PER DEUTSCHE BANK L’ITALIA DEVE RIFORMARE ”TAGLIANDO PENSIONI, SCUOLA, SERVIZI E SANITA”’ OPPURE DEVE LASCIARE L’EURO

ottimo, cogliamo la palla al balzo visto che ci sarebbero due partiti euroscettici che hanno preso la maggioranza dei voti. No sia mai lasciare la Ue dei popoli, la dolce cara Ue tanto compassionevole verso i popoli….Ma questa intimidazione viene solo da una banca, le ligie democratiche sovrannazionali istituzioni europee mica prendono ordini dalle banche no?

BERLINO – “L’Italia dovrebbe decidere se riformare a fondo e repentinamente lo stato – con il taglio delle pensioni, il taglio della sanità pubblica, il taglio dei servizi pubblici, il taglio della spesa scolastica pubblica – o se lasciare l’eurozona”. Lo ha dichiarato in una intervista a “Bloomberg” il capo economista di Deutsche Bank, David Folkerts-Landau. E già questa è una notizia, che ovviamente in Italia nessun mezzo di “informazione” ha divulgato.
Discutendo gli effetti dell’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti sulle dinamiche macroeconomiche europee, Folkerts-Landau esprime una visione profondamente pessimistica:”Il Continente europeo, anche senza considerare Trump, e’ economicamente problematico da anni e la Banca centrale europea ha esaurito le munizioni a propria disposizione e anzi ne ha abusato, non in termini di mandato, ma di politiche valutarie”.
“L’eurozona si trova in una condizione per cui i rendimenti sui titoli obbligazionari non danno piu’ un’indicazione del rischio di credito proprio per effetto delle politiche di stimolo della Bce, la disoccupazione giovanile e’ mediamente al 20 per cento, e le previsioni di crescita sono state dimezzate rispetto a sei mesi fa”. Il cvapo economista di Deutsche Bank non fa sconti.
“A questo scenario – prosegue – si aggiunge l’impatto tremendamente negativo dell’elezione di Trump, ad esempio in termini di potenziali spese aggiuntive per la difesa europea, nel caso gli Usa decidessero effettivamente di ridimensionare la loro partecipazione alla Nato. L’elezione di Trump dovrebbe suonare la sveglia all’Europa, ma la politica continentale e’ troppo ingessata, e’ troppo difficile conseguire il cambiamento in Europa. E’ per questo che sono molto pessimista”.
L’intervista si sposta poi sulla precaria situazione economico-finanziaria dell’Italia, con l’impennata dei rendimenti sui titoli di Stato registrata in particolare negli ultimi giorni. “Se l’Italia fosse un paese emergente, dovrebbe intervenire in suo soccorso il federalismo europeo”, osserva l’intervistatore. Il capo economista di Deutsche Bank non traccia un quadro rassicurante: “Siamo di fronte a un paese con un rapporto deficit-pil oltre il 130 per cento, che non cresce e ha un deficit del tre per cento, e dunque continua ad accumulare debito”, afferma Folkerts-Landau.
