Un treno per la notte, ecco i nuovi poveri: sul regionale dormitorio fra i pendolari della disperazione

si ringrazia di cuore i sedicenti difensori dei lavoratori, disoccupati, poveri e pensionati. Complimenti, un ottimo lavoro. Sempre in piazza per questi diritti. Ah giusto, è disdicevole, fa tanto populismo….Bell’esempio di civiltà.

Un treno per la notte, ecco i nuovi poveri: sul regionale dormitorio fra i pendolari della povero vagone alessandriadisperazione
Ex ferrovieri, padri separati, immigrati e italiani che hanno perso il lavoro. Viaggio da Milano ad Alessandria sull’ultimo convoglio di Trenord: “Qui siamo al caldo e al sicuro”
La notte sul regionale alla stazione di Alessandria (fotoservizio di Federica Castellana per La Stampa
Salvatore, 36 anni, sporge le brioches e i sandwich ai compagni di vagone: «Ho preso quelli senza prosciutto così anche Aziz, che è musulmano, può mangiarli». Li ha recuperati in stazione, tra i rifiuti: sono gli scarti della carrozza ristorante di un treno con le poltrone in pelle e la rivista patinata di bordo. Non come questo regionale, che puzza di cene rigurgitate, toilette intasate e calze sporche: dall’1 di notte diventa un dormitorio, l’alternativa alla Caritas. È un Trenord: lascia Milano alle 23,25 e arriva ad Alessandria a mezzanotte e 55, cinque minuti prima che lo scalo ferroviario e gli uffici della Polfer chiudano. Resta sul binario 3, acceso e caldo perché è il primo a partire al mattino, alle 5,11. Il passaparola è stato più rapido del suo lento viaggiare.
UN POSTO CALDO
E così, se l’anno scorso non più di una decina di disperati lo usava alla notte per dormire, quest’anno il numero si attesta sulla cinquantina. Pochi i clochard e gli stranieri, tanti i nuovi poveri, disoccupati, ex ferrovieri (possono viaggiare gratis), padri divorziati schiacciati dalle spese della separazione, ragazzi che avrebbero bisogno di aiuto, gente che aveva conto in banca e casa fino a pochi mesi fa.
Per loro appisolarsi in carrozza deve sembrare un po’ come proseguire un viaggio, più accettabile dell’impatto con le brandine della Caritas: «Lì ci sono le bande, ci rubano i vestiti, scoppiano le liti, qui invece è tranquillo e più sicuro».
Non sempre: tre settimane fa i carabinieri hanno arrestato Iulian Frunza, un romeno di 35 anni, che alle 2,30 della notte aveva trascinato a bordo una ragazza di 19 anni per tentare di violentarla. Ma la norma, qui, è la drammaticità dei casi umani, più che la ferocia.
L’ULTIMO ARRIVATO
Giovanni Civi Lino è tra gli ultimi arrivati, ha 30 anni, sale ogni sera a Tortona, il cappuccio in testa, nel contenitore di stagnola il tiramisù che gli ha dato un’amica che lavora in un ristorante: «Ho lavorato per 10 anni alla Ruberto Scavi», ditta poi travolta da guai giudiziari. «Ho il patentino da escavatorista, so usare il muletto: ho solo bisogno che qualcuno mi assuma». Accetta di lasciarci il cognome perché spera che possa servirgli per essere contattato: «Ma non ho il cellulare, me l’hanno rubato». E’ sparito, in una notte di queste, anche l’I-phone di Mustapha El Hassani, 37 anni e 4 bimbi da mantenere in Marocco: «Guardi, le mostro la mia carta di identità, ci sono le prove che sono una persona per bene, aiutatemi: per 13 anni ho lavorato a Milano, facevo l’operaio». I documenti dicono che risulta ancora residente in una bella via del centro storico: «Guadagnavo 1200 euro al mese, e riuscivo a pagare l’affitto del mio alloggio, 500 euro, ma così non posso più».
Aziz Uly invece, 38 anni, avrebbe anche i parenti ad Alessandria, ma preferisce il treno: «Non voglio e non posso pesare su di loro: è un anno che dormo qui, per 14 anni ho fatto il metalmeccanico in una fonderia di Brescia che poi ha chiuso». Parla bene l’italiano. E quando al mattino ritorna a Milano «vado in biblioteca a spedire il curriculum via e-mail».
LA DIGNITÀ
Con lui spesso c’è Salvatore, quello che gli offre le brioches: «In genere di giorno andiamo al McDonald’s, pranziamo all’associazione Pane Quotidiano, poi ci ripariamo dal freddo al passante suburbano di Treviglio, o in biblioteca». Arriva da Siracusa, e per anni ha lavorato in una cementeria, ma un giorno non gli hanno rinnovato il contratto. È il più elegante dello scompartimento, maglioncino di marca e borsone scozzese con dentro il beauty: «Non so dove andare a dormire, ma sono pulito e ho dignità». Per questo l’esperienza dell’elemosina non ha funzionato: «Ho provato, ma ho resistito un mese: tiravo su 20 euro al giorno, ma dovevo fare il muso e gli occhi tristi, era umiliante», lo racconta con una solarità così spontanea che è facile credergli.
Nel vagone dopo c’è Mauro Moio, 55 anni, si toglie le scarpe, allunga le gambe, la giacca a vento rimane addosso, al posto del cuscino c’è l’appoggia-testa del regionale, la federa è la tendina blu del finestrino. «Sono qui da 2 mesi, da quando mi hanno detto di questo treno, è silenzioso, riesco a riposare e non ho paura». Ha sempre fatto il cameriere: «Per tutta la vita, a Como, e spero di poter tornare al lavoro a marzo, con i matrimoni. Spero cioè che questa sia una parentesi». Una fermata. Prima del fischio del capotreno, quando il sole comincia a (ri)sorgere e su quel convoglio, affianco ai pendolari della disperazione, salgono anche gli altri passeggeri.
miriam massone
alessandria
Pubblicato il 13/02/2017

