
Francia: vendita di 445 milioni di armi all’Arabia Saudita per bombardare lo Yemen

“Non abbiamo né pane né acqua”, dice la donna: “Facciamo appello alle organizzazioni umanitarie, che ci invino aiuti, soprattutto pane e acqua, e anche beni come gas, combustibile, generatori elettrici”. E’ una delle forse centomila persone fuggite da Mossul, sottoposta ai bombardamenti americani dall’ottobre scorso per “liberare Mossul da Daesh”.
Marzo 22, 2017 Una nuova strage causata dai bombardamenti della coalizione diretta dagli USA nel nord della Siria: centrata una scuola. Le prime informazioni parlano di almeno 30 vittime fra i bambini presenti nell’edificio scolastico ed un numero imprecisato di feriti.
Questo episodio avviene dopo soltanto tre giorni dall’ultima strage provocata dai bombardamenti USA, che avevano centrato una moschea con 200 fedeli in preghiera, nelle vicinanze della città di Idlib causando 45 vittime ed oltre 120 feriti. Episodio attentamente occultato dai media occidentali come tutti quelli che coinvolgono le vittime di bombardamenti della coalizione USA e Arabia Saudita.
Notizia in corso di svolgimento. Ci saranno aggiornamenti successivi quando le squadre di soccorso siriane potranno accertare il numero esatto delle vittime. fonte
Le tre grandi compagnie aeree degli Stati Uniti si lamentano che Emirates, Etihad Airways e Qatar Airways – sostenute dai governi di Qatar ed Emirati Arabi Uniti – siano ingiustamente sovvenzionate e che la loro espansione nel mercato statunitense rappresenti una concorrenza sleale e dovrebbe essere bloccato dalle autorità di regolamentazione.
“Dal 2004, le compagnie del Golfo hanno ricevuto più di 50 miliardi di dollari in sussidi dai propri governi”, hanno scritto gli amministratori delegati delle tre grandi in una recente lettera al Segretario di Stato Rex Tillerson. “Sig. Segretario”, continua la lettera, “siamo certi che l’amministrazione Trump condivida la nostra visione sull’importanza di far rispettare i nostri accordi Open Skies: le compagnie aeree americane devono avere pari opportunità di competere nel mercato internazionale, bisogna proteggere posti di lavoro”.
Marzo 2017: gli U.S.A. vietano laptop e tablet sui voli dalla Turchia e dal mondo araboo
Alti funzionari degli Stati Uniti hanno detto ai giornalisti che a nove compagnie provenienti da otto paesi sono state date 96 ore, con inizio alle 03:00 (0700 GMT), per dire ai viaggiatori di mettere nel bagaglio da stiva qualsiasi dispositivo più grande di uno smartphone.
Laptop, tablet e console portatili sono colpiti dal divieto – che si applica solo ai voli diretti verso gli Stati Uniti dagli aeroporti della lista nera.
I trasportatori americani non sono colpiti dal divieto, ma i passeggeri di circa 50 voli al giorno da alcuni dei centri più attivi in Turchia e nel mondo arabo saranno obbligati a seguire la nuova sentenza.
…Il divieto colpirà i voli operati da Royal Jordanian, EgyptAir, Turkish Airlines, Saudi Airlines, Kuwait Airways, Royal Air Maroc, Qatar Airways, Emirates ed Etihad Airways.
La mossa non riguarda certo la sicurezza. Cosa impedisce ad uno di volare da Dubai a Parigi e da lì a New York con un laptop ed un tablet nel proprio bagaglio a mano? Perchè dovrebbe essere più sicuro di un volo diretto con Emirates? No. Semplicemente, le compagnie americane vogliono cancellare una concorrenza non gradita e vendere biglietti a prezzi più alti con meno servizi.
Per andare dal Medio Oriente agli Stati Uniti uno ora può scegliere tra un volo diretto senza tablet oppure fare un volo con vari scali: la seconda variante è ovviamente più “sicura”.