“Gli interessi ancora contenuti che il paese paga sul suo debito sono la prova di un mercato obbligazionario totalmente distorto. L’incremento dello spread bund-btp registrato negli ultimi giorni e’ legato all’approssimarsi del referendum sulla riforma costituzionale del prossimo 4 dicembre. Il mio timore – afferma l’economista – e’ che piu’ ci si avvicina alla data del referendum, e piu’ l’effetto dell’elezione di Trump si fa sentire, piu’ gli investitori esterni usciranno dall’Italia, sino a far esplodere lo spread: uno scenario che prefigurerebbe un grave impatto sui settori bancari italiano ed europeo”.
“L’Italia, insomma, e’ l’epicentro da cui rischia di giungere ulteriore instabilita’ in Europa”.
Il capo economista di Deutsche Bank poi sgancia una vera e propria bomba: “Data la sua precaria situazione, e in caso di sviluppi negativi dopo il referendum del 4 dicembre, se l’Italia dovesse scontrarsi con ulteriori difficolta’, avrebbe bisogno di un programma del Fondo monetario internazionale. Il paese ha bisogno di un’opera tempestiva di riordino improntato all’efficienza del mercato e del mercato del lavoro, che deve essere compiuta dall’esterno, o in caso contrario rischia di non essere mai intrapresa”.
“Sarebbe certo difficile, per l’Italia e gli italiani, accettare un intervento dell’Fmi, e molto probabilmente la Commissione Ue cercherebbe di mettere assieme qualcosa sul modello della troika, ma non e’ cosi’ che il sistema finanziario globale dovrebbe funzionare: l’Fmi siede al centro, e se un paese ha difficolta’ finanziarie e’ da li’ che dovrebbero giungere le riforme, non da un contesto regionale”.
Ovviamente, per il capo economista di Deutsche Bank l’Italia è uguale alla Grecia, e non si rende conto che invece la destabilizzazione finanziaria dell’Italia è cosa ben diversa da quella greca. L’onda d’urto travolgerebbe l’intera eurozona, facendo tracollare colossi bncari malati come appunto è Deutsche Bank.
Folkerts-Landau riconosce – però – le difficolta’ insite nel tenere in vita il progetto di una moneta unica che riunisce economie diversissime come quelle di Italia e Germania: “Dal 1970 al 2000, quando e’ entrato in scena l’euro, il marco tedesco si e’ apprezzato sulla lira italiana dell’80 per cento. Oggi questo non e’ piu’ possibile, e l’Italia e’ costretta a una continua svalutazione domestica. E’ un problema destinato a protrarsi a lungo, a meno che l’Italia non implementi davvero profonde riforme strutturali (iperliberiste col taglio delle pensioni, il taglio della sanità e della scuola pubblica, il taglio dei lavori pubblici). E ha dimostrato di non esserne in grado. Senza quelle riforme – conclude il capo economista di Deutsche Bank – l’Italia sconterebbe uno stato di crisi continua, e dunque in questo caso starebbe meglio fuori dall’eurozona”.
Fonte ilnord.it

