PREFETTURA INONDATA DI LETAME: I FRANCESI NON SONO PECORE. ECCO COME GLI AGRICOLTORI PROTESTANO CONTRO LE FOLLI IMPOSIZIONI DELL’EUROPA

ma che cattivoni questi francesi, come possono ribellarsi a quel sant’uomo di Hollande, un politically correct europeista esemplare quindi da venerare??

lla chiamata dei FDSEAs e General Union des Vignerons 4.000 persone hanno manifestato Mercoledì scorso nella città-prefettura della Marna. Denunciano norme giuridiche eccessivamente restrittive. Di conseguenza, la chiusura delle scuole e vari edifici pubblici.

IL GIORNALISMO MADE IN CIA, IERI E OGGI

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Agli inizi di ottobre, il libro Journalistes achetés (Giornalisti comprati, ndt) di Udo Ulfkotte, anziano giornalista della Frankfurter Allgemeine Zeitung (la prestigiosa FAZ di Francoforte), si è subito presentato come un best-seller. Inoltre, la stampa tedesca ha mantenuto riserbo sull’aspetto fondamentale, anzi un mutismo significativo nei confronti di questo libro. Il successo di Ulfkotte come autore è tanto più evidente, se non molto significativo del divorzio confermato ogni giorno tra la popolazione e l‘opinione pubblica da una parte, le élite-Sistemi e la stampa-Sistema dall’altra.
 
Il 3 ottobre 2014, il sito Russia Insider (RI) dedicava un primo articolo a Ulfkotte ed al suo libro. Si evidenziava in particolare non tanto la tesi dell’autore, ma la sua constatazione derivata da un’esperienza sia professionale che personale. “I membri dei media tedeschi sono pagati dalla CIA in cambio di rigirare le notizie in modo da sostenere gli interessi americani, e alcuni organi di stampa tedeschi sono semplicemente delle appendici di Public Relations della NATO, secondo un nuovo libro di Udo Ulfkotte, ex redattore del Frankfurter Allgemeine Zeitung, uno dei giornali tedeschi più grandi. Ulfkotte è un importante giornalista mainstream. Eccolo in un talk show politico di punta in Germania un paio di anni fa. In Germania il libro è un caso, è [settimo] nella lista dei bestseller. La sua esplosione politica, segue a ruota l’indignazione tedesca nei confronti delle intercettazioni telefoniche dell’NSA. [ …]
 
“Qui a Russia Insider, ci è chiaro da molto che c’è qualcosa di decisamente strano nel modo in cui i media tedeschi si pongono nei confronti della Russia. Lo seguiamo, ed è perfino molto più stridente dei media anglosassoni riguardo alla Russia, mentre l’opinione pubblica tedesca è molto più favorevole verso la Russia rispetto agli altri paesi. Un altro aspetto interessante è che [questo atteggiamento] è molto diversificato. Alcune voci importanti sono molto ragionevoli nei confronti della Russia, ma la maggior parte sono negative, e alcune sono comicamente apocalittiche. Questo è ciò che ci si aspetterebbe se ci fosse un condizionamento finanziario che aziona il sistema.”
 
Il 17 ottobre 2014, RI portava avanti e approfondiva la faccenda, pubblicando un’intervista molto approfondita a Ulfkotte. In particolare, si leggeva in alcune precisazioni selezionate dell’intervista (che inoltre, nell’articolo di RI, è presentata integralmente)… “Nella sua ultima intervista, Ulfkotte afferma che alcuni media sono semplicemente strumenti di propaganda di partiti politici, servizi segreti, think tank internazionali ed organizzazioni di alta finanza. Pentendosi per la collaborazione con varie agenzie e organizzazioni per manipolare le news, si rammarica Ulfkotte. “Mi sono vergognato di essere stato parte di esso. Purtroppo non posso tornare indietro.” Alcuni punti significativi dall’intervista:
 
“Mi sono ritrovato a pubblicare sotto il mio nome articoli scritti da agenti della CIA e di altri servizi di intelligence, specialmente il servizio segreto tedesco.” […] “La maggior parte dei giornalisti dalle grandi e rispettate organizzazioni dei media sono strettamente connessi al German Marshall Fund, l’ Atlantik-Brücke o altre organizzazioni cosiddette transatlantiche… una volta che sei in contatto, fai amicizia con gli americani prescelti. Pensi che siano tuoi amici e cominci a collaborare. Loro lavorano sul tuo ego, ti fanno sentire come se fossi importante. E un giorno uno di loro ti chiederà ‘Mi fai questo favore’… […] “Quando ho detto al Frankfurter Allgmeine che avrei pubblicato il libro, i loro avvocati mi hanno inviato una lettera minacciandomi di tutte le conseguenze legali se avessi pubblicato qualche nome o segreto – ma non importa” […][Il FAZ] non mi ha citato in giudizio. Sanno che ho le prove di ogni cosa.” […] “ A nessun giornalista tedesco di tv generalista è consentito parlare del [mio] libro. Altrimenti lui o lei sarà licenziato. Così adesso c’è un bestseller di cui nessun giornalista può scrivere o parlare.”
 
Il 18 ottobre 2014, Russia Today (RT) riprendeva la faccenda e ne dava il suo resoconto, a partire dall’intervista di RI e dopo una prima intervista (di RT) a Ulkfotte. Riportiamo qui un passaggio molto specifico, che è simbolico dell’interesse analitico che rivolgiamo a questo caso… “Mi sono ritrovato a pubblicare articoli sotto il mio nome scritti da agenti della CIA e di altri servizi di intelligence, specialmente del servizio segreto tedesco,” ha detto Ulkfotte a Russia Insider. Ha fatto dichiarazioni simili a RT in un’intervista esclusiva all’inizio di ottobre. “Un giorno la BND [agenzia di intelligence tedesca per l’estero] è venuta nel mio ufficio al Frankfurter Allgemeine di Francoforte. Volevano farmi scrivere un articolo riguardante la Libia e il colonnello Muammar Gheddafi…Mi hanno dato tutte queste informazioni segrete e volevano solo che firmassi l’articolo con il mio nome,” ha detto Ulfkotte a RT. “Quell’articolo trattava di come Gheddafi tentava di costruire segretamente una fabbrica di gas tossici. Era una storia che due giorni dopo fu pubblicata in tutto il mondo.”(1)
 
Precisamente due passaggi sono da citare nuovamente, per orientare e sviluppare il commento… Quello nel quale viene detto che la penetrazione nei mass media tedeschi è tale che il risultato ottenuto è spesso bizzarro, quasi comico, con le sue forzature (il che si avverte chiaramente nel modo in cui è coperta la crisi ucraina: un modo totalmente disordinato, caotico per quanto antirusso, rocambolesco e quasi comico).
 
Un altro aspetto interessante è che esso è molto diversificato. Alcune voci importanti sono molto ragionevoli nei confronti della Russia, ma la maggior parte sono negative, ed alcune sono comicamente apocalittiche.” Il secondo passaggio concerne le circostanze precise, estremamente dettagliate per un articolo mirato (quello in cui gli viene detto che Gheddafi fa costruire uno stabilimento per la produzione di gas letale), portando ad una notizia inventata di sana pianta che fu largamente ripresa nel mondo intero:
 
“Un giorno la BND [agenzia di intelligence tedesca per l’estero] è venuta nel mio ufficio al Frankfurter Allgemeine a Francoforte. Volevano farmi scrivere un articolo riguardante la Libia e il colonnello Muammar Gheddafi…Mi hanno dato tutte queste informazioni segrete e volevano solo farmi firmare l’articolo con il mio nome,” ha detto Ulfkotte a RT. “Quell’articolo trattava di come Gheddafi tentava di costruire segretamente una fabbrica di gas tossici. Era una storia che due giorni dopo fu pubblicata in tutto il mondo.”
Questi diversi dettagli dati da Ulkfotte hanno ispirato al nostro venerabile anziano Philippe Grasset qualche riflessione sul modo in cui oggi viene fatta la penetrazione dei mezzi giornalistici europei da parte della CIA, o piuttosto dal sistema dell’americanismo, rispetto al modo [usato] ai tempi della Guerra Fredda. Questo paragone è estremamente illuminante, ci dà indicazioni precise sull’evoluzione dei metodi americanisti, sulla loro efficacia, su ciò che questa evoluzione ci dice dell’evoluzione della politica americana stessa, di conseguenza della sua trasmutazione in politica-Sistema. Quindi il resto di questo commento è scritto in prima persona, PhG (Philippe Grasset, ndt) che figura come testimone principale.
 
