Maxi ospedale mai finito – La vergogna nelle Langhe

https://espresso.repubblica.it/attualita/2013/11/19/news/verduno-il-mostro-della-collina-un-maxi-ospedale-nella-terra-del-tartufo-1.141541?fbclid=IwAR2N9yVc3yHQmqe3wqF7scAyEJioJYOMNhQ3hA8_He0I4gmKqXthtkHifTs

Sono passati vent’anni dai primi finanziamenti. Dieci dalla prima pietra. E la struttura è ancora in costruzione. Su un terreno franoso ritenuto non edificabile: perché regga sono stati necessari 900 pali in cemento. E la strada per arrivarci costerà dodici euro al millimetro. Cronaca di uno scandalo a Verduno, la terra del tartufo

DI ROBERTO DI CARO, FOTO DI MICHELE D’OTTAVIO

Maxi ospedale mai finito La vergogna nelle Langhe

Il più drastico è Carlo Petrini, presidente Slow food: «Mi è sempre sembrata una follia costruire un enorme ospedale su una collina instabile a metà strada fra Alba e Bra quando ce n’erano due, più piccoli, ben funzionanti e vicini alla gente: di uno ho usufruito, c’è una dimensione umana, anche la mensa è eccellente. Ma da destra e sinistra mi facevano capire con un sorrisetto che io ero fuori dal tempo, che bisognava pensare e realizzare in grande. Ora paghiamo il fio di quella megalomania». Sì, posizione minoritaria, Petrini. I politici adducono la necessità di economie di scala, i tecnici la vetustà di muri e impianti dei settecenteschi ospedali di Bra e Alba, i dottori le esigenze della nuova medicina, diagnostica in testa. Giusto o sbagliato che fosse, ormai l’enorme falansterio sta lì, abbarbicato coi suoi tre bracci che si stagliano per nove piani sulla collina di Verduno: appena sotto il paese e grande altrettanto, quando ti si para innanzi dalla statale Alba-Bra. Fra vigne e noccioleti, casali e castelli, nel cuore di Langhe e Roero, cammeo dell’enogastronomia italiana: area d’elezione del tartufo bianco, terra dei vini nobili piemontesi, culla dello Slow food, meta di orde di colti gourmet francesi, tedeschi, inglesi a gustare Barolo e Barbaresco, tajarin e agnolotti al plin.

I lavori sono fermi da due anni. Del nuovo ospedale c’è solo l’imponente scheletro in cemento armato, metà pelle in vetro e metallo, qualche organo interno tipo le modernissime cellule bagno parzialmente all’addiaccio. E la gente del posto fa gli scongiuri perché il mastodonte non resti abbandonato a cadere a pezzi. «Assolutamente no! I lavori ripartiranno prima di Natale, due squadre di operai dell’impresa costruttrice sono già arrivate da Bari per ripristinare le condizioni di sicurezza per le maestranze», replica Francesco Morabito, da un anno direttore generale della Asl Cn2. Qui però finché non toccano con mano non credono a niente. Come dargli torto?

PROMESSE DA PRESIDENTE. «Rispetteremo i tempi», giura Roberto Cota in visita nel settembre 2010, caschetto verde-Lega lui e Gianna Gancia presidente della Provincia di Cuneo. Ma la sua Regione, fuori di 16 milioni e mezzo, non salda i debitisicché, settembre 2011, l’impresa ferma i lavori e il cantiere sbaracca. A maggio 2012 arrivano 8 milioni: finta ripartenza, giusto qualche pannellatura, e a settembre Renato Balduzzi ministro della Salute in visita pastorale assicura: «La costruzione sarà completata a giugno 2014». Invece qualche giorno e i lavori si fermano. Ma a febbraio Balduzzi e l’allora direttore generale della Asl Alba-Bra Giovanni Monchiero vengono eletti deputati per Scelta Civica in Piemonte. Qualcosa comincia a sbloccarsi quando la Regione salda finalmente il pregresso. Se davvero si rimetterà mano allo scheletro, benevole previsioni parlano di entrata in funzione a fine 2016. Vent’anni dopo i primi stanziamenti della Regione, governatore Enzo Ghigo, centrodestra: d’accordo all’unanimità tutti i Comuni interessati. Dieci anni dopo la posa della prima pietra in una nebbiosa giornata d’autunno, governatore Mercedes Bresso, centrosinistra. Ma come ci si è infilati in un  guazzabuglio del genere?