Europa privatizzata: non teme la sinistra, ma la democrazia

Scritto il 15/3/18

Non è possibile rimuovere il dato che il “popolo” «ritenga ormai la sinistra parte del problema e non della soluzione». Su “Contropiano”, che si definisce “giornale comunista online” e si è schierato con “Potere al Popolo”, Sergio Cararo ammette: il cosiddetto “popolo della sinistra”, «ormai residuo, residuale e limitato» (vedasi il pessimo risultato di “Liberi e Uguali”) «non è più sufficiente né credibile neanche per una dignitosa testimonianza istituzionale». Lo stesso “Potere al Popolo” «non è riuscito ad esprimersi fuori dal perimetro e dal linguaggio del popolo della sinistra». Per Gioele Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, la parola “sinistra” non è di per sé sinonimo di progressismo, come non lo è l’ideologia comunista, «che di fatto finisce sempre per affidare il potere a un’oligarchia (di burocrati, in questo caso)». Magaldi si definisce liberale e socialista: storicamente, il liberalismo ha rappresentato la rottura del monopolio politico dell’élite economica, e il socialismo ha offerto il know-how per mettere in pratica una giustizia sociale che non lasci indietro nessuno. Il dramma, in questa Italia – dice Magaldi a “Colors Radio” – è che abbiamo cestinato le ideologie utili, per tenerci solo quella, ipocrita e subdola, del neoliberismo disonesto, devastatore e privatizzatore, in nome del quale la super-casta finanziaria ha occupato militarmente le istituzioni, nazionali ed europee.
«La statistica degli ultimi anni ci suggerisce che i mercati oggi sono sempre meno spaventati se un paese dell’area euro affronta un momento più o meno lungo di “non-governo”», scrive il “Sole 24 Ore” in un passo citato da Cararo su “Contropiano”. «È la prova che oggi i governi nazionali dell’area euro contano sempre meno», aggiunge il quotidiano di Confindustria. «Le regole dei trattati sovranazionali, sottoscritte attraverso cessioni parziali di sovranità, depotenziano – che piaccia o no – le iniziative “fuori dagli schemi” a livello nazionale». Per Cararo sono «parole pesanti come piombo, ma veritiere», che infatti «delineano uno scenario con cui fare inevitabilmente i conti». Sulla realtà dell’Italia post-elettorale, aggiunge Cararo, «incombono ipoteche già in scadenza come la manovra finanziaria aggiuntiva che l’Italia dovrà fare a primavera sulla base dei diktat dell’Unione Europea, poi c’è il Fiscal Compact da approvare entro l’anno, e poi ci sono i “mercati finanziari” che fino ad ora non sembrano molto preoccupati della instabilità politica in Italia, come non lo sono stati di quella post-elettorale in Belgio, Spagna, Germania». E questo, «nonostante siano stati sconfitti due partiti “di sistema” come Pd e Forza Italia e abbiano vinto due partiti percepiti – fino ad ora – come “antisistema e populisti”», vale a dire Movimento 5 Stelle e Lega.
Se hanno vinto grillini e leghisti, dice Cararo, è per via della «composizione sociale “spuria” delle classi subalterne nel nostro paese», strati sociali che «avevano bisogno di un nemico sulla base del quale darsi – in negativo – una identità». Il “nemico” della Lega sono i migranti, quello dei 5 Stelle la “casta” dei partiti corrotti. Alle urne c’era un’Italia esasperata, «ma la “sinistra” non le ha offerto nulla di alternativo». Il cosiddetto antifascismo di oggi, tornato in auge come bandiera da sventolate contro CasaPound, per Cararo «va declinato nella sua attualità». Ovvero: «Il nesso tra le politiche antipopolari connaturate all’Unione Europea e la società del rancore che vota per vendetta, era la contraddizione che andava colta e agita a tutto campo». E se l’Europa del rigore produce l’Italia del rancore, quella è la faglia lungo la quale – per Magaldi – occorre predisporre una risposta democratica ampia e popolare, che potrebbe chiamarsi Pdp, Partito Democratico Progressista. «Partito, innanzitutto, fatto di militanti e dirigenti democraticamente selezionati: perché di quello c’è bisogno, non di cartelli elettorali velleitari che si squagliano come neve al sole dopo aver raccolto lo zero-virgola, alle urne». Progressista, in quanto «liberale e socialista come Olof Palme, il premier svedese assassinato nel 1986 anche per intimidire la socialdemocrazia europea».
Al leader svedese, costruttore del miglior welfare europeo (nonché di una formula economica basata sulla partecipazione azionaria degli operai nelle aziende aiutate dallo Stato) il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno, in primavera, a Milano. «Con Palme, probabilmente, questa Disunione Europea non sarebbe mai nata», sostiene Magaldi, che nel bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere) ha messo a nudo la natura supermassonica del vero potere, che all’inizio degli anni ‘80 – con il patto “United Freemansons for Globalization” – ha imposto questa mondializzazione brutale e senza diritti. Primo step, all’epoca: liquidare la sinistra socialista. Con il piombo, come nel caso di Palme, o con la comparsa dei post-socialisti come Clinton e Blair, pronti a smantellare diritti (precariato, flessibilità) e procurare profitti stellari all’élite finanziaria, tra deregulation per i capitali e turbo-privatizzazioni a favore degli “amici”. Magaldi non è catastrofista: riconosce ai 5 Stelle e alla Lega di aver sostenuto istanze democratiche sacrosante. Il problema? La mancanza di una sintesi, puntualmente palesata dalla paralisi post-voto. «Lasciamo perdere la parola “sinistra”», propone Magaldi, «e rispolveriamo ideologie utili: quella liberale, democratica, e quella socialista». Unica possibilità: «Costruire insieme una via d’uscita largamente popolare, condivisa, per trovare la forza di smontare le regole truccate di quest’Europa “matrigna” e privatizzata».
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Formenti: e ora il potere annullerà questa rivolta elettorale

