Grecia: i lavoratori costretti a restituire la tredicesima

grecia-crisi-debitodirei sia assai evidente perché le borse, i magnati liberisti, il capitalismo ami tantissimo i governi di sinistra e detesti i “populisti”. Da noi la situazione non è affatto diversa. Date un’occhiata ai fallimenti del 2017.


Grecia: i lavoratori costretti a restituire la tredicesima
 
Continuare a parlare della Grecia è più che mai cruciale, dopo che abbiamo letto post come questo e come questo. Ora dal blog Keep Talking Greece arriva un’altra testimonianza raggelante sulle condizioni dei lavoratori in questo paese, dove, per citare l’antropologo Panagiotis Grigoriou, è in corso un processo “che renderà i lavoratori greci schiavi dei padroni rimasti”. Questo articolo ne mostra i segni con inoppugnabile evidenza, scontrandosi con chi sproloquia di “ripresa della crescita greca” e di “cura dell’austerità che ha funzionato”. In un paese dove la disoccupazione giovanile supera il 40% e i salari sono precipitati fino a garantire a mala pena la sussistenza, la capacità dei lavoratori di resistere ai ricatti è praticamente sparita: fino al punto che si è obbligati a restituire in contanti quello che era stato messo per legge in busta paga.
Diversi datori di lavoro hanno trovato una “ricetta” per riempire i loro registratori di cassa durante i giorni di Natale: hanno chiesto indietro la tredicesima che sono obbligati – per legge – a pagare ai dipendenti.
 
Le proteste dei dipendenti sono atterrate una dopo l’altra negli uffici dei sindacati.
 
Patrasso, i lavoratori nei negozi di vendita al dettaglio, ristoranti e imprese di pulizia si sono lamentati con il sindacato dei dipendenti del settore privato che i loro datori di lavoro hanno richiesto indietro il bonus di Natale.
Diverse denunce hanno raggiunto i sindacati anche a Larissa, nella Grecia centrale. Il presidente del Centro per il lavoro locale ha affermato che “non credo di esagerare se dico che nel settore della ristorazione il fenomeno ha toccato l’80% dei lavoratori”.
 
Tra l’altro ha aggiunto che “una grande catena di negozi ha preteso che fosse restituita la tredicesima, minacciando di licenziare i lavoratori se non avessero obbedito”, aggiungendo che “purtroppo i datori di lavoro richiedono indietro anche parte degli stipendi, adducendo come pretesto le difficoltà economiche”.
Il problema è che i dipendenti non possono dimostrare di aver dovuto restituire il piccolo extra, poiché nella maggior parte dei casi sono costretti a restituire il bonus in contanti subito dopo averlo ritirato al bancomat.
Episodi simili sono stati segnalati anche nell’isola di Creta.
 
Secondo quanto riferito, alcune catene di supermercati hanno costretto a restituire il bonus natalizio, dando in cambio agli impiegati un sacchetto di prodotti alimentari.
Non è il primo anno che i datori di lavoro richiedono indietro il bonus natalizio, equivalente a uno stipendio mensile.
 
La Grecia è in crisi economica, e questo rende i datori di lavoro creativi in modo decisamente pessimo, a prescindere da quello che impone la legge sul lavoro.
di Rododak – gennaio 9, 2018 – di Keep Talking Greece, 28 dicembre 2017

La UE impone una legislazione antisindacale alla Grecia

tsipras sirizala Ue è democrazia e benessere, è diritti e libertà. Guai stare dalla parte del popolo, le sinistre lo sanno bene ed obbediscono.

Mentre in Italia ci si affanna per la campagna elettorale e si cercano improbabili mandanti morali di gesti da psichiatria criminale, CounterPunch ci ricorda che in Grecia il governo di Syriza, obbediente all’Unione Europea, sta portando avanti la distruzione dei diritti dei lavoratori. I provvedimenti di limitazione del diritto di sciopero (di cui abbiamo già parlato recentemente) imposti da entità esterne durante un periodo di crisi, sono un fatto gravissimo, ma sono esattamente in linea con i provvedimenti da sempre voluti dalle istituzioni europee.
Seguendo le istruzioni della Commissione Europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale, lunedì 15 gennaio il governo greco è riuscito a fare approvare la legislazione più antisindacale d’Europa.
La mossa è stata richiesta, assieme ad altre misure draconiane, come condizione per l’ultima tranche di quello che viene definito il “salvataggio” [bailout, NdT] della Grecia, ma che in realtà è solo il salvataggio delle istituzioni finanziarie europee, che hanno incautamente spinto i greci a indebitarsi.
 
Il punto fondamentale richiesto dal governo di Syriza era che le azioni sindacali dovessero essere approvate con il voto favorevole di almeno la metà più uno del numero totale dei membri dei sindacati nel luogo di lavoro [mentre prima la soglia era di un terzo, NdT], e a prescindere dall’effettiva partecipazione al voto. Questo provvedimento è ancora peggiore di quelli previsti dall’accordo sindacale Trade Union Act entrato in vigore nel Regno Unito nel marzo 2016.
Sorprendentemente (o forse no) il Trade Union Congress [la federazione sindacale britannica, NdT] non ha speso una sola parola su tutto questo, mentre continua a spargere allarmismo sugli effetti che la Brexit dovrebbe avere sui diritti dei lavoratori. Mentre il Trade Union Congress continua con le sue chiacchiere, l’Unione Europea sta stringendo le viti sul più basilare di tutti i diritti dei lavoratori, il diritto di sciopero, e sta usando la Grecia come banco di prova per le politiche che vorrebbe attuare in tutti i paesi membri.
Senza il diritto di intraprendere azioni di sciopero, i lavoratori non hanno alcuna protezione tranne quella del tribunale, e i tribunali dei capitalisti tendono decisamente a favorire gli imprenditori.
La Corte Europea di Giustizia ha decretato (nel caso Laval, 18 dicembre 2007) che gli imprenditori hanno il diritto di importare lavoratori da paesi UE a basso salario verso paesi UE ad alto salario, pagandogli il salario del più economico dei due paesi, indipendentemente da qualsiasi accordo di contrattazione collettiva presente nel paese a salari maggiori. Ha decretato inoltre (nel caso Viking, 11 dicembre 2007) l’illegalità di qualsiasi politica industriale tesa a impedire l’esternalizzazione verso i paesi a basso costo.
 
Nel caso Alamo-Herron (18 luglio 2013), in cui alcuni membri del sindacato Unison erano stati trasferiti fuori dalle amministrazioni locali, ha decretato che indipendentemente da ciò che dicesse il loro contratto, i benefici contrattati collettivamente a favore dei lavoratori degli enti locali potevano essere ignorati dai loro nuovi datori di lavoro. “Questo caso è un attacco spaventoso alla contrattazione collettiva ed è almeno altrettanto grave dei casi Laval e Viking”, ha scritto John Hendy, il celebre avvocato del lavoro britannico.
Hendy ha poi aggiunto che “la UE è diventata un disastro per i diritti collettivi dei lavoratori e dei loro sindacati”.
Come abbiamo già detto, organizzazioni sindacali forti sostenute da efficaci politiche industriali quando necessarie sono l’unico modo per garantire e difendere i progressi sui posti di lavoro. La UE si limita a mormorare sui “diritti”, e nel frattempo aggredisce alla base e con determinazione le organizzazioni dei lavoratori.
 
Non una sola riga del Trade Union Act introdotto dal governo Cameron, o ancora peggio della White Paper che l’ha preceduta, era contraria alla legge della UE. Prima la Gran Bretagna esce dalla UE, meglio sarà per i membri delle organizzazioni sindacali (sebbene alcuni cosiddetti leader dispiaccia essere cacciati fuori dal ricco treno di Bruxelles). Almeno poi potremmo vedercela direttamente coi nostri imprenditori.
di Henry Tougha – febbraio 6, 2018 – di Will Podmore, 02 febbraio 2018

Grecia fase finale: all’asta sul web tutto ciò che si può vendere, anche le case private

TSIPRAS RIDEe bravo il mio kompagno anti troika dalla parte dei poveri e degli ultimi, il vero volto delle sinistre, servi della finanza. Ma quali valori di Ventotene, questa è sempre stata la vera natura della UE.

Grecia fase finale: all’asta sul web tutto ciò che si può vendere, anche le case private
 
La Grecia di Alexis Tsipras affronta l’ultima parte della svendita totale del suo patrimonio e della sua civiltà. Sul mercato finisce la stessa democrazia.
 
