Francia. “Sanzionato” un colosso coinvolto nel Tav in Valsusa

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Condividiamo questo video (https://www.dailymotion.com/) di un’azione in solidarietà alla lotta No Tav presso la sede di Vinci Construction, azienda del gruppo francese Vinci, seconda società al mondo nel settore delle concessioni e delle costruzioni.

Oltre alla gestione di molte autostrade francesi, il colosso Vinci è coinvolto nella costruzione del Tav.

A gennaio, infatti, ha ottenuto insieme alla società Salini-Impregilo un contratto d’appalto dalla francese TELT (Tunnel Euralpin Lione-Torino, partecipata al 50% dallo Stato francese e al 50% da Ferrovie italiane) per la ripresa dei lavori nel tunnel geognostico della Maddalena.

Tuttavia, il 14 marzo 2018 Vinci è stata condannata ad una multa di 300.000 euro per il reato di turbativa d’asta e favoritismo, avendo ottenuto informazioni riservate su un bando prima che fosse pubblicato, influenzando così l’ottenimento dell’appalto. Inoltre, Vinci siede nel consiglio di amministrazione di una lobby di costruttori presieduta proprio dal presidente della TELT, Hubert du Mesnil. 

Gli affari clientelari che ormai mal si nascondono dietro la costruzione di una grande opera inutile come il Tav, dannoso per l’ambiente e per la popolazione della Val Susa, dimostrano come grandi imprese traggono enormi profitti dalla repressione del movimento No Tav.

Di questa è complice l’Unione Europea che difende gli interessi di industriali e costruttori continuando a finanziare questo progetto, insieme allo Stato italiano che utilizza i suoi apparati giudiziari per incarcerare la nostra Nicoletta Dosio e altr* attivist* No Tav per una manifestazione in Val di Susa che ha provocato un danno di 780 euro alla società concessionaria dell’autostrada A32. Un danno di 38 euro a testa per il numero di manifestanti condannati.

La solidarietà e la lotta No Tav sono più forti della vostra repressione e faranno tremare le vostre tasche!

Nicoletta libera tutti! Ora e sempre No Tav!

Coronavirus, Toni Capuozzo a Libero: “Il gesto sbagliato di Mattarella, hanno pensato solo al razzismo”

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24 Febbraio 2020

Coronavirus, Toni Capuozzo a Libero: "Il gesto sbagliato di Mattarella, Hanno pensato solo al razzismo"

Un suo post su Facebook, qualche giorno fa, ha avuto l’ effetto liberatorio che hanno le parole di buon senso pronunciate da qualcuno di autorevole in tempi di generale conformismo. In quelle poche righe Toni Capuozzo, giornalista di lungo corso, inviato di guerra, non è stato tenero verso una classe politica che, davanti alla ragionevole paura del contagio da coronavirus e alla richiesta di misure preventive drastiche come la quarantena per chi rientrava dalla Cina, ha pensato «che la correttezza politica (visita a scuole multietniche, ristoranti cinesi ecc.) fosse la cosa più importante, che il nemico fosse il razzismo». 

Quelli che mettevano in guardia dalla psicosi contro il nemico cinese erano in realtà affetti da psicosi antirazzista?
«È il dogma della correttezza politica, una cosa molto americana: molti dei film che hanno visto e dei libri che hanno letto quelli della mia generazione oggi non potrebbero essere più girati né scritti. Non rimpiango il tempo in cui si poteva fumare al cinema, ma ricordo bene che nella mia infanzia, quando i soprannomi erano brutali e se uno era zoppo o gobbo lo si chiamava zoppo o gobbo senza troppi complimenti, ci si alzava in piedi se in autobus entrava una persona anziana o una donna incinta. Eravamo brutali nel linguaggio, ma nella pratica non lo eravamo affatto. Adesso paradossalmente è vero il contrario: c’ è un’ estrema correttezza formale, e poi nei fatti la cafoneria abbonda».
C’ è un episodio che ha giudicato particolarmente fuori luogo? La visita del presidente Mattarella in una classe con bambini cinesi dopo che i governatori leghisti avevano proposto la quarantena per gli scolari di rientro dalla Cina?
«Proposta saggia, peraltro. E sì, il gesto del presidente della Repubblica ha legittimato tutti quanti ad abbassare la guardia, a non comportarsi con la dovuta cautela. Quella sua visita è stato un gesto simbolico e anche una guida per l’ azione, non avrebbe portato i fotografi con sé altrimenti. Così se un collega rientrato dalla Cina mi invita a una cena, io mi sento rassicurato dal comportamento del mio presidente e penso: se non si preoccupa lui, del fatto che qualcuno di quei bambini poteva essere appena tornato dal capodanno cinese, perché dovrei preoccuparmi io?».

E le iniziative di solidarietà alla comunità cinese?
«A Milano c’ è stata perfino una “notte delle bacchette” per testimoniare vicinanza ai ristoratori cinesi. In un Paese che se ne fotte dei piccoli locali che chiudono, se ne fotte di calzolai e artigiani che spariscono, per dimostrare di avere un cuore sensibile eri tenuto a mangiare nei ristoranti cinesi, che peraltro non mi sembrano un pezzo essenziale della nostra storia…

Anche questo, sotto la maschera dell’ antirazzismo, è stato un invito a tenere la guardia abbassata: un atto di grande leggerezza, e la colpa non è solo del governo ma anche di una certa cultura».
Ma questo scambiare la legittima paura con il razzismo non è controproducente? Se per ogni cosa mi sento dare del razzista alla fine, per reazione ed esasperazione, finirò per rivendicarla, quell’ etichetta.
«C’ è una cosa che ho imparato girando la ex Jugoslavia. Tutti i ponti erano chiamati “della fratellanza e dell’ unità”. Ecco, i “fratelli uniti” alla fine si sono accoltellati a vicenda e quei ponti sono stati abbattuti. Se il bene diventa una predica, una lezione calata dall’ alto, rischia di alimentare i sentimenti meno nobili, che diventano un brontolìo di pancia sordo, che non viene a galla e non può esprimersi, e poi scoppia all’ improvviso. La mia generazione è cresciuta alle elementari con la retorica dei Cesare Battisti, dei Fabio Filzi, del Piave che mormorava. E tutti quanti siamo poi cresciuti facendo la naja malvolentieri e considerando la patria una brutta cosa. Le prediche dall’ alto non migliorano le persone. Siamo al punto che devo per forza abbracciare un cinese per dimostrare che non sono razzista: un’ esibizione di bontà che rischia di rovesciarsi nel suo contrario».

Che poi questi atti di razzismo anticinese non sono stati poi così numerosi…
«Infatti. Io in questi giorni non sono andato a Chinatown né nei ristoranti cinesi. Ho pensato: perché devo andare a cercarmela? Ma questo non significa nutrire sentimenti negativi verso un popolo, avrei evitato allo stesso modo il ristorante di un americano appena rientrato da Pechino. È una semplice precauzione, non razzismo. Invece qui, per non sembrare razzisti, siamo arrivati all’ assurdo di aver messo in quarantena poche decine di italiani che rientravano dalla Cina mentre centinaia se non migliaia di cinesi di ritorno dal capodanno rientravano indisturbati».

di Alessandro Giorgiutti

Tav, Conte e Macron vogliono concludere l’opera: “Ma salga contributo Ue”

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Il contributo dell’Unione Europea al momento è confermato per coprire fino al 40% dei costi di costruzione della sezione transfrontaliera. Italia e Francia chiedono che salga al 55 per cento

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente francese Emmanuel Macron a Napoli per il vertice intergovernativo Italia-Francia. 27 febbraio 2020. ANSA/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/

“Italia e Francia sottolineano l’importanza dell’ultimazione della sezione transfrontaliera della linea Torino-Lione”. Lo si legge in un passaggio della dichiarazione congiunta del vertice italo-francese che si è tenuto a Napoli, dichiarazione che contiene tuttavia un passaggio importante, ovvero la richiesta che sia l’Europa a finanziare in modo determinante la costruzione del tunnel di base.

Il contributo dell’Unione Europea al momento è confermato per coprire fino al 40% dei costi di costruzione della sezione transfrontaliera della Linea ad Alta Velocità Torino Lione, ma Italia e Francia nella dichiarazione congiunta auspicano “un incremento fino al 55% nel nuovo Regolamento per il periodo di programmazione 2021-2027, sotto determinate condizioni e applicato a specifiche attività“.

“Sono lieto che abbiamo potuto rilanciare l’autostrada ferroviaria alpina, che permetterà di limitare le emissioni” ha detto il presidente francese Emmanuel Macron.

Tav, a che punto sono i lavori

La Torino-Lione si estende per il 70% in Francia e il 30% in Italia per un costo certificato di 8,6 miliardi di euro: di questi il 40% finanziato dall’Unione europea, il 35% dall’Italia, il 25% dalla Francia. La parte fondamentale è proprio la sezione transfrontaliera, che grazie alla realizzazione del tunnel di base del Moncenisio, trasformerà l’attuale linea di montagna in una linea di pianura.