Curioso dettaglio: gli inglesi hanno prontamente seguito con le proprie “misure di sicurezza”. Ma hanno vietato aeroporti e compagnie diverse da quelle degli U.S.A. Non ci sono nuove “misure di sicurezza” per i voli da Kuwait, Qatar e Marocco; la Tunisia è invece sulla lista. La cosa non ha senso dal punto di vista della sicurezza, ma forse riflette l’importanza di certi investitori per la City di Londra, così come la concorrenza a British Airways. 21.03.2017
Link: http://www.moonofalabama.org/2017/03/us-airlines-ask-for-protectionism-trump-obliges.html#comments
Mentre scrivo, ho un’unica certezza rispetto a quanto accaduto a Londra: il mercato adora gli attentati terroristici. Anzi, con quasi certezza, posso dire che adora le conseguenze politico-sociali che spesso e volentieri portano con sè. Il computo dei morti, per ora, è di due persone: un poliziotto ucciso mentre tentava di fermare l’assalitore e una donna investita dal suv lanciatosi sulla folla lungo Westminster Bridge. Un medico dell’ospedale St. Thomas, raggiunto dalla BBC, ha parlato di “ferite catastrofiche” per molti dei feriti ricoverati.
Il Parlamento è ancora in lockdown, fino alla fine della bonifica interna, non entra e non esce nessuno: i servizi segreti hanno messo immediatamente in salvo la premier Theresa May, mentre i deputati sono stati invitati in un primo momento a sdraiarsi per terra, mentre ora attendono di potersene andare. Poco fa Scotland Yard ha emanato un comunicato in cui parla di diversi morti, anche tra i poliziotti e invita la popolazione a stare alla larga dall’area di Westminster. Qualcun altro è entrato in azione, oltre al 40enne con barba e aspetto asiatico ucciso dagli agenti, mentre coltello alla mano ha assalito un loro collega nel tentativo di entrare dentro la House of Commons?
Ripeto, è presto per trarre conclusioni. Troppa incertezza, troppa confusione, troppi particolari che mancano. Ad esempio, gli assalitori erano due o uno solo? C’era l’attentatore a piedi armato di coltello e quello alla guida dell’automobile usata stile Nizza oppure si tratta della stessa persona? Nel secondo caso, è morto e non potrà dirci nulla. Nel primo caso, ci troviamo di fronte a un terrorista mancante, in fuga od ormai “fuori servizio”. Anche perché i prii lancia di agenzia parlavano di un assalto a colpi di arma da fuoco a Westminster, mentre ora si tratterebbe di un suv lanciato sulla folla e di un assalitore all’arma bianca: i colpi uditi erano quelli della polizia che ha fatto fuoco o qualcun altro ha sparato, magari per aprire il varco al suv?
Il fatto che ci siano parecchi morti e che anche i feriti presentino ferite gravissime, ci dice che il suv ha attraversato Westminster Bridge ad altissima velocità: chiunque sia stato a Londra anche solo una volta in gita scolastica, sa di quale area della città si tratti. Passato il ponte si arriva a Parliament Square e, girando a destra, a Whitehall, la via dei ministeri dove si trova il 10 di Downing Street, la residenza del primo ministro. La dinamica non pare quella di un attacco posto in essere da professionisti, però l’area colpita ci dice il contrario: il cuore politico di Londra, nel corso di una seduta del Parlamento e in presenza del premier. Non c’erano pattuglie o posti di blocco nell’approssimarsi al Parlamento che potessero intercettare il suv, se davvero andava a velocità sospetta?
Lo scopriremo con lo svilupparsi dell’inchiesta, così come scopriremo con quanti terroristi abbiamo a che fare, se uno o due. Se poi Rita Katz rivendicherà a nome dell’Isis, tutto apparirà più chiaro.
Una cosa è certa: lunedì il governo britannico ha annunciato per il 29 marzo prossimo l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona per cominciare il percorso del Brexit e ieri, con velocità siderale, ha seguito la scelta statunitense di vietare laptop e altri devices elettronici sugli aerei in partenza da alcuni Paesi arabi e mediorientali verso il Regno Unito: tutto in stiva, da Yemen e Nigeria arrivano voci di possibili attacchi con batterie caricate di esplosivo.
