
Questo partito unico, a differenza di quelli che esistevano nei paesi del blocco sovietico, non garantisce il lavoro a nessuno e men che meno ai giovani. Deve solo garantire la stabilità dei prezzi ed il libero mercato.
Questo partito unico, a differenza di quelli che esistevano nei paesi del blocco sovietico, non garantisce il lavoro a nessuno e men che meno ai giovani. Deve solo garantire la stabilità dei prezzi ed il libero mercato.
Michele si è ucciso nella settimana di Sanremo, mentre Carlo Conti prende 650.000 euro per la conduzione e direzione artistica del festival, Tiziano Ferro 250.000 (o forse ancora qualcosa di più) e mentre le amabili arpie della televisione si scambiano frecciate a mezzo Twitter sul tema spacchi-e-scollature.
nessuna fiaccolata per te, per i suicidi in Italia niente solidarietà, solo CENSURA. Guai a pensare non sia una democrazia tutta diritti e solidarietà.
La lettera che Michele ha lasciato ai suoi genitori non è soltanto triste, ma è agghiacciante e giustamente colpevolizza anche coloro che, come chi scrive, hanno fatto il ’68 perché desideravano che queste cose non succedessero. Evidentemente è stato commesso qualcosa di sbagliato e la buona fede non è più una scusante valida.
Oggi ci si è abituati al precariato, alla disoccupazione, oggi si cede a qualunque compromesso per avere un lavoro, provvisorio, malpagato e bisogna anche assuefarsi a essere sottostimati. Questa è la tragedia, abituarsi all’indifferenza, alla disistima, lasciare che i giovani adulti non raggiungano, se non molto raramente, l’obiettivo che si erano prefissati e per il quale si sono preparati.
Si diventa semplicemente spettatori. Spettatori di quanto si vede, spettatori di quello che fa chi governa, che promette e non mantiene, che cerca di coltivare in maniera intensiva il suo orto e punta ad avere sempre l’erba più verde di quella del vicino. E i giovani adulti muoiono, anche quando non si suicidano. Michele è andato fino in fondo, stanco di “fare del malessere un’arte”. In questa tragica sintesi c’è quanto oggi si propone a chi cerca un lavoro consono alle sue capacità.
Michele si è trovato a vivere in un mondo che “non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità”.
Ma che cosa vuol dire oggi normalità? Nessuno se lo chiede più perché oggi normalità è un concetto molto simile ad assuefazione, è ciò che capita tutti i giorni e lascia indifferenti, perché non c’è più lo spazio intellettuale per una sana protesta, perché tanto non porta da nessuna parte. Poi arriva Michele, che non si è assuefatto, non ci sta al gioco in cui l’hanno inserito contro la sua volontà e prima di portare a termine la sua personale e tragica protesta scrive che “il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare”.
Morire è stata una scelta fatta in piena lucidità, qui non si tratta di un momento di disperazione emotiva, qui la disperazione è nuda, è stata esaminata, soppesata, indagata, vagliata e ha condotto a un’unica via: il suicidio.
Viene alla mente Seneca, nessuno è stato più acuto e coerente di lui nell’affrontare il suicidio, ma, a differenza di Seneca che ha potuto arrivare a questo epilogo dopo una vita di pensiero compiuta, a Michele è stata impedita ogni realizzazione.
“Penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo”. La libertà ha coinciso con lo smettere di soffrire, quindi con la morte.
È una lezione molto dura quella che Michele impartisce.
Oggi siamo obbligati ad ascoltare la voce di Michele soltanto in questo maledetto attimo di emotività e soltanto perché lui è morto. Perché i suoi genitori hanno voluto pubblicare l’ultima lettera, ma questa voce viene dall’oltretomba. Quando era vivo non trovava ascolto. Quando era vivo, “vivere non” era “un piacere”, e per questo c’è una responsabilità collettiva.
Questo non è un suicidio né letterario, né poetico, è un suicidio politico, perché la polis non ha avuto chance da offrire a questo giovane adulto, come non ne offre a tanti altri, e lui non si è rassegnato al fallimento. Chi è fallito non è Michele, è chi non ha saputo costruire una società in grado di dare lavoro ai giovani, di dare un futuro a chi ne ha ogni diritto.