Dopo Trump, la Brexit e il referendum italiano sulla Costituzione, erano arrivate la vittoria di Macron e il recente, travagliato rilancio della “grande coalizione” Cdu-Spd in Germania, alimentando nell’establishment “liberal” l’illusione che la marea populista fosse sul punto di rifluire. Invece no: il risultato delle elezioni del 4 marzo l’onda prosegue e rischia di travolgere «la diga eretta da partiti tradizionali, media e istituzioni nazionali ed europee», scrive Carlo Formenti su “Micromega”. 5 Stelle e Lega triplicano le rispettive rappresentanze parlamentari e i loro voti sommati superano il 50%, «certificando che metà dei cittadini italiani sono euroscettici e non credono più alle narrazioni sulla fine della crisi e sui presunti benefici della globalizzazione». Per i media, siamo allo tsunami populista. Ma che radici sociali ha? Quali sono le differenze fra le sue due anime principali? E perché le sinistre (socialdemocratiche e radicali) stanno affondando nell’insignificanza politica? E poi: perché, malgrado tutto, l’establishment è ancora in grado resistere? Quali scenari si apriranno, se e quando la diga crollerà davvero?

 
Dario Di Vico, sul “Corriere della Sera”, spiega il trionfo della Lega nelle regioni del Nord scrivendo che i voti dei ceti medi produttivi e quelli delle “periferie del rancore” si sono potuti sommare grazie a un’agenda politica chiara quanto facile dacomunicare: meno tasse e più controllo dell’immigrazione. A sua volta Enzo d’Errico (“Corriere del Mezzogiorno”) attribuisce la valanga dei voti pentastellati al Sud a un’altra convergenza: quella fra le masse meridionali, martoriate da disoccupazione e miseria, e i ceti medi a loro volta impoveriti dalla crisi: tutti «sedotti dalla promessa grillina di istituire un reddito di cittadinanza». Dopo la “normalizzazione” del movimento creato da Grillo e l’accentuazione del rifiuto di definirsi di destra o di sinistra, le differenze fra M5S e Lega «appaiono meno radicali di quelle che oppongono populismi di destra e di sinistra in altri paesi (vedi “Podemos” e “Ciudadanos” in Spagna, o Marine Le Pen e Mélenchon in Francia)».
 
Quanto al crollo delle sinistre, abbondano invece le diagnosi precise: Massimo Franco, sul “Corriere”, parla di un potere che non è stato in grado di vedere quanto stava accadendo». Sullo stesso giornale, Luciano Violante sostiene che la sinistra viene punita perché ha scelto il politicamente corretto, abbandonando l’etica dell’uguaglianza.
Onofrio Romano, intervistato dal “Corriere del Mezzogiorno”, punta il dito contro l’illusione dei fan nostrani della Terza Via di contemperare mercato e diritti sociali e di costruire un europeismo “buono e sociale”. Il futuro prossimo? E’ l’ora degli espedienti tecnico-politici da mettere in atto «per impedire a chi ha vinto di governare: alchimie parlamentari e presidenziali, condizionamenti finanziari e istituzionali da parte di mercati e organismi internazionali», soprattutto per scongiurare un patto fra M5S e Lega che, secondo Franco, «terrorizzerebbe l’Europa».
Per Formenti, il fallimento delle campagne propagandistiche che hanno tentato di rintuzzare l’ondata populista «nasce dal reale, drammatico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di milioni e milioni di cittadini colpiti dalla crisi e dagli effetti di una globalizzazione che diventa sempre più difficile spacciare come un’opportunità per tutti». A votare Lega e 5 Stelle è una popolazione che «paga il fio di disoccupazione, precarizzazione, degrado delle periferie “slum” dove si ammassano bianchi poveri e immigrati». Alla politica si chiede «protezione economica e sociale dai fallimenti del mercato e messa in sicurezza del territorio», e protezione «è proprio ciò che offrono i programmi populisti».
 