PhG e la CIA negli anni 1970-1990…
A questo punto prendo la penna, in quanto giornalista già pesantemente coinvolto con il mio lavoro riguardante i temi della politica estera e della sicurezza nazionale, a partire dal 1973-1974 a Bruxelles, che già era e che resta, con Washington, per quel che diventerebbe il blocco BAO, uno dei centri d’informazione per queste tematiche con la presenza della NATO e dell’UE. Prima (essendo giornalista in Belgio, a Liegi dal 1967), ero raramente “uscito” verso Bruxelles, per stabilire una rete di contatti e seguire l’informazione sul posto, relegato ad un lavoro di redazione su telegrammi di notizie in arrivo dall’estero, – ma già, fin dall’origine, su questi stessi argomenti di politica estera e di sicurezza nazionale. A partire dal 1976-1977 (“seconda Guerra fredda”) e fino al 1989-1991 (caduta dell’URSS/del comunismo) l’attività di politica estera e di sicurezza nazionale essenzialmente sulla questione delle relazioni con l’URSS, e dunque l’attività di comunicazione a riguardo, fu particolarmente intensa, spesso polemica, estremamente “calda” in una parola.
 
Parlerò soprattutto del Belgio, ma in un luogo (Bruxelles) dove i giornalisti internazionali, soprattutto europei, si trovavano spesso già presenti in gran numero, e dunque consapevoli che i metodi di penetrazione e di manipolazione dell’americanismo in Belgio su questi argomenti dovevano ritrovarsi abbastanza simili a quelli utilizzati nei paesi della NATO particolarmente vicini (Olanda, Lussemburgo, Italia, Germania, Francia, ecc., mettendo da parte il Regno Unito per delle ragioni evidenti, – per non mescolare una succursale a cielo aperto con delle aziende apparentemente indipendenti…) (Secondo quello che ho potuto saperne da fonte molto sicura, il contingente degli agenti segreti, degli agenti per l’elaborazione e dei corrispondenti dipendenti dalla CIA a Bruxelles, raggiunse fino a 800 persone al massimo del loro potenziale in questo periodo di tensione, cioè il doppio del personale del SGR e della Sûreté de l’État sommati, i due servizi segreto e di controspionaggio del Belgio). Rivelerò i metodi americani precisando che non solo ne fui il testimone diretto, ma a più riprese il bersaglio diretto, – incosciente e regolarmente mancato, – specialmente come principale giornalista specializzato nelle questioni di politica estera/di sicurezza nazionale del secondo quotidiano francofono del Belgio (dal 1967 al 1985 a La Meuse-La Lanterne, 197 000 copie nel 1970-1972), collaboratore del settimanale L’Evénement dal 1980 al 1984, editore delle Lettres d’Analyse Definter (1978-1980) ededefensa & eurostratégie (1985-2012).
 
Quello che qui mi interessa è di confrontare questi metodi a quelli di oggi come li riporta Ulfkotte. Mi asterrò dal dare  dettagli sui luoghi e sulle persone e altre precisazioni operative che ci porterebbero troppo lontano. (L’azienda mi ha messo in guardia a questo proposito, sarebbe logico e dovrebbe esserci l’intenzione di metterlo online prossimamente, un passaggio delle Memoires du dehors riguardante questo periodo e queste situazioni. [Riguardo le Mémoires du dehors, sono già stati messi online due testi il 5 novembre 2005 e il 6 novembre 2006.])
 
Nel periodo considerato, l’“approccio” dei giornalisti verso i “servizi americani” si faceva in modo molto classico e molto soft, con dei mezzi iniziali come quelli che descrive Ulfkotte (viaggi, seminari, riunioni, ecc.), ma in un modo molto più civile e scaltro. Infatti, all’inizio, si trattava di un puro lavoro, normale e corrente, di relazioni pubbliche e di relazioni con la stampa professionale, dove intervenivano essenzialmente se non esclusivamente i servizi USA adatti, dipendenti dal dipartimento di Stato, essenzialmente USIS (US Information Service), o dipendenti dal dipartimento della difesa (servizi d’informazione delle forze armate). La presenza della CIA o di altri servizi di informazione, malgrado l’enormità dei loro effettivi, era proibita, perfino nascosta, e restava assolutamente clandestina. Esisteva a tal proposito una rigorosa sorveglianza e una gelosia burocratica estremamente dura dei servizi implicati, e l’USIS non amava molto cooperare con la CIA. L’unica volta in cui ho incontrato un ufficiale della CIA sotto la sua copertura di “addetto culturale” (ho saputo solo dopo l’incontro che l’ “addetto culturale” era la copertura del capo della sede CIA)  è stato per intermediazione del capo dell’USIS a Bruxelles, Jim Hogan, al momento di un pranzo organizzato da Hogan alla richiesta dell’ “addetto culturale”, in presenza e sotto controllo di Hogan, e non vi fu nessuna soffiata né nessun tentativo effettuato dalla CIA nei miei riguardi. Infatti, la Cia lavorava in modo molto isolato nelle ambasciate, e le sedi locali erano esse stesse le più spesso ignorate dal centro di Langley. Ho avuto di frequente echi precisi da parte di fonti ufficiali non americane della frustrazione degli ufficiali della CIA in carica a Bruxelles, davanti al disinteresse che la centrale di Langley aveva verso le loro attività. (In maniera molto sintomatica dello spirito dell’americanismo, la stessa tensione esisteva tra il Pentagono e il comandante supremo della NATO [un generale americano], il SAUCER, “esiliato” in Europa, su terre lontane, ostili e sconosciute…). Infine e per riassumere, la CIA lavorava sulle proprie informazioni senza molta cooperazione dell’USIS e largamente ostracizzata nell’ambasciata.
 
Le operazioni per tentare di reclutare erano dunque estremamente discrete e in una forma molto passiva, e ho potuto sviluppare durante gli anni, in quanto giornalista, nelle diverse manifestazioni classiche delle relazioni pubbliche americane con la stampa senza avere il minimo segno che somigliasse a una pressione o un’offerta qualunque. Sembra piuttosto che il metodo americano a questo proposito, in quest’epoca in Europa, fosse fondato su una metodologia di una sufficienza straordinaria: i giornalisti non americani sarebbero stati necessariamente impressionati, affascinati e conquistati da queste manifestazioni di comunicazione americana, e avrebbero chiesto essi stessi di “lavorare” con e per gli USA, sotto una forma o l’altra di collaborazione, – momento a partire dal quale potevano essere considerati ma non necessariamente aspetti di remunerazione o altri, sotto forma di “privilegi” diversi … Tuttavia, questo atteggiamento era limitato nel tempo: se il giornalista rimaneva quello che era in origine, se non chiedeva di collaborare in un modo o nell’altro, se non effettuava un’evoluzione editoriale soddisfacente e se si evolveva al contrario in un modo indipendente, eventualmente mostrandosi critico (più critico) degli USA, diventava sospetto e la rottura diventava inevitabile. Così, nel marzo 1985, in un’epoca cruciale per me (lasciavo il mio incarico nel quotidiano La Meuse-La Lanterne e mi preparavo a lanciare dd&e) il mio avvocato, Arostein, mi dichiarò: “Ho chiesto a dei miei contatti nella Sicurezza [dello Stato] se avevano un dossier su di lei. Mi hanno detto quello che gli americani pensavano di lei. Per la CIA, lei è un agente del KGB. Per il Dipartimento di Stato, lei è un ingenuo”. ( “Agente del KGB” poiché non ero diventato agente della CIA, “ingenuo” poiché non avevo chiesto questo o quel vantaggio, questa o quella strada di collaborazione – insomma, “agente del KGB” e “ingenuo” perché sembravo decisamente non aver capito il vantaggio incomparabile di collaborare in modo volontario con gli USA.)
 