C’erano segnalazioni di rischio imminente? Oggi, anniversario della strage all’aeroporto di Bruxelles, l’attentato a Westminster. E poco fa, le seguenti parole del presidente turco Erdogan, riportate dalla Reuters: “Se l’Europa continuerà a comportarsi in questo modo, nessun europeo potrà camminare per la strada in maniera sicura in nessuna parte del mondo. Come Turchia, chiediamo all’Europa di rispettare i diritti umani e la democrazia”. Ridete pure, vi capisco. E’ una risata isterica, perché qui la situazione sta impazzendo come una maionese giorno dopo giorno e c’è davvero poco da stare tranquilli. Ma è troppo presto, per quanto mi riguarda, per trarre conclusioni definitive. Ho una sola certezza: il mercato gode. E non è un bel segnale.
Mauro Bottarelli Fonte: www.rischiocalcolato.it 22.03.2017
Link: https://www.rischiocalcolato.it/2017/03/ce-poco-londra-parigi-mercato-adora-gli-attentati-anzi-ne-adora-le-conseguenze.html
se vincesse piuttosto l’ammazzano. Per salvaguardare la democrazia ovviamente.
La Le Pen vicina al 34% nei sondaggi segreti – Un editorialista del quotidiano francese Le Figaro ha detto che nei veri sondaggi il Front National è ben sopra il 30% nelle intenzioni di voto al primo turno.
Anche i sondaggi pubblici la danno davanti al primo turno, col 26-28%, ma perdente al secondo. Un 30% al primo turno, tuttavia, potrebbe aumentare di molto le chance di vittoria il 7 maggio.
Nel suo recente articolo sui falliti sforzi dei media di contrastare la Le Pen, l’editorialista Ivan Rioufol cita indagini nascoste che mostrano la candidata avere il doppio del 16,86% di suo padre nel 2002.
La “linea Maginot” del politicamente corretto delle élites francese non resiste più alla rabbia popolare, scrive Rioufol, aggiungendo che le minacce degli intellettuali di sinistra di abbandonare il paese altro non fanno che aiutare il FN. Lo stesso effetto ha l’allarmismo dei media su un “ritorno agli anni ’30”.
I media francesi ora contemplano apertamente una vittoria della Le Pen, riferendosi al suo partito come ‘alle porte del potere’, un’eventualità fino a poco tempo considerata impossibile.
Il presidente uscente, François Hollande, che descrive come suo ‘dovere finale’ il prevenire la vittoria dei nazionalisti, ha recentemente ammesso che lei può vincere. In privato, Hollande teme che l’appoggio alla Le Pen sia sottostimato nei sondaggi e che un punteggio alto nel primo turno potrebbe rendere difficile per qualsiasi rivale batterla nel secondo.
A cinque settimane di distanza dal primo turno di votazione del 23 aprile, i principali candidati si affronteranno stasera in un dibattito televisivo a Parigi, in onda sulle tv francesi TF1 e LCI. Si dibatterà di sicurezza ed immigrazione, economia e ruolo della Francia nella scacchiera mondiale. Con una campagna imprevedibile e in rapida evoluzione, e la sensazione che questo sia un momento cruciale per la Francia, il confronto probabilmente attrarrà una vasta audience e sarà sulle prime pagine martedì.
Damien Cowley 20.03.2017
Link: http://www.thegatewaypundit.com/2017/03/french-presidential-race-marine-lepen-far-ahead-rivals-secret-polling/
da compagni dei campi e delle officine a compagni delle banche e delle finanziarie….progresso..il resto è populismo….
TECNOCRATE AFFASCINANTE
Emmanuel Macron è il nuovo volto della sinistra francese e il più recente prodotto dell’élite globalista i cui sogni di dominio sono turbati dall’incubo Le Pen.