Entrambi, leghisti e pentastellati, «utilizzano la retorica dello scontro fra popolo (buono) ed élite (cattive)». Sia Salvini che Di Maio «vogliono difendere la nazione dalle ingerenze esterne (per cui condividono l’euroscetticismo)». Entrambi i partiti «hanno leadership carismatiche», e mentre i leghisti «offrono protezione dall’ondata migratoria e dai suoi effetti, nonché dall’invadenza statale (tasse, burocrazia, sprechi)», i 5 Stelle «si propongono di contrastare la mobilità di capitali e merci più che quella dei flussi migratori, auspicano un ruolo attivo dello Stato in economia». Ricompare la lotta di classe, «ancorché trasfigurata in opposizione alto/basso». Una partita dalla quale le sinistre sono ormai escluse: «Non sanno più intercettare i bisogni reali della gente – scrive Formenti – perché hanno perso la capacità di analizzare la realtà sociale».
Ma la verità, agguiunge, è che la sinistra non rappresenta più il popolo perché – come scrive Luca Ricolfi in “Sinistra e popolo” (Longanesi) – questo non è più il suo popolo. È dagli anni Ottanta (ma si potrebbe risalire più in là), a partire cioè dalla conversione alla fede nel mercato, che il suo blocco sociale di riferimento è cambiato, slittando progressivamente dalle classi subalterne agli strati medi colti e benestanti (classi creative, professionisti, quadri intermedi, quadri superiori dell’amministrazione, lavoratori dipendenti qualificati e garantiti).
«La connotazione di sinistra, a suo tempo associata alla difesa dei più deboli, è oggi affidata esclusivamente all’ideologia del politicamente corretto: diritti delle comunità Lgbt, matrimoni gay, quote rosa, tutela delle minoranze, tolleranza per ogni differenza, apertura ai flussi migratori (i migranti sono ormai gli unici soggetti deboli di cui si occupino)». I germi della mutazione, continua Formenti, vengono da lontano: da quando cioè i socialisti alla Blair e alla Clinton si sono convertiti al credo liberista. «Socialisti e liberali sono entrambi per l’incondizionata libertà di circolazione di capitali, merci e persone; condividono una visione cosmopolita da “cittadini del mondo” che esalta il superamento dei confini nazionali come un immenso progresso; infine sono accomunati dal disprezzo per i rozzi bisogni di un popolo che si oppone ai “benefici” della globalizzazione. È per questo che lottano ovunque uniti per fermare la marea populista. È per questo che qui in Italia speravano in un voto che creasse le condizioni per una santa alleanza fra Renzi e Berlusconi. È per questo che faranno di tutto per impedire che i populisti riescano a governare». E cosa succederà se non potranno più impedirlo?
 
Se fossimo in Spagna o in Francia, ragiona Formenti, potremmo dire che dipende da quale delle due anime populiste avrà l’egemonia: “Podemos” o “Ciudadanos”, Le Pen o Mélenchon. «Ma in Italia l’evoluzione moderata del M5S non alimenta illusioni: ammesso e non concesso che il movimento riesca a dribblare tutti gli ostacoli che si frappongono alla sua andata al governo, non appena i mercati e l’Europa detteranno le condizioni per lasciarveli, assisteremo a una calata di braghe ancora più veloce di quella di Tsipras». Si apriranno allora spazi inediti per vere alternative antisistema? «Temo di no, visto che le ultime elezioni non hanno certificato solo il fallimento del Pd, ma anche quello delle “sinistre-sinistre”». Non stupisce il flop di “Liberi e Uguali”, «che gli elettori hanno giustamente riconosciuto come una costola della casa madre, dalla quale si è divisa a seguito di guerre intestine per il potere, ma con la quale condivide la centralità del politicamente corretto quale unico attestato di un’identità “di sinistra”». E non stupisce nemmeno il misero 1% raccolto da “Potere al Popolo”, cioè «l’ennesima federazione elettorale di cespugli vetero-comunisti», che è nata «“annacquando” la chiarezza dell’opposizione all’euro e alla Ue in un discorso “internazionalista” che inorridisce di fronte a ogni progetto che affermi la necessità di recuperare la sovranità nazionale quale condizione per la riconquista della sovranità popolare». Un’impazienza che, per Formenti, «renderà ancora più lungo e difficile il cammino verso la costruzione di alternative politiche credibili (e non pateticamente minoritarie) al regime liberale».
Scritto il 09/3/18