In questa logica di “reclutamento d’influenza” che era infatti un approccio molto soft e abbastanza scaltro, ma anche con questa sufficienza che conduce a volte se non spesso a delle grosse delusioni, un approccio basato in fondo sui principi della libera impresa e dell’eccezionalismo americanista, – la “legge del mercato” vi porterà un giorno o l’altro a orientarvi verso il migliore, ossia gli USA, – l’idea che potessero suggerire se non incalzare un giornalista stesso accondiscendente a pubblicare un articolo redatto da questo o quel servizio americano (la CIA o USIS) sotto la sua propria firma era insensata. C’erano perfino alcune reticenze dalla parte americana (USIS, certo) a quello che si modificava dalla loro forma originale, – con le migliori intenzioni, semplicemente per l’informazione contenuta, – degli articoli contenuti nelle pubblicazioni ufficiali, di un autore accademico, di un esperto, ecc. Quello che ci si aspettava, era davvero che il giornalista passato “sotto influenza” si tramutasse lui stesso in portavoce dell’americanismo, e producesse, con il suo talento, con il suo stile, con le sue informazioni, dei testi che andassero in questo senso, – in breve che agisse in tutta libertà, come La Boétie descriveva nel Discorso sulla servitù volontaria.
 
Questo è il motivo per cui i metodi attuali, come li presenta Ulfkotte, mi sembrano sbalorditivi per grossolanità, impudenza maldestra, infine estremamente controproducenti. Mi sembra insensato immaginare, nel 1978 o nel 1982, un uomo dell’USIS, o perfino della CIA se e quando il contatto era stabilito, facesse scivolare ad un giornalista cosiddetto “reclutato” un testo redatto dai suoi servizi e dicendogli “metta la sua firma qui e pubblicate!”. La sola virtù che sopravvive intatta allora nel mio giudizio sulle attività americane una volta che fu completamente affermato il mio anti-americanismo, era il loro brio nelle relazioni pubbliche, per non far sentire una costrizione troppo grande sulle persone bersagliate; e un brio che era anche decorato da un certo riferimento alla professionalità e all’indipendenza della stampa americana (allora ci si poteva ancora credere), che tornava a dirvi effettivamente che è in tutta indipendenza che voi verreste a collaborare con gli USA (La Boétie, sempre) … Quando avvicino lo spirito del “mercato libero”, l’assenza di “interventismo”, lo “statalismo”, credo di non essere troppo lontano dalla verità. Il limite è che deve portare a un momento o ad un altro, sennò, se voi non vi decidete, se il punto del non ritorno è superato senza che nulla sia passato, se infine voi non comprendete il diktat del “mercato libero” (o del Sistema), la maschera cade brutalmente e voi ecco diventate “un cattivo”, un “bad guy” (cattivo ragazzo, ndr), un agente del KGB, un ritardato… (Effettivamente, a partire dal 1985, che corrisponde alla mia partenza dal quotidiano in cui lavoravo, non ricevetti più inviti dall’ambasciata americana, come era consuetudine per la stampa.)
 
La descrizione che dà Ulfkotte dei metodi usati oggi dagli USA per reclutare e manipolare giornalisti professionisti della grande stampa in Europa è completamente surreale in rapporto a quel che ho conosciuto; è anche completamente stupido e assurdo, visto che questa “grande stampa” si è evoluta dalla sua parte in stampa-Sistema e si trova essa stessa continuamente sulla via della conformità… Ma non c’è nessuna ragione di dubitare della  sua descrizione, e questo permette allora di misurare il cammino di decadenza, se non di caduta, percorso dall’apparato di influenza e di sicurezza nazionale dell’americanismo. L’orientamento preso, in effetti caratteristico dello sviluppo della politica-Sistema, degli eccessi in tutti gli aspetti di questa politica, della sua “brutalizzazione” a oltranza, dall’immersione nella percezione del mondo delle narrative inverosimili. La Cia (o il BND, o non importa chi) opera a viso scoperto, senza preoccupazione né di apparenza opportuna, né di formalismo professionale, né di veridicità delle informazioni, esercitando pressioni persino su coloro che gli sono affiliati, che sono già nel corso della stampa-Sistema. L’informazione “sotto influenza” (sotto influenza della CIA o sotto influenza del BND, – o sotto influenza del Sistema, per mettere tutti d’accordo) diventa caotica come la descrive Ulfkotte (“Alcune voci importanti sono molto ragionevoli nei confronti della Russia, ma la maggior parte sono negative, ed alcune sono comicamente apocalittiche”), e il risultato è una comunicazione sempre più estrema, sempre più disordinata, sempre più inverosimile, ossia in fin dei conti sempre più fragile, sempre meno sostanziata, fluttuante in una sorta di etere in cui ogni cosa sembra isolata dalle sue cause e dalle sue conseguenze, ed in cui il suo credito, la sua veridicità, non resisterebbero un secondo ad una semplice messa a fuoco.
 
Questo fenomeno dell’informazione sotto l’influenza grossolana, sotto la manipolazione brutale, trasmette la sua vulnerabilità e la sua fragilità a coloro che fanno affidamento su esso per rinforzare le loro azioni, il che conduce invece a rendere più fragile questa azione. Il paesaggio di oggi, al contrario di quello di ieri che era controllato razionalmente e abbastanza abilmente, è la trasposizione nel mondo dell’influenza dell’estremo disordine che caratterizza la verità del nostro mondo. Gli effetti vanno dalle notizie “comicamente apocalittiche” sulla Russia al passaggio all’antiSistema dei “giornalisti investigativi” come Ulfkotte. L’esagerazione è sempre piena di autodistruzione.
 
 
 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANNA GRASSO

UE: JUNCKER, RE dei PARADISI FISCALI

 A Bruxelles rubano ai poveri per aiutare gli straricchi
 
Coriolanis Il neo eletto presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker ha una doppia faccia: spietato con i cittadini, fino all’estorsione dell’ultimo soldo di rame per le tasse. ed allegro furfante quando esonerava mutinazionali e banche, con accordi sottobanco. O si accontentava che pagassero solo l’1% al fisco. Juncker a doppia faccia, quindi, quando per 18 anni è stato il boss del Grancasinò del Lussemburgo, e poi da capo non-eletto dagli elettori a Bruxelles.
Juncker ha tenuto le redini del Grancasinò per 18 anni: premier fra il 1995 e il 2013, ministro delle finanze dal 1989 al 2009, presidente dell’Eurogruppo dal 2005 al 2013.
 
Il Consorzio di giornalismo investigativo (Icij), con il contributo di oltre 80 giornalisti di una trentina di media ha messo nero su bianco il perverso sistema. Nei dossier di quella che e’ solo la punta dell’iceberg rivelato dallo Icij, ci sono multinazionali come Amazon, Ikea, Apple, Heinz, Pepsi, Aig, Gazprom, Vodafone, Verizon, Deutsche Bank, CITCO.
 
Nella lista cui il “benefattore” lussemburghese ha applicato solo l’1% di tasse si trova anche Abu Dhabi Investment Authority (AIDA), Fondo Sovrano Investimenti di Abu Dabi. ” diretto dall’attuale presidente in carica dell’Emirato: Khalifa bin Zayed bin Sultán al-Nahyan.
 
Juncker ha la faccia di bronzo, ma oggigiorno questa è  una qualità nei bassifondi politico-finanziari di Bruxelles. Davanti al Parlamento europeo, prima di ottenere la fiducia a luglio, ha cinicamente parlato di  lotta all’evasione e alla frode fiscale.
In tutta Europa i governi sono costretti a tagliare i bilanci, ridurre le pensioni, eliminare servizi pubblici e alzare le tasse, mentre centinaia di multinazionali e banche pagano aliquote irrisorie di guadagni miliardari. Grazie a tipi come Junckers, premiato con lo scettro più luccicante dell’UE.
 
