Veolia chargé de détruire des armes chimiques syriennes

http://www.lefigaro.fr/societes/2014/01/16/20005-20140116ARTFIG00656-veolia-charge-de-detruire-des-armes-chimiques-syriennes.php

Le port de Gioia Tauro, en Italie, doit lui aussi accueillir des stocks d'armes chimiques.
 Le gouvernement britannique a choisi la société française pour prendre en charge le traitement de 150  tonnes de de produits chimiques utilisés pour la fabrication d’armes. D’autres contrats pourraient suivre.

 Le gouvernement britannique a attribué à VeoliaEnvironnement un contrat de destruction d’armes chimiques syriennes. L’entreprise, spécialisée dans le traitement de déchets dangereux, a confirmé dans un communiqué avoir été choisie pour procéder à la destruction de «150 tonnes de produits chimiques dits’précurseurs B’». Ces produits sont «couramment utilisés dans l’industrie pharmaceutique», précise Veolia.

Selon des informations de Reuters, la cargaison est en cours d’acheminement par bateau vers l’Angleterre pour être traitée par l’incinérateur d’Ellesmere Port, non loin de Liverpool. Le site est spécialisé dans l’incinération et le traitement de «déchets à faible niveau radioactif». Un second contrat pour des volumes plus importants pourrait suivre. Sans confirmer cette information, Estelle Brachlianoff, directrice Royaume-Uni et Europe du Nord de Veolia Environnement, souligne que l’entreprise «continuera à travailler en étroite collaboration avec le ministère de la Défense et les autorités compétentes du Royaume-Uni pour assurer la destruction de ces produits chimiques».

Le protocole de destruction prend du retard

Le Royaume-Uni avait annoncé le 20 décembre avoir accepté qu’une partie de l’arsenal chimique du gouvernement syrien soit détruite sur son sol. L’accord conclu par les Etats-Unis et la Russiepour éviter des attaques militaires contre la Syrie prévoit normalement que le gouvernement deBachar el-Assad se soit débarrassé d’ici fin mars des agents chimiques dits «prioritaires», dont environ 20 tonnes de gaz moutarde et les agents servant à la composition des gaz Sarin et VX.

Le transfert à l’étranger et l’élimination des agents chimiques les plus dangereux de l’arsenal syrien ont pris du retard et pourraient ne pas être terminés avant la fin du mois de juin, a toutefois indiqué jeudi le chef de l’agence de l’Onu chargée de superviser leur élimination. Un premier chargementavait quitté le 7 janvier le port syrien de Lattaquié pour être chargé dans un navire américain spécialement équipé pour procéder à la destruction en mer de sa cargaison. Selon le calendrier fixé par la communauté internationale, la date butoir de fin juin devrait correspondre au transfert de l’intégralité du stock chimique. Damas a déclaré 1.300 tonnes d’agents chimiques à l’Organisation pour l’interdiction des armes chimiques (OIAC).

VALSUSA – LOCATELLI (PRC): CONTRO I NOTAV UNA “GIUSTIZIA INGIUSTA”

http://eziolocatelli.wordpress.com/2014/01/16/valsusa-locatelli-prc-contro-i-notav-una-giustizia-ingiusta/

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No,  questa non è giustizia.  La condanna di Bellone, Perino e Vair al pagamento di 214 mila euro per un’azione di resistenza passiva ai lavori nel cantiere Tav della Valsusa ci indigna non solo per una lettura distorta di quanto accaduto ma per l’assoluta sproporzione dei fatti contestati con la sanzione pecuniaria. Ci si illude se si pensa di battere la resistenza del movimento notav alla realizzazione di un’opera ingiusta con misure repressive e intimidatorie. I tre esponenti no tav hanno presentato un ricorso che speriamo sia accolto. Intanto a loro e a tutto il movimento notav va la piena solidarietà di  Rifondazione Comunista.

Torino, 16.1.2013

Tav. Denunce e risarcimenti

http://www.tgvallesusa.it/?p=4893

SCRITTO DA: VALSUSA REPORT – GEN• 16•14

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Alberto Perino,  Loredana Bellone, e Giorgio Vair, sindaco e vicesindaco di San Didero condannati a risarcire Ltf. Un’altra sentenza che accresce il divario tra giustizia e legalità.

Iniziamo raccontando quei fatti.  Era la fine del 2009 quando si iniziava a capire che da lì a poco avrebbe di nuovo avuto luogo un attacco al territorio. Il movimento NoTav faceva già le prime assemblee pubbliche per capire come difendersi, in una di quelle furono informati i cittadini dei progetti di Ltf, ditta a cui furono appaltati i lavori. Iniziava così la campagna contro le trivellazioni, Susa era un punto in cui le trivellazioni erano più concentrate. Fu così che nacquero i presidi si Susa all’autoporto e di S. Antonino alla stazione Fs.