I Rotschild: 8 volte più ricchi degli 8 più ricchi

questa disparità sicuramente invoca un cambiamento, basta chiedere gentilmente e cortesemente ai ricchi, banchieri in primis di smettere di arricchirsi alle spalle dei popoli e redistribuire equamente, chiedendo per piacere vuoi che non collaborino generosamente?


Per un  giorno, i media hanno parlato della ricerca di  Oxfam International   da  cui risulta che la ricchezza degli 8 principali miliardari supera quella della metà povera della popolazione mondiale, 3,6 miliardi.  Gli otto sono

Bill Gates   con  75 $  miliardi
Amancio Ortega – $ 67 mdi
Warren Buffett – 60,8 $ mdi
Carlos Slim Helu – 50 $ mdi
Jeff Bezos – 45,2 $ mdi
Mark Zuckerberg – 44,6 $ mdi
Larry Ellison – 43,6 $ mdi
Michael Bloomberg – 40 $ mdi
Addizionate insieme, le loro ricchezze valgono  426, 2 miliardi di dollari.
Questa disparità   estrema, ha concluso  Oxfam, “invoca un cambiamento fondamentale nel modo in cui gestiamo le nostre economie,  perché funzionino per tutti, non solo per alcuni”.
Nel novero dei primi otto non appare il nome Rotschild. Per varie ragioni:  qui non abbiamo a che fare con  persone fisiche, ma con una dinastia,  i  cui membri presiedono  a fiduciarie private a capitale fisso – niente società per azioni (scalabili),  ma   solo aziende familiari, accuratamente sottratte  ai mercati finanziari goym, e partecipazioni  incrociate.
Insomma  è ancora la struttura  instaurata dal capostipite  del 18mo secolo, Mayer Amschel Rotschild.  Basato in Germania,  l’avo   sparse i suoi cinque figli nelle diverse capitali  europee, ciascuno muniti di capitale e conoscenze per  aprirvi  una banca d’affari: Parigi e Francoforte, Londra, Vienna e Napoli (era  allora uno degli stati dalle finanze più  prospere).  E’  stata dunque  la prima multinazionale del credito,   che profittò delle guerre europee scatenate dalla  Rivoluzione  giacobina  e da Napoleone.  Prestando agli stati  che la guerra indebitava (tipicamente,  all’impero austro-ungarico,  a quello britannico), da cui accettava titoli e buoni del Tesoro, e cogliendo  tutte le buone occasioni per prendere il controllo finanziario delle più diverse industrie,  a  corto di liquidità.
Il figlio che ebbe maggior successo fu  quello che si stabilì a Londra  Nathan Meyer  Rotschild:  sposò  Hanna Barent Cohen da  cui ebbe 7 figli e   una cospicua dote finanziaria;  nel 1811, durante le guerre napoleoniche, finanziò  di fatto lo sforzo bellico britannico quasi da solo  – senza trascurare di finanziare in segreto anche il Bonaparte.   Il 18 luglio 1815  fu  un corriere della  Rothschild & Sons  che informò il governo britannico che a  Waterloo le cose si mettevano male per Napoleone; il governo non ci credette, e allora Nathan  stette al gioco:  si  mise a svendere titoli del debito inglese, come se sapesse che presto sarebbero stati carta straccia.
Gli altri ricchi inglesi, nel panico, lo imitarono; la Borsa collassò. Mani forti anonime  (agenti dei Rotschild) avevano già fatto  incetta di titoli a prezzi da liquidazione fallimentare;  quando arrivò la notizia che a Waterloo Napoleone  aveva perso, Nathan era il padrone della London Stock Exchange.
Ancora nel 2015  il Regno Unito sta restituendo a rate i capitali presi  a prestito dai Rotschild.
Oggi,  le ricchezze  della dinastia restano inimmaginabili; essa riesce in gran parte a dissimularle con il metodo delle  ditte   non quotate, dove non si pubblicano bilanci, dove lavorano e sono impiegati direttamente i membri della famiglia, matrimoni fra consanguinei,  eredi che continuano a collaborare strettamente; da due secoli, non è mai apparso alla luce un litigio fra i parenti, che abbia prodotto un  frazionamento di ricchezze, capitali e imprese.  Non  a caso il motto della famiglia, sotto lo scudo rosso, è (in latino) “Concordia, Integritas, Industria”.
Oltre alle finanziarie N.M. Rotschild &  Son di Londra e la Edmond de Rotschild Group  in Svizzera,  la dinastia ha incalcolabili partecipazioni in istituti di credito,  nel settore immobiliare,  minerario ed energetico.  I vigneti che l’uno o l’altro membro hanno in Francia, in Sudafrica, in California, Sudafrica ed Australia, sono   attività da tempo libero.    Le partecipazioni che contano, in “investimenti globali”, non sono affatto visibili. E’ dubbio se i Rotschild siano oggi quello che fu la ditta di Nathan, che divenne praticamente il banchiere centrale   d’Europa,   coprendo debiti pubblici,  salvando banche nazionali,  finanziando infrastrutture  pubbliche durante la rivoluzione industriale.