Il Lussemburgo è al 100% paradiso fiscale, un equivalente “civilizzato” delle isole Caiman. Ha più sedi fiscali (senza un solo impiegato!) che abitanti e animali domestici. Sta strappando il primato al Regno Unito che nelle Isole del Canale offre ai poveri miliardari comodi paradisi, però con un confort competitivo: incastonati nel cuore della generosa Europa. Apprezzati molto -tra gli altri-dagli oligarchi russi come Abramovich e Berezosky, e quelli che fuggono il satrapo Putin o pretenziosi “populismi” di varia indole.
 
Indicativo e programmatico, è che per dirigere l’UE abbiano scelto un personaggio del genere, proveniente da una contrada opaca, dove scaltri micromonarchi ciurlano nel manico un intero continente. Vera lavanderia e centro di reciclaggio dove si premia  il parassitismo globalista e il nomadismo finanziario. Danno asili fiscale a tutti quelli che sono restii a pagare “qualcosa” laddove estraggono la ricchezza. L’arroganza di Juncker, il dogmatismo e una superbia ingiustificabile per un vassallo- direi “genetico”- oltre alla sua chilometrica coda di paglia, sono un buon viatico per il deragliamento finale della UE.
 
A Bruxelles sanno solo rubare ai poveri per aiutare i ricchi.

Incidente nucleare in Repubblica Ceca, scatta l’allarme in Europa Centrale

Spenti i reattori 3 e 4 dell’impianto di Dukovany, per la perdita di liquido refrigerante destinato al nocciolo. In funzione le unità 1 e 2 dell’impianto costruito nel 1987 – Allarme nucleare nel cuore dell’Europa.
 
Nelle scorse ore due dei quattro reattori della centrale di Dukovany, in Moravia meridionale (Repubblica Ceca), sono stati fermati a causa della perdita di liquido refrigerante destinato alle unità 3 e 4 della centrale ceca. Le autorità locali hanno subito rassicurato la popolazione affermando che nessun rischio per la popolazione è stato corso e che la chiusura dei due reattori è necessaria per le operazioni messa in sicurezza dell’impianto. Al momento non è chiaro per quanto tempo le due unità rimarranno chiuse, nel frattempo i reattori 1 e 2 continueranno a produrre energia elettrica per la regione. “I reattori 3 e 4 della centrale di Dukovany sono stati chiusi inaspettatamente al fine di riparare una delle tubature che trasporta il liquido refrigerante necessario a tenere sotto controllo la temperatura dei reattori – ha affermato all’agenzia di stampa ceca Czech News Agency Petr Spilka, portavoce dell’impianto –. è impossibile al momento prevedere quando i lavori di riparazione finiranno e quindi quando le due unità riprenderanno la normale attività di produzione
energetica”.
 
La Čez, ovvero la società energetica nazionale, ha fatto sapere attraverso un comunicato ufficiale che la chiusura di parte dell’impianto di Dukovany non causerà problemi di sorta per l’erogazione di energia elettrica alla popolazione della Moravia, questo perché la rete nazionale è in grado di ridirezionare l’elettricità da altre fonti di produzione energetica. La centrale, costruita tra il 1985 e il 1987 in cooperazione tra l’allora Cecoslovacchia e l’Unione Sovietica, copre il fabbisogno di energia elettrica di un quinto del paese e, sottolineano dalla Čez, questo è il primo incidente in circa trent’anni di attività.
 
“La situazione è sotto costante monitoraggio da parte dell’Autorità nazionale per la sicurezza nucleare (Sújb) – ha spiegato Dana Drábová, numero uno dell’Ente di sicurezza ceco –. Sarà impossibile far riprendere l’usuale operatività dell’impianto fino a quando l’intero sistema di produzione energetica non sarà perfettamente funzionante e messo a norma. Ma mi preme sottolineare che questa specifica situazione non crea o creerà alcun problema per la sicurezza dei nostri cittadini o per l’approvvigionamento energetico”.
 
 
Secondo quanto spiegato dai tecnici in servizio presso la struttura nucleare ceca, il sistema di raffreddamento ad acqua dei reattori 3 e 4 è di grande importanza per la funzionalità dell’impianto e contestualmente per la sua sicurezza, questo poiché garantisce il monitoraggio delle temperature di strumentazioni e parti coinvolte nella produzione energetica che, se senza moderazione termica, potrebbero surriscaldarsi e creare problemi alla sicurezza alla struttura e all’ambiente circostante. Per questo motivo il liquido di raffreddamento utilizzato per i due reattori attualmente spenti è stato dirottato verso quelli in funzione, al fine di garantire la massima sicurezza per la centrale.
 
“Le disposizioni in materia di sicurezza rendono impossibile ai reattori 3 e 4 di operare in queste condizioni e a pieno regime per un periodo superiore ai tre giorni – spiegano dalla centrale –. Poiché, data l’entità del guasto, non è possibile riparare la falla in 72 ore abbiamo deciso di disattivare completamente i due reattori e procedere così alle operazioni di riparazione necessarie alla ripresa delle attività”.
 
Il precedente
Secondo quanto spiegato dai vertici della centrale, inoltre, il malfunzionamento dell’impianto di raffreddamento è stato individuato lunedì scorso, durante i lavori di costruzione di due nuove torri di raffreddamento. I tecnici stanno valutando in queste ore se propri i lavori di ampliamento della centrale abbiano, in qualche modo, potuto contribuire al danneggiamento dell’impianto che produce, annualmente circa 15.68 Terawatt/ora (TWh) di energia elettrica.
 
Nonostante le autorità ceche siano intervenute subito e i due reattori siano, secondo le fonti ufficiali, sotto controllo perché spenti, l’incidente avvenuto nella Moravia meridionale riaccende le polemiche relative all’utilizzo dell’energia nucleare, polemiche relative soprattutto ai costi di operatività e alla sicurezza di queste strutture. Le conseguenze drammatiche del disastro di Fukushima, l’allora scarsa reattività del personale dell’impianto giapponese, i ritardi e le gravi conseguenze per la popolazione locale e l’ambiente diedero nuova linfa alle posizioni ambientaliste in tutto il pianeta, dando forza a quei paesi che hanno deciso – come la Germania –, di rinunciare a questa fonte di produzione di energia elettrica (è opportuno ricordare che gli impianti nucleari producono esclusivamente elettricità e che in molti casi questa produzione eccede, anche di molto, il fabbisogno dei singoli paesi) per altre considerate verdi o alternative al normale ciclo di produzione basato sul carbonio o sul nucleare.
 
 

Spagna: Google Tax, vietati i link gratuiti sui blog

è la vera essenza della democrazia, baby. Gioisci and smile!
(nazioni?!?! Ma se comanda la troika….) e poi diciamocelo, le tasse sono sexy (ah ma perché pensavate che fosse google a pagare?!?!?!?)
Scritto il 11/11/14
«Nazioni disperate fanno cose disperate». E il governo spagnolo, che «deve fare i conti con un debito asfissiante e con un’economia debole», lavora sodo per spremere qualche altra tassa. C’è chi crede che stavolta abbiano sfiorato il ridicolo ancora più dell’anno scorso, quando provarono a “tassare il sole”, scrive Eric Blair, citando la legge sulla proprietà intellettuale, appena approvata. Legge che imporrà una tassa sui siti web e sui blog che “pubblicheranno stralci e/o link a materiale protetto da copyright”. «Questo significa tassare direttamente Google, la cui piattaforma è interamente basata su collegamenti a contenuti esterni». Di fatto, la “Google Tax” iberica «servirà a tassare anche qualsiasi altro sito web che pubblichi un link per qualsiasi argomento già pubblicato dai media spagnoli». Secondo il “Guardian”, «nel tentativo di proteggere l’ industria della carta stampata», l’esecutivo di Madrid «ha appprovato con successo un nuovo diritto d’autore che impone tasse su chi aggrega contenuti online come fa, ad esempio, “Google News”». Chi aggira la legge dovrà pagare una multa fino a 600.000 euro all’Aede, l’associazione spagnola degli editori di quotidiani.
 