L’11 dicembre 2009 «notav.info» scriveva “Siamo al giorno tre di presidio a Susa nell’area dell’Autoporto. Abituati alle nostre montagne, ai prati, alle salite, agli alberi, stiamo presidiando una zona della Valle che è un vero corpo estraneo a ciò che lo circonda, ma tant’è… Forse è anche il prezzo da pagare per dimostrare che in questa lotta ci crediamo così tanto che difendiamo anche posti che abbatteremmo volentieri. Intanto il movimento non sta ad aspettare con le mani in mano: il presidio cresce ora dopo ora. In assemblea l’altra sera abbiamo riempito la sala non di spettatori o uditori, ma di amici e compagni disponibili a lottare, da subito senza dover essere convinti di alcun che; le ragioni che muovono il movimento di popolo che siamo, si fanno ogni giorno sempre più forti e si manifestano ogni qualvolta che lo stato e le sue istituzioni gettano la maschera. Il comunicato emanato dal governo la dice lunga. In assemblea abbiamo preso l’impegno di opporci a tutti i sondaggi (91) e così faremo, mettendocela tutta nel bloccargli tutto, ma sappiamo che se anche non riuscissimo a bloccarglieli tutti non avremo perso alcunché: devono ancora fare la linea vera e propria, devono ancora progettarla, appaltarla e costruirla, quindi di tempo e occasioni ne abbiamo”.

12 gennaio 2009 videoplay

Il 12 gennaio, dopo un’assemblea di 300 persone riunitesi a Susa, viene deciso di aspettare che Ltf arrivi, dopo essersi annunciata. Solito schieramento con decine di pulmini stipati di agenti in tenuta antisommossa, agenti Digos e Carabinieri di Susa. Siamo alle prime comparse quando nessuno sospetta niente, la protesta regge e il confronto è normale (qui il video della giornata 12 gennaio 2010 sondaggi a Susa). I 91 sondaggi programmati entro il 31 gennaio si riducono a una dozzina, e le persone sono tante ad aspettare lo Stato.

Una protesta annunciata, concordata come ricorda il sindaco di San Didero Loredana Bellone intervistata dal «Fatto quotidiano». “Era stata un’azione di resistenza passiva – spiega il sindaco – la Polizia non ha ci spinto ad andare via. Quando vogliono far qualcosa la fanno a forza di manganellate, questa era una trappola per colpire alcune persone più in vista nel movimento”.

E così è stato. Una sentenza annunciata, procurata, provocata per espropriare la giustezza di una lotta che chiede giustizia, attraverso una legalità distante dalle terre che insorgono per difendersi. Non bastano accordi nazionali e internazionali, è necessario che gli accordi vengano estesi alla popolazione: mentre alla popolazione non si chiede altro che di restare silente e supina, accondiscendente, pena l’essere tacciata di terrorismo, l’essere accusata e denunciata.

Ma a presentare il conto non è soltanto Ltf, lo sarà anche il movimento che a detta di alcuni esponenti di spicco già pensa a un controprocesso, per ribadire, se ancora ce ne fosse bisogno, a quanto ammontano i danni morali e materiali che la gente della Val di Susa ha dovuto subire in questi anni, e a quanto ammontano i danni morali e materiali che questa classe politica ha causato al Paese. Una sorta di Tribunale Russell “nello sforzo di presentare al resto degli italiani, nelle università, nelle scuole, negli ospedali, nei posti di lavoro, l’enormità della truffa che un’associazione di delinquenti sta portando avanti contro tutti”.

Rifiuti tossici, Schiavone a Der Spiegel: “Napolitano fece secretare i miei verbali”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/16/rifiuti-tossici-schiavone-a-der-spiegel-napolitano-fece-secretare-i-miei-verbali/846862/

In un’intervista al giornale tedesco afferma che fu l’attuale Capo dello Stato italiano, ministro dell’Interno dal ’96 al ’98 nel governo Prodi, a secretare i documenti depositati dal pentito. E fa riferimento a Paolo Berlusconi come capo di un’azienda del nord protagonista dei suoi traffici

Rifiuti Tossici

“La mia testimonianza sul traffico di rifiuti tossici è stata secretata da Re Giorgio“. Il pentito Carmine Schiavone in una lunga intervista al giornale Der Spiegel afferma che fu l’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ministro dell’Interno dal ’96 al ’98 nel governo Prodi, a secretare le sue deposizioni sul traffico di rifiuti tossici che tiravano in ballo persino Paolo Berlusconi, fratello del Cavaliere, come capo di un’azienda del nord protagonista dei suoi traffici.