Nuovo contratto Rai: “Se muore un dipendente, assumere il coniuge o il figlio”

na roba monarchica, dopo la decima estorta in bolletta enel anche se non si prende il segnale….pure questa. Si vede che in Rai la competenza e professionalità non conta

E’ quanto prevede il nuovo contratto firmato dai sindacati e approvato dai dipendenti di viale Mazzini, come rivela Aldo Fontanarosa su Repubblica
13 marzo 2018 11:53
Quando un dipendente Rai muore, viale Mazzini si impegna “in situazioni particolari adeguatamente certificate” ad assumere il coniuge o il figlio maggiorenne della persona deceduta.
E’ una delle condizioni previste dal nuovo contratto per operai, impiegati e quadri della tv di Stato firmato dai sindacati lo scorso 28 febbraio e approvato dai dipendenti Rai con un referendum pochi giorni fa (ha votato sì il 58 per cento su un totale di 7500 dipendenti, circa il 72% degli aventi diritto), come rivela Aldo Fontanarosa su Repubblica.
L’assunzione, chiarisce Fontanarosa, avverrà “compatibilimente con le esigenze aziendali e in armonia con il Piano triennale per la Prevenzione della Corruzione”.
Il nuovo contratto approvato dai dipendenti Rai pone fine a uno stallo durato ormai quasi cinque anni. “Considerata la rottura della trattativa e la proclamazione di sciopero che ho trovato al mio arrivo lo scorso giugno – aveva dichiarato Mario Orfeo, Direttore generale Rai – quello raggiunto dopo pochi mesi è un risultato importante, che porta flessibilità nei modelli produttivi, introduce una significativa modifica dei profili professionali e disciplina quelli nuovi legati alle attività digital, aumenta il sistema delle tutele e del welfare e ha un’impronta solidaristica. Il tutto realizzato nel rispetto delle compatibilità economiche consentite dall’attuale difficile congiuntura”.

Allarme del Viminale, in arrivo un esercito di 250mila clandestini. Meloni: “Blocchi navali subito!”

22 marzo 2018

Ennesimo allarme immigrati. In Italia è in arrivo un esercito di 250mila clandestini dalla Libia. Non è un rischio ma la previsione del governo italiano che circola tra i ministri e coinvolge soprattutto il dicastero di Marco Minniti che dovrà occuparsi dell’accoglienza di un nuovo fiume di disperati.
È una cifra superiore agli sbarchi degli anni scorsi. Si è sperato che gli accordi del governo con la Libia di Serraj potessero aiutare a limitare le partenze, ma nemmeno l’opera di addestramento della Guardia Costiera libica è bastata per interrompere i flussi.
Meloni: blocco navale al largo della Libia
«Ovviamente la sinistra non intende fare nulla per fermare questa invasione: a loro piace e soprattutto fa comodo alle loro cooperative amiche che lucrano sui disperati – è il commento a caldo di Giorgia Meloni su Facebook. « Noi vogliamo un’Italia capace di difendere i suoi confini, un’Italia sovrana che in Europa vada a chiedere aiuto per un blocco navale immediato al largo delle coste libiche», ha concluso la leader di Fratelli d’Italia invitando a partecipare alla manifestazione “Italia Sovrana in Europa” che si terrà a Roma il 25 marzo al teatro Angelicum in occasione del vertice straordinario Ue per il 60esimo anniversario dei Trattati di Roma. «Adesso cosa intende fare il governo?», si domanda preoccupato il senatore leghista Roberto Calderoli, «resteremo a guardare mentre ci invadono? Continueremo a spedire le nostre navi in acque territoriali libiche per il consueto “servizio taxi” dalla Libia alla Sicilia? Oppure, finalmente, ci decideremo a fare come Malta e la Spagna ovvero pattugliamenti in mare e respingimenti dei barconi verso i porti di partenza?».
Con fonte Il Secolo D’Italia redazione riscatto nazionale.it fonte qui