ATENE – La Grecia di Alexis Tsipras è entrata nella «fase laboratorio»: vedere cosa succede ad un paese lasciato nelle mani dei creditori. Disse Milton Friedman: «Lo shock serve a far diventare politicamente inevitabile quello che socialmente è inaccettabile»: lo shock della Grecia risale al’estate del 2015 quando con la giacca gettata sul tavolo al grido di «prendetevi anche questa» il primo ministro Alexis Tsipras firmò la resa senza condizioni della sua nazione sconfitta. Umiliato di fronte al proprio paese e al mondo da Angela Merkel, volutamente. Sul tavolo, quella notte, non finì solo la Grecia, ma la stessa democrazia che l’occidente ha vissuto in quelli che il grande storico Hobsbawm ha definito «i gloriosi trent’anni». Il voto greco, consapevole, che rifiutava il commissariamento della Trojka ad ogni costo, ad ogni costo veniva tradito in cambio di un piano lacrime e sangue, ancor più punitivo perché doveva sanzionare l’ardire di un popolo intero che osava ribellarsi alla volontà suprema dell’Europa finanziaria. Che solo in quel caso e per pochi giorni gettò la maschera della finta solidarietà, dei traditi valori di Ventotene, e si manifestò nella pura essenza del terrorismo finanziario.
Senza un governo, comandano i tedeschi
 
Nel nuovo reame globalizzato la Grecia è il primo esperimento compiuto di «stato disciolto»: il governo della sinistra, solo pochi anni fa definito estremista, ha assunto il ruolo finale: l’assorbimento del conflitto sociale che si scatena a fronte di una colonizzazione. Il 2018 sarà l’anno dove l’esproprio della ricchezza pubblica e privata diventerà in Grecia molto più veloce, e aggredirà i rimasugli di patrimonio restanti.
Gli immobili vengono messi all’asta e i compratori stranieri – banche, privati e perfino istituzioni – possono prendersi un’isola, un appartamento, una spiaggia, un’opera antica: qualsiasi cosa. Il tutto a prezzi stracciati, a meno del 5% del loro valore.
Anche le case all’asta sul web
Finiscono all’asta, sul web, come una cosa qualsiasi, perfino le prime case se superano una determinata superficie. Il tutto nel plauso della parte ricca del paese, che potrà accaparrarsi i beni della classe media, per non parlare di quella povera, a prezzi stracciati. Nella democrazia di facciata del governo Tsipras i poveri sono sempre più poveri, e i ricchi sono sempre più ricchi. Sembra di parlare degli Stati Uniti, e invece è la Grecia, un paese nobile e antico, su cui si fonda l’intera cultura occidentale, che si trova ad un passo dalle nostre coste. Per molti aspetti laddove è fondato il nostro passato si vede il nostro futuro. C’è una qualche differenza tra un comune italiano, come quello di Torino ad esempio, e lo stato greco? Entrambi sono assediati dai debiti, contratti per mitigare l’impatto della deindustrializzazione globalizzante, entrambi sono sotto il controllo delle banche che dettano i piani di governo: a suon di privatizzazioni, svendite di patrimonio e licenziamenti collettivi. La trappola del debito è una tagliola, entro la quale viene ferita la democrazia. I piani di rientro sono agende incontrovertibili, totali, spietate. Rispetto i quali ogni programma elettorale è soccombente.
Ultimo sforzo, poi il deserto
I commentatori filo governativi sottolineano che il 2018 sarà l’anno «dell’ultimo sforzo» per arrivare alla fine del commissariamento da parte dei creditori. Per dare un’idea di cosa si parla: un governo di estrema sinistra, si fa per dire, ha approvato delle norme che restringono la libertà di sciopero. Di fatto in Grecia diventa illegale, perché per la proclamazione degli scioperi dovrà partecipare alle assemblee il 50% degli iscritti ai vari sindacati di categoria. E questa è solo l’ultima parte di un processo che ha già pesantemente colpito lo stato sociale, le pensioni, i salari, i beni pubblici, e il diritto del lavoro. Imbarazzante, tra l’altro, l’asse politico tra Alexis Tsipras e Emmanuel Macron: ennesima prova dello sbandamento culturale della sinistra incapace di inquadrare un orizzonte politico differente da quello dei banchieri.
Italia come la Grecia?
Ovviamente il governo greco confida che nell’agosto del 2018 la Trojka, in virtù del piano di rientro greco, vada via, e lasci il paese libero di finanziarsi sul mercato globale. Ma se anche fosse, questo non migliorerebbe la situazione della Grecia, ormai allo stremo. Il debito pubblico greco, da «vendere» sul mercato obbligatoriamente a tassi elevati, finirebbe nuovamente all’estero. E il processo si ripeterebbe esattamente uguale agli ultimi sette anni. Ovviamente vi sarà un’espansione del Pil e una ripresa dei contratti di lavoro a prezzi stracciati. Il governo, la democrazia, non servirebbe più a nulla: se non a creare un simulacro. L’esperimento greco, la palla di cristallo in cui si può vedere il futuro dell’Italia se non vi sarà una drastica inversione politica, è davanti a noi.
28 gennaio 2018 diariodelweb.it
di Maurizio Pagliassotti.

L’ondata neoliberista travolge l’Argentina: aumentano fino al 500% le tariffe di acqua, trasporti, elettricità e telefonia

proteste Marcì
“Argentina, Macri brinda alla repressione: «Chi lancia una pietra è disposto a uccidere» Ah però se è per destabilizzare nazioni al grido libertà e democrazia per metterci i fantocci del Washington Consensus va bene lanciare pietre, sgozzare, assassinare, vedi Libia, Siria ed ora Iran.
In pochi mesi il governo Macri ha effettuato forti aumenti nei principali serivzi pubblici del paese e realizzato licenziamenti di massa”
Quando sostenete le “rivoluzioni colorate” sappiate che sostenete QUESTO, perché questa è l’essensa della cosiddetta democrazia, potere alle elites di rapinare e reprimere il popolo. La repressione in atto in Argentina NON INTERESSA L’ONU E NESSUN ATTO DI PROTESTA SOTTO L’AMBASCIATA ARGENTINA. Come mai? Ancora una riprova che la DEMOCRAZIA è un impianto inteso SOLO a garantire la libertà delle corporations e finanza di rapinare e ridurre in schiavitù le popolazioni.

L’ondata neoliberista travolge l’Argentina: aumentano fino al 500% le tariffe di acqua, trasporti, elettricità e telefonia

 
In pochi mesi il governo Macri ha effettuato forti aumenti nei principali serivzi pubblici del paese e realizzato licenziamenti di massa
La parola d’ordine è «normalizzare l’economia», dove il termine normalizzare significa riportare indietro le lancette della storia, tornare alla «larga noche neoliberal» che drammi inenarrabili ha prodotto a queste latitudini.
 
Il mese di aprile non inizierà sotto un buon segno per gli argentini, infatti, il governo neoliberista di Mauricio Macri ha decretato aumenti fino al 500% delle tariffe dei principali servizi pubblici. Vale a dire acqua, elettricità, carburante e trasporti in Argentina.
Il quotidiano Pagina 12 informa che le tariffe relative al servizio idrico subiranno un aumento del 500%, quelle del gas incrementeranno del 300%, mentre i trasporti del 150%.
 
Nel caso dell’acqua l’aumento è richiesto dall’azienda statale Agua y Saneamientos Argentinos (Aysa), che già in varie occasioni durante il mandato della presidente Cristina Fernández de Kirchner aveva insistito per ottenere un sostanzioso incremento.
Una richiesta sempre respinta dal governo kirchnerista che aveva come obiettivo primario quello di proteggere il popolo argentino.
Il Ministro dell’Energia, Juan José Aranguren, ha confermato che gli aumenti del gas saranno del 300%. Forti incrementi si segnalano anche nel settore dei carburanti: Luis Malchiodi presidente della Federación de Entidades de Combustible de Argentina ha annunciato che la nafta aumenterà di pari passo con l’inflazione.
Stangata in arrivo anche per la telefonia fissa: le autorità hanno concordato con le compagnie telefoniche aumenti del 186%, come informa TeleSur. «Si tratta del primo aumento accordato dal Potere Esecutivo dopo 14 anni di tariffe congelate». Questo il commento del quotidiano Pagina 12.
 
Queste misure vanno a sommarsi ai licenziamenti di massa e alla stretta repressiva imposta dal regime neoliberista di Mauricio Macri.
 
Notizia del: 30/03/2016 di Fabrizio Verde
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Macrì “riforma” le pensioni. Dura repressione e video shock di un pensionato schiacciato da una camionetta
La criticata riforma del programma pensionistico voluta da Macrì in Argentina è stata approvata questo martedì. Nonostante le proteste di massa e la brutale repressione della polizia…
Notizia del: 15/12/2017    Fonte: www.tiempoar.com.ar
Repressione in Argentina, la denuncia del Nobel Pérez Esquivel: «Non possiamo continuare così, ci sono morti e feriti»
«Non possono continuare a reprimere la gente. (Il ministro della sicurezza, Patricia) Bullrich deve essere allontanata. La gendarmeria ha puntato le sue armi contro il popolo. Questo non è democratico, chiediamo che lo Stato di diritto sia rispettato e che i diritti umani siano rispettati»
  La repressione delle proteste contro la riforma delle pensioni di Macri è brutale. Il regime neoliberista…
Notizia del: 15/12/2017
Brutale repressione in Argentina, colpiti giornalisti e deputati: con Macrì tornano gli spettri del passato
La polizia argentina ha duramente represso una manifestazione nei pressi del Parlamento per impedire il passaggio dei protestanti delle organizzazioni sociali, dei sindacati, delle organizzazioni dei diritti...
Notizia del: 14/12/2017
Argentina, Cristina contro la brutale repressione della polizia. “Così non si governa”
“Per dodici anni e mezzo ci sono state manifestazioni a favore e contro, come in qualsiasi democrazia, ma non abbiamo mai visto episodi come quelli di adesso”
Telesur L’ex-presidente e attuale senatrice dello stato argentino, Cristina Fernández de Kirchner…

Liguria, gli ospedali sono al collasso

pronto soccorso GEstrano, ci tengono così tanto alla salute dei propri cittadini tanto da essere l’unico paese ad obbligare a ben 10 vaccinazioni, per fortuna che pagare le tasse serviva per garantire i servizi, ma quale disastro tanto sti manager, assessori e consiglieri se hanno bisogno mica si devono mischiare con i comuni mortali


Liguria, gli ospedali sono al collasso
 
Genova – Pronto soccorso liguri in piena emergenza da giorni, tra medici in ferie e picco influenzale che si è presentato prima delle previsioni: sovraffollamento di malati, ambulanze in coda, attese oltre le 6 ore, da Genova a Sanremo, da Lavagna a Imperia, la situazione è critica.
E i reparti in ginocchio sono subito diventati un caso politico : con il Pd che da una parte accusa la giunta regionale di impreparazione chiedendo le dimissioni del commissario di Alisa, Locatelli, e dall’altra l’assessore Viale che garantisce che «il sistema ha retto».
La Regione: «Non si può parlare di catastrofe»
Questa mattina si è tenuta nella sede di Alisa la riunione dei Diar, i dipartimenti Interaziendali Regionali del sistema dell’emergenza-urgenza proprio per fare il punto sulla situazione nei pronto soccorso in occasione del picco influenzale.
 