“Tutte le informazioni in mio possesso”, ha detto al giornalista Walter Mayr, “le ho date ai funzionari dell’anti Mafia italiana negli anni ’90. In quei documenti era anche scritto il nome di un’azienda intermediaria basata a Milano, che ha giocato un ruolo importante nel trasferimento dal nord al sud. Ma quella parte della mia testimonianza è stata classificata da Re Giorgio, che era ministro dell’Interno”. E al giornalista che gli chiede chi ci fosse dietro l’azienda di Milano, risponde: “Uno dei soci era Paolo Berlusconi“. Il vice presidente dell’AC Milan e fratello di Silvio Berlusconi, “era davvero parte del commercio mafioso di rifiuti tossici?”, si chiede il cronista. Ma l’articolo ricorda: “Il fratello di Berlusconi ha definito tutto questo una favola”.

Il Der Spiegel individua inoltre i nomi dei quattro personaggi che sulla questione in questo momento vivono maggiori pressioni sul tema: “Alessandro Pansa, che allora era a capo dello Sco (Servizio Centrale operativo) e adesso è Capo della Polizia; Nicola Cavaliere era con la polizia e fu coinvolto nel caso, sempre secondo il pentito, ora è vice capo dell’Aisi; Giorgio Napolitano, che era primo ministro dell’Interno e incaricato dell’indagini. Oggi è il Presidente della Repubblica del Paese; Gennaro Capoluongo che, secondo Schiavone, era a bordo di un elicottero che faceva un tour delle discariche di rifiuti tossici. Oggi è il capo dell’Interpol in Italia;”.

La visibilità negata del movimento No Tav

 http://www.tgvallesusa.it/?p=4877

SCRITTO DA: CONTRIBUTI – GEN• 15•14

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Arresti, convalide, pedinamenti, molotov, “attentati” a servizi sanitari, dichiarazioni senza “se” e senza “ma” dovrebbero far sorgere molti “se” e molti “ma” a partire dalle molteplici considerazioni che si potrebbero fare su neofascisti dalla penna facile e politici senza scrupoli. Preferiamo esprimere la nostra solidarietà al magistrato Livio Pepino, chiamato in causa come mandante morale in questi giorni, pubblicando nuovamente un suo scritto comparso tra le pagine di Altraeconomia il 18 ottobre scorso. Lucido e chiaro.

La visibilità negata del movimento No Tav

Improbabili maîtres a penser di diversa storia ed estrazione evocano, con riferimento alla Val Susa, i fantasmi del terrorismo. Lo fanno con scarso senso di responsabilità e con colpevole mancanza di memoria -nel Paese che, per coprire le stragi di Stato, inventò gli attentati anarchici-. Mi tornano alla mente un altro lembo di Italia, Cinisi (Pa), e Peppino Impastato, giovane antagonista ucciso da Cosa nostra e, per vent’anni, fatto passare, dalle istituzioni e dai media, per un terrorista. Lo dico con le parole di sua madre, Felicia Bartolotta: “Loro si immaginano: ‘Questa è siciliana e tiene la bocca chiusa’. Invece no. Io devo difendere mio figlio, politicamente, lo devo difendere. Mio figlio non era un terrorista. Lottava per cose giuste e precise […]. Glielo diceva in faccia a suo padre: ‘Mi fanno schifo, ribrezzo, non li sopporto […]. Fanno abusi, si approfittano di tutti, al municipio comandano loro’. Si fece ammazzare per non sopportare tutto questo”.

Attenzione! Quel che succede in Val Susa non è un fenomeno locale, limitato a una propaggine periferica dell’impero. Non lo è per il modello di sviluppo evocato dalla ennesima grande opera inutile e dispendiosa e dalle devastazioni ambientali da essa indotte. E non lo è per le reazioni, istituzionali e mediatiche, al movimento di opposizione. Dapprima i No Tav sono stati presentati come folkloristici montanari fuori dalla storia (moderni Obelix o Asterix), interessati solo alla propria terra e destinati ad essere travolti dalla ragione e dal progresso. Poi, quando il movimento ha cominciato ad aggregare consensi anche fuori dalla valle, sono iniziate le critiche -a causa di presenze esterne considerate indebite- e le denunce -per infiltrazioni di “autonomi” e “antagonisti”-: strana nemesi della storia, dimentica, se non d’altro, dell’estraneità alla valle dei più solerti sostenitori dell’opera…

Infine, in corrispondenza con l’emergere della questione Tav sulla scena nazionale (con presa di distanza dall’opera, secondo l’Ispo di Renato Mannheimer, del 44 per cento degli italiani), si è aperta la fase della criminalizzazione del movimento (o di una sua parte e, per il tramite di questa, del tutto).

