel contesto del perfezionamento del diritto internazionale, al dilemma tra le azioni della comunità mondiale volte a garantire la sicurezza e i diritti dell’uomo e il principio della sovranità nazionale e non intromissione negli affari interni degli Stati (…). Non c’è bisogno di ripartire da zero, le istituzioni create subito dopo la Seconda guerra mondiale sono abbastanza universali e possono essere riempite di contenuti più moderni (…). Sullo sfondo dei cambiamenti fondamentali nell’ambito internazionale, della crescente ingovernabilità e dell’aumento delle più svariate minacce abbiamo bisogno di un nuovo consenso delle forze responsabili per dare stabilità e della sicurezza alla politica e all’economia (…).

IL CASO UCRAINA

Vorrei ricordarvi gli eventi dell’anno passato. Allora dicevamo ai nostri partner, sia americani che europei, che le decisioni frettolose, come ad esempio quella sull’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea erano pregni di seri rischi. Simili passi clandestini ledevano gli interessi di molti terzi Paesi, tra cui la Russia, in quanto partner commerciale principale dell’Ucraina. Abbiamo ribadito la necessità di avviare una larga discussione. Una volta realizzato il progetto dell’associazione dell’Ucraina, si presentano da noi attraverso le porte di servizio i nostri partner con le loro merci e i loro servizi, ma noi non lo abbiamo concordato, nessuno ha chiesto il nostro parere a riguardo. Abbiamo dibattuto su tutte le problematiche inerenti all’Ucraina in Europa in modo assolutamente civile, ma nessuno ci ha dato ascolto. Ci hanno semplicemente detto che non era affar nostro, finito il dibattito e la faccenda è deteriorata fino al colpo di Stato e alla guerra civile. Tutti allargano le braccia: è andata così. Ma non era inevitabile. Io lo dicevo: l’ex presidente ucraino Yanukovich aveva sottoscritto tutto quanto, aveva approvato tutto. Perché allora bisognava insistere? Sarebbe questo il modo civile per risolvere le questioni? Evidentemente coloro che «producono a macchia» una rivoluzione colorata dopo l’altra si ritengono degli artisti geniali e non ce la fanno proprio a fermarsi (…).

Voglio aggiungere che avremmo gradito l’inizio di un dialogo concreto tra L’Unione Eurasiatica e l’Unione Europea. A proposito, fino a oggi ci è stato praticamente sempre negato: e di nuovo è poco chiaro per quale motivo, cosa c’è di spaventoso? Ne ho parlato spesso in precedenza trovando l’appoggio dei molti nostri partner occidentali, almeno quelli europei: è necessario formare uno spazio comune di cooperazione economica e umanitaria, lo spazio che si stenda dall’Atlantico al Pacifico. La Russia ha fatto la sua scelta. Le nostre priorità sono costituite dall’ulteriore perfezionamento degli istituti di democrazia e di economia aperta, l’accelerazione dello sviluppo interno tenendo conto di tutte le tendenze positive nel mondo, il consolidamento della società sulla base dei valori tradizionale e del patriottismo. La nostra agenda è orientata all’integrazione, è positiva, pacifica (…). La Russia non vuole ricostituire un impero, compromettendo la sovranità dei vicini, e non esige un posto esclusivo nel mondo. Rispettando gli interessi altrui vogliamo che si tenga contro anche dei nostri interessi, che anche la nostra posizione sia rispettata (…). Abbiamo bisogno di un grado particolare di prudenza, di evitare passi sconsiderati. Dopo la «Guerra fredda» i protagonisti della politica mondiale hanno perduto in certo senso queste qualità. È giunto il momento di ricordarli. Nel caso contrario le speranze per uno sviluppo pacifico, sostenibile si riveleranno una nociva illusione, mentre i cataclismi di oggi significheranno la vigilia del collasso dell’ordine mondiale (…). Siamo riusciti a elaborare le regole di interazione dopo la Seconda guerra mondiale, siamo riusciti a trovare un accordo negli anni 1970 a Helsinki. Il nostro obbligo comune è trovare un soluzione per questo obiettivo fondamentale anche nel contesto di una nuova tappa di sviluppo.

Il Muos è sotto sequestro, e ora la smilitarizzazione della Sicilia

Posted on 13/07/2015 by 

Manifesto ESTATE NO MUOS leggero
La lotta No Muos continua.

Non ci basta il Muos sotto sequestro, vogliamo la smilitarizzazione della Sicilia.

Dal 6 al 9 agosto 2015 si terrà il terzo campeggio No Muos.

Ancora una volta al presidio permanente in contrada Ulmo.

Dopo anni di lotte e pressioni popolari il Muos è sotto sequestro.