«La legge è l’ultimo attacco nella guerra tra i giornali europei e Google», continua il “Guardian”. «Gli editori accusano la società di ricerca di utilizzare il loro materiale, protetto da copyright, per fare informazione senza ricorrere a nessuno che si occupi di fare il giornalista che cerca e scrive articoli; Google si difende sostenendo che ogni mese sono 10 miliardi i lettori che dopo Google visitano i siti web dei giornali». Google si dice «delusa» per la nuova legge spagnola: «Crediamo che servizi come “Google News” servano a portare traffico ai siti degli editori». Ma, a parte la tassa prevista dalla legge, continua il quotidiano inglese, «la cosa più preoccupante è la richiesta che anche tutti i blog e i siti web “rimuovano i link con qualsiasi materiale che violi i diritti d’autore, anche se i siti stessi sono gratuiti e non ricavano denaro da questa violazione”. Possiamo chiamarla Googlecensura?». Il “Guardian”, scrive Blair in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, fa notare che la legge spagnola si applica anche a società terze che forniscono servizi per un sito web che ospita o che ha un link a materiale protetto da copyright.
 
«Se l’esperienza già fatta della Germania con questa “tassa-protezionista” dell’industria della stampa può essere un metro di paragone, è probabile che questa legge serva solo a far perdere altri posti di lavoro e, alla fine, si arriverà solo a minori entrate per la Spagna». Una legge simile approvata in Germania – continua Blair – ha visto Google rimuovere i link a tutti i giornali, come previsto dalla legge, per qualsiasi notizia riportata su “Google News”, prima che gli editori se ne rendessero conto e, alla fine chiedessero di essere messi di nuovo nella lista dopo aver visto crollare il loro traffico. «Questo tipo di applicazione del diritto d’autore sembra essere il metodo preferito dalle nazioni europee, il che rende molto più preoccupante le prospettive della proprietà intellettuale, una volta che sarà regolata dal Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (Ttip)». Gli Usa infatti adottano metodi drastici per la tutela del copyright, come dimostra il recente sequestro di siti web che avevano pubblicato link con materiali coperti da diritti d’autore. La Spagna farà da battistrada per l’Europa? «Una legge come questa può offrire una enorme forza alla censura governativa». Per contro, oltre il 90% di notizie e analisi non passano più dai siti dei giornali: per scoprire cosa accade nel mondo è ormai perfettamente inutile consultare le pagine web dei quotidiani.

DECINE DI MICROBIOLOGI SCOMPARSI IN CIRCOSTANZE ANOMALE NEGLI ULTIMI ANNI

  Le recenti polemiche sull’origine del virus Ebola, combinate con la morte accidentale, lo scorso luglio, dello specialista mondiale di questo virus, Glenn Thomas (nella foto),
e di molti altri micro-biologi avvenuta nell’incidente aereo del volo MH17 in Ucraina, ci ha fatto tornare in mente un capitolo molto inquietante  e ben documentato del libro dello scrittore italiano Roberto Quaglia “Il Mito dell 11-Settembre o l’opzione Dottore Stranamore”, pubblicato nel 2007 e tradotto in inglese, ma non in francese, ancora una volta per la mancanza di interesse da parte dell’editoria. Ecco dunque qualche paragrafo del libro che, ricordiamo, è apparso nel 2003 (nella sua prima edizione, poi aggiornata nel 2007), ma che sembra sinistramente attuale. L’autore scriveva queste righe subito dopo l’epidemia della SARS, che aveva colpito tra il novembre 2002 e maggio 2003, circa un anno dopo lettere all’antrace dell’ottobre 2001.
 
Il pericolo nella ricerca della verità
è che qualche volta la si trova. – William Faulkner 
 
Nel periodo compreso tra il 12 novembre 2001 e l’11 febbraio 2002 ben sette microbiologi scoprono a proprie spese che fare il loro mestiere è più pericoloso che correre in Formula Uno, fare bungee-jumping tutti i week-end e coltivare l’hobby del sesso non protetto. Anche altri microbiologi faranno in seguito una brutta fine.[1]
 
Non tutti i microbiologi sono tuttavia egualmente a rischio; i microbiologi specializzati in sequenziamento del DNA sarebbero i più suscettibili di morire in circostanze «strane ed inconsuete». Precisiamo che il sequenziamento del DNA è una delle tecniche necessarie dell’emergente campo di applicazione delle armi biologiche di distruzione di massa, soprattutto per ciò che riguarda la creazione di nuovi virus e batteri.
 
Tuttavia, il mestiere di microbiologo era diventato a rischio già qualche tempo prima. Curiosamente, proprio all’indomani dell’11 settembre o giù di lì.
 
Il 4 ottobre 2001, infatti, un aereo commerciale in volo tra Israele e Novosibirsk fu abbattuto «per errore» sopra il Mar Nero da un missile terra-aria ucraino fuori rotta di 100 chilometri rispetto a presunte esercitazioni in atto. Inizialmente si diffuse la voce che si trattasse di un volo charter, invece si trattava di un regolare volo di linea, il volo Air Sibir 1812. Novosibirsk è nota come la capitale scientifica della Siberia, ed è riconosciuta come sede dia importanti ricerche microbiologiche. Si ritiene che sull’aereo precipitato si trovassero almeno cinque microbiologi israeliani.[2]
 
Il 12 novembre 2001, Benito Que, 52 anni, esperto in malattie infettive e biologo cellulare, venne trovato in coma per strada vicino al laboratorio della Università Medica di Miami dove lavorava. Il «Miami Herald» scrisse che sarebbe stato assalito da quattro persone armate di mazze da baseball, ma la versione ufficiale fu che era stato colto da malore. Morì il 6 dicembre. Era esperto di sequenziamento del DNA. Aveva lavorato con Don C. Wiley e con David Kelly, altri due microbiologi morti «suicidi».[3]
 
Quattro giorni dopo, il 16 novembre 2001, Don C. Wiley, 57 anni, uno dei più eminenti esperti americani del settore, scomparve.[4]
 
La sua auto a noleggio fu trovata abbandonata sull’Hernando de Soto Bridge vicino a Memphis, Tenn, col serbatoio pieno e le chiavi nel cruscotto. Wiley era appena uscito da una cena ed era in procinto di partire per una vacanza con la famiglia.[5]
 
Il suo corpo fu trovato il 20 dicembre nel Mississipi, a 500 chilometri di distanza. La tesi ufficiale fu che, forse a causa di una vertigine, fosse caduto nel fiume dal ponte. Wiley era un esperto su come il sistema immunitario risponda ad attacchi virali come l’HIV, l’ebola e l’influenza.[6]
 
Aveva vinto un importante premio per il suo lavoro nel campo dei vaccini anti-virali. Si occupava di sequenziamento del DNA. Aveva lavorato con David Kelly.[7]
 
Il 23 novembre 2001, Vladimir Pasechnik, 64 anni, biologo specializzato in passatempi simpatici come la vaporizzazione di peste bubbonica, fu trovato morto a Wiltshire, Inghilterra, non lontano da casa. Pasechnik era stato responsabile per lo sviluppo di armi biologiche in Unione Sovietica ed era passato al blocco occidentale nei primi anni Novanta.[8]
 
Il giorno dopo, 24 novembre, un aereo della Crossair precipitò in Svizzera. Tra i passeggeri vi erano tre eminenti israeliani: Yaakov Matzner, 54 anni, preside di medicina della Università Ebraica, Amiramp Eldor, 59 anni, capo del dipartimento di ematologia dell’ospedale Ichilov di Tel Aviv, ed Avishai Berkman, 50 anni, direttore del dipartimento di salute pubblica di Tel Aviv.[9]
 
Il 10 dicembre, Robert Schwartz, 57 anni, fu trovato assassinato nella sua casa di campagna nella contea di Loudoun, in Virginia. Si occupava di sequenziamento del DNA ed organismi patogeni.[10]
 