Perché dopo la Brexit e dopo Trump, l’oligarchia del denaro che governa l’Europa e l’Occidente, non può permettersi la vittoria del Front National in Francia che darebbe un colpo mortale alla sopravvivenza dell’Ue, della zona Euro e del sistema di potere tecno-finanziario.
Sia chiaro, Macron non è un tecnocrate alla Mario Monti: triste, grigio, anziano, con il culto della sobrietà polverosa. Macron è colto, bello, ricco, elegante, ammaliante nei modi e affascinante nella retorica; è il candidato ideale che piace alla gente che si piace (e sopratutto che conta).
Ha una storia personale viva, una moglie di 25 anni più grande incorniciata da classe e raffinatezza; l’ideale per i tabloid patinati e per i giornali di tendenza; un modellino di narrazione radical-chic.
Ha frequentato le scuole migliori: diploma al Lycée Henri-IV (uno degli Istituti più prestigiosi di Francia); laurea alla Nanterre di Parigi (l’Università che ha sfornato Presidenti, Primi Ministri, banchieri); specializzazione all’ENA.
Ha iniziato a lavorare nell’Ispettorato Generale delle Finanze uno dei sette “Grand Corps” dello Stato, i centri di potere della tecnocrazia.
Poi nel 2008 è entrato alla corte dei Rotschild come banchiere d’affari. Qui ha fatto il colpo grosso mettendo in piedi l’operazione di acquisizione da parte della Nestlé, del colosso farmaceutico americano Pfizer; Peter Babreck, il patron della Nestlé, di lui dirà: “è un giovane saggio che sa padroneggiare la tecnica e gli esseri umani”.
E così, tra un’operazione finanziaria e l’altra, Macron ha accumulato una fortuna e ha maturato la voglia di scendere in politica; ovviamente nel Partito Socialista, perché il cuore dei banchieri e dei tecnocrati batte sempre a sinistra.
Nel 2012 è diventato Vice Segretario Generale dell’Eliseo e nel 2014 Ministro dell’Economia nel primo Governo Valls. Nel 2015 fonda il suo movimento “En Marche!” con cui lancia la candidatura alle presidenziali e giorno dopo giorno, porta con sé pezzi dell’ormai agonizzante Partito Socialista.
Una carriera sfolgorante ed incredibilmente veloce; anche troppo per i tempi della politica francese. La sua ascesa fulminea ha destato sospetto anche oltre Manica, tanto che The Spectator ha cercato di indagare sui potenti amici che lo sostengono da dietro le quinte con l’obiettivo non solo di “dividere i socialisti ma di sostituirli”.
Oggi Macron sembra essere l’unico in grado di contendere l’Eliseo alla Le Pen. Il rivale che poteva insidiargli pezzi di elettorato era il gollista Fillon, fatto fuori da una puntuale quanto provvidenziale inchiesta giudiziaria.
UN REPLICANTE DI SOROS?
Ma sopratutto Macron è il perfetto prodotto di laboratorio dell’ideologia dominante: un tecnocrate, banchiere di sinistra, con idee più illuminate che illuministe, progressista, multiculturale, ecologista ma a favore della globalizzazione; pro-immigrazione, vuole più Europa, più “integrazione” cioè più potere a Bruxelles e in politica estera condivide le posizioni guerrafondaie sulla Siria ed è ostile alla Russia di Putin in perfetta sintonia con l’agenda atlantista.
Le sue idee politiche sembrano prese direttamente dai documenti dell’Open Society di George Soros; come il nome del suo Movimento (En March!) così incredibilmente uguale a Move.On, l’organizzazione di cui Soros è il principale finanziatore e che appoggia le politiche liberal dei candidati democratici negli Stati Uniti.
Attorno a Macron si è raccolto il gotha del potere finanziario, mediatico e industriale francese: in primis Pierre Bergé il grande industriale miliardario e filantropo definito non a caso il Soros di Francia; ma a torto perché Bergé è uno dei più straordinari interpreti del nostro tempo; l’uomo che ha amato Yves Saint Laurent trasformando il suo genio in industria.