Come spiega la società che sta realizzando la Tav, è stato scavato oltre il 18% dei 164 chilometri di gallerie previste, compresi i primi 9 chilometri del tunnel di base nel cantiere di Saint-Martin-La-Porte, dove passeranno i treni e dove procede lo scavo di circa 1.5 chilometri di galleria in tradizionale.

Se dal lato francese sono state realizzate le discenderie necessarie per avviare i cantieri nella montagna, in Italia sono stati completati i 7 chilometri della galleria geognostica di Chiomonte in Val Susa.

A dicembre 2019 è stato assegnato l’appalto per la realizzazione delle nicchie di interscambio dei mezzi in galleria di Chiomonte. Il contratto, del valore di 40 milioni di euro, prevede la realizzazione di 23 nicchie (profonde 3 mt e lunghe da 30 a 40 mt) nella galleria esistente per facilitare il transito dei veicoli di cantiere. Il cunicolo della Maddalena, nato con finalità geognostiche, sarà così trasformato in passaggio di servizio e ventilazione per il tunnel di base.

Intanto in Val di Susa mercoledì 12 febbraio 2020 erano iniziati le procedure propedeutiche all’esproprio dei terreni nell’area di espansione del cantiere tra Giaglione e Chiomonte. I tecnici di Telt, società che sta realizzando la nuova linea, ha convocato i proprietari come prevede la procedura. Se ne sono presentati soltanto alcuni. Una ventina ha già firmato l’accordo per l’esproprio.

Le procedure di esproprio previste in questa fase sono 41, per un totale di 1,8 ettari. Si tratta delle aree coinvolte nel progetto di compensazione boschiva per la tutela della farfalla zerynthia polyxena, specie protetta. Il Consorzio Forestale Alta Valle Susa (a cui vengono consegnati i terreni) realizzerà il progetto dell’Università di Torino di un corridoio ecologico studiato per salvaguardare il raro lepidottero. Il piano elaborato dai ricercatori prevede la creazione di diradazioni boschive per far spostare la farfalla in via di estinzione lontano dalle attività.

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Lötschberg: la circulation entravée à cause d’infiltrations

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17.02.2020, 19:12 
La compagnie du BLS est encore toujours à la recherche des causes géologiques du problème. Image d'archive

CHEMIN DE FER La circulation au Lötschberg reste entravée à cause d’infiltrations d’eau qui avaient interrompu le trafic le 6 février. Les causes géologiques du problème restent toujours inconnues.

Un des deux tubes du tunnel du Lötschberg va rester fermé pour une durée indéterminée après les infiltrations d’eau qui avaient interrompu le trafic le 6 février. Non seulement il y a beaucoup plus d’eau que d’habitude à pomper, mais la compagnie du BLS est encore toujours à la recherche des causes géologiques du problème.

Tunnel de base

La BLS a du reste indiqué lundi à Keystone-ATS que la compagnie allait informer les médias sur l’état des travaux et sur les conditions géologiques à l’origine de la situation. Lundi, celle-ci n’avait guère évolué s’agissant de la circulation des trains. 

Ainsi les trains InterCity Romanshorn-Brigue peuvent emprunter le tunnel de base, mais en partie à vitesse réduite, ce qui entraîne des retards de l’ordre de quelques minutes. Les InterCity entre Brigue et Bâle sont eux déviés par la ligne sommitale via Kandesteg, provoquant un retard atteignant la demi-heure. Mais uniquement dans ce sens. Le Bâle-Brigue peut lui circuler dans l’unique tube praticable du tunnel de base.

30 cm atteint

Par chance, les infiltrations d’eau boueuse qui ont atteint 30 cm le 6 février sont survenues sur un tronçon à deux voies, entre Ferden et St-German (VS). L’Office fédéral des transports suit l’affaire de près, en étroit contact avec la BLS.

Contacté, son porte-parole note que les infiltrations d’eau représentent un défi dans tous les tunnels. Trouver l’origine géologique de celles du Lötschberg peut prendre du temps, précise-t-il tout en comptant sur la BLS pour réduire autant que possible ces délais.

Si l’attente devait se prolonger, les capacités du trafic marchandises nord-sud pourraient s’en trouver affectées, malgré les possibilités de déviation sur la ligne sommitale ou celle du Gothard.

Lötschberg, peggio del temuto

https://www.rsi.ch/news/svizzera/L%C3%B6tschberg-peggio-del-temuto-12750651.html?fbclid=IwAR3L23ajI5B8bZL2nU6I8MxRbQ5NKk4Ye8Iq4-HZm6t7JC7uVY8d3nOTalY

Uno due binari della nuova galleria di base tra Berna e Vallese bloccato a tempo indeterminato a causa delle infiltrazioni di acqua e fango

La situazione provocata dalla infiltrazioni di acqua e fango nella nuova galleria di base del Lötschberg inaugurata nel 2007 è più grave di quanto si temesse e non si sa quando i treni potranno tornare a circolare regolarmente nel tunnel che il 6 febbraio era rimasto chiuso completamente al traffico per alcune ore dopo che la melma aveva raggiunto un’altezza di 30 centimetri.

L'infiltrazione si è verificata nel tratto vallesano dove il tunnel è già a due tubi
L’infiltrazione si è verificata nel tratto vallesano dove il tunnel è già a due tubi (Comité du Lötschberg)

L’aggiornamento della situazione è stato fornito dalla BLS, la società che gestisce i collegamenti ferroviari tra Vallese e Berna sia sulla vecchia linea sia su quella realizzata nell’ambito del progetto AlpTransit. I treni Intercity Romanshorn-Briga e Basilea-Briga circolano nel tunnel di base, ma a velocità ridotta e quindi con qualche ritardo sull’orario previsto. Gli Intercity Briga-Basilea sono invece deviati sulla vecchia linea con un allungamento dei tempi di viaggio di circa 30 minuti.

Non solo nella galleria lunga 34,6 chilometri tra Frutigen e Raron c’è molta più acqua del previsto da pompare, informa un comunicato, ma gli specialisti sono ancora alla ricerca delle cause geologiche che hanno determinato il problema verificatosi tra Ferden e St. German sul lato vallesano, nel tratto dove ci sono due binari.

Ora si teme che, se gli accertamenti dovessero richiedere ancora molto tempo, vi saranno difficoltà sul fronte della capacità di assicurare il trasporto delle merci sull’asse Nord-Sud, malgrado le alternative rappresentate dal vecchio tunnel Kandersteg-Goppenstein e dal San Gottardo.

Lötschberg, situazione critica

Lötschberg, situazione critica

TG 12:30 di martedì 18.02.2020

Storia dei NoTav del 1994: il sì della Giunta della Regione Piemontedi MARIO BONTOSI CAVARGNA

https://www.lagendanews.com/storia-del-movimento-notav-del-1994/?fbclid=IwAR2qAqbAkAY6isA7RZYXi6vJfPUXE8k9iXW9dpvi1GwhXopulTqfTI2-WBQ

L'Agenda News

Movimento NoTav

Movimento NoTav

VALSUSA – Storia del Movimento NoTav del 1994: il sì della Giunta della Regione Piemonte. L’anno si apre con un convegno organizzato dalla Coldiretti e da Habitat a Sant’Ambrogio. Il 28 gennaio, il documento dei “4 No” viene votato dal consiglio della Comunità Montana della Bassa Valle di Susa dai rappresentanti dei 25 comuni. A febbraio, le associazioni francesi e quelle italiane si incontrano nuovamente alla Torre di Chianocco e si scambiano informazioni sullo stato del progetto. Negli stessi giorni arriva la notizia che è stato ritirato il progetto di elettrodotto ad altissima tensione. Gli ambientalisti della Valsusa vanno ad impegnarsi in toto contro il progetto di Alta Velocità. Di fatto si avranno due comitati. Uno a Condove e uno a Bussoleno intorno a Rifondazione e Verdi.
Mercedes Bresso

Mercedes Bresso

VERDI, RIFONDAZIONE E LEGA CONTRO

A marzo, la giunta regionale si esprime con un sì di massima al progetto esprimendo però tante cautele e molte raccomandazioni per i singoli impatti ambientali. A Bussoleno per un convegno l’ingegner Pistone ed il professor Chiocchia del Politecnico di Torino. Sono presenti tutte le amministrazioni della Bassa Valle ed il presidente della Comunità Montana, tre consiglieri regionali per Verdi, Rifondazione e Lega. Il sindaco di Bussoleno, Benetto, che è anche la parlamentare locale e l’assessore regionale all’ambiente.

IL FREJUS FERMO IN  5 ANNI

Ad ottobre si tiene a Torino un convegno con la partecipazione di Necci che afferma “la capacità dell’attuale linea del Frejus di portare merci e persone sarà saturata tra 4 o 5 anni”. Ad Avigliana vengono il presidente della Regione Brizio, la vicepresidente Bresso. Travolto dai fischi, Brizio non riesce a difendersi. Il secondo incontro regionale a Susa si preannuncia più facile perché si sa che l’amministrazione comunale di questa città non vuole unirsi agli altri sindaci perché si attende che l’Alta Velocità faccia una fermata a Susa. Ma l’assemblea non va meglio: Brizio e la vicepresidente Bresso vengono subissati da fischi e dalle urla di protesta.