Ma che cosa succede davvero in Val Susa? Succede che da ventitre anni l’opposizione al Tav -un’opposizione di donne, uomini, vecchi, bambini, ragazzi- continua in mille rivoli, con manifestazioni, libri, cortei, dibattiti, concerti, festival cinematografici, iniziative di solidarietà e di imprenditoria etica, turismo alternativo, feste, incontri internazionali, denunce di danni ambientali e di infiltrazioni mafiose, quaderni di documentazione, attività di formazione e molto altro ancora. Questa opposizione è così diventata, da un lato, il punto di riferimento per chi crede in una gestione partecipata dei territori e, dall’altro, una spina nel fianco di una politica bipartisan interessata solo -nel silenzio complice della stampa- a profitti privati e di gruppo. E succede che, per acquistare una visibilità negata e per esistere nella società mediatica -l’analisi non è di un pericoloso sovversivo ma di Ilvo Diamanti sulle pagine de la Repubblica-, il movimento ha affiancato alle attività di sempre alcune iniziative dimostrative, fatte anche di azioni violente contro le cose (come, da ultimo, i famosi “assalti alle reti del cantiere”, anticipati sui siti o addirittura attraverso manifesti e volantini): non velleitari tentativi di “presa della Bastiglia”, ma strumenti per mantenere uno stato di tensione e, dunque, di attenzione. A ciò la politica -a differenza di quanto accade in altri Paesi interessati all’opera- ha reagito, anziché con il confronto, con una delega acritica agli apparati repressivi. Ed è accaduto così quel che tutti -e più di ogni altra persona chi si occupa di ordine pubblico- sapevano: la violenza ha generato violenza, i gas lacrimogeni e le manganellate (comparsi alla grande già nel giugno-luglio del 2011) si sono intrecciati con i lanci di pietre e di petardi. In una spirale apparentemente senza fine nella quale l’accertamento di chi ha cominciato è un gioco sterile. Non avendo mai condiviso la violenza, da qualunque parte provenga, non me ne rallegro. E -aggiungo- so bene che anche i danneggiamenti sono reati e che nessuno può pretendere impunità a prescindere.

Ma dire questo, senza ambiguità, non esaurisce il problema. Non basta, infatti, deprecare la violenza se non si fa nulla per evitarla o, addirittura, si inaspriscono gli animi -come fa la politica- con provocazioni, comportamenti irresponsabili, accuse infondate, falsificazioni clamorose. Soprattutto se alla scelta della politica si accoda (come sta accadendo) la maggior parte della stampa, subalterna e disinteressata a ogni approfondimento autonomo, concentrata sui soli aspetti scandalistici, sempre più impegnata nel presentare l’opposizione al Tav in termini di cronaca nera (tacendo aggressioni e danneggiamenti in danno di esponenti No Tav e attribuendo, per contro, al movimento, in modo apodittico e prima di ogni indagine, la paternità di attentati e minacce anche in danno di personaggi controversi, dunque, con possibile diversa matrice). In questo contesto l’intervento giudiziario non si è limitato alla doverosa (e da nessuno contestata) attività di indagine e di equilibrata repressione dei reati, ma ha assunto aspetti di diretto coinvolgimento della magistratura nella gestione dell’ordine pubblico (simboleggiata, in ultimo, dalla presenza di due pubblici ministeri nel teatro delle operazioni, in evidente continuum con le forze di polizia il cui operato dovrebbe, anch’esso, essere oggetto di controllo). Si collocano in tale prospettiva alcune contestazioni abnormi, l’uso a piene mani della custodia cautelare, il ricorso alla tecnica dei processi “a mezzo stampa” (oltre che negli uffici giudiziari), i ripetuti ritardi e le sottovalutazioni a fronte di argomentate denunce provenienti dal movimento No Tav e altro ancora. E, alla fine, è arrivata l’evocazione mediatica e finanche giudiziaria del terrorismo.