L’assessore Viale ha parlato di «influenza in anticipo per la seconda volta in 15 anni» e di aumento delle polmoniti», ribadendo che «il sistema nel complesso ha retto, anche se era sotto stress: i tempi di trattamento per i “codici gialli” e “rossi” previsti nel Piano nazionale Emergenza sono stati rispettati in tutta la Liguria. Per i “codici verdi” e “bianchi” le attese sono state più lunghe, ma in un giorno in cui il San Martino tratta 270 accessi non si può parlare di catastrofe».
Ancora: «Dalle 60 barelle in corridoio che erano abituali al primo piano al San Martino si è passati a 15-20. Al Villa Scassi ci sono problemi strutturali e li conosciamo, per questo abbiamo previsto un nuovo ospedale a Ponente».
Da parte sua, il direttore dell’agenzia Alisa, Walter Locatelli, ha difeso la programmazione dell’attivazione delle unità di crisi ed evidenziato l’afflusso di turisti: «Nelle Asl imperiesi e savonesi c’è stata una percentuale del 20% e oltre di accessi da fuori regione».
 
Che cosa farà la Regione
In ogni caso, fra le misure che saranno attivate sino all’ 8 gennaio ci sono:
– 15 posti letto in più al Villa Scassi per post acuti;
– 12 posti letto supplementari al Galliera in unità di crisi;
– nuove linee telefoniche per la guardia medica.
 
Chi c’era alla riunione
Alla riunione dei Diar hanno partecipato, oltre a Locatelli e alla Viale: Stefano Ferlito (Ds Asl1), Luca Corti (Asl2), Luigi Bottaro (Asl3), Michele Orlandini (Ds Asl4), Maria Antonietta Banchero (Ds Asl5), Sergio Vigna (Ds Alisa), Giovanni La Valle (Ds San Martino), Angelo Grattarola (responsabile Emergenze del San Martino), Adriano Lagostena (Dg Galliera), Giuliano Lo Pinto (Ds Galliera), Silvio Del Buono (Ds Gaslini) e Andrea Stimamiglio (federazione dei Medici di famiglia).
Sanità 03 gennaio 2018 Emanuele Rossi

IL SUGGERITORE DI BERGOGLIO SUI MIGRANTI E’ UN BILDERBERG DI GOLDMAN SACHS

peter-sutherland21MAFIA CAPITALE UEBERALLES. Un banchiere alla Commissione migrazioni, oh quanto deve stargli a cuore la sorte degli ultimi e dei poveri…
L’Unione Europea deve fare del suo meglio per minare l’omogeneità dei suoi stati membri”, dettò nel giugno 2012
ah ma allora le migrazioni non sono volte a “salvare vite umane” ma ad attaccare “le omogeneità delle nazioni”. Pensavo che alla base della tolleranza ci fosse proprio il rispetto delle differenze….così raccontavano un tempo.
Dichiara ancora: E’ una dinamica cruciale per la crescita economica” ah quindi di nuovo, il fine a sostegno delle migrazioni selvagge non è quindi il “salvataggio” di vite umane?

Nei suoi discorsi ossessivi a favore dell’immigrazione senza limiti e il suo torvo, iracondo discorso di Natale  a difesa postuma dello Jus Soli, Bergoglio “sembra ispirarsi più a Soros che a Cristo”, ha commentato il filosofo Fusaro,  accusando El  Papa di mettersi sempre più al servizio della “mondializzazione e dello sradicamento capitalistico”.  Come mi ha ricordato un amico lettore, “Francesco” ha un ispiratore – o suggeritore o “gestore” –   più diretto di Soros. Un personaggio cui El Papa  ha dato in febbraio la presidenza della International Catholic Migration Commission,  e  che ha reso consigliere della Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA). Un filantropo umanitario dell’abolizione dei confini che è anche, come dubitarne?, un banchiere  d’affari. Ed è anche molto, molto di più.
S’introduca qui Peter Sutherland,  da almeno 20 anni presidente non (più) esecutivo di Goldman Sachs ma ultra-esecutivo del Bilderberg (sta nello “steering committee, ossia nella direzione che  del Gruppo elabora  l’agenda politica  e i fini da raggiungere); ebreo di madre, sionista, ex presidente  della BP (British Petroleum) e contemporaneamente Rappresentante Speciale dell’ONU per le Migrazioni, tutte cariche che non ha lasciato quando”Francesco” lo ha incoronato presidente della Catholic Migration Commission.
Ma è molto di più, Sutherland. E’ stato Commissario europeo alla Concorrenza quando presidente della Commissione era Delors;  è stato direttore del WTO, Organizzazione Mondiale del Commercio, ossia del tribunale mondiale del commercio globale senza confini né dazi, che praticamente ha creato da sé.
E’ capo del Global Forum on Migration and Development, da cui 160 paesi prendono le direttive sulla migrazione.
Insomma è il globalista totale e assoluto,  con le mani in pasta in tutte le entità sovrannazionali ad un tempo (ONU, WTO, UE,   forse la massima eminenza grigia della “mondializzazione   e  dello sradicamento capitalistico”  nell’interesse della finanza transnazionale.
Quasi dimenticavo: Sutherland è anche  presidente onorario  della Trilateral Commission e capo della London School of Economics, nonché  Cavaliere di Malta e membro dell’Opus Dei. Non si fa mancare nulla in posizioni di potere.
“La UE deve minare le omogeneità nazionali”, per Sutherland.
 
Le sue idee:
L’Unione Europea deve fare del suo meglio per minare l’omogeneità dei suoi stati membri”, dettò nel giugno 2012.  Parlava in qualità di presidente del Global Forum on Migration davanti alla sottocommissione inglese dei Lords, che stava indagando sull’aggravarsi improvviso delle ondate migratorie.
 
La risposta essenziale all’invecchiamento delle popolazioni in Germania o nei paesi del Sud Europa è, “ed esito a dirlo perché il concetto è stato attaccato, lo sviluppo di stati multiculturali”.  Il problema,   ha spiegato, sono le popolazioni, che “ancora  coltivano un senso della loro omogeneità   e differenza dagli altri. Ed è precisamente questo che l’Unione Europea, a mio parere, deve fare di tutto per  erodere”. In  nome di cosa?
 
“Della futura prosperità”, rispose. “ Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda sono  società  di migranti e quindi si adattano più prontamente a chi viene da un diverso mondo culturale.  E’ una dinamica cruciale per la crescita economica”.
 
Disse anche, Sutherland, che “si è passati dagli stati che scelgono i migranti, ai migranti che scelgono gli stati”,  per cui la capacità della UE  di “competere a livello globale” è a rischio…ma  d’altra parte, ha ingiunto: la UE deve smettere di selezionare solo migranti “altamente qualificati”   perche  “alla base di tutto, gli individui devono avere libertà di scelta” di dove muoversi.
(Qui per l’articolo della BBC , EU should ‘undermine national homogeneity’ says UN migration chief  http://www.bbc.com/news/uk-politics-18519395
Come si vede,   è proprio l’ideologia di “Francesco”, confusione e contraddittorietà compresa;  l’ideologia delle Bonino e Boldrini e  dei Manconi, del circo mediatico progressista.
Da qui si vede bene come ad ispirarle sia il capitalismo mondializzato finanziario; per il  quale le “omogeneità” , ossia le identità storiche e culturali che fanno i popoli vari e diversi, sono un ostacolo  e un intoppo, una pretesa odiosa, perché il consumatore globale tipo dev’essere letteralmente “senza identità”,  senza comunità,  “aperto” alle “esperienze”, cosmopolita, nomade e senza “tabù”, senza “pregiudizi” (e senza scrupoli),  di sesso variabile.  Nella esortazione di Sutherland che la UE  eroda,  mini,  indebolisca le “omogeneità” c’è   il disprezzo per la cultura  – ciò che fa à degli uomini esseri umani – come di sovrastruttura inutile e dannosa alla libertà di consumo.
 
Allo stesso modo papa Francesco, giorni  fa, ha sproloquiato: “Gli europei non sono una razza nata qui, hanno radici migranti”, evocando una  condizione anteriore alla civiltà e alla cultura – anche per lui, come per il presidente di Goldman Sachs,  la “omogeneità” culturale (quel che fa di ungheresi degli ungheresi,  la coesione di una comunità  e identità comune    saldata dalla storia, dalla lingua, persino dalle sue specifiche arti)  un fastidioso orpello che “resiste” alla “integrazione” senza limiti, una “mancanza di carità” contro la “accoglienza” – che oltretutto, completa il guru  Bilderberg  di El Papa, ci rende “meno competitivi sui mercati mondiali”.
Ora El Papa ha affidato la Commissione Cattolica sulla Migrazioni al banchiere d’affari  e al Bilderberg  –   ostile alle “omogeneità” culturali, e che si adopererà quanto può per “indebolirle”  (il verbo che ha usato è “undermine”), scalzarle, come se già non fossero abbastanza minate.  Per i papisti cattolici ingenui, quindi,  la questione da ideologica può venire fraintesa come morale: una questione di bene e di male.
 
Nella confusione etica che lo stesso Bergoglio ha sparso a piene mani, la “omogeneità” nazionale di un popolo  è equiparata al male morale, e male sarà volerla salvaguardare.   Spero che almeno si possa chiedere questo: se l’omogeneità è un male, perché Sutherland   auspica che venga scalzata in Europa, ma non la impone ad Israele, stato che difende con l’apartheid la  propria  identità, che  si  rifiuta di estendere la cittadinanza ai palestinesi perché questo snaturerebbe il “carattere ebraico  di Israele”, ossia la  propria omogeneità?   E’ strano che tutto ciò di cui i noachici debbono liberarsi perché  vizio deplorevole, sia invece pregiato, bello e giusto per i talmudici. Maurizio Blondet 27 dicembre 2017

Asimmetrie

 

articolo sul futuro dell’Italia attraverso i fratelli greci, corredato da molte immagini che per motivi di spazio toglierò qui, lasciando la descrizione per comprendere cosa ritraeva e se interessati si possono visionare al link in fondo. L’immagine a fianco Asta di immobili. Atene, novembre 2017 (stampa greca)

Bravo kompagno TOriginal File Name: 2017120657.jpgsipras, dalla parte del popolo contro le banche sfratta LA SUA GENTE. Però accoglie tanti “profughi” tanto delle sorti dei greci dopo che hanno fatto la cosa giusta votando il solito GIUDA non importa nulla a nessuno. Ma non è stata strumentalizzazione no eh.. Già, la troika, quella BRAVA E BUONA CHE FA GLI INTERESSI DELLE GENTI E POPOLI EUROPEI, NARRANO le sinistre che sono politically correct e tanto tanto solidali ed antipopuliste.
 