Alpetunnel

Alpetunnel

CREATA ALPETUNNEL

A fine novembre, le Ferrovie italiane e francesi creano Alpetunnel. La società che dovrà eseguire gli studi e definire entro il 1996 la fattibilità e le modalità di finanziamento e di gestione del tunnel sotto il Moncenisio. Di lì a poco, al vertice europeo di Essen, il Cristophersen Group presenta i 14 progetti infrastrutturali su cui la Comunità Europea deve esprimersi. I lavori dovranno iniziare prima della fine del 1996 e che la Banca Europea degli Investimenti cercherà i finanziamenti sul mercato. Si svolge ad Aix en Provence l’annuale vertice italo francese. I ministri dei Trasporti di Berlusconi e di Mitterand fanno il possibile e firmano l’intesa che stanzia 240 miliardi per gli studi di fattibilità. Quello italiano, Fiori, rassicura i valsusini che la nuova linea sarà realizzata con il consenso delle autorità locali.

IL LIBRO

Il testo è preso dal libro di Mario Cavargna Bontosi che ha gentilmente concesso la pubblicazione: NoTAV. Cronaca di una battaglia ambientale lunga oltre 25 anni. Vol. 1: 1990-2008. Edizioni Intra Moenia.

Libro NoTav

Libro NoTav

Perché l’Italia non si è mai liberata davvero del fascismo

http://contropiano.org/interventi/2019/04/27/perche-litalia-non-si-e-mai-liberata-davvero-del-fascismo-0114877?fbclid=IwAR2D4BqIWiod0vj6uokb11dazWyAQ0YmshQhzz_WzaaIOEJD02E6ebitdSI

Podhum è una piccola località croata, 8 km a nord di Fiume. Intorno alle 7 del mattino del 12 luglio 1942 truppe regolari dell’esercito italiano entrarono nel villaggio, accompagnate dai Carabinieri e dalla milizia fascista. Avevano l’ordine di giustiziare tutti gli uomini tra i 16 e i 60 anni, e lo eseguirono con fucilazioni di gruppo.

Neanche cinque ore dopo gli italiani avevano bruciato quasi tutte le 320 case del villaggio, mentre il resto della popolazione, oltre 800 persone tra donne, vecchi e bambini, venne spedita nei campi di concentramento in Italia. Oggi a Podhum c’è un monumento che ricorda quell’eccidio, riporta 91 nomi di vittime.

L’eccidio di Podhum è uno degli episodi più tragici accaduti in Jugoslavia in quegli anni, e va inserito all’interno di un disegno generale, un’operazione preparata con cura dagli italiani, il cui scopo era lo sterminio delle popolazioni slave dei territori annessi della Slovenia e della Croazia. Gli ordini erano chiari.

Mario Roatta era il comandante della II Armata operante in quei territori, il suo soprannome era la “bestia nera”. Il primo marzo 1942 aveva diramato la Circolare (aggiornata e stampata il primo dicembre, in un opuscolo di circa 200 pagine distribuito a tutti gli ufficiali dell’esercito). Si trattava di un documento programmatico con il quale si dava il via alla cosiddetta Operazione Primavera.

Cardine di quella circolare era il principio di spopolamento attraverso la deportazione e il massacro. Bisognava attuare una pulizia etnica, bisognava colonizzare, e farlo usando i mezzi più brutali. In quella circolare venivano definiti da Roatta i dieci punti che i quadri dell’Armata dovevano tenere “costantemente presente”, due dei quali esemplari per comprendere la totale infondatezza del mito degli ”italiani brava gente”.

Un mito che lo stesso Roatta cercava di allontanare il più possibile: al primo punto della Circolare, infatti, si esigeva il “ripudio delle qualità negative compendiate nella frase “bono taliano”. Gli italiani non potevano e non dovevano essere buoni. Per questo, come si specificava al punto 6, “il trattamento da fare ai partigiani” non doveva essere sintetizzato “dalla formula ‘dente per dente’ ma bensì da quella ‘testa per dente’!”

So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori”. Così scriveva nel 1943 Benito Mussolini ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia. Per volere del duce – quello che, grazie al meccanismo di cancellazione della memoria, secondo troppi “a parte la guerra, ha fatto cose buone” – e guidate da generali come Roatta, Graziani, Badoglio, le nostre truppe hanno ucciso centinaia di migliaia di civili, usato gas tossici, deportato donne e bambini nei campi di concentramento, bombardato la Croce Rossa. Tutto per distruggere culture che ritenevamo inferiori, noi che eravamo “i discendenti dell’Impero romano”.

Se non bastasse, dopo aver commesso tali atrocità abbiamo fatto di tutto per cancellarle dalla memoria collettiva. Tutta la storia della giovane Repubblica italiana si fonda sull’inganno che ci ha permesso di considerarci vittime della guerra, anche quando eravamo carnefici. I crimini perpetrati durante e dopo la Seconda Guerra mondiale sono stati coperti, così come i responsabili.

Erano più di mille i presunti criminali di guerra, accusati dai Paesi dell’Africa e dei Balcani, ma nessuno di questi ha mai affrontato la giustizia, per due motivi: da una parte la volontà di creare un mito nazionale, quello degli “italiani brava gente”, che da decenni ormai ci permette di confrontarci moralmente – e autoproclamarci vincitori – con il “rigore” tedesco o lo snobismo inglese e francese. Perché alla fine “l’italiano ti aiuta sempre”. Dall’altra quella di scagionarci e assolverci per sempre, cancellando le atrocità compiute mentre si “onorava la patria”, passando alla storia come vittime della guerra e non carnefici. E in questo siamo stati aiutati dagli Alleati, in particolare da Stati Uniti e Gran Bretagna.

In seguito all’armistizio di Cassibile, con il quale il Regno d’Italia cessava le ostilità verso gli Alleati, dal 18 ottobre all’11 novembre 1943 si tenne la terza conferenza di Mosca: in quell’occasione i rappresentanti degli Alleati – il britannico Anthony Eden, lo statunitense Cordell Hull e il sovietico Vyacheslav Molotov – stipularono la Dichiarazione di Mosca. Gli Alleati dichiaravano di voler agire affinché “I capi fascisti e generali dell’esercito, noti o sospettati di essere criminali di guerra” venissero “arrestati e consegnati alla giustizia.”

Il 20 ottobre venne costituita presso le Nazioni unite la United Nations Crimes Commission, con la partecipazione di 17 Paesi alleati (Francia, Grecia, Norvegia, Paesi Bassi, Australia, Canada, Stati Uniti, Regno Unito, Polonia, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Belgio, Cina, India, Nuova Zelanda, Lussemburgo): il suo compito sarebbe stato quello di creare una lista dei criminali di guerra per facilitare l’azione dei governi in tutto il mondo.

Nei suoi Crowcass (Central register of war criminals and security sospects) entrarono così un migliaio di presunti criminali di guerra italiani, richiesti da Jugoslavia, Grecia, Francia, Inghilterra – l’Etiopia aveva tentato di partecipare ai lavori della Commissione per denunciare i numerosi delitti perpetrati sul suo territorio dalle forze di occupazione fasciste, ma non era stata ammessa in quanto la War Crime Commission si occupava solamente dei crimini commessi durante la seconda guerra mondiale.

Eppure, proprio quel generale Badoglio che il 13 ottobre aveva dichiarato guerra alla Germania ottenendo dagli alleati lo stato di “co-belligeranza”, aveva, per esempio, pianificato e messo in atto vari bombardamenti con gas tossici durante le guerre di annessione del ‘35 in Etiopia. Lo stesso Badoglio che poi fu a capo del governo che firmò l’armistizio del ’43; lo stesso in onore del quale Grazzano Monferrato, paese natale del generale, cambiò il nome in Grazzano Badoglio.

Una discussione fra gli Alleati sulla figura di Badoglio si aprì, ma il caso venne abbandonato grazie anche alla pressione del Foreign Office inglese: in un telegramma cifrato spedito all’ambasciatore inglese a Roma nel settembre 1945, si legge: “Dovrebbe cercare di portare all’attenzione dell’onorevole Parri [allora Presidente del Consiglio dei ministri] in maniera confidenziale e ufficiosa, il prezioso contributo che Badoglio ha fornito alla causa alleata, esprimere la speranza che questo contributo venga sottoposto alla attenzione della corte prima dell’udienza”.

È comprovato che gli anglo-americani fossero a conoscenza dei crimini italiani e della loro crudeltà, ma negli anni che seguirono l’armistizio li coprirono, ritenendo utili e affidabili per la lotta anticomunista molti dei nomi compresi in quelle liste. Paese nemico arresosi senza condizioni, l’Italia dopo l’8 settembre 1943 stava subendo l’occupazione tedesca, con numerose vittime fra la popolazione civile; per contro, negli anni di guerra combattuta a fianco della Germania le truppe italiane si erano macchiate di gravi crimini e molti loro ufficiali erano richiesti da Paesi che appartenevano alle Nazioni Unite. E così, pressati dalla necessità di decidere, si decise di prender tempo.