Attenzione! Assimilare, per utilità contingenti, le pietre alle pistole non significa solo fare un cattivo servizio alla verità. Significa, anche, produrre effetti devastanti nel vissuto delle persone e nell’immaginario collettivo. Il tentativo non è nuovo. Il 20 luglio 2001, mentre a Genova veniva ucciso Carlo Giuliani, il direttore del Tg4 Emilio Fede, nel corso del lungo telegiornale pomeridiano, chiosava le manifestazioni in corso con commenti e richieste univoci: “Quelli che stanno protestando sono drogati, pezzenti, bande di delinquenti che dovrebbero essere arrestati e tenuti in galera a vita”. Allora quelle sollecitazioni vennero respinte (o comunque contenute) grazie alla mobilitazione di molti. Il compito dei democratici, oggi, è fare altrettanto.

* Giurista e scrittore, nel 2012 ha pubblicato con Marco Revelli Non solo un treno… La democrazia alla prova della Val Susa  (Edizioni Gruppo Abele)

da Altraeconomia 18 ottobre 2013

17.000 persone a processo in Italia per reati legati alle lotte sociali. Urge un’ Amnistia Sociale

http://www.osservatoriorepressione.info/?p=4850

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Pubblichiamo l’ intervista rilasciata da Italo Di Sabato, responsabile nazionale dell’Osservatorio sulla Repressione al sito you-ng

Dopo la messa in onda della prima puntata del programma “Presa Diretta”, con l’inchiesta sulle “Morti di Stato”, è fortissimo il dibattito sulle verità raccontate da Riccardo Iacona e dai suoi collaboratori.

Grazie alla disponibilità di Italo Di Sabato abbiamo cercato di approfondire alcuni dei punti toccati dalla trasmissione come il numero identificativo per gli uomini in divisa e le coperture su tanti casi di abusi di potere, ma un dato mi ha colpito particolarmente, ovvero l’enorme numero di persone (circa 17.000) sotto processo per reati legati a lotte sociali (una su tutte il diritto alla casa) che a causa di diverse norme inserite nel codice penale italiano vengono trattate come meri casi di delinquenza comune.
Buona lettura.

Prima di tutto presentaci l’Osservatorio sulla Repressione e quali sono i campi in cui opera.

L’Osservatorio sulla Repressione nasce  nel 2007 per espressa volontà di un gruppo di attivisti sociali,  tra cui Haidi Giuliani,  con l’idea di mettere su un sito/blog che seguisse tutti i casi di repressione, a partire da quelli contro le lotte sociali. In questi anni abbiamo partecipato e promosso iniziative, dibattiti, seminari sui temi della repressione (in modo particolare si fatti accaduti al G8 di Genova nel luglio 2001) e della legislazione speciale d’emergenza, sulla situazione carceraria e dei migranti, sulla tortura, abbiamo denunciando e seguito casi di mala polizia (dal caso di Federico Aldrovandi, a quelli di Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Marcello Lonzi, Riccardo Rasman; Stefano Frapporti, Paolo Scaroni per citarne alcuni). Da oltre due anni abbiamo istituito due sportelli carcere a Roma, in grado di fornire assistenza agli ex detenuti e i familiari dei reclusi. Oggi grazie anche alla collaborazione attiva con il legal team Italia che ha aderito aIl’osservatorio forniamo anche assistenza legale alle tante vittime di repressione e mala polizia. Dal 7 gennaio è online il nuovo sito www.osservatoriorepressione.info

La trasmissione Presa Diretta, con lo speciale “Morti di Stato”, ha fatto molto discutere, riuscendo a raccontare senza censure ciò che da tempo denunciate, cioè storie di uomini e donne vittime innocenti di abusi di potere da parte di uomini in divisa. Che lettura dai di ciò che è andato in onda su Rai 3 il 6 gennaio? Si è finalmente riusciti a rompere quel muro di silenzio che non permetteva di raccontare serenamente la verità su quelle morti?

Indubbiamente la trasmissione “Presa Diretta” è stata importante al fine di far conoscere ad un pubblico largo i tanti casi di mala polizia avvenuti nel nostro paese.  Dal nostro “osservatorio” in questi anni abbiamo dovuto constatare che dobbiamo fare i conto anche e soprattutto su codici ed articoli non scritti, tipo che “L’Italia è una Repubblica fondata sul mistero”,  cioè il che fare con un concerto di forze occulte dotate di leggi speciali, che in questi anni hanno tramato sia contro le voci impegnate a chiedere dal basso il riconoscimento di diritti fondamentali, sia nei confronti di semplici cittadini. Il risultato è stato una micidiale licenza di uccidere che, ha spezzato le vite di donne e uomini, spesso giovanissimi. Una licenza di uccidere frutto anche delle tante “emergenze”, di una continua “ri-difinizione” di “nemico pubblico”. La trasmissione di Iacona ha avuto il merito di rompere questi misteri e dare la giusta rilevanza ai tanti casi di “violenza di Stato” che normali cittadini di questa Repubblica hanno subito sulla propria pelle,

In una recente intervista, rilasciata al sito controlacrisi.org, hai sostanzialmente dichiarato che i casi di abuso di potere da parte degli uomini in divisa non possono essere racchiusi all’interno di una banale classificazione delle “mele marce”, ma che in realtà in Italia esiste un “laboratorio di Stato sulla repressione sociale”. Spiegaci il senso di questa osservazione.