L’11 dicembre, Set Van Nguyen, 44 anni, fu trovato morto all’ingresso di una camera refrigerata nel laboratorio dove lavorava, a Geelong nello Stato di Victoria, in Australia. Van Nguyen era entrato nella camera refrigerata senza accorgersi che era satura di un gas velenoso, che lo aveva ucciso rapidamente. Nello stesso centro di ricerca, cinque anni prima era stato isolato un virus della famiglia delle Paramyxoviridae, lo stesso ceppo al quale appartiene il virus della SARS. Tale virus era stato identificato come trasmissibile agli esseri umani.[11]
 
Il 9 febbraio 2002, Victor Korshunov, 56 anni, direttore della subfacoltà di microbiologia alla Università statale medica di Mosca, fu trovato morto in una strada. Altri due scienziati russi, Ivan Glebov ed Alexi Brushlinski, erano stati uccisi nelle settimane precedenti.[12]
L’11 febbraio 2002, Ian Langford, 40 anni, fu trovato morto nella sua residenza a Norwich, Inghilterra.[13]
 
Il 27 febbraio, Tanya Holzmayer, 46 anni, scienziata russa emigrata negli Stati Uniti, fu uccisa a colpi di pistola da un altro microbiologo, Guyang Huang, il quale poco dopo fu trovato morto in un parco con la pistola vicino alla propria mano. La Holzmayer si occupava di genoma umano.[14]
David Wynn-Williams, 55 anni, astrobiologo impegnato nella ricerca sulla possibile esistenza di microbi extraterrestri, il 24 marzo morì investito da un’auto mentre faceva jogging.[15]
 
Il giorno dopo, Steven Mostow, 63 anni, noto come «dottor influenza» per la sua esperienza nel trattamento dell’influenza, morì schiantandosi col suo Cessna in fase di atterraggio, apparentemente per il distacco di uno dei motori. Mostow era anche un noto esperto in bioterrorismo.[16]
 
Il 24 giugno 2003 morì in Africa il dottor Leland Rickman, 47 anni, apparentemente per un malore. Era un esperto di malattie infettive, nonché consulente in materia di bioterrorismo.[17]
 
Da ultimo ma siamo sicuri?), il 17 luglio, David Kelly, 59 anni, esperto microbiologo nonché consulente in armi biologiche di distruzione di massa per il governo britannico, fu trovato morto in un bosco. L’inchiesta terminò con una dichiarazione di suicidio, ma ogni evidenza suggerisce che si sia invece trattato di un omicidio. Mesi dopo emersero testimonianze sul fatto che Kelly sarebbe stato in procinto di scrivere un libro sui programmi di guerra biologica delle grandi nazioni.[18]
 
C’è chi aggiunge alla lista anche Jeffrey Paris, 49 anni, trovato spiaccicato a fianco di un parcheggio automobilistico il 6 novembre 2001,[19]
 
e Christo­pher Legallo, 33 anni, analista di problemi del terrorismo,  schiantatosi in ae­reo il 30 settembre 2002. Su quest’aereo avrebbe dovuto trovarsi anche sua moglie, Laura Koepfler, analista nel campo delle armi di distruzione di mas­sa, ma aveva cambiato programma all’ultimo momento.[20]
 
Qui mi fermo, ma gli strambi decessi di microbiologi sarebbero proseguiti in seguito.[21]
 
Secondo Maurizio Blondet, nel giugno 2004 la somma dei microbiologi morti in circostanze anomale sarebbe giunta a ventiquattro.[22]
Per sapere se la morte di tutti questi microbiologi è solo un’anomalia statistica degna di nota, bisognerebbe conoscere la quantità esatta di microbiologi che ci sono al mondo e calcolare se il tasso percentuale di decessi bizzarri è superiore alla norma. Non ho questo dato, né tutto sommato mi interessa. Certe volte, il dubbio è di gran lunga preferibile alla certezza. Preferisco sbagliarmi senza esserne sicuro piuttosto che essere sicuro di non sbagliarmi.
 
Per la seconda edizione del libro nel 2007 aggiungiamo per scrupolo che la Sfiga dei Microbiologi prosegue imperterrita. I 15 microbiologi sono nel frattempo cresciuti sino a varie decine. Elencarli tutti non avrebbe alcun senso, ne riportiamo solo alcuni a mo’ di esempio.
 
John Clark, un microbiologo i cui studi avevano aperto la strada alla clonazione della famosa pecora Dolly, si impicca il 12 agosto 2004.
 
Leonid Strachunsky, specialista nella creazione di microbi resistenti  alle armi biologiche, ucciso l’8 giugno 2005 da una bottiglia di champagne che anziché dargli alla testa gli ha dato sulla testa. Un bel colpo secco.
 
David Banks, esperto in prevenzione di epidemie e quarantene, muore l’8 maggio 2005 a bordo del solito aereo che casca.
 
Matthew Allison, biologo molecolare, il 13 ottobre 2004 entra nella sua auto parcheggiata che esplode come succede solo nei film.
 
E terminiamo i nostri esempi con Antonina Presnyakova, scienziata che si occupava direttamente di armi biologiche e che il 25 maggio 2004 crede anch’essa di trovarsi in un film e quindi si punge per sbaglio con un ago infetto di ebola, che ovviamente la uccide.
 
Se non ne avete abbastanza, su Internet la lista continua.[23]
 
Non è la prima volta che scienziati di un settore specifico muoiono in rapida successione temporale in condizioni misteriose. Era accaduto pochi anni prima in Inghilterra ad almeno sei scienziati della Marconi c’è chi dice che furono parecchi di più), a quel tempo colosso industriale, oggi sull’orlo del fallimento.[24]
 
Tuttavia, siamo appena usciti dal cinema dove abbiamo rivisto America under Attack, in versione Director’s Cut, e già ci troviamo alle prese con un nuovo film che si preannuncia così tosto da farci completamente dimenticare quello che abbiamo appena visto. Forse arriveremo addirittura a rimpiangere America under Attack e con esso i bei tempi in cui la partecipazione di tutti gli spettatori alla realizzazione di un colossal mediatico non era ancora un dovere sociale. O un destino inevitabile. Con SARS Attack II oppure SARS Attack III, la musica potrebbe infatti essere completamente diversa.
 
Roberto Quaglia
 
 NOTE
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Comedonchisciotte ringrazia l’autore per averci inviato il testo
 

http://terrarealtime.blogspot.com/2014/11/decine-di-microbiologi-scomparsi-in.html

In Grecia oltre il 40% dei bambini vivono al di sotto della soglia di povertà. Unicef

sono i magnifici successi dell’Euro, decantati e voluti dal salvatore Mario Monti (accolto con tanto affetto in Italia per il merito di averci liberato dal “despota” Mr B, che ci stiamo a far domande??).

E’ il risultato di quanto prefisso da decadi in quei circoletti oscuri dove siedono i membri non eletti da nessuno della troika, ma siamo in democrazia no? E che “vogliamo tornare alle dittature” accusano coloro rispondendo agli euroscettici. Se non ami la dittatura dei banchieri, puoi essere solo un nostalgico di dittature passate.
D’altronde, il ” ribelle”Curzio Maltese, (quello dell’altra europa, tanto alternativa da ribadire la sua fedeltà all’euro) ha scritto un inno alla tecnocrazia, possiamo dubitare su quale sia sempre stata la vera natura della democrazia che hanno in mente cotanti paladini?????? Ricordiamo cosa scrisse mesi prima del grande avvento Bella Ciao Monti:  L’ITALIA LABORATORIO DELLA TECNOCRAZIA CHE GUIDERA’ L’EUROPA
Quando si tratta di record, la Grecia non si lascia mai sfuggire nulla: due terzi dei giovani sono disoccupati; il paese è stato il della zona euro a fare default; ed ora un altro impressionante risultato grazie alla cura della Troika: secondo l’Unicef,
in Grecia oltre il 40% dei bambini vivono al di sotto della soglia di povertà. Si tratta del record assoluto per quello che ci ostiniamo ancora a considerare mondo sviluppato. Da notare anche il 37% registrato in Spagna ed oltre il 30% che l’organizzazione internazionale a tutela dei diritti dell’infante ha rilevato per l’Italia.
 