Bergé, omosessuale e laicista estremo che vuole l’abolizione di tutte le festività cristiane in Francia, filantropo in prima linea per le battaglie progressiste, è anche l’azionista di maggioranza di Le Monde (di cui detiene il 64% delle quote insieme a Pigasse l’altro banchiere enfant prodige della sinistra francese) e Nouvelle Observateur.
Nel team di Macron, ha un ruolo guida Bernard Mourad, l’uomo di Morgan Stanley in Francia e poi a capo del comparto media del colosso olandese Altice/Sfr che gestisce oltre 60 testate (quotidiani e periodici) tra cui Liberation, Le Figaro, L’Express, radio e tv come RMC e BFM; ruolo da cui si è dimesso per gestire la campagna elettorale.
LA FRANCIA E’ SOLO UNO SPAZIO
“Non esiste una cultura francese; esiste una cultura in Francia… ed è molteplice”, così Macron si è espresso in un comizio a Lione.
Alain Finkielkraut, filosofo conservatore, uno dei più lucidi pensatori del nostro tempo, commentando la frase ha scritto: “tra «francese» e «in Francia» vi è la distanza che separa una nazione da una società multiculturale” perché per coloro “che sono sotto la bandiera progressista, la Francia non è una storia e non è neppure un Paese, è solo uno spazio”. E così la Francia-spazio di Macron è un luogo neutro dove le culture si ritrovano per caso; una chiesa cristiana o una moschea non fanno differenza perché appunto, “non esiste una cultura francese”.
Macron incarna perfettamente l’ideale dell’apolide mondialista per il quale cultura, tradizioni, lingua, nazioni, sono incidenti della storia rispetto all’unico valore universale: quello dell’homo oeconomicus. Per lui, il conflitto con l’Islam in Europa è colpa di un modello sociale sbagliato e il terrorismo islamista “è solo frutto di mancanza di opportunità economiche”.
Macron è chiaro in questo: non possiamo finire “agli arresti domiciliari dell’identità”. Secondo il perfetto Verbo mondialista, l’identità di una nazione è una costrizione, una forma di reclusione da cui evadere; una sovrastruttura complessa da eliminare per dare libero sfogo al sogno dell’uomo universale perfetto ingranaggio del sistema economico dominante; l’uomo senza radici che può essere tutto e niente. Per questo Macron è a favore dell’immigrazione e della Francia multiculturale.
Nelle elezioni francesi si rinnova il nuovo grande conflitto di idee e visioni che dilania l’Occidente: quello tra chi auspica una società abitata dall’uomo mutante (entità interscambiabile) contro chi difende una nazione abitata dall’uomo reale (soggetto consapevole di memoria storica e identità); in pratica la lotta tra “astrazione mondialista” di chi non è nulla e può diventare ciò che il potere gli consente, e “dirittto sovrano” ad essere ciò che si è per diventare solo ciò che si vuole.