Asimmetrie
Panagiotis Grigioriou ha partecipato il 2 e 3 dicembre al convegno organizzato a Montesilvano (PE) da Asimmetrie e, viaggiando, per mare dalla Grecia, ha potuto notare quanto l’Italia sia ancora – fortunatamente – ad uno stadio precedente di distruzione rispetto al suo paese. In altri articoli pubblicati nel mese di novembre, era stata descritta, tra le altre cose, la condizione disperata anche di chi lavora, in Grecia, ridotto spesso in povertà da stipendi da fame, o addirittura bloccato da datori di lavoro che non pagano del tutto (inchiesta di Der Spiegel tradotta da Vocidallestero).
Oggi i greci vedono sempre più spesso le proprie case messe all’asta ed acquistate per frazioni del loro valore da fondi esteri, in quella che, secondo Panagiotis, è la Fase II dell’azione distruttrice della Troika, finalizzata a spogliare i cittadini ellenici di tutte le loro proprietà (sia private che pubbliche) in modo da favorire il disfacimento dell’idea stessa di Grecia indipendente. Processo, questo, che viene posto in essere dalla geopolitica mondiale anche attraverso la forzata conclusione di accordi sull’altra grande vittima dell’euro-austerità bancaria, ovvero Cipro, da trasformare in un protettorato dalle istituzioni inutili e quindi sotto tutela. E allora diventa chiaro che l’austerità, l’euro, la Troika etc non erano “meri” meccanismi di dominazione economica, ma dissimulavano finalità ancora più ampie, di mutamento del quadro geopolitico del mediterraneo, e quindi europeo.
Alberto Bagnai (a sinistra) e Panagiotis Grigoriou, simposio A-Simmetrie. Italia, Pescara 3 Dicembre 2017
Piogge e venti. Un tempo credevamo di prepararci per il Natale. La scorsa settimana, gli amministratori coloniali della troika erano al loro consueto quartier generale ad Atene, l’hotel Hilton, per ricevere i ministri locali. Erano qui principalmente per monitorare l’esatta continuazione del programma di distruzione delle loro prede. Il 2018 sarà l’anno in cui il processo di de-ellenizzazione dell’economia, (e) che passa attraverso il sequestro della proprietà privata e pubblica dei Greci, accellererà. I para-ministri di Tsipras sorridono sempre davanti alle telecamere, e i greci li odiano. Sì, l’odio, come dire, la scomparsa assoluta del gesto politico.
Asta di beni dopo il sequestro. Tribunale di Atene, Novembre 2017 (stampa greca)
 
Le aste, ora elettroniche, dei beni immobiliari sequestrate dalle banche e dalle “autorità fiscali greche” hanno soddisfatto una richiesta … storica e insistente della Troika. I media hanno riferito che più di 18.000 immobili saranno liquidati, solo per la prima tranche. Va notato che coloro che perdono le loro proprietà (di solito, appartamenti e case, loro residenze primarie), non hanno il diritto di “riscattarle” al 5% del loro valore (attraverso un accordo con “loro” banche), come nemmeno possono farlo gli altri cittadini greci.
E questo perché gli acquirenti (quelli ammessi a “comprare” le attività al 5% del loro valore), provengono esclusivamente da quei famosi fondi di diritto estero, o in alcuni casi dai loro associati greci, selezionati uno per uno.
In effetti, tutto fa pensare che 2018 sarà l’anno in cui il processo de-ellenizzazione dell’economia (sequestro di beni privati e pubblici greci compreso), accelererà. I beni pubblici e privati gradualmente passeranno nelle mani dei nuovi proprietari del paese. Si colpisce così la spina dorsale economica, simbolica trave portante della società greca, poiché perdere la proprietà della casa in un paese dove lo stato non è (giustamente) storicamente considerato l’ultimo protettore, perdere il tetto è come perdere la propria stessa famiglia. Allo stesso tempo, è proprio questo processo che renderà i lavoratori greci, schiavi dei padroni rimasti del paese, che siano i futuri padroni tedeschi o altri, a meno che il progresso dei robot non decida diversamente (e questo ) prima del previsto.
 
Le seconde case dei greci vicino alla costa e sulle isole, diventeranno col tempo le prime case dei cittadini europei in pensione, mentre le abitazioni principali dei Greci già sequestrate saranno perse per sempre. Così, e questo è già molto evidente, anche alcune attività legate al mare, al turismo, all’agricoltura ed altre sono già in procinto di passare sotto controllo straniero. Si può dire che “questo è il risultato di un fallimento globale, un debito pubblico e privato così enorme che in più è … sotto il sole bruciante della globalizzazione” ragionamento volutamente semplificato e riduttivo, perché è un elemento essenziale nella guerra psicologica e asimmetrica che la Grecia o altri paesi, popoli e società subiscono e subiranno.
Asta vendita di immobili. Atene, novembre 2017 (stampa greca)
 
Tsipras “Creatura di Frankenstein”. Quotidiano “Kathimerini”, 2 dicembre 2017
 
Quindi sappiamo che attraverso questo processo alcuni faranno bottino, così, spudoratamente fregandosene delle nostre osservazioni. Queste stesse persone stanno già godendo in qualità di consulenti, liquidatori (come la società Qualco, proprietà di Orestis cugino del Ministro delle Finanze Tsakalotos, per esempio) e dipendenti degli studi legali più specializzati, localmente impegnati in loco dagli acquirenti, in modo da … concludere il lavoro, con la partecipazione delle istituzioni greche che dovrebbero proteggere i cittadini (polizia, giustizia, notai). Va notato che la legge chiamata “Legge Katseli”, dal nome del Ministro in carica nei primi anni del memorandum, che proteggeva i sequestri delle abitazioni principali, è stata in gran parte modificata, così da diventare praticamente inefficace.
Abbiamo l’impressione che se questo “governo” non venisse rovesciato, se i cittadini non dovessero reagire … o se una guerra civile non dovesse scoppiare (immaginando uno scenario scenario terribile ed estremo) in definitiva un una certa crescita economica, come quella evocata dai nostri ministri, potrebbe alla fine concretizzarsi. Certo … la classe media greca sarà stata prima completamente distrutta, ed i Greci non beneficeranno di questo ritorno alla crescita, eccezion fatta per questa nuova “elite” in divenire, anche in parte legata alla vecchia casta di nepotismo politico-finanziario e francamente mafiosa … come novelli Efialte costantemente tornati a nuova vita..
I greci non beneficeranno di questo ritorno della crescita e degli investimenti, che alla fine accadrà, così come la proprietà pubblica e privata non sarà greca. Così, certi capitali già arrivano, per esempio, per comprare appartamenti ed edifici proposti in lotti. E questa nuova “elite”, vivrà in zone più protette, lontano da plebei … e migranti, come negli altri paesi nelle Americhe e in Asia, e in modo che possiamo persino scommettere che l’economia della colonia finirà per generare ripetuti “surplus”. Come Racine probabilmente avrebbe detto a suo tempo: “E, per renderci felici, perderà per strada i miserabili” è un metodo anche questo….
 
Tsipras virtuoso della capriola, premiato a Parigi. Quotidiano “Kathimerini”,novembre 2017
 
Residenti di Mandra, arrabbiati contro Rena Dourou. Consiglio regionale, Atene, novembre 2017 (stampa greca)
 
La desolazione a Mandra dopo le inondazioni. Novembre 2017 (stampa greca)
E ancora, [la necessità di una] una rinegoziazione del debito greco diventerà senza dubbio finalmente chiara ai nuovi padroni del paese, come un modo per favorire il riavvio dell’economia greca, a spese dei cittadini degli altri paesi della disastrosa Unione europea, visto che dal 2012, le banche private francesi e tedesche sono state salvate … dal debito greco (tale è stato, sin dalle origini, lo scopo del “gioco”, non certo il “salvataggio della Grecia” , come confermato anche dalle recenti dichiarazioni di un certo Jeroen Dijsselbloem).
Questa nuova situazione è già abbastanza consolidata, i salari sono un quarto rispetto a quelli di prima del 2010, i contratti collettivi sono stati aboliti, e dalla scorsa settimana, gli amministratori coloniali della Troika allargata hanno ottenuto (tra le altre misure, incluso il raddoppio dell’importo delle ammende relative alle infrazioni al codice della strada) … dai burattini di Tsipras una notevole limitazione del diritto dei lavoratori allo sciopero, cambiando infine il processo decisionale all’interno delle aziende e, rendendo illegale ogni sciopero iniziato solo dai sindacati di settore, e non dai sindacati aziendali, caso per caso.
I greci hanno già capito che “loro” confederazioni sindacali hanno svolto lo stesso sociale ruolo della  valvola in una pentola a pressione, soprattutto nei primi anni dell’Occupazione (della troïka). Questo, dopo aver organizzato tra il 2010 e il 2013, molti scioperi ed eventi i più disparati, di solito divisi, come previsto, nascosti dietro un linguaggio vetero-rivoluzionario. Questi “sindacati”, tra l’altro finanziati anche dai fondi UE, ora possono scomparire, avendo compiuto la missione assegnata, poiché in realtà più di trenta anni di riformismo, e le recenti manifestazioni di un giorno ad Atene e Salonicco non cambieranno più la situazione.
 