E’ legato a quello che dicevo nella precedente domanda. In Italia, la legislazione d’emergenza è stata l’apripista di un processo di involuzione autoritaria, che, interdendo definitivamente la società reale dal luogo delle decisioni, ha finito per esternalizzare il ruolo dei poteri forti fissandolo nel tecnicismo della governabilità. Dall’approvazione della legge reale (1975) è stato un continuo varo di provvedimenti che ledono i diritti e di fatto danno immunità alle forze dell’ordine che compiono violenze, soprusi e molte volte omicidi. Ogni conflitto viene interpretato come emergenza; estendendo e perfezionando (grazie alle nuove tecnologie) il controllo sociale, con una  repressione sempre maggiore dando sempre più potere alle forze dell’ordine. Basti pensare all’approvazione dei pacchetti sicurezza: un mix micidiale di norme razziste e xenofobe con all’interno provvedimenti intesi a colpire le lotte e il conflitto sociale. La risposta  che i governi danno alla crisi economica e sociale è la dichiarazione di guerra al più povero. Se aiuti un migrante clandestino, ad esempio, rischi di finire in galera, a differenza di chi istiga all’odio razziale e diventa Ministro della Repubblica. Se ti opponi per reclamare diritti, reddito, casa c’è il rischio di essere brutalmente picchiato, torturato e arrestato. Chi invece ha prodotto la violenza, ha calpestato i più elementari diritti (come è accaduto a Genova durante il G8 nel luglio 2001) viene assolto, promosso e premiato come un “eroe” dello Stato. Non è un caso che la strategia di emergenza sulla sicurezza si concentra sugli aspetti più  mediatizzati del malessere sociale. In questo contesto avvengono anche le tante violenze da parte delle forze di polizia contro i migranti, giovani con look alternativi, ultras e tossicodipendenti. Quante volte abbiamo sentito dire ad esempio che Stefano Cucchi o Federico Aldrovandi in fondo erano due drogati? Oppure che Giuseppe Uva era un ubriacone o Carlo Giuliani un punkbestia noglobal?

Il 17 gennaio, a Bergamo, verrà presentato ufficialmente il numero verde nazionale anti-abuso, un’iniziativa promossa dalle tante realtà che formano  l’Associazione ACAD (Associazione contro gli abusi in divisa). In che modo sarà sviluppato il progetto e quali risultati si spera di ottenere?

ACAD nasce dall’intenso lavoro di un gruppo di attivisti che da diversi anni si occupano di abusi commessi dalle forze dell’ordine. Il progetto vuole essere un piccolo ma concreto impegno di lotta al fianco di chi ha subito abusi da parte delle forze dell’ordine: dal supporto legale, al divulgare e portare a conoscenza dell’accaduto, ad un numero verde di pronto intervento, perché non si ripeta ciò che è successo già troppe volte. Un numero verde attivo 24 ore su 24 da chiamare per denunciare l’accaduto e chiedere un supporto immediato.

Siete promotori del “Manifesto per l’amnistia sociale”, iniziativa che ha trovato tante adesioni di singoli e gruppi di movimento, dimostrazione di come sia necessaria una revisione di alcune norme giuridiche italiane che troppo spesso limitano le libertà fondamentali dell’uomo. Qual è l’obiettivo del manifesto e quali sono i punti basilari su cui avete costruito il percorso di lotta sull’amnistia sociale?