di Giampaolo Rossi – 16/03/2017 Fonte: blog.ilgiornale
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=58517
Quella mattina di Halloween è decollato da New York JFK il volo Egypt Air 990, un Boeing 767 diretto in Egitto, al Cairo. L’aereo aveva a bordo 22 militari egiziani di alto rango che avevano appena ricevuto una formazione speciale negli Stati Uniti — attirati in questa trappola dall’esca dell’inconsueta condivisione di informazioni militari. Verso le 2:00 am, secondo il registratore vocale il pilota dice di andare in bagno. Il pilota e il copilota sono egiziani e parlano in arabo. Ma improvvisamente si sente una voce in inglese nella registrazione: “control it” (“controllalo”). Poi l’aeromobile cambia rotta mentre c’è ancora il pilota automatico. Il pilota risponde a questo evento esclamando una preghiera: “Taw ak kalt ala Allah”, più o meno equivalente a “Che Iddio ci aiuti!” “che Iddio ci protegga!” FONTE (2009)
E’ snervante scrivere per anni le stesse cose. Rimanendo solo nell’arco di mia vita mortale e non fossi stato troppo piccolo, avrei incominciato con Pearl Harbour, dove Roosevelt sollecitò i giapponesi a bombardare la sua flotta. Sufficientemente grandicello, ho potuto commentare la Pearl Harbour 2.0, diventata Golfo del Tonchino, dove inesistenti barchini nordvietnamiti hanno permesso agli Usa di bruciare viva mezza Indocina. Dalla piena maturità alla senilità, mi sono passati per le mani, a citarne solo i primi che vengono alle sinapsi affaticate, la tragicommedia dell’11/9, quando missili Cia e Mossad travestiti da aerei di linea hanno bucato torri a suo tempo dinamitate dall’interno; la farsa di Londra 2005 in cui a uno zainetto lasciato nella carrozza del Tube è stato attribuita la voragine causata da un ordigno posto sotto la carrozza; il triplice attentato di Amman, 2005, preceduto dall’evacuazione dei cittadini israeliani e coronato dall’uccisione di dirigenti palestinesi riuniti con militari cinesi; Bali, Mumbai, Madrid, Charlie Hebdo, dove certi terroristi camuffati ma identificati grazie all’esibizione ex-post dei documenti in macchina, hanno operato liberamente sotto lo sguardo di pattuglie di polizia; Bruxelles aeroporto, dove l’attentato è stato mostrato utilizzando un vecchio video di Mosca; Monaco, dove il più sofisticato armamentario antiterrorista germanico ha lasciato un tizio passeggiare e sparacchiare in un centro commerciale per quattro ore, prima di rinvenirlo e seccarlo mentre se la filava lontano dal luogo; Nizza, dove il giro della morte del Tir non lascia un’ammaccatura sulla carrozzeria e un’immagine nelle venti telecamere lungo il percorso (o meglio le ha lasciate tutte, ma il governo ha deciso che non servivano e andavano distrutte). E successo anche con quelle del Bataclan……..
Incongruenze che diventano lacerazioni smisurate nel tessuto dello storytelling delle stragi. Subito rammendate da tutti i cerimonieri mediatici turibolanti ai piedi degli Alti Sacerdoti, mentre sull’altare dei sacrifici umani celebrano il trionfo dell’arma finale contro classi e popoli subalterni e potenzialmente sovversivi. Come fa una persona normale a raccapezzarsi, a buttare l’occhio nei gorghi in cui viene fatta sparire la verità, quando tutti, dal mattinale della Cia al “manifesto”, si affannano a intonacare buco dopo buco della vulgata e cosiddetti “esperti” al massimo di fuochi d’artificio si avvicendano sugli schermi a blaterare analisi incontrovertibili sulla “guerra all’Occidente”, ora transitata dalla trincee ai ponti di Londra e domani a Piazza San Pietro. Del resto loro, come i loro danti causa nei ministeri addetti, non l’avevano già detto, ripetuto, ribadito: “Ci saranno attentati del terrorismo islamico. La questione è solo il quando e il dove. Veggenti.
Quando perfino nel programma meno di regime “La Gabbia” di Paragone, su La7, tutto finisce nei latrati antislamici di energumeni di una Weltanschauung decerebrata dove, dopo i comunisti che mangiano i bambini, siamo ai musulmani che mangiano le donne. Parlo di tipi solitamente inoffensivi perché sepolti dalle proprie gesta , ma che vengono riciclati quando basta, appunto, abbaiare e far capire a tutti che, o accettiamo una non-vita alla “Essi vivono” del grandissimo Carpenter, o non c’è rimedio a un Occidente che, a forza di veicoli letali, bombe e coltelli, mette il burka anche a Daniela Santanchè e la poligamia ai frati cappuccini. Ieri, da Paragone, si trattava di fossili ricuperati come Giovanna Maglie, Antonio Caprarica, Alessandro Meluzzi. I primi due si dicono giornalisti, il secondo, che scandaglia l’anima degli islamici e vi trova riserve inesauribili di nequizie, psichiatra. Con tanti saluti a Basaglia.