“Il Parlamento – WC”. Quotidiano “Kathimerini”, dicembre 2017
 
Dibattito sul futuro di Cipro e la Grecia. Atene, 29 novembre 2017
 
Dibattito Dimitris Belandís (a sinistra) e Dimitris KONSTANTAKOPOULOS. Atene, 29 novembre 2017
E proprio quando … le manifestazioni stavano finendo, dopo coloro che manifestavano la loro rabbia in aula dopo il sequestro e la vendita all’asta delle loro proprietà, sono arrivati anche gli abitanti di Mandra che (dopo le inondazioni subite lo scorso novembre), hanno fatto irruzione nella sessione plenaria del Consiglio regionale sotto la presidenza della molto Syrizista Rena Dourou; le discussioni si sono vivacizzate di nuovo.
E per renderci felici, ci rimetterà il miserabile … e con esso il suo paese. In Grecia, regna un’atmosfera di rabbia sorda e di odio, così come di disperazione. A questo contesto, si aggiunge il triste teatro delle ombre degli eventi regionali e internazionali, che noi ora vediamo chiaramente.
 In un dibattito pubblico in cui sono stato di recente ad Atene, si è parlato della messa in  liquidazione della Repubblica di Cipro, come richiesto dalla potenze marittime (Stati Uniti e Gran Bretagna, con la gentile collaborazione delle Nazioni Unite e l’UE). Un processo (quasi) senza precedenti, già trattato qui su questo blog nel mese di dicembre 2016 (tre articoli dedicati alla pseudo-pacificazione di Cipro attraverso “negoziati” a Ginevra nel dicembre 2016-gennaio 2017).
 
L’attualità di questo dibattito è nasce dalla recente pubblicazione dell’analisi dell’esperto di  geopolitica e giornalista Dimitris KONSTANTAKOPOULOS, su questo argomento. Tra i partecipanti a questo dibattito, Dimitris Belandís, giurista, avvocato, che si dimise dal Comitato centrale SYRIZA nel luglio del 2015, ha sottolineato la totale incostituzionalità degli accordi che si realizzano sotto i nostri occhi, così come le palesi violazioni della Carta delle Nazioni Unite, e questo è solo l’inizio.
 
Filo spinato al porto di Patrasso. Dicembre 2017
 
Autorità Portuale e la bandiera greca. Porto di Patrasso, dicembre 2017
 
Trasporti … pacifici. Porto di Patrasso, dicembre 2017
Ricordiamo rapidamente che il putsch (di cui nessuno parla) è in pieno svolgimento (dal 2016), e mira a porre fine alla esistenza della Repubblica di Cipro, con il pretesto di trovare una “soluzione” per problema cipriota.
Si tratta senza dubbio del ‘piano Annan’ (ONU 2004) appena rimaneggiato, ricordando anche che la sovrarappresentazione politica della popolazione turco-cipriota rispetto al suo peso demografico (18% prima dell’invasione dell’esercito turco nel 1974 e della conseguente occupazione della parte nord dell’isola), nell’ambito del piano Annan, è stata uno dei motivi del rifiuto da parte dei greco-ciprioti nel referendum del 2004.
 
Se realizzato, questo piano creerà un’entità piuttosto strana, una teratogenesi in più, come nessun altro stato al mondo (ad eccezione probabilmente della Bosnia o di Timor Est). Il piano prevede la creazione (in un’isola relativamente piccola) di vari parlamenti e senati, con un sistema di veti incrociati e [prevedibilmente] continui, che garantirà posti di lavoro a migliaia di avvocati e, allo stesso tempo  impedirà al nuovo Stato di funzionare’.
Il nuovo stato non avrà un proprio esercito, ma una sorta di polizia internazionale per mantenere l’ordine tra gli abitanti. Il progetto costituisce una grave violazione di tutte le disposizioni in materia contenute nella Carta delle Nazioni Unite, nel diritto europeo, internazionale e costituzionale. Questo mostro giuridico trae la sua legittimità … dalla sua stessa logica, la quale pretende di risolvere il conflitto tra la maggioranza e la minoranza a Cipro trasformando uno stato indipendente, sovrano e democratico, in una sorta di protettorato postmoderno.
Gli esecutori, Alexis Tsipras e soprattutto Nicos Anastasiades (Presidente di Cipro) dal gennaio 2017 sono “fortemente incoraggiati” a firmare l’accordo. Quanto a Cipro, ci sono già molte reazioni che rifiutano questa “confederazione”, per cui il colpo di stato consiste nel dotare questo primo accordo (che non è stato ancora raggiunto) di un valore legale (che il Presidente Anastasiadis non può fornire, perché l’accordo sancisce la dissoluzione dello Stato del quale è Presidente), il tutto evitando e bypassando il necessario svolgimento di un referendum a Cipro.
 
 Rifornimento. Porto di Patrasso, dicembre 2017
 
 Camion ispezionato alla ricerca dei migranti. Porto di Patrasso, dicembre 2017
 
Guidatore in guardia al proprio camion. Porto di Patrasso, dicembre 2017
 
Salvo che Cipro e Grecia sono i due paesi maggiormente colpiti dalla Troika, la gente è stanca, la psiche sufficientemente “modellata” dall’ingegneria sociale, accelerata da quando c’è l’austerità … come regime politico. Il libro di KONSTANTAKOPOULOS porta il dibattito verso l’evidenza, quella che, ovviamente, i greci riconoscono verso la quale, tuttavia, sono impotenti: Nei programmi la Troika, è presente [anche] un implacabile ordine del giorno geopolitico.
 
Ed è proprio su questo aspetto della realtà che Dimitris Belandís ha anche illustrato, di sfuggita, le sue idee politiche: “SYRIZA, non è sinistra” è vero, ma ora è anche poco rilevante, se non insignificante, smitizzare il contenuto politico di SYRIZA, di Tsipras e di Nuova democrazia di Mitsotakis, siamo oltre … se non… siamo già spariti.
Ciò che la sinistra (prima che la società greca) non ha compreso (o non ha voluto capire) è che non si trattava solo di un finanziarismo e di un’austerità neoliberista (o ordoliberale), che era ed è sempre stato chiaro fin dall’inizio. Si deve notare che la cosiddetta austerità imposta alla Grecia l’ha privata del 27% del PIL in sette anni (più della quota del PIL francese persa durante la prima guerra mondiale, per esempio), e che lo stesso massacro non è stato imposto ad altri paesi sottoposti al regime della troïka, come il Portogallo.
 
Questo indebolimento completo della Grecia (popolazione, ricchezza, istituzioni, cultura, demografia, reattività come possibilità di rinnovamento della classe politica in modo democratico), non è un mero “effetto neoliberista,” perché dopo otto anni di totalitarismo ora si privano i greci del nocciolo duro della loro sovranità, nell’istante in cui li si priva della loro proprietà pubblica e privata e, in ultima analisi, della loro democrazia. Il progetto attacca ora, l’indipendenza stessa della Grecia (dal 1830) e di Cipro (dal 1960), che non è mai stata pienamente accettata dalle potenze occidentali “gerenti” del Mar Mediterraneo (Regno Unito e Stati Uniti), è che, secondo loro, dovrebbe ora scomparire del tutto.
Patrasso e la prima neve sulle montagne. Dicembre 2017
 
Nei pressi di Atene, passato abbellito. Fine novembre 2017
 
Mare Adriatico. Dicembre 2017
 
Questa è la vera agenda geopolitica dell’austerità, e non è solo una questione di lotta di classe, ahimè. Questo è particolarmente vero in quanto le attuali élite geopolitiche della globalizzazione finanziarista è essenzialmente un’elite del caos, e non della stabilità, anche in Europa. Gli ultimi accordi conclusi tra il burattino Tsipras e gli Stati Uniti sul rafforzamento accelerato del ruolo delle basi militari degli Stati Uniti a Creta (e presto nel nord della Grecia), comprese le potenziali armi nucleari che vi saranno installate (per non parlare degli accordi tenuti segreti anche ai membri cosmetici del “Parlamento” greco, così come a noi), non lasciano presagire niente di pacifico in un futuro che, stando ai fatti, sembra imminente.
Ed eccoci alla fine di un processo e, pure, all’inizio di un altro, in un contesto di guerra asimmetrica, non dichiarata, larvata e prossima a venire, che coinvolge le potenze marittime occidentali, l’Iran, la Russia e la Cina. Meglio si comprende, allora, la tattica Tsipras (e di Tsipras) è proprio di mettere la Grecia nella Fase II del programma di annientamento, dopo la fase-I realizzata tra il 2010 (inizialmente dal fantoccio Papandreou) ed il 2015. Giova ricordare che l’arrivo al potere di SYRIZA fu grazie al proposito di porre fine ai memoranda, attraverso l’idea generale “di restituire la dignità, far tornare la speranza far vincere la democrazia.” Poveri cittadini.
Lo choc fu enorme come previsto, e il lutto non finisce mai. Poiché il crimine del secolo è stato commesso dai truffatori Syrizisti (tale è sicuramente il pensiero della maggioranza dei greci), i cittadini così pesantemente ingannati sono sospettosi di tutto il “loro” personale politico e dei media. Il clima diventa più inquinato che mai, i servizi segreti (e quelli meno segreti) delle potenze straniere controllano i media, e anche alcuni baroni della politica di nepotismo locale come dell’economia, tra cui SYRIZA e il suo alleato dei “Greci Indipendenti” oggi nuovi campioni in questo campo. Nel frattempo, il burattino Mitsotakis sa che il suo tempo scatterà un minuto dopo il momento in cui Washington, Berlino e Bruxelles giudicheranno che il pupazzo Tsipras non sarà più utilizzabile.
Recentemente (due settimane fa), uno scandalo politico-finanziario e diplomatico è scoppiato quando si è appreso che alcune attrezzature militari (munizioni), era in procinto di essere vendute dalla Grecia all’Arabia Saudita. In seguito, un certo Papadopoulos (sconosciuto al grande pubblico), e vicino al ministro della difesa (leader del partito alleato di Syriza di “Greci Indipendenti”) Kammenos, si è presentato come il presunto intermediario (ben pagato per i suoi servizi). In base a come il caso è stato presentato dai media, Papadopoulos avrebbe imbrogliato sul suo incarico, e la vendita è stata infine congelata e poi annullata, considerando anche (per le apparenze), la guerra che l’Arabia Saudita conduce in Yemen.
 