Si nota nella classifica come gli Stati Uniti siano poco al di sotto della Grecia con un tasso di povertà infantile che si è attestato alla cifra incredibile del 32,2%. La prima potenza economica mondiale lascia i propri bambini vivere in uno stato di degenza. Secondo WaPo, la percentuale dei bambini americani che vivono al di sotto di quella soglia è aumentata del 2% dal 2008 (altro grande risultato dell’amministrazione Obama). Leggere la cifra complessiva fa venire i brividi: 24,2 milioni di bambini americani vivono sotto la soglia di povertà. “Di tutti i nuovi bambini poveri Ocse e/o Ue, circa un terzo vivono negli Stati Uniti”, secondo il rapporto dell’Unicef.
 
Da Zero Hedge, l’infografica sul tasso di povertà infantile negli Usa:
 

Messico: Il fallimento pianificato dello stato

Lo Stato messicano è diventato un’istituzione criminale all’interno della quale si mescolano indifferentemente narcos e uomini politici per controllare la società. Uno stato fallimentare che è stato edificato nel corso degli ultimi due decenni per evitare il peggior incubo delle élite: la seconda rivoluzione messicana.
 
«Ce li hanno rapiti vivi, li rivogliamo indietro vivi!»: così urla Marie Ester Contreras, mentre sul palco dell’Università Latinoamericana di Puebla una ventina di pugni alzati acclamano la consegna del «premio Tata Vasco» al collettivo Forze Unite per i nostri Desaparecidos del Messico (Fundem), conferito per il suo impegno contro i rapimenti forzati. La scena è toccante.
 
In occasione del XI Forum dei Diritti dell’Uomo, le famiglie dei desaparecidos – quasi tutte madri e sorelle –non riescono a trattenere le loro lacrime ogni volta che parlano in pubblico della loro esperienza.
 
Niente a che vedere con la storia delle ben note sparizioni forzate del Sudamerica. In Messico non si tratta di reprimere, far sparire e torturare militanti politici, ma di qualcosa di ben più complesso e terribile. Una madre ci ha raccontato la scomparsa di suo figlio, ingegnere delle comunicazioni che lavorava per l’IBM, sequestrato dai narcos per obbligarlo a costruire una rete di comunicazione a loro servizio. «Una cosa del genere può capitare a chiunque», precisa la donna, spiegando che tutta la società è nel mirino e che, dunque, nessuno dovrebbe restare indifferente.
Fundem è nato nel 2009 a Coahuila ed ha già riunito più di 120 famiglie, impegnate nella ricerca di 423 persone scomparse, a loro volta in contatto con la rete Verdad Y Justicia, che cerca 300 migranti originari dell’America centrale scomparsi in territorio messicano. L’ex presidente del Messico Felice Calderon li ha definiti «effetti collaterali», cercando così di minimizzare la tragedia delle sparizioni. «Sono esseri umani che non avrebbero mai dovuto sparire», replica però Contreras.
 
Peggio dello Stato Islamico
 
Un comunicato di Fundem, in occasione della Terza Marcia per la Dignità celebrata a maggio, sottolinea che dal 2006, quando Calderon dichiarò la guerra al narcotraffico, fino a febbraio 2013, «secondo il Ministero dell’Interno si contavano 26.121 persone scomparse». Nel maggio del 2013 Christof Heyns, commissario ONU per le esecuzioni stragiudiziali, ha detto che il governo messicano ha riconosciuto 102.696 omicidi commessi nel corso dei sei anni di mandato di Calderon (con una media di 1.426 vittime al mese). Ma già nel marzo scorso, dopo 14 mesi di governo di Peña Nieto, il settimanale messicano Zeta registrava 23.640 omicidi (1.688 al mese).
 
Al Jazeera ha diffuso un’analisi comparativa fra i morti provocati dall’ISIS e i massacri dei narcotrafficanti messicani. Nel 2014 in Iraq l’ISIS ha assassinato 9000 civili, mentre l’anno precedente il numero di vittime dei cartelli messicani ha superato le 16.000 unità. I cartelli praticano centinaia di decapitazioni ogni anno. Hanno smembrato e mutilato i corpi delle loro vittime, per poi esporli in pubblico e terrorizzare la popolazione. «Con queste stesse intenzioni, i narcos attaccano anche donne e bambini e poi – esattamente come l’ISIS – pubblicano le immagini dei loro omicidi sui social network» (fonte: Russia Today, 21 ottobre 2014).
 
I giornali sono stati quasi tutti ridotti al silenzio per mezzo di corruzione o intimidazioni, e dal 2006 i cartelli si sono resi responsabili dell’omicidio di 57 giornalisti. Lo Stato Islamico ha assassinato due cittadini USA catturando così l’attenzione dei media che, tuttavia, sanno ben poco dei 293 cittadini americani uccisi dai narcotrafficanti fra 2007 e 2010. Ovviamente non si tratta di stabilire chi sia più sanguinario dei due, ma perché lo sia. Dal momento che sappiamo che Al Quada e ISIS sono stati creati dall’intelligence USA, vale la pena chiedersi chi si nasconda dietro il traffico di stupefacenti.
 
Diversi studi e altrettante inchieste giornalistiche sottolineano la connivenza fra le autorità statali messicane e i narcos. Nel suo ultimo numero, la rivista Proceso spiega che «nei primi mesi del 2013 il governo federale è stato avvisato da un gruppo di parlamentari, attivisti e funzionari federali riguardo alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore della sicurezza di molte municipalità di Guerrero», senza però ottenere la benché minima risposta (Proceso, 19 ottobre 2014).
 
Analizzando i legami che si nascondono dietro il recente massacro di studenti di Ayotzinapa (sei morti e 43 persone scomparse), il giornalista Luis Hernández Navarro è giunto a concludere che quei fatti avevano «aperto la fogna della narcopolitica di Guerrero» (La Jornada, 21 ottobre 2014). Nei fatti di Ayotzinapa erano coinvolti i membri di tutti i partiti, compreso il PRD di centro-sinistra, nel quale milita il presidente della municipalità di Iguala, José Luis Abarca, implicato direttamente nel massacro.
 
Raul Vera fu nominato vescovo di San Cristobal de las Casas quando la Chiesa decise di allontanare da quella città Samuel Ruiz. Vera però seguì lo stesso cammino tracciato dal suo predecessore, e ora esercita le sue funzioni a Saltillo, la città nello Stato di Coahuila dalla quale provengono numerose madri di Fundem. Prive di una sede appropriata, si riuniscono presso il Centro Diocesano per i Diritti dell’Uomo: così, il vescovo e le madri di Fundem lavorano fianco a fianco. Nel 1996 Vera denunciò il massacro di Acteal, nel quale 45 indigeni tzotzil – fra i quali 16 bambini e 20 donne – furono assassinati mentre pregavano in una chiesa locale, nello Stato del Chiapas. Sebbene l’eccidio fosse stato perpetrato da gruppi paramilitari ostili all’EZLN, il governo cercò di presentarlo come l’esito di un conflitto etnico.
 
Controllare la società
 
In virtù della sua lunga esperienza, Vera sostiene che il massacro di Ayotzinapa è stato «un messaggio al popolo, un modo per dirgli: “ecco di che cosa siamo capaci”». Una cosa simile era già accaduta nel 2006 a San Salvador Atenco, allorché alcuni militanti del Fronte de Pueblos en Defensa de la Tierra riuniti per La Otra Campaña zapatista furono oggetto di una crudele repressione che culminò con due morti, più di 200 arresti e 26 stupri. Il governatore in carica era all’epoca Enrique Peña Nietro, l’attuale Presidente messicano.
 