La NSA, ci è stato rivelato da Snowden e Assange e confermato da Trump, e le altre sorelle depravate dedite al voyeurismo, ascoltano tutto, vedono tutto, ti spiano dallo smartphone, dallo schermo di tv e computer, dal citofono, dall’asciugacapelli. Incamerano un miliardo di dati al minuto.
Ora Renzi, per interposto Gentiloni, gli vende pure (all’IBM) tutti i nostri dati sanitari. Non ne hanno scampo né la cancelliera tedesca, né la presidente brasiliana, né gli ultimi ruotini del carro, che siamo tutti noi. Tuttavia, vigliacco se gli capitasse una volta di intercettare il malvivente che si fa mandare da Al Baghdadi a massacrare gente, proprio là dove non c’è comunicazione, o apparizione, che non siano controllate dal più sofisticato apparato tecnologico mai visto, neppure da quelli di StarTrek. Magari, però, come ci rivelano le ultime meraviglie vantate dagli apparati che ci assicurano sicurezza, sono in grado, a distanza, di prendere i comandi di un aereo, come quelli dell’11 settembre decollati e scomparsi per sempre, l’altro tedesco sui Pirenei, o di un camion, come quello di Nizza, o di un SUV, come quello di Westminster, e fargli fare quello che gli pare. E così anche con esseri umani, specie se disturbati, manipolati, fuori di testa che pensano di assaltare il parlamento britannico con forchetta e coltello. Tanto poi tutti quanti muoiono. Capitasse mai che ne esca vivo uno che ci racconti, magari senzawaterboarding, chi lo manda.
Sarebbero mirabolanti sorprese se uno ci riuscisse. Per tutti coloro che pontificano, accreditano, avallano, si strappano i capelli a edicole e schermi unificati. Non per noi. Noi ci accontentiamo della firma. Dunque, anche la scorribanda del presunto Imam radicale di nome Brooks, dopo un po’ di suspence per un migliore ascolto, ha avuto la sua rivendicazione tradizionale. Scotland Yard, la migliore polizia antiterrorismo del mondo, s’era scordata che quell’imam era ancora in galera (che ridere: Caprarica, a “La Gabbia”, aveva giurato di riconoscerlo!) e quindi ha dovuto degradare l’attentatore a milite ignoto del terrorismo, pur sempre islamico. Tale Massud, come sempre noto delinquente, dunque ricattabile, dunque soggetto debole, come ultimamente anche quello, cocainomane etilizzato, dell’aeroporto parigino.Preparando così l’immancabile avvento dell’Isis e della sua firma.
Uno col coltello a Parigi, un altro che a Londra assalta con due coltelli il più poderoso schieramento di sicurezza del paese, quello attorno alle massime istituzioni. Due abbattuti senza pensarci su mezza volta. Senza pensare quanto sarebbe stato facile e utile bloccarlo, magari con uno spruzzo al peperoncino, e arrivare tramite lui alla centrale operativa alla tana del mostro. Oppure pensandoci proprio e concludendo “non sia mai”.
Ma, signori miei, visto che tutti, ma proprio tutti sappiamo, anche se ci ostiniamo a far finta di niente, che l’Isis, come la carta di ricambio Al Qaida e tutti i terroristini aggregati, sono addestrati, armati, finanziati, riforniti, vestiti e nutriti, medicati (in Israele), da Usa, Nato, Israele e relativi azionisti, affittuari e sicari tra Turchia e Golfo; visto che ogni tanto Obama, o chi per lui, soleva mandare un McCain o un Graham a lisciargli il pelo, a rinnovargli l’affetto a dispetto di quanto è bene dire in pubblico, a chiedergli se il cappuccino è buono e il tritolo funziona nelle piazze di Damasco o Baghdad…. visto tutto questo, allora quando l’Isis dice “siamo stati noi”, è logica stringente, e ragion pura anche per Kant, che sono stati loro. Gli sponsor, i padrini, i committenti.