Protesta e sgomento per il sequestro della casa. Atene, novembre 2017 (stampa greca)
 
Una certa stampa di oggi. Atene, dicembre 2017
 
Guardando le vetrine. Atene, novembre 2017
 
Intanto, l’”opposizione” (Nuova Democrazia) e sostanzialmente il clan Mitsotakis, ha presentato al “Parlamento” dei documenti compromettenti, classificati ancora come riservati, [secondo cui] i servizi segreti greci (?) e di altri paesi sarebbero coinvolti … nel caso, che può quindi rivelarsi un imbroglio [ndt: in italiano nel testo] totale. A meno che non ci siano altri casi pendenti, più gravi e dei quali è meglio che i greci non sappiano nulla… probabilmente per metterli davanti a un nuovo fatto compiuto.
 
Le nostre acque sono agitate e salmastre. Questo è anche il motivo per cui l’associazione (Think Tank) “a/Simmetrie” mi ha fatto l’onore di invitarmi in qualità di relatore al simposio che ha appena organizzato con il patrocinio dell’Università degli Studi di Abruzzo, con sede a Pescara, svoltasi il 2 e 3 dicembre, sotto il titolo “Euro, Mercati e Democrazia. Più Italia: la globalizzazione e l’austerità – quale ruolo per l’Italia?”. Voglio ringraziare anche pubblicamente “A / Simmetrie”, il suo iniziatore, professore di economia presso l’Università di Pescara Alberto Bagnai e l’Università di Abruzzo per l’invito, ed anche per la gestione materiale del mio viaggio, senza la quale sarebbe stato impossibile partecipare.
E parlo di viaggio e non di spostamento perché la particolarità è stata di effettuarlo su strada (800 km Andata e Ritorno tra Atene e Pescara) e in barca da Patrasso ad Ancona, abbandonando volontariamente . .. il sacrosanto aereo, solitamente usato in tali viaggi. Questo viaggio così strutturato, mi ha dato l’opportunità di vedere certe cose e di sentire che si dice della Grecia; viaggiare in Italia (e non solo) rimane un viaggio nel tempo nella geopolitica della crisi. L’Italia e la Grecia non si trovano nello stesso punto del ciclo con le loro rispettive situazioni, questo è evidente.
 
Prof. Alberto Bagnai. Pescara, il dicembre 2017
Dibattito sull’austerità. Pescara, 3 dic 2017
 
… Copie del passato e del presente. libreria di Atene, novembre 2017
Ouzo novembrino. Cortili impreziositi del passato in Attica
 
Questi viaggi lasciano anche la porta socchiusa per vedere qualche delitto della nostra modernità (che gli aerei e gli aeroporti, asettici, non consentono), come, ad esempio, nel porto di Patrasso quando si osservano “dal vivo”, i disperati tentativi dei migranti per nascondersi tra gli assi dei camion carichi. Gli autisti vigilano ansiosi sui loro mezzi, agenti di polizia e guardie di sicurezza fanno il loro lavoro…, anche i contrabbandieri dovrebbero essere lì da qualche parte. Viaggiare su strada è anche un modo di vedere, infine, come le autostrade italiane sono sempre così trafficate, mentre quelle in Grecia sono vuote dal 2010. Poi, in Italia la preparazione al Natale, le pubblicità e l’atmosfera ricordano la Grecia degli anni prima della crisi, alcune pubblicità italiane sarebbero da tempo impresentabili … per i greci.
 
Nel corso della conferenza, sono stato intervistato dal professor Alberto Bagnai per il suo pubblico, informato e curioso degli affari greci, sulla situazione del paese, e ho insistito su alcuni fatti ormai evidenti, poiché inerenti la fase I, ed altri relativi alla fase II del “caso greco”.
Ho insistito soprattutto sul calendario specifico dell’austerità, purtroppo ben nascosto nell’agenda geopolitica, e sulla neutralizzazione (e canalizzazione) delle reazioni popolari contro l’uccisione della democrazia, avvenuta ad esempio, facendo adottare al “Parlamento” il testo del memorandum Tsipras (agosto 2015), lungo 7.500 pagine, ed imposto dalla Troika. Un testo, va specificato, redatto in inglese e tradotto solo in parte in greco da un traduttore automatico, ma che colpisce quasi tutti i settori di attività, la democrazia, i diritti umani, come la vita dei Greci che i parlamentari, certamente, non hanno letto. “In ogni caso, non c’era umanamente il tempo per leggerlo,” hanno dichiarato alla stampa nel 2015 alcuni ministri Syrizisti.
 
Tornato in paese, il nord dell’isola di Corfù, dicembre 2017
Ritorno al paese. Igoumenitsa, nord-ovest della Grecia. Dicembre 2017
 
Le asimmetrie economiche che, prima o poi si dimostrano paraventi per le asimmetrie geopolitiche, e portando il ragionamento fino in fondo, ho mostrato che in ultima analisi, il popolo greco sta subendo una forma di aggressione simile ad una guerra asimmetrica. Così e francamente [è emerso] il timore degli amici italiani (per lo meno quelli i cui occhi e orecchie sono già aperti), che il loro paese possa “accettare” un futuro sotto la troïka, aumentando così il dosaggio di austerità che il paese di Garibaldi ha già subito. Certamente la geopolitica riguardante l’Italia non è paragonabile a quella della Grecia o di Cipro, salvo che il ragionamento (irrazionale) di base (austerità metademocrazia, sottomissione) sembra immutabile, a prescindere dei paesi interessati.
Al termine del processo, di cui l’euro è un caposaldo, c’è la morte della democrazia, la morte di ogni governo dell’economia di un determinato territorio da parte dei suoi cittadini, ed è la fine di qualsiasi controllo del proprio tempo (cioè del futuro) e, quindi, la sconfitta di ogni speranza, almeno di rompere l’intero guscio … (europeista). Ecco perché io non credo in “un’altra Europa possibile,” e ancora meno in “Plan-B”, triste a dirsi, forse, difficile da ammettere, ma è così.
Animali senza padrone Italia. Pescara, dicembre 2017
 
Se non altro, il viaggio è stato per me l’occasione di uscire dal quadro psico-letale della Grecia moderna e non è poco, allora, poter vedere, come si suol dire, un po’ di mondo, prima che sparisca del tutto.
 
Gli ultimi giorni di bel tempo nel mese di novembre e del suo ouzo [da bere] sulle spiagge di Atene sono lontani, e tornando a casa, ho trovato il nostro appartamento disperatamente freddo, perché senza riscaldamento dal 2012, ed i nostri animali, che vicini avevano curato durante la nostra … osservazione partecipativa [ndt: tecnica di analisi sociale, che prevede che l’osservatore stia dentro il sistema oggetto di osservazione e partecipi alla sua vita] in Italia.
 
Poi pioggia e vento. Nei tempi andati ci si preparava anche al Natale, solo che ogni illusione conosce prima o poi la sua fine. Tornando in Grecia, ci si sente come impantanati in una melassa che ostacola ogni riflessione, che avvelena la più piccola felicità quotidiana, e rende allo stesso tempo, ogni visione degli esseri umani e dei paesaggi, come oscurata da un velo di lutto.
 
Tuttavia, ho potuto raccontare al nostro Mimi e soprattutto al nostro piccolo Hermes, detto il Trismegisto (ha già … quattro mesi), che anche in Italia, a volte, ci sono animali senza padrone. Geopolitica o no … Missione compiuta. Ritorno a casa e ritornano anche le difficoltà per l’inverno! Povero blog … nell’esatto splendore della sua sopravvivenza …
 
Hermes ritrovato. Dicembre 2017
Articolo originale QUI
Sul sito www.asimmetrie.org saranno a breve disponibili i video integrali degli interventi dei vari oratori, tra cui quello di Panagiotis Grigoriou.
 
Traduzione a cura di FRANZ-CVM – sul mio blog è disponibile un “frasario essenzialedel convegno citato.
Resoconti più istituzionali dei lavori sono disponibili su questo stesso sito da parte di Fabio Conditi e su Intellettuale Dissidente da parte di Guido Rossi.
 