Siamo partiti da un dato, frutto di un lavoro di ricerca e censimento fatto dall’Osservatorio in questi anni. Abbiamo constatato, con dati alla mano, che dal G8 di Genova del luglio 2001 a oggi sono numerosi i casi in cui la magistratura ha cercato di trasformare le lotte sociali in azioni puramente delinquenziali. Parliamo  di circa 17.000 persone sotto processo, attivisti che si sono contrapposti alle politiche liberiste e hanno promosso lotte sociali riguardanti il tema della precarietà (e con esso il diritto alla casa, ai servizi, al reddito), le lotte dei migranti, le tante vertenze territoriali a partire da quella degli abitanti della Val Susa che si oppongono alla costruzione della Tav è che oggi rappresenta il paradigma di sperimentazione di occupazione militare di un territorio e di nuove tecniche repressive. Le mosse delle varie procure, sembrano inserirsi nel solco ideologico delle nuove tecniche repressive: disconoscere il primato politico delle varie forme di opposizione, per sancirne la resa giudiziaria delinquenziale e tramutare ogni lotta politica in ordine pubblico. La dimensione del fenomeno e la qualità delle imputazioni mosse indica la volontà di taluni apparati dello Stato e della stessa Magistratura di procedere ad una vera e propria criminalizzazione di istanze che dovrebbero trovare ben altre sedi e modalità di risposta. Per tutto questo è necessario l’amnistia politica e sociale e la depenalizzazione di una serie di reati, spesso ereditati dal vecchio Codice Rocco (varato durante il fascismo e mai abrogato), come il reato di devastazione e saccheggio, ma anche il reato di resistenza che sanzionano stili di vita, comportamenti sociali diffusi o persino le libere opinioni. Una campagna per il riconoscimento della legittimità di alcune forme di lotta, entrati nella prassi dei movimenti e dei comitati territoriali.

“Sono contrarissimo al numero identificativo per gli agenti in ordine pubblico, ciò contraddice tutte le regole di sicurezza. Le forze dell’ordine rischiano la vita e noi li vogliamo proteggere”. Queste sono le parole del Ministro degli Interni Angelino Alfano pronunciate lo scorso 20 dicembre 2013. Tale posizione è stata ripresa anche dal Vice Capo della Polizia Dott. Marangoni durante la trasmissione Presa Diretta. Stessa volontà espressa anche da alcuni sindacati di polizia come Sal e Siulp. Governo, sindacati ed alti funzionari della Polizia di Stato tutti unitamente contrari all’ipotesi di introdurre un numero identificativo per tutte le forze dell’ordine in servizio. Di fronte a questo muro quali passi si devono compiere per introdurre ciò che è già presente in gran parte dell’Europa?

L’Osservatorio sulla Repressione ha aderito all’appello fatto dagli Avvocati Europei Democratici affinché il Consiglio dei Ministri della Giustizia dell’Unione Europea metta in atto i passi necessari perché sia adottata una direttiva o una decisione quadro in questa materia, al fine di dare una risposta al problema  dell’identificazione visibile degli agenti di polizia, con lo scopo di evitare le minacce ai diritti fondamentali, di salvaguardare i diritti della difesa, l’indipendenza del potere giudiziario e il suo ruolo di controllo e al fine di bandire dal quotidiano l’impunità delle azioni delittuose di dette forze di polizia e dei loro responsabili amministrativi e politici secondo i seguenti criteri.

intervista a cura di

L’Arci condanna l’atto intimidatorio ai danni del senatore Esposito, ma anche la criminalizzazione del dissenso

http://www.tgvallesusa.it/?p=4953

SCRITTO DA: CONTRIBUTI – GEN• 17•14

ARCI COMUNICATI STAMPA

L’Arci condanna ogni atto violento e intimidatorio come quello ai danni del senatore Esposito, a cui esprime solidarietà. Consideriamo la libertà di opinione un bene comunque da salvaguardare.

Questo principio ci spinge anche a criticare le affermazioni rilasciate dal senatore durante la trasmissione radiofonica La Zanzara, che di fatto criminalizzano tutta la vasta area di dissenso nei confronti della realizzazione della Tav Torino-Lione.

In particolare appaiono inaccettabili le accuse di essere dei “cattivi maestri” rivolte a Fiorella Mannoia, Livio Pepino e Caparezza per le loro pubbliche prese di posizione contro la Tav.

Siamo infatti convinti che sia sbagliato attribuire ruoli negativi ed istigatori a chi, con argomentazioni puntuali, ribadisce l’inutilità, la dannosità ambientale, la gravosità dei costi di quell’opera

Inceneritore. Tutto bene e sotto controllo secondo Trm7

SCRITTO DA: FABRIZIO SALMONI – GEN• 17•14
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Al Comitato di Controllo tante risposte strettamente tecniche e una buona dose di arroganza da parte di Trm e Provincia fanno arrabbiare il pubblico che si prende il diritto di parola. I rappresentanti di Rivalta chiedono la revisione del regolamento e attaccano i criteri di rilevazione.