Viste le continue proteste per la mancata estradizione dei criminali di guerra italiani degli ex Paesi occupati, in particolare quelle della Jugoslavia, nel febbraio del 1946 il ministro della Guerra Manlio Brosio propose al presidente del Consiglio De Gasperi di istituire una “Commissione d’inchiesta” che indagasse sui “presunti” criminali di guerra italiani, col fine di “poter giudicare, con i propri normali organi giudiziari e secondo le proprie leggi, quelli che risultassero fondatamente accusati da altri Stati”, onde “eliminare la possibilità di arresti e di consegne di italiani agli Stati richiedenti, senza il concorso dello Stato Nazionale”. D’altronde, come si dice, i panni sporchi si lavano in casa.

È chiaro che Alleati e governo italiano volessero attuare una resistenza passiva alle richiesta dei Paesi esteri. Per questo, nel febbraio del 1948, con la Jugoslavia che continuava a chiedere l’estradizione dei crimini di guerra italiani, l’allora segretario generale del ministero degli Esteri Vittorio Zoppi propose alla Presidenza del Consiglio di “guadagnare tempo evitando di rispondere alle richieste jugoslave, mantenendo un atteggiamento temporeggiante”. La risposta a nome del Presidenza arrivò il 16 febbraio, firmata dal sottosegretario Giulio Andreotti: “Concordiamo con le vostre conclusioni”.

Anche la Commissione italiana non prese neanche in considerazione le azioni svolte dai militari italiani in Libia, Eritrea, Etiopia e Somalia, dove anche contro i civili vennero usate bombe a gas, torture ed esecuzioni sommarie, o la deportazione in campi di concentramento.

Sono parecchi gli italiani che si sono resi tragicamente celebri nei Paesi del Nord Africa, come il generale Rodolfo Graziani, soprannominato il “macellaio di Libia”: era uno che attaccava vecchi e malati disarmati e che poi si faceva fotografare con in mano le teste dei “nemici”. Non fu mai processato per questi crimini, perché nessun processo nei confronti delle centinaia e centinaia di criminali di guerra fascisti è stato mai celebrato.

Come sottolineato da Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer in un saggio del 2001 su Contemporanea, “nessuno dei criminali di guerra italiani fu mai giudicato. Nei confronti di alcuni fu spiccato un mandato di cattura da parte della magistratura italiana, ma venne dato a tutti il tempo di mettersi al riparo.”

Questa vicenda è solo parte dell’insabbiamento dei crimini nazifascisti, che vede un ulteriore, assurdo quanto oscuro, capitolo in quello che è stato rinominato da Franco Giustolisi “l’armadio della vergogna”. Nel 1994 venne ritrovato in via degli Acquasparta a Roma, dentro palazzo Cesi-Gaddi, sede della Procura generale militare, un vecchio armadio. Aveva le ante rivolte verso il muro. Così, per quasi 50 anni erano stati tenuti al segreto 695 fascicoli d’inchiesta e un Registro con 2274 notizie di reato, relative a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazifascista.

Quell’armadio era la manifestazione in legno, carta e inchiostro dell’occultamento degli orrori perpetrati dai nazifascisti, in Italia e fuori. E oggi più che mai dovrebbe far riflettere la motivazione che si addusse: quella di Stato. Stava infatti iniziando la Guerra fredda, vi era la necessità di evitare problemi alla Germania federale, che in quel periodo stava ricostituendo il proprio esercito e si sarebbe dovuta inserire in maniera forte nell’Alleanza Atlantica, e il governo italiano, così come gli alleati, aveva bisogno di ripulire il più possibile il passato fascista italiano, per utilizzare il Paese nella lotta al blocco sovietico.

Per questo hanno operato insieme per evitare sia di consegnare, ma anche di giudicare, i presunti colpevoli delle stragi.

L’Italia ha così consapevolmente rinunciato al diritto di richiedere la consegna e di perseguire i militari tedeschi accusati di strage in Italia: come sottolineato anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, “il governo italiano si trovava nell’imbarazzante situazione da un lato di negare l’estradizione di presunti criminali italiani, richiesta da altri Paesi, e dall’altro di procedere alla richiesta, proveniente dalla magistratura militare italiana, per l’estradizione di militari e criminali di guerra tedeschi”. Così si decise di non fare né l’una né l’altra cosa.

A prevalere fu quindi una particolare convergenza di intenti tra l’Italia e gli Alleati. Da una parte, infatti, questi comprendevano l’importanza della pedina italiana nella spartizione in blocchi del mondo. Da parte nostra invece c’era la necessità di difendere i presunti criminali di guerra italiani richiesti da altri Stati. Secondo la relazione della Commissione, la difesa a oltranza dei presunti criminali italiani attuata dal nostro Paese fino al 1948 “è responsabilità dei governi dell’epoca, che condivisero la difesa ad oltranza dei presunti criminali italiani, e sacrificarono sull’altare dell’onore dell’esercito italiano la punizione dei gravi crimini commessi dai nazifascisti in Italia.” Dal ’48 in poi a questo si aggiunse una necessità di carattere internazionale, “non mettere in imbarazzo la Repubblica Federale tedesca, tassello essenziale del blocco occidentale. Con la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, così, anche per l’Italia la stagione dei processi per crimini di guerra poteva dirsi conclusa.”

Ecco su cosa si fonda il mito dell’Italiano brava gente, quello del simpatico colonizzatore, del docile conquistatore. Un mito che ha la necessità però di essere costantemente alimentato. E così negli anni il nostro Paese ha continuato a rifiutarsi di analizzare con serietà, con il dovuto distacco, gli orrori commessi in nome e per la gloria della Patria.

Uno degli esempi più grotteschi, quasi ridicoli, è datato 1991. Quell’anno nelle sale italiane veniva presentato Mediterraneo, di Gabriele Salvatores. Il film è uno spaccato di un’ipotetica occupazione italiana su un’isola greca: il contingente italiano, goffo e impreparato, familiarizza con gli abitanti dell’isola, fino ad affezionarcisi e decidendo, in alcuni casi, di abbandonare l’Italia stessa. Mediterraneo vincerà anche il premio Oscar, consacrando in patria e all’estero il mito del buon italiano. Quello che va a prostitute ma poi se ne innamora e torna le rende “donne per bene”. Quello che sì, magari è un po’ nazionalista, ma alla fine, se gli dai da fumare un po’ d’hashish diventa un compagnone, e poi si fa pure fregare i vestiti dai turchi. Quello che “una fazza una razza”, insomma.

Proprio nel 1991 la Rai decise di acquistare dalla Bbc un documentario. Lo comprò, ma non per mandarlo in onda, anzi per il motivo opposto. Una decisione incomprensibile, almeno fino a quando non si legge il titolo di quel documentario: Fascist Legacy.

Era andato in onda due anni prima in Inghilterra, e raccontava degli ottocento criminali di guerra italiani responsabili della morte di circa un milione di civili e di come fossero sfuggiti a qualsiasi processo perché inglesi e americani avevano bisogno di loro per mantenere i comunisti fuori dal governo. Raccontava gli orrori dell’occupazione italiana in Jugoslavia, Albania, Grecia, della Libia, Etiopia. Narrava in che modo questi erano venuti finalmente a galla grazie a un’indagine compiuta negli archivi diplomatici americani e inglesi e in quelli della Commissione delle Nazioni unite per i crimini di guerra.

Già nell’89 il documentario aveva suscitato accese polemiche: l’allora ambasciatore italiano a Londra Boris Biancheri inviò addirittura una lettera di protesta al presidente della Bbc Marmaduke Hussey, accusando il programma di prendere di mira l’Italia su un tema che ha in realtà dimensioni ben più ampie; quando poi il consulente storico del programma, Michael Palumbo, chiese di discutere la sua trasmissione con l’ambasciatore italiano, questo si rifiutò sostenendo che i giudizi globali devono essere lasciati agli storici. Per questo era meglio che nessuno in Italia vedesse quel documentario. Solo nel 2004 La7 ne trasmise degli stralci durante il programma Altra Storia.

Come per le discariche sommerse di cui è pieno il nostro territorio, anche la storia dell’occultamento dei crimini nazifascisti ogni tanto torna a galla, attraverso episodi che sembrano marginali. Come quando, ancora nel 2001, l’Etiopia accusava l’Italia di non rispettare gli accordi internazionali rifiutandosi di comunicare la posizione dei suoi depositi segreti di armi chimiche risalenti al periodo dell’occupazione. Qualche settimana prima durante alcuni lavori in una scuola nella regione settentrionale del Tigray, i muratori avevano trovato un deposito nascosto con munizioni e granate. Avevano dovuto sospendere i lavori per paura che si trattasse delle armi con gas tossico.

È anche grazie a questa enorme operazione di insabbiamento che oggi un ministro può permettersi di dire che a lui “interessa poco il derby fascisti-comunisti”. Per questo può permettersi di non celebrare la Liberazione dell’Italia. Perché del fascismo in realtà l’Italia non si è mai liberata.