13 dicembre 2017 DI PANAGIOTIS GRIGORIOU greekcrisis.fr

In una struggente lettera a Babbo Natale, un bambino greco chiede tanto da mangiare

lettera alexisIl 36,7% dei bambini, in Grecia, vive in povertà e/o a rischio di esclusione sociale.
L’unicef e tutto il mondo tanto solidale non ha niente da dire? I bimbi e le famiglie greche non meritano una vita dignitosa? Non meritano vitto ed alloggio gratis se in difficoltà? NO. L’accogliente antifascista TSIPRAS pensa a far mangiare le banche e siccome è una scelta giusta per la democrazia  SILENZIO. E’ stato eletto il personaggio giusto per l’elites, che cali quindi la censura sul popolo greco.
La letterina di Alexis, un bambino di una scuola elementare greca
“Caro Babbo Natale, sono Alexis e sto facendo la quarta elementare. Sono stato un bambino bravo. Quest’anno vorrei che mi portassi molto cibo, così la mia mamma non dovrà più piangere. Non ha il lavoro. Se non puoi, vorrei che portassi un giocattolo a mio fratello che sta male. Ti voglio tanto bene“
Il 36,7% dei bambini, in Grecia, vive in povertà e/o a rischio di esclusione sociale.
In Italia le cose non sono migliori. Su 5 milioni di persone in assoluta povertà, il 12,5% sono minori. Contando poi quelli che sono ad esclusione sociale, il numero purtroppo è destinato a salire. Ci sono persone che chiedono solo di poter mangiare, un bene che uno Stato dovrebbe garantire a tutti, ma continuiamo a preoccuparci di tematiche vecchie di 70 anni pur di non ammettere il fallimento di questo Paese. Prima di richiedere quei “diritti civili” di cui tanti si riempiono la bocca.
commento di Maura Alpaca Bathory su fb 19 dicembre 2017

KTG – In una struggente lettera a Babbo Natale, un bambino greco chiede tanto da mangiare
di Henry Tougha – dicembre 18, 2017
Keep Talking Greece pubblica la lettera di un bambino greco di una scuola elementare di Patrasso, nella quale chiede a Babbo Natale molto cibo. La lettera è stata rilanciata via Facebook da un’organizzazione umanitaria, scatenando una gara di solidarietà. Ma la triste situazione, come ricordano i volontari, è che quella lettera rappresenta la situazione di oltre un terzo dei bambini in Grecia, un paese in cui la fame è tornata a essere un pericolo concreto.
 
di Keep Talking Greece, 15 dicembre 2017
 
Tutti i bambini a cui è stato chiesto di scrivere una letterina per Babbo Natale hanno chiesto probabilmente la cosa più ovvia: i giocattoli. Ad eccezione di un bambino, Alexis, di 8 anni.
Caro Babbo Natale, sono Alexis e sto facendo la quarta elementare. Sono stato un bambino bravo. Quest’anno vorrei che mi portassi molto cibo, così la mia mamma non dovrà più piangere. Non ha il lavoro. Se non puoi, vorrei che portassi un giocattolo a mio fratello che sta male. Ti voglio tanto bene“, ha scritto il ragazzino.
 
La struggente lettera per Babbo Natale è stata scritta da un bambino in una scuola elementare di Patrasso, nella parte occidentale della Grecia.
Secondo tempo24.gr la lettera di Alexis è stata pubblicata dalla ONG [Organizzazione Non-Governativa, NdT] Shining Star (Foteino Asteri) che si occupa del benessere dei bambini, sul suo account Facebook.  Molti greci si sono offerti di aiutare la famiglia di Alexis.
Ma la lettera è solo indicativa della triste situazione in cui si trovano molti bimbi in Grecia, dove il 36,7% dei bambini è a rischio di povertà ed esclusione sociale.
 
C’è sempre un Alexis nel vostro quartiere, nell’appartamento di fianco al vostro, nella classe o nella scuola di vostro figlio. Aiutate Alexis o fate una donazione a un’organizzazione di volontariato.

Le manovre delle banche centrali che contano più del G7

yellenIl mondo, inteso come sistema finanziario-industriale, ha bisogno di instabilità affinché le Banche centrali continuino a salvarlo, spiega MAURO BOTTARELLI
Janet Yellen (Lapresse)
 
Da ieri, la Nato fa ufficialmente parte della coalizione anti-Isis guidata dagli Stati Uniti. Lo ha annunciato il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, prima dell’apertura del Vertice che vedeva presente, tra gli altri, Donald Trump. Nel più palese caso di excusatio non petita, accusatio manifesta, sempre Stoltenberg ha immediatamente sottolineato che la Nato non parteciperà ad azioni di combattimento, ma diverrà il centro di collegamento dove convoglieranno le informazioni di intelligence per la lotta contro Daesh. Prendiamone atto, l’attentato di Manchester ha davvero accelerato molti processi, fino alla scorsa settimana rallentanti, se non bloccati, da veti incrociati e pareri discordanti.
Oggi, poi, a Taormina prenderà il via il G7 con al centro della discussione, nemmeno a dirlo, la lotta al terrorismo globale. E chi mancherà al tavolo dei grandi? Il soggetto che maggiormente, tra le potenze mondiali, sta combattendo sul campo quel fenomeno eversivo e destabilizzante: la Russia. Capite da soli e senza bisogno di dotte analisi geopolitiche che quel vertice nasce già con lo stigma del fallimento, perché pensare di combattere il terrorismo senza coinvolgere Mosca è folle. A meno che, tramite strani giochi di prestigio politici e abile propaganda, non si voglia far finire nel calderone dei soggetti pericolosi proprio la scomoda Russia di Vladimir Putin. E, per proprietà transitiva neo-con, il suo alleato in Siria, cioè quell’Iran che Donald Trump ha attaccato senza soluzione di continuità nella sua due giorni tra Arabia Saudita e Israele.
Già, perché forse questo G7 ha una sua agenda precisa, ma non è quella ufficiale, bensì quella nata proprio tra Ryad e Tel Aviv e sviluppatasi tra l’orrore di Manchester. Metto in fila, senza un ordine particolare, i focolai di guerra o destabilizzazione in atto a tutt’oggi: Siria, Iraq, Libia, Yemen, Mali, Filippine, Corea del Nord, Venezuela, Afghanistan, Brasile e sicuramente ne sto scordando qualcuno. Sedici anni di “guerra preventiva” ed “esportazione della democrazia” hanno portato a questo: siamo più sicuri o insicuri? E poi, cosa unisce tutta questa messe di guerre sparse, la famosa Terza Guerra Mondiale a pezzi di cui parla Papa Francesco?
Il denaro, inteso come sistema finanziario che necessita di destabilizzazioni per stare in piedi attraverso mosse emergenziali. Come mai, di colpo, le Filippine finiscono al centro dell’attività del braccio locale di Daesh, guarda caso mentre il presidente, Rodrigo Duterte, stringe alleanze e partnership con Vladimir Putin? Perché il Brasile, di colpo, vede i manifestanti assaltare e incendiare i palazzi ministeriali, tanto da portare il presidente a firmare un atto che conferisce alle forze armate poteri di ordine pubblico? Anche in Gran Bretagna, per la prima volta dall’allarme del 2007 per un temuto attentato in Scozia, si vede l’esercito per le strade, 4800 uomini: un vulnus non da poco per la patria della common law. E la Corea del Nord, fino a quattro giorni ombelico del male? Sparita. Probabilmente la produzione in serie dell’ultimo missile sparato nel Mar del Giappone non spaventa più tanto. C’è Manchester che garantisce mano libera e fogli bianchi su cui scrivere le nuove regole.
C’è talmente tanta calma, garantita paradossalmente dal caos, che la Fed l’altra sera ha potuto permettersi di inserire toni da falco nelle minute (le quali vengono sempre riviste e ritoccate prima della pubblicazione, fidatevi) dell’ultimo Fomc, facendo trasparire la possibilità di un rialzo dei tassi imminente, quindi certificando – implicitamente – ai mercati e ai cittadini la buona salute dell’economia americana. I mercati? Nemmeno un plissé, anzi l’Asia ha festeggiato. Festeggiamenti giustificati? Fate voi, alla luce di questi grafici: il primo ci mostra come il cosiddetto “National team”, ovvero un consorzio di china stocksbanche e istituzioni finanziarie che agiscono su mandato del governo cinese, sia massicciamente intervenuto sul mercato per sostenere i corsi azionari, in perfetta contemporanea con il crollo dell’acciaio: il downgrade di Moody’s ha dato il colpo di grazia a una dinamica che sta già schiantando tutte le commodities da settimane. Ma Draghi dice, salvo poi rimangiarsi la parola, che la ripresa ormai è globale.
Il secondo, invece, ci mostra come questa dinamica, ovvero la finanziarizzazione della delinquenciesmaterie prime attraverso i futures, stia colpendo l’economia reale, nella fattispecie l’agricoltura Usa e i prestiti contratti da proprietari terrieri per portare avanti la loro attività. Dal quarto trimestre del 2014 al primo di quest’anno, il tasso di delinquencies su quei prestiti è salito del 225%, stando a dati ufficiali del Board of Governors della Fed.
Terra, cibo, economia vera: devastati da Wall Street e dai suoi giochini, ora con l’aggravante di qualche triliardo di contratti derivati che hanno come collaterale proprio futures legati alle commodities che pagano lo scotto al rallentamento della crescita cinese.
g3 central bankIl terzo, invece, ci mostra come dal dicembre 2016 questa logica di intervento delle Banche centrali per evitare l’armageddon si sia concentrata anche sul mercato obbligazionario sovrano, ovvero quello dei governi: questo, al netto di Bce e Bank of Japan che stanno comprando anche l’aria.
Vi serve altro per capire che il mondo, inteso come sistema finanziario-industriale, ha bisogno di instabilità affinché soggetti ormai onnipotenti come le Banche centrali continuino a salvarlo con soldi vostri? Stiamo tutti quanti camminando sul filo dell’equilibrista circense, ma la rete di salvataggio sotto di noi diventa ogni giorno più piccola e piena di buchi. La scorsa settimana vi ho ricordato come in un articolo dello scorso gennaio già avessi profilato l’ipotesi che l’elezione di Donald Trump fosse stata il perfetto capro espiatorio per giustificare un crash del mercato, evitando così che l’opinione pubblica additasse i veri responsabili di quello che era un epilogo già scritto, dopo anni di denaro a pioggia creato dal nulla e debito insostenibile. E dove siamo, oggi? Con i tassi che, formalmente, stanno salendo negli Usa, la meteoritica ascesa del mercato è andata in stallo.
 