Troppo facile. I nostri “esperti” da cento euro al grammo di islamofobia, queste ovvietà banali non le prendono neanche in considerazione. Ci ho provato una volta io, dopo Parigi e Bruxelles, da Telese a Matrix. Lui, che non è un inconsapevole, sorrideva. Gli ospiti agitavano le braccia, roteavano gli occhi, sghignazzavano e sospiravano: “cose dell’altro mondo”.Un buon tacer non fu mai scritto.
Interessante l’evoluzione del terrorismo a uso domestico. Finite, nella fase, le grandi operazioni da laboriose panificazioni e con risultati epocali, coinvolgenti apparati di Stato e complesse e numerose componenti professionali, con relativi rischi di gole profonde, errori, sovrapposizioni e trascuratezze, come quelle grandiose dell’11 settembre, si è passati a progetti realizzabili con mezzi e numeri più modesti. I colpi grandi, tipo aerei tirati giù o palazzi fatti saltare, si sono lasciati ai paesi “arretrati”, dove non si fa tanto caso alle toppate. Si è passati alle coppie di terroristi e ai minigruppi, rigorosamente islamici, visti a Parigi e Bruxelles e, con Wuerzburg, Nizza, Monaco, fino a Londra oggi, ai terribilissimi “lupi solitari”.
Poca spesa, impegno minimo, soggetti adulterati e manovrabili ed effetti anche migliori, più diffusi, capillari, terrificanti. Il panico del vicino, del passante, della vettura qualsiasi, dello sconosciuto, o conosciuto, della porta accanto. Meravigliosa invenzione: insicurezza totale, irrimediabile e, di contro, Stato di polizia, società securitaria, lotta di classe o di liberazione annientate. Tanto a liberarti tua sponte dagli impicci della privacy, cioè dalla tua sfera di sicurezza personale, ci hanno già pensato i sicari principi della Cupola, i terrroristi soft: i Tim Cook, Steve Jobs, Bill Gates, Mark Zuckerberg. Quando, autoimmmolando la tua libertà e intimità tra Grande Fratello, ciarle private strepitate al telefonino, selfie in Facebook, ti hanno ridotto a un demolitore pubblico della tua identità, alla mercè di tutti. E soprattutto dello Stato spione e gendarme e del suo golpe strisciante.
Per l’enormità della mazzata Brexit alla cosca atlantica fin dagli anni ‘50 installata dalla Cia in Europa, per conto Rockefeller e Rothschild, utilizzando fiduciari come Davignon e Monnet, per fare a pezzi nazioni sovrane e costituzionalmente antifasciste, a Londra, che aveva appena fissata la data per lo scioglimento degli ormeggi, andava mandato un segnalino. Poca roba, rispetto al potenziale e all’arsenale di Isis, con tutti quelli dietro. Un Suv e due coltelli. Un primo avviso. A Westminster è successo, mica a Canterbury. Al parlamento dove stanno quelli che brexitano. E sul ponte di Westminster, immancabile per ogni turista eurifero e dollaroso. Come quelli di Sharm el Sheik e di Luxor, che non ci vanno più da quando, nel fedifrago Egitto di Al Sisi che ha fregato i cari Fratelli Musulmani, l’Isis (si fa per dire) fa saltare in aria la gente.
Segnalino utile, invece, a quei necrofori che, sabato e domenica a Roma, contro Brexit e altri Exit che girovagano per l’aere europeo, cercheranno di insufflare nel corpaccio in putrefazione dell’UE quanto basta per fargli fare un po’ di scatti mesmerici. Di quelli che, pur solo fingendo la vita, bastano a far sì che, nel nome dell’Europa ricucita da sarte di palazzo come Laura Boldrini, noi ci si lasci fregare ancora una volta. Prima, prendendo le mazzate perché osiamo ancora andare in piazza. E poi accettando che, anche solo a sollevare le sopracciglia sull’onnicomprensivo e onnipotente tasso di criminalità della classe dirigente, si finisca fuori. O piuttosto dentro. Come amici dei terroristi. Visto cosa si può combinare con una macchina e due coltellini svizzeri?
Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:53