Simili «messaggi» si ripetono periodicamente nella politica messicana. Padre Alejandro Solalinde, che ha partecipato al Forum dei Diritti dell’Uomo, coordina la Pastoral de Movilidad Humana PacÍfico Sur de l’Épiscopat Mexicain e dirige un centro di accoglienza per migranti che transitano in Messico per andare negli Stati Uniti, afferma di avere fonti certe che gli studenti di Ayotzinapa sono stati bruciati vivi, non prima di essere mitragliati e feriti. Fatti confermati dalle testimonianze dei poliziotti che hanno preso parte alla repressione ma che si sono rifiutati di compiere gesti simili  «per obiezione di coscienza» (Proceso, 19 ottobre 2014).
 
Se la natura dell’esecuzione rivela una chiara matrice mafiosa, occorre capire quali fossero le ragioni e gli obiettivi dell’azione. La risposta arriva per bocca del vescovo Raul Vera, che sottolinea la stretta relazione fra i cartelli del narcotraffico e le strutture politiche, giudiziarie e finanziarie dello Stato, al punto tale che è ormai impossibile distinguere con chiarezza dove finiscono i primi e dove iniziano le seconde. La constatazione di questa realtà lo ha portato a dichiarare che i dirigenti del suo Paese «sono il crimine organizzato» e che, per conseguenza, «non siamo più in democrazia» (Proceso, 12 ottobre 2014).
 
Il vescovo tuttavia fa anche una riflessione più profonda, che permette di sbrogliare la matassa: «il crimine organizzato è funzionale al controllo della società, ed è per questo che è associato alla classe politica. Sono così riusciti a evitare che il popolo si organizzi e a fare in modo che non progredisca». È grossomodo ciò che osservò il subcomandante Marcos, con parole molto simili.
 
D’altro canto non si tratta di una coincidenza fortuita, ma di una strategia. Fra coloro che l’hanno pianificata e costruita sul territorio c’è il generale Oscar Naranjo, consirerato da Carlos Fazio – giornalista de La Jornada – «uno dei più importanti architetti della “narcodemocrazia” colombiana» realizzatasi sotto l’attuale governo di Alvaro Uribe [presidente della Colombia, N.d.T§]. Naranjo è un uomo della DEA [United States Drug Enforcement Administration, N. d. T.], è dunque un «prodotto di esportazione» degli Stati Uniti d’America per la regione centroamericana ed è diventato consigliere governativo di Peña Nieto. Nel suo articolo (La Jornada, 30 giugno 2012) Carlos Fazio riporta un’informazione del Washington Post nella quale si dice che «settemila tra poliziotti e militari messicani sono stati addestrati da consiglieri colombiani». Non occorre troppa immaginazione per capire da quale fucina provenga il pianificato fallimento dello Stato messicano.
 
C’è però di più. Il sito antiwar.com ricorda che «il governo degli Stati Uniti ha aiutato molti cartelli nel corso dell’operazione shock and awe», durante la quale duemila armi sono finite «incidentalmente» nelle mani dei narcos. Secondo alcuni siti di analisi strategica, fra i quali l’europeo dedefensa.org, è possibile che il caos messicano sia favorito dalla crescente paralisi di Washington e dalle contraddizioni interne ai suoi servizi. Ciò nonostante, tutto lascia credere che ci sia una deliberata strategia. E non c’è dubbio che tutto ciò si trasformerà in un boomerang per gli Stati Uniti, destinato a manifestarsi lungo la sua porosa ed estesa frontiera con il Messico.
 
Raul Zibechi
 
 
 
24.10.2014
 
Traduzione dal francese per www.comedonchisciotte.org a cura di MARTINO LAURENTI
 

Samsung Privacy Ammette: Spiamo le Vostre case attraverso i Televisori (video)

La privacy policy che ora è inclusa in tutte le Smart TV Samsung appena acquistate afferma che la tecnologia di riconoscimento vocale “può catturare i comandi vocali e testi associati” al fine di “migliorare le caratteristiche”
del sistema. La politica, una sintesi della quale è anche pubblicata on-line , consiglia agli utenti in modo sinistro: “Si prega di essere consapevole del fatto che se le tue parole pronunciate includono informazioni sensibili personali o altro, che l’informazione sarà tra i dati acquisiti e trasmessi a terzi tramite il suo uso di riconoscimento vocale.” Michael Price, del consiglio nella Libertà e Programma Nazionale di Sicurezza presso il Centro per la Giustizia Brennan alla New York University School of Law, ha detto che era “terrorizzato” del suo nuovo televisore, notando che il riconoscimento vocale è solo una caratteristica che potrebbe essere utilizzato per spiare gli utenti. La televisione registra anche visite al sito web, ha una fotocamera integrata per il riconoscimento facciale e utilizza cookie traccianti per rilevare “dopo aver visto il contenuto particolare o un particolare messaggio di posta elettronica.” “Non dubito che questo dato è importante per fornire contenuti e convenienza, ma è anche, le informazioni incredibilmente personali costituzionalmente protetto che non dovrebbe essere in vendita per gli inserzionisti e dovrebbe richiedere un mandato per le forze dell’ordine per l’accesso,” scrive Price , aggiungendo che leggi sulla privacy vigenti offrono poca protezione contro dati “di terze parti”. Mr Price richiama inoltre alll’attenzione le osservazioni fatte nel 2012 dall’ex direttore della CIA David Petraeus, che ha salutato la “Internet delle cose” come una manna trasformazione per “tradecraft clandestina”. In altre parole, presto sarà più facile che mai per tenere sotto controllo la popolazione dal momento che tutto che usano sarà collegato al web, con totale disprezzo per le considerazioni sulla privacy. Nessuno dovrà installare cimici nel vostro salotto. Voi lo farete per Loro!! In pratica una tecnologia piuì sofisticata presente nella vostra XboX Kynect farà una scansione continua di quello che succede davanti il vostro televisore. Pensate di avere un televisore per camera…. Poi il microfono sente ed analizza le vostre voci, i torni.. le parole chiavi inviando tutto non certamente solo alle aziende pubblicitarie. Stiamo offrendo noi stessi in cambio di qualche stupido inutile giocattolo. Il Destino del Mercato è in mano ai Consumatori.. fino a prova contraria. Boicottando certa tecnologia forse possiamo far fare un passo indietro nei confronti di questo progetto in puro stile Panoticon.

“Tav non ha nessun senso”

https://www.youtube.com/watch?v=Qsgrf9BtdWA

 

M5S: Tav opera inutile. Le denunce del M5S sollevano sempre di più dubbi sulla realizzabilità dell’opera

“Oggi, al Senato, c’è stata l’audizione del Presidente e dell’Amministratore delegato di Ferrovie dello Stato S.p.a.. La finalità era quella di far chiarezza sullo scandalo che riguarda gli aumentati costi della Nuova Linea Ferroviaria Torino-Lione, circostanza denunciata da sempre dal M5S che afferma inoltre come l’aumento degli oneri finanziari provochi una ulteriore erosione dei già inesistenti benefici”. Lo dichiara il senatore del Movimento 5 Stelle Marco Scibona.

“Quello che ci è stato riferito oggi in Commissione dai vertici di FS – spiega il senatore M5S – è che l’analisi dei costi-benefici, pur essendo stata redatta con notevole ritardo rispetto al piano progettuale, non è più attendibile, motivo per cui sarà necessario realizzare una nuova analisi per valutare la convenienza dell’opera stessa. Dovendo ricalcolare, per i maggiori oneri economici, ex novo, auspichiamo che questa volta vengano utilizzati i reali dati di traffico merci/viaggiatori e non oniriche estrapolazioni viste fino ad oggi”.

In pratica, la tesi sostenuta da sempre dal M5S sul Tav, ovvero, che si tratta di un’opera inutile e troppo costosa è sempre più chiaro; oggi questo si evince anche dalle dichiarazioni del Prof. Messori, Presidente FS – afferma Scibona-. Renzi si svegli una volta per tutte. Utilizziamo le risorse della grande opera inutile per fare ciò di cui ha davvero bisogno il Paese”.

Marco Scibona (M5S)