* Per ulteriori approfondimenti, Contropiano consiglia la lettura di Criminali di guerra italiani,  di Davide Conti e Il caso Roatta, di Laura Bordoni, entrambi editi da Odradek.

ALTO TRADIMENTO (E NON SOLO DA CORONAVIRUS) —- UNA CLASSE POLITICO-MEDIATICA AL SERVIZIO DEI NOSTRI NEMICI

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/02/alto-tradimento-e-non-solo-da.html

MONDOCANE

MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2020

 

La politica è l’arte di impedire alla gente di immischiarsi in quello che la riguarda” (Paul Valery)

Prima di addentrarci nel groviglio tossico della virusfobia programmata, dal titoletto qui sopra, che ne indica i facilitatori, traiamo un campione esemplare. Premetto, a scanso di equivoci, che non ho nessuna simpatia per i petrolieri e che anzi combatto i loro effetti nefasti da una vita. Ma qui non c’entra. Come dicono gli inglesi sovranisti? “Right or wrong, my country”.

Sul “Fatto Quotidiano”, specie negli Esteri, impera Stefano Feltri, illustre esponente della nota schiatta e Comunità. Da anni, tra frustrazioni e contraccolpi, il vicedirettore del quotidiano si accanisce contro l’ente nazionale idrocarburi, ENI, che tuttora, come ai tempi del compianto Mattei, eccelle nella sua categoria e infastidisce tutti i suoi concorrenti a Ovest. Due sono le linee d’attacco, strettamente intrecciate

I proxies di Rockefeller nella guerra all’Italia

Primo, le presunte tangenti che l’ENI (come, semmai, tutti i suoi “competitors”) avrebbe versato ad Algeria e Nigeria per assicurarsi giacimenti e condotti. Sull’Algeria, Descalzi e Scarone, i due manager, sono stati assolti; sulla Nigeria è in corso il processo. Smerdarli sarebbe prematuro e illegittimo. Ma il Feltri di Bilderberg non ha di questi scrupoli. L’accanimento è tanto parossistico, quanto strumentale. Il secondo dante causa è Giulio Regeni, presunta e mai dimostrata – anzi! –  vittima del regime “criminale del dittatore Al Sisi”, ora duplicato nel presunto – e smentito – torturato Patrick Zaki. Di dimostrato, e però accuratamente occultato, c’è invece il dato che il giovane Regeni frequentava ambienti spionistici e per una delle più grosse multinazionali dello spionaggio industriale, la Oxford Analytica, retta dal criminale degli squadroni della morte, Negroponte,  ha lavorato prima di essere mandato in Egitto a contattare oppositori. A uno dei quali, agente egiziano sotto copertura, come da video, aveva offerto “progetti”. Bruciato, da chi può essere stato eliminato nel momento in cui il governo italiano e l’ENI stringevano accordi per miliardi con il Cairo?

Con Regeni e Zaki contro l’ENI

 

ENI in Egitto e Libia

Il bersaglio vero e ultimo della spasmodica ENI-fobia di Feltri è la partnership ENI-Egitto che controlla, a beneficio dello sviluppo dell’Egitto e dei rifornimenti energetici dell’Italia, ahinoi fossili, ZHOR, il più grande giacimento di idrocarburi del Mediterraneo. Una ricchezza che fa ombra alle risorse turche e israeliane e, grazie al sanguinario dittatore Al Sisi, che ogni giorno si mangia tre Fratelli musulmani bambini, è stata sottratta alle compagnie serie da questi pidocchiosi italiani. Come ai tempi di Mattei. Ma come, l’Italia non avrebbe dovuto dipendere dalla nostra disponibilità grazie al TAP, quello degli Stati Uniti dall’Aberzaijan al Salento? O, grazie all’Eastmed, quello da Israele sempre al Salento? O, meglio ancora, dalle scisti statunitensi da fracking? Scandalo.

P2, sempre al servizio dello straniero

Vale, a proposito, mettere in primo piano il personaggetto sulle cui accuse si basa gran parte della campagna di Feltri e del FQ. Si chiama Luigi Bisignani, un ragazzo d’oro, un campione del nostro capitalismo imprenditoriale. Un “amerikano” condannato nel ’93, da Mani Pulite, a 2 anni e 6 mesi, per violazione della legge sul finanziamento dei partiti, radiato dall’Ordine dei Giornalisti, ricondannato a 19 mesi, definito “faccendiere”, ma anche “uno degli uomini più potenti d’Italia”. Una fonte illibata, dunque, credibile e affidabile fino in fondo. Uno che voleva, lui, diventare capo dell’ENI, nel cui Consiglio d’Amministrazione s’era infilato e c’era rimasto male e avvelenato per non esserci riuscito. Grave ingiustizia per il FQ, Nonostante la sua militanza massonica, tanto conclamata quanto negata, dalla P2 alla P4 e fino al patteggiamento per il rotto della cuffia di un’altra condanna a quasi due anni.

Vediamo ora in che scenario si colloca questa campagna del Fatto Quotidiano, giornale notoriamente e fieramente atlanto-sionista, linea peraltro portata avanti in modo giornalisticamente rozzo e scadente, che copre i suoi allineamenti facendo un po’ di pulci a qualche segmento della classe politica italiana, ma è un accanito sostenitore della formula, salvifica per il PD e letale per il M5S, Conte-Zingaretti-Di Maio.

Quanto più Greta, tanto più petrolio

Al di là e a dispetto delle apparizioni di Greta Thunberg ai suoi chierici e al suo gregge e  finalizzate, come il Coronavirus, a farci rintanare nei nostri singoli loculi, terrorizzati dalla presunta apocalissi climatica incombente, ma depistati da inquinamento chimico di aria, cibo, acqua, farmaci, tutta l’economia capitalista è tuttora alla frenetica caccia di nuove risorse fossili, effettivamente in continua scoperta. Con l’ENI e i russi in stretta collaborazione, da una parte, e i giganti occidentali degli idrocarburi e delle relative infrastrutture dall’altra, BP, Shell, Exxon, Total, Mobil, Aramco, Chevron, i fronti sono definiti. Proprio come al tempo in cui il nano Enrico Matteri sottraeva ai giganti, con accordi alla pari del 50-50, anzichè del 75-25 pro compagnie occidentali, gran parte del bottino. Lui commerciava con il democratico premier iraniano Mossadeqh che Usa e UK rovesciarono con un colpo di Stato per reimporre il despota Pahlevi.

Bilderberg: a chi il petrolio? A noi!

La Storia si ripete e Feltri, come del resto molti altri suoi colleghi, a partire dalla mosca cocchiera sorosiana, “il manifesto”, pare compiacersene. Emulo di Lilli Gruber, nota abituè del consesso Bilderberg, quello fondato da Rockefeller (Exxon), strategizzato da Kissinger e padroneggiato da un’accolita di supermiliardari nella luce dei Rothschild e dei Warburg, che di anno in anno decide di come debba andare il mondo, soprattutto accentuandone le diseguaglianze, Stefano Feltri ne è stato ospite di gran riguardo all’edizione 2019.

 Italiani al Bilderberg

Edizione in cui, si mormora, molto si è parlato di petrolio (Rockefeller oblige), ma anche di piattaforme digitali, clima, Brexit, altre mangiatoie capitaliste,di Medioriente, Russia, e soprattutto di Cina, definita, come da ripetuti ammonimenti del Dipartimento di Stato, massima minaccia mondiale (e avrete notate come nei locali portavoce, tipo “il manifesto” e, appunto, il FQ, o “Repubblica”, all’ormai ancestrale russofobia, che data dalla radiazione dei “compagni” 50 anni fa, si vada “escalando” una formidabile sinofobia (pensierino al Coronavirus di cui tratteremo prossimamente).

Bene. Perché non farsi ospitare nei privatissimi e discretissimi convivi di Bilderberg, tanto più che avvengono nei più lussuosi hotel del mondo e darsi di gomito con illustrissimi come Soros (quello che sussurrava all’orecchio di Obama e Hillary), Bloomberg, Elkan, Slim e tutta la crème de la crème finanziaria globale? Nonché con un paggetto rimediato da Firenze, tanto per garantirsi il protettorato anglosassone sul capoluogo mediceo, visto che a Matteo Renzi quello sul paese pare sfuggito per sempre. Feltri spiega che lui è giornalista e di conseguenza curioso, e perciò interessato a vedere, a capire. Non a riferire, però. Del resto, che importa. A Montreux cosa volete che facessero, a parte decidere colore e trama del cappio che dovrà strangolarci?

Giornalista, muto devi stare!

Voi fiduciosi lettori del foglio di Travaglio che bastona quelli a piano terra e va ai cocktail di quelli nell’attico, massimo celebrante alla messa dove il M5S è l’ostia e il PD fa la Comunione, avete letto una sola riga di Feltri su quanto di strategico, di operativo, di epocale, è stato discusso e deciso nel lungo fine-settimana nella Svizzera dei meglio e più nefandi segreti custoditi del mondo? Da giornalista con il compito di raccontare alla gente quello che si va facendo, specie nelle oscure stanze, a ospite di quelle stanze, la cui oscurità è protetta dai curiosi, dagli interessati, dai giornalisti, con non meno di tre cinture di sicurezza armate, cecchini compresi. La Linea Maginot non gli fa un baffo.