Negli ultimi mesi, i corsi azionari hanno introitato un misero punto percentuale di rialzo o ribasso alla settimana. Poi, stranamente, la scorsa settimana è successo qualcosa: i mercati, senza apparente motivo sono crollati di quasi 400 punti in un solo giorno. Andate a riprendervi i titoli dei principali media, italiani ed esteri e troverete la narrativa ufficiale rispetto a quel tonfo: l’instabilità generata da Trump e dai suoi guai legati al Russiagate, con il rischio addirittura di un impeachment. Insomma, è colpa del presidente Usa. Sembra il signor Malaussene dei romanzi di Daniel Pennac, professione capro espiatorio: Banche centrali e grande finanza, sentitamente ringraziano.
E attenzione, perché se avete voglia di fare una rassegna stampa più accurata ed estesa nel tempo, questa narrativa i grandi media hanno cominciato a montarla ancora prima dell’elezione di Trump, quando si era in campagna elettorale: ma se tutti i sondaggi davano Hillary Clinton come vincitrice in carrozza, quale bisogno c’era di creare quella cortina di terrorismo finanziario? Basti vedere Bloomberg, agenzia il cui mantra fu quello di dipingere Donald Trump come un uomo fortunato, perché riceveva in eredità da Barack Obama un’economia florida e in ripresa. Balle, quale economia abbia lasciato l’ex inquilino di Pennsylvania Avenue è ormai sotto gli occhi di tutti: mercato in bolla assoluta, peggio del dot.com e livello di debito ormai insostenibile, sovrano e privato. Ovviamente, con la colpevole collaborazione fattiva di chi detiene la stampatrice, ovvero la Fed. Addirittura, il settimanale Fortune scrisse che l’iniziale rally di mercato che aveva salutato l’elezione di Donald Trump altro non era se non una creazione del palcoscenico per un sorprendente crash del mercato. Diciamo che o hanno poteri divinatori o forse c’era un’agenda condivisa da far accettare all’opinione pubblica.
Non vi pare che quanto accaduto da quando il presidente Usa ha messo piede a Ryad fino a oggi, risponda a una logica simile ma a livello geopolitico? Attenzione a cosa verra deciso al G7, per quanto realisticamente inutile – stante l’assenza della Russia -: ci dirà quale piega prenderanno gli eventi. Ovvero, quando – e non se – sarà guerra.
26 maggio 2017 Mauro Bottarelli

Il trucco per cui i francesi voteranno di nuovo un socialista. Dei Rotschild

macron guevaraSembrava impossibile, dopo l’esperienza tristissima di Hollande, ormai al 4% dei sondaggi tanto che non s’è  ripresentato, e la gauche spaccata fra quattro  candidati. Era uscito il libro “Gli ultimi 100 giorni del Partito Socialista”; dove l’umorista Bruno Gaccio riferiva che la morte imminente era dovuta alle malattie che lo rodevano da 35 anni: Liberoencefalite degenerativa, Bordelloplastia, Debussolite Retrattile, Sindrome di Valls-sette, Sordità profonda, Cecità totale”. La sepoltura era prossima.
 
Il ritorno al potere del centro-destra sembrava ormai certo. Il vincitore a mani basse era dato Francois Fillon: scelto alle primarie, centro-destra, abbastanza a destra per raccattare al ballottaggio i voti di Marine Le Pen, pro-Ue è vero, ma anche filo-Putin. I sondaggi lo favorivano.
 
Poi, il trappolone. Le Canard Enchainé (“da lustri strofinaccio della Cia”, per Nicolas Bonnal) tira fuori lo scandalo:  Fillon ha pagato alla moglie Penelope uno stipendio come assistente parlamentare (500 mila euro lordi  in 8 anni), e  la signora ha preso 5 mila euro mensili alla Révue des Deux Mondes, a cui ha collaborato dal 2012 al 2013. I 500 mila in 8 anni fanno colpo; ma sono, in realtà, la dotazione che Fillon ha ricevuto come parlamentare per le spese connesse, poteva non impiegare un assistente e tenerseli tutti per sé senza commettere alcun reato. Altra cosa è  l’impiego ben pagato della signora alla Révue. I media cominciano a dire che prendeva 5 mila euro mensili, per la redazione “di due o tre note di lettura”.
Il giorno stesso della rivelazione del Canard, la magistratura “apre un fascicolo”. E il giorno dopo, fulminea, già manda con fanfare e sirene spiegate la polizia a fare una perquisizione alla Révue des Deux Mondes, per sospetto di “impiego fittizio”. La strana fulminea rapidità della magistratura, la grancassa mediatica assordante, hanno avuto l’effetto: Fillon è crollato nei sondaggi, lui ha chiesto scusa e si presenta comunque, ma non sarà lui a sfidare Marine per vincerla al secondo turno.
Perché nessuno si illuda, la Le Pen non andrà mai all’Eliseo. Anche  se oggi è al primo posto nelle preferenze degli elettori (26%, tutti gli altri candidati la seguono a distanza) al secondo turno tutto l’elettorato “antifacho” concentra i voti sull’avversario di Marine, chiunque sia. E’ così ed è sempre stato così.
Il punto è che a sfidare la Le Pen non sarà un esponente del centro-destra, Fillon. E chi sarà dunque? Uno della “sinistra”, diciamo così: Emmanuel Macron. Uno che oggi ha fondato il suo movimento  (“En  Marche”, come le sue iniziali) ma che è stato ministro di Valls e di Hollande fino all’agosto scorso, quando si è staccato dai PS per fingersi indipendente. Un PS  che s’è messo una nuova maschera appena in tempo.
Immediatamente esaltato e promosso dai media come colui che incarna “il rinnovamento e la modernità”, ultra-europeista, liberista (come Hollande), “Superare destra e sinistra, la folla lancia l’anti-Le Pen al grido Europa! Europa!”,  ha scritto il Fatto Quotidiano.
Insomma si è capito: stessa zuppa di prima. E’ bastato che Marine Le Pen presentasse il suo programma politico perché le Borse europee crollassero, i “mercati” si terrorizzassero, e lo spread dei titoli nostri, ma anche francesi, si allargasse: ed è tutta una manfrina, perché non esiste nessuna possibilità che la signora entri all’Eliseo per attuare quel programma. Fa’ parte della messinscena del drammone “Il Fascismo alle Porte”, la recita della paura che  susciterà nell’elettorato il riflesso pavloviano di andare a votare chiunque per fermare il Front National. Già adesso, i sondaggi dicono che al ballottaggio Macron prenderà il 65 % contro Marine al 35.
Vediamo dunque che tipo di socialista è Macron, che la Francia si terrà all’Eliseo per un mandato o due. Anzitutto: è un banchiere d’affari della Rotschild. C’è entrato  nel 2008  come analista – per i buoni uffici di Jacques Attali (j) ministro di Mitterrand e maitre à penser, ed è salito in carriera fino a diventare “partner”, socio di David de Rotschild, che è un intimo di Sarkozy (j) e di Alain Minc (j).
E’ un ragazzo svelto a imparare. Si occupa di fusioni ed acquisizioni: sostanzialmente vende aziende francesi a multinazionali, americane o no. Nel 2012, affianca e consiglia la Nestlé nell’accaparramento del settore “latti per l’infanzia” della Pfizer, soffiando il lucroso settore alla Danone che lo voleva. E’ un affare valutato a 9 miliardi di euro.
Le  commissioni lucrate allora dal giovanotto sono tali che, si dice,Macron è al riparo dal bisogni fino alla fine dei suoi giorni”. Un super-milionario. In quell’attività, ovviamente si è fatto una quantità di complicità e amicizie nel salotti buoni che contano, conosce tutti i segreti, i misteri, i progetti  nel mondo dei veri grandi ricchi; tanto più che spesso nelle fusioni ha operato come “consulente acquirente”, mettendoci il suo capitale insieme a quello del cliente.
La Banca Rotschild presta volentieri i suoi giovani più brillanti al governo, ministri, segretari generali dell’Eliseo, aggiunti, capi di gabinetto…”Ad ogni cambiamento di governo – ha scritto il Nouvel Osbservateur – Rotschild riesce a piazzare qualche collaboratore fra gli incartamenti del potere. Chiama ciò “mettersi al servizio”. Macron perpetua la tradizione”,  divenendo ministro dell’Economia dell’Industria e del Digitale  dal 2014. Nell’agosto scorso, come detto, si dimette per fondare il suo movimento: forte il sospetto che sia stata una dimissione concordata nel quadro del vasto progetto  – in cui è entrato anche il trappolone per Fillon – per mantenere il potere agli stessi circoli.  Siamo, molto al disopra della Gauche-Caviar. Molto prossimi alla Squadra e al Compasso, ma sopra ancora. Siamo, se così si può dire, alla Gauche-Rotschild.
Quindi la liberazione della Francia è ancora una volta rimandata. Macron è un superliberista e promotore del mercato unico mondiale.
Articoli dedicati a Macron in confronto a quelli dedicati ai tre candidati della sinistra (Jean-Luc Mélenchon, Arnaud Montebourg e Benoît Hamon) messi insieme.
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I media mainstream, che a volte sono profeti,  hanno subito capito di quante virtù è pieno il candidato, e l’hanno elevato a forza di servizi speciali, sempre più in alto nei sondaggi: l’ottobre 2014, solo l’11 per cento degli interpellati desiderava che Macron avesse un ruolo più importante nella politica; il 6% degli operai, il 4% degli artigiani. Oggi i sondaggi lo dicono la personalità politica preferita dai francesi.
 
A  meno che…
Il  6 febbraio, Sputnik e Russia Today hanno cominciato a dire che Julian Assange ha trovato dei particolari compromettenti su Macron. Cose che avrebbero a che fare con i circoli intimi della Clinton, e il capo della campagna di Hillary John Podesta, se capite cosa intendo:
podesta[1]
Il deputato Nicolas Dhuicq (Les Républicains) ha  cominciato a spifferare quello che sembra un segreto di Pulcinella: “Macron è il coccolino dei media francesi, che sono proprietà di certe persone, come sappiamo tutti”. No, quali persone? Non sappiamo, noi. “Fra gli uomini che lo sostengono, si trova il celebre uomo d’affari Pierre Bergé, compagno di lunga data di Yves Saint-Laurent, apertamente omosessuale e promotore delle nozze omosessuali. C’è una ricchissima lobby gay dietro di lui. Non dico altro”.
 
Chissà. Magari i siluri degli hacker russi che hanno affondato Hillary, sono già caricati per colare a picco Macron.