 C’è stato il tempo per festeggiare un risultato che senza la mobilitazione collettiva non si sarebbe mai ottenuto. Eppure noi rimaniamo vigili e cauti: troppe volte abbiamo assistito a inganni, raggiri e false promesse per poterci dire del tutto soddisfatti. Il nostro obiettivo resta lo smantellamento non solo dello stesso Muos ma anche dell’intera base americana che ha sventrato quel che resta della Sughereta. E’ in contrada Ulmo che, da più di vent’anni, sono installate le quarantasei antenne NRTF, le cui radiazioni costituiscono, non solo un permanente pericolo per la salute pubblica, ma rappresentano l’avamposto più importante che le potenze imperialiste occidentali, Stati Uniti in testa, utilizzano per le loro politiche di guerra e distruzione nei confronti dei popoli dell’area mediterranea. Queste politiche guerrafondaie che abbiamo avuto negli ultimi decenni costringono l’Italia a sostenere un sempre maggiore impiego di forze militari, in nome d’ipocrite e criminali operazioni umanitarie che sono la causa delle gravi tensioni geopolitiche che rischiano di sfociare in un nuovo terribile conflitto mondiale.

Per questi motivi lanciamo il 3° campeggio No Muos, dal 6 al 9 agosto, ancora una volta al presidio permanente in contrada Ulmo.

Nel corso degli anni la lotta No Muos ha raccolto tantissimi consensi e ottenuto grandi risultati, ha instaurato legami e attraversato pratiche e dinamiche di conflitto sociale su e giù per il mondo.

Siamo stati i primi a denunciare gli scempi che avvenivano al Cara di Mineo, tra i primi a chiederne la chiusura ben prima che il fetore di Mafia Capitale fosse manifesto. Le condizioni di detenzione dei migranti sono ormai note. Di fronte ad una Fortezza Europa che prova a barricarsi nei propri confini di cartapesta e di fronte un’Italia che tenta di smistare persone come fossero pacchi, da antimilitaristi ribadiamo che non possono essere soluzioni praticabili il respingimento, l’isolamento, il controllo mascherato da esigenze di sicurezza. Noi crediamo ancora all’appello di Vittorio Arrigoni: restiamo umani.

Abbiamo partecipato al tentativo di unire le miriadi di conflitti ambientali sparsi per l’Italia. A Bruxelles così come a Taranto ci siamo accorti di parlare la stessa lingua, di poterci e saperci mettere in connessione per imbrigliare il potere di pochi nella volontà di tanti, ci siamo resi conto che non siamo soli. Le lotte di ciascuno sono le nostre lotte.

Siamo stati a Kobane, dove si è registrata l’unica reale vittoria sui terroristi dell’Isis. Abbiamo partecipato e siamo stati solidali con la resistenza dei guerriglieri e delle guerrigliere curdi del Rojava e siamo impegnati a sostenere la ricostruzione di Kobane. Intanto dovevamo subire la colossale menzogna che il Muos potesse servire per contrastare l’Isis, bugia raccontata da molti guerrafondai durante l’avanzata dell’esercito islamista in Libia.

Saremo in Giappone per un meeting internazionale contro le basi Usa sparse per il globo. Siamo stati a bordo della Freedom Flottilla, che si batte per rompere l’embargo di Israele sulla striscia di Gaza ai danni della popolazione palestinese. Siamo stati nella Milano dell’Expo, per opporci a questo modello economico che adotta retoriche umanitarie e ambientaliste per nascondere le devastazioni ambientali, economiche e sociali che produce. È questa la nostra risposta a chi ci taccia di essere un manipolo di sedicenti rivoluzionari. Siamo ovunque perché siamo chiunque lotta.

Perché crediamo che la migliore solidarietà ai popoli in lotta, dal Kurdistan all’Ucraina, contro l’oppressione imperialista sia quella di combattere per smantellare gli strumenti di guerra a casa nostra. E perché crediamo che la profonda crisi economica che stiamo attraversando la paghiamo anche noi quando chi ci governa taglia fondi alle scuole, agli ospedali e alle pensioni per mantenere in piedi un apparato militare utile ai soli interessi dell’industria bellica e delle multinazionali alla conquista di nuovi mercati.

Quest’anno è il centenario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale, momento storico che registrava un esteso fermento contro la guerra e di cui oggi raccogliamo l’eredità ideale, morale, politica, culturale e antimilitarista. Dal 6 al 9 agosto cade anche un altro tragico anniversario: il lancio delle bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki. Ricorrenze significative alle quali dedichiamo il 3° campeggio No Muos, all’insegna dell’opposizione a qualsiasi attività militare.

Ed è proprio per ricordare in chiave antimilitarista e antimperialista queste ricorrenze che lanciamo una manifestazione nazionale l’8 agosto; il 9 agosto invece è previsto un sit-in di protesta per commemorare la tragica conclusione della 2° guerra mondiale.