Dal Bilderberg al 41bis?

Al giornale “indipendente” Fatto Quotidiano, come al politicuzzo che voleva la riforma costituzionale alla Bilderberg, come alla signorina Gruber che, da membro del Comitato Direttivo di Bilderberg, manifesta fastidio per tutto ciò che dà fastidio ai multimiliardari in capo al mondo, come alle Maggioni, ai Monti, ai Caracciolo, ai Prodi, ai Draghi, ai Parolin segretario di Stato (!), a tutti gli scherani e gli sguatteri di quell’accolita, andrebbe riservato il 41bis. Ogni cura, per carità, il prof. Burioni contro eventuali virus, bella veduta sul paesaggio, l’occasionale aragosta, tutte le serie di Don Matteo. Ma rigorosamente niente contatti col pubblico. Al Bilderberg ne hanno perso la facoltà.

Anche perché, tornati a casa, di ciò che Bilderberg vuole, al pubblico nulla hanno mai detto, ma tutto hanno fatto. E a chi s’è fatto delle domande, hanno dato del complottista. A finire oggi con il Coronavirus, di cui ci occuperemo prossimamente. Andrebbero tutti radiati.

Julian Assange, invece, di cui s’è detto in precedenza e che, riconoscendosi giornalista e ospite di nessuno, di quelli che sono i derivati, gli annessi e connessi di Bilderberg, tutto ci ha raccontato. Al 41bis ce lo stanno mandando lui.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 18:41

“IL MANIFESTO” SU JULIAN ASSANGE —– QUANDO UN GIORNALE (ANTI)COMUNISTA SI MISURA CON UN GIORNALISTA VERO E CON IL CARCERE ALLA LIBERTA’ DI STAMPA

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/02/il-manifesto-su-julian-assange-quando.html

MONDOCANE

MARTEDÌ 25 FEBBRAIO 2020

 

«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare»

Martin Niemöller (1892-1984)

Operazione Coronavirus, scusa un attimo

Sorvolo per il momento sul focolaio di carognavirologi e carognamediatici e carognapolitici che dovrebbe fare da innesco al dilagare di un incendio, globale come tutti gli altri crimini contro l’umanità, programmato per incenerire quanto ci resta di libertà, socialità e vivere collettivo. Siamo davvero alla più massiccia esercitazione dell’arma fine del mondo mai compiuta, sia in termini di avvio dello scontro finale con la Cina e la sua Via della Seta, che poi significa evitare la fatale (nel senso della logica storica, geografica, culturale e, quindi, del destino) congiunzione eurasiatica, contro l’insensata, artificiale, forzata e letale aggregazione subalterna transatlantica.

Ma devo dire due parole su un simbolo dello scontro in atto tra libertà individuale e collettiva (a 75 anni dalla fine delle dittature europee siamo a questo punto!) e su come questo simbolo, maestoso, incorrotto, di un coraggio senza uguali nel mondo cui appartiene, capace di raccogliere il sostegno, l’indignazione e la commozione di milioni di persone perbene, viene pugnalato alle spalle da chi si professa dalla parte dei giusti e delle vittime.

Assange come lo vedono gli umani

Sabato un gruppo neanche poco folto di romani s’è riunito in Piazza del Popolo per ricordare, onorare, sostenere Julian Assange. Erano gli “Italiani per Assange”. Lo stesso a Milano, il Comitato per Assange, in Piazza Liberty, domenica. Nelle stesse giornate a partire da Londra, una grande marcia è stata dedicata al giornalista vindice della libertà di stampa e di espressione e rinchiuso per queste colpe in un carcere di massima sicurezza in attesa di estradizione in una prigione Usa per 175 anni, sotto 17 accuse di spionaggio e rivelazione di documenti classificati. In tutto il mondo persone custodi dell’onesta percezione e trasmissione della realtà si sono mosse nello stesso senso. Persone perbene, impegnate per il bene massimo che rende dignitosa e vivibile la vita: la verità, il poter vedere e capire la differenza tra male e bene, giusto e ingiusto, vero e falso. Il poter attribuire responsabilità, negare l’impunità. Quindi, borghesi, operai, studenti, intellettuali, poeti, scienziati, comunisti, socialisti, liberali, vagabondi, animalisti, destri, atei, religiosi…. giornalisti.

Non tutti. In Italia pochi frammenti di un discorso che infastidisce, reazioni rituali. Come quasi sempre in Europa, in Occidente, nei media “mainstream” (per dire “di regime”), se non per fortuna qualche volta nei social, la categoria dei “comunicatori” ha saputo dare il meglio dell’ignavia, dell’opportunismo, del servilismo, dell’ignoranza. I migliori erano comunicati secchi, qualcuno con un veloce riferimento all’eventuale minaccia alla libertà di stampa, sulla prima udienza lunedì in tribunale per il no o sì (garantito) all’estradizione nelle Guantanamo della belva colpita da Assange. Da Assange e da chi, ora donna, gli ha fornito gran parte delle informazioni che la belva l’hanno spogliata delle sue tonache e dei suoi sai: Chelsea Manning, dopo 7 anni di galera, ora di nuovo incarcerata perché, eroica, si rifiuta, “fino alla morte” ha giurato, di testimoniare contro Julian davanti alla schifezza di un Gran Giury segreto. E predeterminato.

Alla luce della fervida predilezione del “manifesto” e del nume Soros per certe minoranze, almeno la transgender Chelsea avrebbe dovuto meritarne, se non altro, un po’ di solidarietà. Ma c’è evidentemente transgender e transgender.

Il meglio di sé l’ha dato un giornale che in ogni pagina, ogni titolo, ogni riga, rinnega quanto figura nella testata: “quotidiano comunista”. Sono abituato, per annosa consuetudine, alla lettura di questo organo, che richiederebbe da chiunque di essere demistificato e sottratto alle illusioni dei suoi sempre più contaminati lettori, ad affrontare giornalmente le prove dell’allineamento del “manifesto” con le direttrici (o direttive?) atlantiche. Neanche solo di Washington, tipo Giovanna Botteri o Vittorio Zucconi, neanche solo del corrottissimo e guerrafondaio partito obamiano, per il quale ha a suo tempo condotto una campagna invereconda per la signora del genocidio libico, Hillary Clinton.

Un po’ equidistante, un po’ né-né, un po’ Soros

No, se cercate divergenze tra quanto sapete dei progetti della globalizzazione neocon e del loro bancomat George Soros e quanto vedrete sostenuto da questo giornale in termini di “dittatori”, “diritti umani”, gender, migrazioni, Russia, Cina, Iran, Nicaragua, regime change e rivoluzioni colorate, non le troverete. E quindi non troverete nulla che si avvicini a una protesta perché uno Stato della sorveglianza universale, della totale mancanza di trasparenza, della successione di guerre sterminatrici e terrorismi, della manipolazione sistematica e strutturale della verità, si accinge a spegnere una delle ultime, delle più valide e dirompenti voci che ne abbiano rivelato la natura.

Dopo una foto qualche tempo fa di Assange col suo gatto, titolato con avvedutezza  “personaggio controverso” (non riferito al gatto), erano martedì tre quarti di pagina che, da Londra, Leonardo Clausi dedica ad Assange e che riempie di supponenza finta-equidistante e sostanziale denigrazione. E la sua rappresentazione di chi ci ha rivelato gli orrori delle guerre Usa e Nato in Iraq, Afghanistan, la tortura sistematica alla Abu Ghraib, la complicità di Hillary con i terroristi jihadisti finanziati dai sauditi, gli intrighi e le cospirazioni ai danni di governi e popoli per sottometterli a un dominio ricattatorio e totalitario, il servilismo di politici venduti e complici delle sventure inflitte al proprio paese, i colpi di Stati diretti o indiretti in serie, le prepotenze economiche, la libertà di delinquere delle multinazionali, insomma una buona parte della cicuta che di questi tempi viene amministrata all’umanità. Leggetelo per farvi un’idea di cos’è oggi da noi il giornalismo “de sinistra”.

Assange come lo vede “il manifesto”: un hacker!

Accennato in dieci righette all’unico episodio che proprio, delle nefandezze Usa non si potevano nascondere, il mitragliamento dall’elicottero di 12 innocenti, tra cui due giornalisti Reuters a Baghdad, con relative celebrazione a bordo, l’autore, davanti a uno scontro epocale sui fondamentali della società, mantiene un equilibrio da perfetto funambolo tra carnefice e vittima, citando, senza deviare di un millimetro in un senso o nell’altro, la posizione degli Stati Uniti e quella dei difensori di Assange: Usa: “con i “leaks” Assange e Manning avrebbero messo a repentaglio la vita di centinaia di dissidenti in Iraq e Afghanistan, esponendoli a violenza, tortura e morte. Per questo il giornalista e hacker (mai hackerato niente, ma il termine sa di russo e quindi è infamante. Ndr) è da considerarsi un criminale comune e non un perseguitato politico, come sostiene la difesa”.