Sicché non si può valutare se dice il vero il sito Investopedia, che   ha provato a fare una valutazione approssimativa  e decreta (senza specificare i cespiti e le attività)  che la ricchezza  che  la dinastia controlla oggi ammonta a 2  trilioni di dollari:  2 mila miliardi.  Se fosse vero, vuol dire che i Rothschild  sono otto volte più  ricchi degli otto più ricchi miliardari.
I milionari annusano il collasso, e scappano  (dalla società che hanno creato)
Non certo i Rotschild, ma i “mezzi milionari”, i gestori di hedge funds,   i fondatori di startups di successo,  i ricchi in  milioni (ma non miliardi), stanno comprando bunker di lusso  in  rifugi   anti-atomici  riciclati in condomini costosissimi, assoldando squadre di guardie armate,   investendo in campi d’aviazione  in Nuova Zelanda: almeno secondo un articolo del New Yorker  che sta facendo   rumore  fra quelli che contano.  Perché i nuovi ricchi   temono una rivolta sociale:  “Le  tensioni prodotte dall’acuta disparità di reddito  stanno diventando così’ forti, che alcuni dei più  agiati del mondo stanno prendendo misure per proteggersi”-
new-zealand-airstrip
In vendita in Nuova Zelanda: pista d’atterraggio.
Una volta, i “preppers”, quelli che si preparano a lottare e sopravvivere in un collasso sociale totale accumulando proiettili e scatolame  in qualche deserto americano, erano la “frangia lunatica”  fatta  per lo più da reduci di guerra tornati disturbati dall’Irak, o complottasti paranoici; gente senza tanti mezzi comunque.  Adesso sono le menti  brillanti di SIlicon Valley  a prepararsi  all’Armageddon, sia quello naturale (terremoto della faglia di Sant?Andrea)  sia il collasso sociale e politico della società.
Antonio García Martínez,   40 anni, ha   ammesso di aver acquistato “due ettari di bosco in un’isola del Nord  Pacifico e d’averla attrezzata con generatori, pannelli solari, casse di munizioni”. Il fondatore di PayPal , Peter Thiel, ha non solo comprati terreni in Nuova Zelanda, ma fondato là una ditta  che aiuta i suoi pari (pari-reddito) a cercare là ridenti rifugi. Nei fatti,   nei primi 10 mesi  del 2016, mani straniere  hanno acquistato 3500 chilometri quadrati in  Nuova Zelanda. Il posto così lontano è oggetto  dei loro appetiti, anche  perché  ritenuto sicuro   se scoppia una epidemia globale…
Reid Hoffman, creatore di LinkedIn, ha raccontato al giornalista dell New Yorker: “Dire che  hai comprato una casa in Nuova Zelanda è  come un ammicco  fra noi.  Si fa’ la stretta di   mano massonica e ci si scambiano notizie del tipo: niamo, “Sai, conosco un mediatore che vende vecchi silos per missili ICBM,  a prova di atomica…”.  O si discute su temi come: “Bisogna comprarsi un aereo privato. Bisogna  prendersi cura anche della famiglia del  pilota. Devono essere sull’aereo”.
E’   istruttivo vedere  come abbiano  paura della società  che  loro stessi hanno creato,  e  ne vogliano fuggire. Come pensano di salvare se stessi per via individuale, accumulando munizioni   generatori solari,   trincerandosi coi propri pari in condomini fortificato:   uno spasimo terminale di individualismo americano    e di spirito del West,  con i carri in circolo contro gli  indiani.
Se avessimo avuto una più equa distribuzione del reddito, messo più fondi e energia nelle scuole pubbliche, nei parchi, nelle arti o  e nella sanità pubblica,   avremmo tolto molta della rabbia che si sente nella società.  Le  abbiamo tutte smantellate, queste cose”, ammette Rob Johnson , che ha fondato un Institute  for  New Economic Thinking (istituto per  un nuovo pensiero economico),  dove  cerca di  riproporre  le strane idee  della società come un sistema di corresponsabilità  a questi  ricchi spaventati.  Ma lamenta la mancanza di “spirito di responsabilità  verso il  prossimo”  e l’apertura  alla possibilità, fra   i ricchi, di una più decisiva politica fiscale di redistribuzione.