È fallito chi ha sperato ma non ha costruito, perché immerso e sommerso dalle sue piccole realtà di guadagno, da piccole voglie di emergere a qualunque costo. E il costo lo stanno pagando i disoccupati, i precari, gli umiliati, lo sta pagando chi ha creduto di potersi costruire una vita.
E questa lettera, che dovrebbe turbare il sonno di tutti, passerà sotto silenzio, dopo una breve scossa emotiva, sarà inghiottita dalle considerazioni banali che tutelano le coscienze addormentate.
Tutto il gelo che questa morte porta con sé sarà esorcizzato ancora una volta da inutili buone parole.
Chi ha ancora una coscienza sa di doversi, inutilmente ormai, scusare con Michele, per avergli rubato la vita.
febbraio 10, 2017 di Maria Teresa Busca
“Per Michele e la nostra generazione l’unica garanzia è la vendetta”. È la scritta minacciosa comparsa nella notte sulla torre di Legacoop, in viale Aldo Moro a Bologna, con chiaro riferimento al caso del grafico 30enne morto suicida nei giorni scorsi in Friuli.
La via per scovarla e tirarla fuori è dimenticare questa ossessione di sè. E ribellarsi: ai propri limiti personali, e contro le ingiustizie che hanno nomi, cognomi, indirizzi, matrici ideologiche e cause storiche. Altrimenti sì che, rinunciando a priori alla scelta di combattere, «non sono mai esistito», come hai scritto tu. Ti dedico un’ultima citazione, Michele: «L’essenziale è non vivere invano». Era Antonio Gramsci. Uno che crepò in galera per le sue idee e per i suoi ideali. Per qualcosa che lo trascendeva. Che gli faceva dimenticare il suo piccolo io.
La prima ragione, spiega, è «l’enorme diffidenza della stragrande maggioranza delle popolazioni nei confronti della classe politica al potere e delle élite economiche, finanziarie e mediatiche. A questo, si aggiunge una profonda crisi della rappresentanza. Le persone sentono di non essere più rappresentate e che i partiti di governo costituiscono una casta che utilizza il potere soltanto per difendere i propri interessi: c’è una spaccatura tra i rappresentanti e i rappresentati».
Quando si oppone al popolo “coloro che sanno”, si fa un errore drammatico perché “quelli che sanno”, gli “esperti”, non sanno quello che bisogna fare: sanno come fare quello che si è deciso di fare. Sta ai politici dire quello che bisogna fare, e agli esperti in un secondo momento dire come raggiungere questo obiettivo. Quando si dà agli esperti il monopolio della decisione, questi uccidono la politica, perché considerano che ci sia una sola soluzione razionale al problema politico: trasformano il problema politico in un problema tecnico. È lì che vediamo la vecchia formula: “L’amministrazione delle cose si sostituisce al governo degli uomini”».
Il discorso è lo stesso dunque: invece di migliorare le condizioni di chi sta peggio, si innesca una guerra al ribasso che porta al baratro chi produce bene. Queste misure fanno esclusivamente il gioco della grande industria e della speculazione finanziaria”.
La democrazia è in serio pericolo. E non mi sarei mai sognato di dover imputare questo, io persona progressista, all’opera delle forze di sinistra. Molti politici del PD e di Sinistra Italiana, sulla falsariga di certa sinistra internazionale, stanno bandendo una crociata contro le cosiddette fake news, con l’idea che il processo politico sia determinato dal fatto che alcuni siti diffondano bufale.
Un tentativo goffo come il personaggio stesso, nel quale si potevano vedere, in rapida e sempre più “terrificante” successione, tutte quelle che i media ufficiali reputano fantasie di menti deboli e/o distorte. Così, dalle scie chimiche agli alieni, da “Big Pharma” (non a caso) al NWO, in una miscela indistinta di cose vere ed evidenti fole accostate alle prime per screditarle, il tele-suddito veniva messo in guardia dai “mostri” che si annidano su internet.