La Difesa. “L’estradizione non va concessa per la natura politica delle accuse rivolte e perché si sarebbe limitato a divulgare quanto ricevuto dalla stessa Manning e da altri”. Punto. Che chi fa di mestiere il narratore e analista di quanto succede nel mondo perchè i cittadini sappiano sempre tutto, soprattutto le malefatte dei pochissimi che li gestiscono e comandano e per questo, incredibilmente ancora rischia l’intera sua professione, libertà, salute, vita, è una cosa che per il cronista da Londra non vale un battito sulla tastiera. Potrebbe mai balenare a questi nipotini di Hillary che quanto Assange ha fatto avremmo dovuto farlo tutti noi? Per lui il trattamento, per ormai 9 anni, di una persona rinchiusa in una stanza, senza luce del sole, spiata, vessata, chiusa in isolamento in carcere per oltre 50 settimane, ridotta a una larva che, in aula non sa capire il procedimento, fa fatica a declinare le sue generalità, è solo una “persona depressa che rischia di suicidarsi”.

E così sia

Infamia! 
Assange è stato strappato a forza dall’ambasciata dell’Ecuador e, dal cellulare, ha salutato con il segno della vittoria. Che, nonostante le sue condizioni, ha ripetuto in aula. Mai manifestato propositi suicidi. Quelli sono la traslitterazione del “manifesto” di quanto dichiarato ripetutamente dal Relatore dell’ONU contro la Tortura e per i Diritti Umani, Nils Melzer: “Il trattamento di Julian Assange corrisponde a tortura e rischia di farlo morire”.Ma quale suicidio! Forse per esonerare i carcerieri di Londra o quelli futuri di Washington?

Altro vanto deontologico di Clausi è la breve nota su come tutto è iniziato. Su sollecitazione della Cia, in Svezia Assange viene fermato con l’accusa di aver stuprato una donna. La persona in questione nega di essere stata stuprata, ma che voleva solo sapere se ad Assange poteva essere richiesto un test per l’HIV, dato che il rapporto è avvenuto senza protezione. La polizia modifica la deposizione e insiste sullo stupro. La donna protesta pubblicamente e si ritira dal caso. Nel 2011 la Procura di Stoccolma si accinge a chiudere, ma da Londra, dove Assange è chiuso nell’ambasciata, le viene chiesto di mantenerlo aperto. Data la sua totale inconsistenza, alla fine Stoccolma archivia comunque tutto. Non c’è mai stata violenza. Clausi, raccontato il fatto pruriginoso, non riferisce niente delle manipolazioni accertate e si limita a rilevare che “lo Stato svedese ha lasciato cadere le accuse” (per pura generosità?).

Berlino: statue di Snowden, Assange e Manning

Pensate che questo giornaletto sovvenzionato da noti e ignoti, che tanto si agita quando una corretta interpretazione della parità di condizioni di concorrenza gli toglierebbe le decine di milioni che riceve da noi per non essere da noi comprato, e tanto strepita contro l’attacco alla libertà di stampa, avrebbe anche solo lievemente accennato alla minaccia alla libertà, non solo di stampa, implicita nella condanna di un giornalista a cui,  tra tante cose che dovremmo riconoscergli, è di essere, nel nostro tempo, colui

“Che, temprando lo scettro a’ regnatori,
Gli allor ne sfronda, ed alle genti svela
Di che lagrime grondi e di che sangue
”.


Stiamo con Roger Waters, Brian Eno, Vivienne Westwood e Yanis Varoufakis che a Londra stavano sul palco per Julian Assange e Chelsea Manning. E per quanto ancora ci rimane tra le mani di diritto di dire e di sapere. Stringiamolo nel pugno. “Il manifesto” c’è servito per starnutirci il nostro coronavirus.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 21:24

ODIATORI DI SISTEMA SCATENATI —– A CHI GIOVA LA STRAGE DI TURCHI IN GERMANIA (E DI TUTTI GLI ALTRI TERRORISMI)? —– GERMANIA, UN PASSATO CHE DEVE TORNARE SEMPRE. QUELLO DEGLI ALTRI, MAI.

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MONDOCANE

SABATO 22 FEBBRAIO 2020

 

Compaiono lupi, scompaiono agnelli

Scompare la Merkel, scompaiono Schaeuble, Steinmeier, l’euro-impero franco tedesco, il massacro della Grecia, il cappio che l’economia tedesca stringe sui paesi meridionali, il protagonismo tedesco sullo squartamento della Jugoslavia, la partecipazione della Bundeswehr a quasi tutte le carneficine provocate dalle aggressioni Nato, il rinnovato colonialismo in Africa, gli scandali della Deutsche Bank. La santa Rackete che sperona navi italiane per imporre la tramutazione di popoli in schiavi.

E appare il mostro. Appaiono le cellule neonaziste nella polizia e nell’esercito, i razzisti, xenofobi, i partiti di ultradestra, inesorabilmente neonazisti, l’AFD che ruba elettori ai grandi partiti istituzionali democratici e moderati. E, naturalmente, con l’aiuto di tutti i media europei di cui ci parla Ulfkotte (“Giornalisti Venduti”, editore Zambon), tutte le belle cose istituzionali e democratiche di cui sopra e di cui questi partitoni, compreso anche lo sgabello “verde”, alle cui smanie guerrafondaie Greta ha aggiustato la gamba zoppa, vantano la paternità.

E riappare immancabilmente, doverosamente, utilmente, enorme, sull’orizzonte pangermanico, con tentacoli in tutta Europa, il fantasma del PASSATO. Quello di cui la Germania non vuole, non può (o non deve?) mai liberarsi. C’è stata un’epurazione che ha di fatto tolto di scena mezza generazione, quando le altre le aveva eliminate la guerra. Molti dei 7,3 milioni di tedeschi, su 80, che, spesso nolenti o a forza, erano iscritti al Partito nazionalsocialista, furono processati, condannati, spesso ostracizzati, salvo alcuni bonzi che si ritenne utile cooptare nei nuovi poteri. E tutti quelli che erano sopravvissuti degli 80 milioni diventarono a loro insaputa “nazisti”.

Le colpe non ricadono sui figli. Dipende dalla nazionalità dei figli

Comunque, è stato ed è, grazie alla nota teoria dell’intelletto collettivo capitalista e alla scaltrezza di certi eterni “creditori”, per cui le colpe dei padri ricadono sui figli, nipoti, pronipoti, che la parola “tedesco£ divenne sinonimo di nazista”. E c’è chi più li definiva tutti nazisti e più si sentiva antifascista e comunista. Qualche rara testa d’uovo azzardava di escludere Goethe, Schiller, Marlene Dietrich, Einstein e Marx. Perfino un Kurt Waldheim, unico segretario dell’ONU, insieme all’egiziano Boutros Ghali, che non si è fatto portalettere degli Usa e di Israele, venne politicamente e moralmente decapitato per essere stato richiamato nella Wehrmacht a vent’anni.

“Il passato che torna”

E dunque può bastare uno psicopatico come Tobias Rathjen, che si arma di una delle sue quattro pistole e di un fucile liberamente acquistati e va in giro per locali Shisha di Hanau ad ammazzare turchi e poi la madre e se stesso, per far gridare al “passato che torna”, che non muore mai, che cova in tutti i tedeschi e che ora si manifesta in tutti coloro, razzisti, xenofobi, populisti, sovranisti, ovviamente nazifascisti, che vengono visti come fuori dal politicamente corretto come definito da Popper e Soros.

Sono i miscredenti che detestano quell’apparato, tipo Vergine di Norimberga, dove quattro giustizieri UE, senza legittimazione democratica, decidono vita e morte di popoli; che non condividono che la Germania sia sotto scacco per 80 basi militari americane (da noi 90), con 40.000 effettivi, sul proprio suolo; che la Nato ne determini la politica estera, che quando ci si accorda per un gasdotto dalla Russia, Usa e Nato le impongono di toglierlo; che 11 milioni di migranti, strappati dalle multinazionali e dalle loro guerre ai propri paesi, sono troppi, che non vanno votati all’Est coloro che quella parte della “patria” l’hanno depredata, impoverita e diffamata, ma che anche il resto della Germania è stata condotta dai partiti “democratici” all’orlo di una stagnazione che arricchisce i rami in cima e fa seccare quelli sotto.

AFD, sconosciuto, ma mostro.

Non posso dire niente di più, rispetto a questi o altri punti del programma e dell’anima dell’AFD. Un giorno andrò a documentarmi. Immagino che ci sia dentro di tutto, un po’ di Lega, qualche M5S, dei crani rasati, molto SED (il partito socialista della DDR), cittadini comuni senza particolare ideologia, patrioti, tantissima ragione per protestare,  e, soprattutto, guardando all’Est stuprato e ora anche all’Ovest profittatore, c’è tantissimo disagio, rabbia. L’odio, invece, come da noi, è quello che li teme e disprezza. Vanno ostracizzati e dannati, senza neanche provare a capire.