Grugliasco, 16.1.2014.  Una seduta tumultuosa quella del Comitato di Controllo sull’inceneritore che ha avuto luogo oggi presso la Sala Consigliare del Municipio di Grugliasco. L’organismo riunisce i rappresentanti di sei Comuni (Beinasco, Rivalta, Grugliasco, Collegno, Rivoli, Torino) interessati alle emissioni ed ai rischi ambientali connessi con il cosiddetto “mostro” del Gerbido. L’argomento del giorno era la disamina delle segnalazioni e degli esposti dei cittadini sulle anomalie sensoriali negli ultimi tre mesi. Le riunioni del Comitato sono pubbliche ma per regolamento interno non aperte all’intervento “esterno” cioè dei cittadini. A rivendicare invece un ruolo attivo e di denuncia si sono invece presentate un centinaio di persone, dotate di cartelli e mascherine, che hanno prima contestato le relazioni dei tecnici dell’Arpa sia nel merito che sui metodi di rilevamento poi si sono imposti tempestando di domande e di argomenti i convenuti. Cori di “Dmissioni!” e applausi ironici hanno accolto gli interventi dei tre rappresentanti dell’Arpa (quelli – per intenderci – che di fronte alla moria di pesci nel Clarea sotto il cantiere Tav hanno sancito che non c’era niente da rilevare), Pannocchia, Carbonato e Lollobrigida (accolto simpaticamente con un “Dài, Gino!”) mentre discretamente già arrivavano i Carabinieri, poi in progressione la gente ha cominciato a prendere la parola malgrado il tentativo della Presidente La Faienza di mantenere il controllo dell’assemblea. I Sindaci di Rivoli, Beinasco e Grugliasco si sono limitati molto prudentemente a chiedere chiarimenti mentre la critica più veemente è stata portata da Gianna De Masi (Assessore all’Ambiente di Rivalta) e dal suo tecnico Bertolino i quali hanno prima attaccato duramente il regolamento del Comitato lamentandone la chiusura alla popolazione e chiedendone la revisione poi entrando nel merito per contestare l’analisi portata dall’Arpa. Tra le argomentazioni “tecniche” sollevate, la questione del collaudo “lungo” dell’impianto, dell’accumulo dell’inquinamento nella fasi di accensione e spegnimento, delle ricadute ambientali non calcolate, dei dati  non riconosciuti dai protocolli e quindi ignorati malgrado il peso dei rischi che comportererbbero. Non è mancato nei loro interventi l’attacco politico: “L’inceneritore non risponde alle necessità del problema dello smaltimento dei rifiuti, è nocivo e di conseguenza si pone la necessità di affrontare la discussione sulle alternative. E’ un problema anche morale“. Il pubblico ha finalmente applaudito per poi tornare a rumoreggiare sulla fredda e scostante relazione del Direttore Trm, Fergetti che ha sciorinato i suoi dati, senza degnare di uno sguardo chi gli contestava le singole affermazioni. Un simpaticone. Quando poi ha preso la parola il rappresentante della Provincia (nome non pervenuto), la contestazione si è fatta più sonora e la seduta è stata aggiornata.

Tav. L’Europa dice sì

http://www.tgvallesusa.it/?p=4899

SCRITTO DA: MASSIMO BONATO – GEN• 16•14

Commissione-Europea-2

I soldi ci sono e verranno erogati. Fino al 40% di compertura per il tunnel della Torino-Lione

È del 7 gennaio il documento Building the Transport Core Network: Core Network Corridors and Connecting Europe Facility con cui la Commissione europea sancisce l’interesse dell’Europa per la Nuova Linea Torino-Lione. La Comunicazione COM(2013) 940 final individua al punto 3.1.1 cinque strutture transfrontaliere prioritarie per i collegamenti e i trasporti: Evora-Merida (PT/ES), Seine-Escaut (FR/BE/NL), per il corridoio Meditarraneo-Scandinavia la Fehmarn Belt (DK/DE) il tunnel di base del Brennero (IT/AT), e tra i maggiori progetti sul corridoio meditarraneo dalla Spagna a Kiev la Lyon-Torino (FR/IT).

Dopo l’approvazione dei Regolamenti TEN-T e CEF, Bruxelles stima un’erogazione di 5 mld di euro tra il 2014 e il 2020 e la possibilità di raggiungere il 40% di contributi per la sola galleria tra Saint-Jean-de-Maurienne e la Val di Susa. Stando al lancio Ansa che ne tratta, su un totale di 8,5 mld di euro per l’intero tunnel di 54 km, l’Europa verserà 3,4 mld, l’Italia 2,9 mld e la Francia 2,2 mld.

Rimane il fatto che proprio l’accordo che l’Europa voleva diventasse un atto politico italiano e francese, con la sua ratifica in entrambe i Parlamenti, stabilisce che i lavori avranno inizio a saturazione della linea esistente, riammodernata e sottoutilizzata, come da più fonti ribadito.

Massimo Bonato 16.01.14