Veduta dell'ospedale in costruzione

Veduta dell’ospedale in costruzione

IL POSTO SBAGLIATO. Il terreno scelto, per cominciare. «La sua conformazione geologica è ben nota: marne argillose inclini a scivolamenti e uno strato gessoso carsico, frane attive e quiescenti»», fotografa Riccardo Torri, geologo che ha lavorato su gallerie Torino-Lione e Brennero. Una instabilità antica, bastava chiedere a qualunque contadino. «Nel piano regolatore la zona era classificata “non edificabile, salvo opere di interesse pubblico non diversamente ubicabili”», conferma il sindaco di Verduno, Alfonso Brero. Su un terreno dove non potevi costruire neanche un casotto decidono di edificare un ospedale da 550 letti. Il geologo Orlando Costagli viene incaricato di certificare: «Mi rifiutai. Posso forse cambiare le carte dell’Autorità di Bacino, dove l’area è segnata in dissesto?». Lui no, ma la palla passa alla Regione, «e d’improvviso, sulle carte ufficiali, le frane scompaiono».

Riccardo Torri

Riccardo Torri

Perché lì, su una collina franosa e scomoda da raggiungere, quando in tutta la piana c’erano fior di terreni alcuni tuttora liberi e altri negli anni a venire occupati da enormi centri commerciali? Chi decise? «Il primo lotto di terreno lo comprammo noi, Comune di Alba, e fatta un’accurata perizia geologica lo donammo alla Asl. Perché lì? Era a mezza strada e costava un tozzo di pane. Non fosse andato bene, potevano sempre rivenderlo», racconta Enzo De Maria, ingegnere, sindaco Dc di Alba per tutti gli anni Novanta, amareggiato perché «è diventata come la Salerno-Reggio Calabria, tempi folli e soldi al vento».

Veduta dell'ospedale in costruzione

Veduta dell’ospedale in costruzione

IL BASTONE E LA CAROTA. Leggenda vuole che la scelta del sito fu un intrallazzo con la Chiesa: della Diocesi di Alba era il lotto più grande, 9 giornate, un decimo del totale: «Ma noi neanche volevamo vendere», racconta don Angelo Franco, parroco di Verduno e presidente dell’Ufficio sostentamento del clero; «la Asl offriva poco, fu il vescovo a sentenziare: dateglielo, non si dica che la Chiesa boicotta l’ospedale». Incassarono, novembre ‘98, 122 milioni e 480 mila lire, meno di quanto ottennero in seguito altri proprietari di noccioleti e vigne di Dolcetto acquistati con la carota del fate del bene e il bastone della minaccia di esproprio. In tutto, l’acquisizione dei 300 mila metri quadri è costata 2 milioni 570 mila euro, quasi 4 con Iva e spese: cifra fornita da Ferruccio Bianco, architetto, il rup, responsabile unico del progetto.

LA BOLLA PROJECT FINANCING. Bianco diventa rup a fine ‘95. Si indice una gara internazionale: vince lo studio Aymeric Zublena di Parigi, progetto preliminare nel ‘99, esecutivo nel 2004. Ora tocca trovare chi costruisce. E qui è la seconda anomalia: con la motivazione che costerà (Iva esclusa) 114 milioni e la Regione non ne può mettere più di 97, si procede in project financing. Vantaggi? «Nessuno», risponde chiaro lo stesso Bianco, il rup: «in quegli anni tutti si riempivano la bocca col project financing: una bolla, chi l’ha usato per opere similari se n’è pentito. La sua quota del 15 per cento il privato la metterà solo nell’ultima fase dei lavori, poi gestirà i 500 metri quadri di spazi commerciali interni, la manutenzione ordinaria e straordinaria, le forniture di acqua, luce e gas: introito annuo concordato, 7 milioni 280 mila euro più Iva al 22 per cento. Per vent’anni».

Francesco Morabito, direttore...