La Turingia o il diavolo

Il problema non è mica il completamente pazzo, così dichiarato dai sanitari, ma ciononostante lasciato libero di detenere un arsenale e di sparare deliri in rete. Il problema è la crisi di una Germania in cui la fine della Merkel coincide con la fine degli anni grassi, in prima linea per i ceti subalterni, in primissima linea per i rapinati dall’annessione colonialista nell’Est. E il problema più grosso è che in un Land dell’ex-DDR, la Turingia, a seguito di altre sostanziose crescite in tutto l’Est (è già il secondo partito in Sassonia e Brandenburgo), l’AFD ha sbaragliato i partiti grossi, CDU e SPD, responsabili dello sconquasso, assieme ai portatori d’acqua Verdi. Con l’AFD al 24% e la Linke (Sinistra) prima al 31%, CDU e liberali dell’FDP si sono acconciati a condividere il governo con i “fasciopopulisti” o “neonazisti”, come li chiama il ”manifesto”, foglio abusivamente sovvenzionato dai soldi di chi non lo compra e promotore virulento di tutte le campagne sui cui ombreggiano George Soros e il Deep State.

E’ successo il finimondo. Il neopresidente Kemmerlich, FDP, ha dovuto mollare e si prevedono nuove elezioni. Dove quel quarto di elettorato AFD rischia di crescere ancora e, in democrazia (?) non si può togliere di mezzo. Ma si può diffamare e destabilizzare, anche con l’utilizzo dell’attentato di un fuoritesta. Pensate, siccome l’AFD ha dichiarato, diversamente di tutti i media tedeschi, più o meno del livello dei nostri, e per i quali si tratta dell’ennesima prova del “ritorno del passato” e dell’orda hitleriana dentro le porte, che  sia impossibile negare che Tobia sia pazzo da legare (e mai legato dai servizi, come tanti altri), ecco che “AFD” cerca di coprire il suo emissario a Hanau!!! La malafede diventa ancora più evidente tenendo conto che il fattaccio dei Shisha è avvenuto 48 ore prima delle elezioni nella città-Stato di Amburgo. Non solo, nel momento in cui AFD, sembra a buona ragione, ha chiesto il riesame dell’assegnazione dei seggi, proprio nella regione di Hanau, l’Assia, con buona probabilità che dei cinque in ballo qualcuno vada agli Alternativi per la Germania.

Merkel buona, Merkel no buona

Ma, ditemi, si può???

Stamane, RadioRai 1, al pari di tutti i media di regime, dedicava metà del giornale radio e tutti gli approfondimenti a voci accorate, indignate, tutte con il dito puntato sulla Germania che non riesce a liberarsi del noto fantasma in camicia bruna, spettro nero che, via via, torna a dotarsi di ossa, vene, sangue, fisionomia visibile e rischia di infettare noi e tutta l’Europa. Ieri, dell’eurosovrana Merkel si acclamava il fatto che aveva condotta il paese “a fare i conti col passato”, visto che era la privilegiata alleata di una Potenza che non fa che copiare e migliorare quanto caricato su Hitler, misurandosi con la sua immagine nello sfoltimento dell’umanità e dei suoi beni. Oggi, con le vesti dell’imperatrice stracciate, non è altro che un’inetta che non ha saputo tener testa ai rigurgiti neonazisti e, anzi, col suo partito CDU, con questi in Turingia ha pure fatto comunella.

Il preavviso “ignorato”

“Il manifesto”

Prima di sparare a “popoli da eliminare”, questo principio lo stragista di Hanau l’aveva esplicitato in ben 24 pagine su Internet, perché tutti ne potessero essere istruiti, compresi la polizia di Hanau, i servizi segreti, il controspionaggio, gli organi di sorveglianza del Land Assia e di tutta la Bundesrepublik. Ma, guai a buttarci un occhio e imporre a Tobias un minimo di controllo. Almeno quello che si riserva ai pazzi furiosi e violenti che si propagandano pubblicamente. Cos’era, violazione della privacy di uno che promette di far fuori popoli interi (tra cui, abbastanza incoerentemente, Turchia, Israele e Stati latinoamericani)? Oppure, nei deliri di Rathjen, c’è forse, per noi altri fetidi complottisti che non ci accontentiamo del “manifesto”, del Fatto”, della “Repubblica”, di Gruber, Zoro e Formigli, da fare una riflessioncina su quel testo messo su Internet quando dice che “i nostri paesi sono infettati da società segrete, o sotterranee, e che esiste, nello specifico, un’organizzazione segreta  che pratica lettura del pensiero, o perlomeno sa condizionarlo e che gli altera e ruba le riflessioni”. Cose da pazzi? Mica tanto Non c’è servizio segreto che non abbia esperti impegnati sul tema.

Un pazzo incontrollato?

Per gli odiatori seriali dell’Establishment oggi è una giornata campale

Deliri di un pazzo. Incontrollato, però. O controllato? Diretto? Per gli odiatori di palazzo e redazione che vanno in crisi di astinenza se non scoprono in continuazione “odiatori”, è un neonazista punto e basta, prodotto da un’atmosfera sempre più pervasa da veleni di un passato che non passa mai. Come quegli altri, di Halle, dove l’attentatore si sarebbe scagliato contro la sinagoga che, però non ha nemmeno sfiorato, quando ha sparato per strada e ucciso due non ebrei. O come l’assassino del politico CDU Luebcke, ovviamente neonazista perché anti-migranti, sempre nell’Est. Poi ci sono stati quelli della strage di Duisburg, ‘Ndrangheta, o di Monaco, iraniano, e i tanti d Francia, Belgio e Inghilterra, presunti ISIS. Senza parlare dei killeraggi seriali di massa nelle scuole statunitensi, inesorabilmente matti, o suprematisti bianchi. O, da noi primattori dello sragismo, Piazza Fontana fino a Via D’Amelio e oltre, esclusivamente  di fascisti e mafiosi (i servizi, la Cia e i massoni “deviati” passavano di lì per caso).

Terrorismo neonazista, mafioso, islamista, fascista, razzista. Schiamazzi insensati e ingiustificati di fronte a epifenomeni risivi, o ad autentiche alternative politico-sociali al degrado malavitoso e totalitario che ci assedia? Non hanno dato ampiamente dei populisti, razzisti, sovranisti e, dunque, fascisti, per anni e tuttora ai 5Stelle? Quale migliore difesa per un establishment che preserva e estremizza il suo carattere criminale e antipopolare  che  rovesciare il proprio nero e bruno su chiunque esca dal seminato. “Il manifesto” ne è la più “manifesta” e volenterosa “manifestazione”. Ara un terreno, direi un’aiuola, fertile: quella degli allocchi che lo ritengono di sinistra.  Qualsiasi occhiuto teorico della cospirazione capisce che in nove casi su dieci (calcolo riduttivo) trattasi di terrorismo di stabilizzazione dell’esistente. Come nel ’69. Con correttivi: qualche telecamera, qualche colonna infame, qualche ceppo, alcune manette, qualche spione in casa, qualche bavaglio in più. E, soprattutto, con tutto questo rigurgito di nazismo di massa, non sono che da ringraziare E questo risponde all’interrogativo nel mio titolo.

“il manifesto”

Beato quel paese che non ha passati che ritornano

Com’è che né in Francia, né nel Regno Unito, né in Belgio, né negli Usa si parla mai di “passato che non muore”, delle “radici del male che continuano a produrre i loro perfidi frutti”. Eppure, tra questi Stati non c’è chi ha tagliato più teste e sterminato più ugonotti, chi spolpava e spolpa colonie e in Algeria ha compiuto genocidi e inventati i più orridi sistemi di tortura? Non c’è chi ha arricchito la sua classe dirigente e i suoi monarchi facendo killeraggi di massa e depredando paesi e continenti per secoli e, con Cromwell, protagonista sugli irlandesi del primo genocidio? E non ci dovrebbe essere quel paesuccolo artificiale, mezzo Olanda e mezzo Francia, ma che nonostante le sue dimensioni ha saputo far fuori 20 milioni in Congo e tuttora ne facilita, a scopo di estrazione, le sue rapine e le sue carneficine?

E non ci manca forse quel grande paese, oggi delle sette guerre di sterminio, ieri del Vietnam dai 4 milioni di uccisi, dell’Iraq dei 3 milioni di morti da due aggressioni, delle colorate destabilizzazioni di Stato dopo Stato con sanzioni e golpe, dei ricatti all’universo mondo, di Guantanamo e Abu Ghraib? Quel grande paese di cui le due parti si fecero vicendevolmente a pezzi, gli uni per difendere lo schiavismo, gli altri per imporre il capitalismo?  Non sono questi i frutti sempre maturi delle radici mai recise, tra le quali si aggirano le anime di 20 milioni di nativi eliminati dalla faccia della Terra?

Macchè, i paesi del Pensiero Unico non hanno nessun passato che risorge, nessuna bonifica morale, spirituale o materiale da compiere, nessuna colpa antica dei padri ricaduta sui figli e nipoti. Non sono tedeschi. E neppure italiani, e neppure greci, o arabi, o iraniani, o cinesi, che un passato ce l’hanno. Da evocare quando serve e, guardando a Dresda o a Palmira o al Coronavirus, da distruggere quando serve.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:39