Francesco Morabito, direttore generale Asl Alba-Bra

NOVECENTO PALI. Vince, settembre 2005, la Mgr Verduno 2005, gruppo Maire Tecnimont. Che appalta i lavori di costruzione a una ati, associazione temporanea, fra l’impresa Matarrese di Bari e, per l’impiantistica, la Olicar di Bra. «Una delle pochissime gare in cui non c’è stato neppure un ricorso», vanta Morabito, il dg della Asl. I guai cominciano l’anno dopo, bonifica e messa in sicurezza della collina. Scavi, e il terreno frana. Ti sposti, e continua a franare. Alla fine l’edificio risulta 200 metri più in alto verso ovest. Perché il terreno regga sono necessari 900 pali in cemento larghi 1,80 metri profondi 30, e una diga in cemento armato lunga 260 metri, larga 7,3 e profonda 6. Una montagna di cemento. Costo dichiarato, 15 milioni di euro, 4 in più del previsto.
E in tutto quanto costerà? Dice Bianco: «Fermati i lavori, le richieste del concessionario erano spropositate: 60 milioni in più. Con un accordo bonario, gliene abbiamo riconosciuti 12. Il che porta il costo nudo a 125 milioni». Se aggiungi Iva, acquisizione terreni, spese tecniche e di gare ballano altri 31 milioni. Per un totale di 156 milioni, 29 a carico del concessionario.

DODICI EURO AL MILLIMETRO. Ammesso che lo si finisca, poi come ci si arriva al nuovo ospedale? La posizione è infelice. Su un versante collinare esposto a nord dove, con neve e ghiaccio, si sono addirittura immaginati di riscaldare il manto con una serpentina a pannelli solari. Poi «dovranno allargare la provinciale 7 e il ponte sul Tanaro. Raccordarla con la strada statale. Scavalcare l’autostrada Asti-Cuneo che ancora non c’è ma prima o poi faranno. Un rompicapo», descrivono Silvio Veglio e Franco Bartocci, Osservatorio per la tutela del paesaggio di Langhe e Roero che raccoglie una ventina di associazioni. Guardi la carta dei progetti della Provincia ed è tutto un gira e svolta e scavalla. Una variante doveva costare 4 milioni di euro, l’ultima oltre 20. Per 1700 metri. Significa 12 euro al millimetro, roba che neanche il tartufo. Ora pare si torni al tragitto originario, ma di deciso non c’è un fico secco. Coi tempi medi di costruzione, se l’ospedale sarà terminato rischi di poterci arrivare solo in elicottero o su una stradina buona giusto per la camporella.

La mappa del tracciato stradale per...

La mappa del tracciato stradale per arrivare all’ospedale

PUNTI FEDELTA’. «I primi a sentirci drammaticamente presi in giro siamo noi», attacca Luciano Scalise, direttore della Fondazione Nuovo Ospedale Alba-Bra, nata nel 2008 con un primo contributo di un milione e mezzo di Franco Miroglio del tessile e 100 mila euro a testa degli undici soci fondatori, Oscar Farinetti di Eataly, Bruno Ceretto dei vini, imprenditori e maggiorenti della zona: «Siamo l’unico esempio in Italia di onlus privata che sostiene un ospedale pubblico. Abbiamo raccolto 11,8 milioni e l’obbiettivo è 15. Ne studiamo una più del diavolo, dai punti fedeltà nei supermercati, alle bottiglie della vigna del Camillo Cavour. E ci troviamo una Regione Piemonte e un’impresa costruttrice che non rispettano gli impegni presi».

MEDICI CONTRO. Non sono gli unici a lagnarsi. Settanta medici, tecnici, infermieri e amministrativi (ma in due settimane sono già diventati 470) hanno appena costituito un il movimento Salviamo gli ospedali di Alba e Bra: «Per la spending review e mentre tutti aspettano Verduno», elenca Giovanni Asteggiano, primario di Neurologia, uno dei promotori, «a Bra hanno tolto il punto nascita, chiusi Ostetricia e Pediatria, il Pronto Soccorso è destinato a sparire. Alba ha ridotto le prestazioni e allungato le liste d’attesa. Le attrezzature sono obsolete. Quattro medici specialisti a contratto precario se ne sono già andati via in un mese, e altri dovranno lasciare prima di Natale».

Bruna Sibile

Bruna Sibile

VIRTUOSI E GABBATI. Che cosa resterà dei due attuali nosocomi sotto casa? Bruna Sibille, centrosinistra, sindaco di Bra, nega che toccherà salire a Verduno per un esame del sangue: «Analisi, radiografie e lungodegenza resteranno dove sono. Ci stiamo battendo con la Regione per ottenere deroghe alla spending review. Perché la smettano di svuotare servizi essenziali a noi che per la sanità spendiamo 1600 euro a cittadino, 200 in meno della media piemontese. Significa che costiamo 25 milioni di euro l’anno in meno». Sì, però vi costruiamo l’ospedale, insinuano in Regione. Si annuncia un altro annoso tira e molla.

19 novembre 2013
Maxi ospedale mai finito – La vergogna nelle Langheultima modifica: 2020-03-31T22:17:29+02:00da davi-luciano
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